Il cavallo con più rabbia galoppava fuori porta
e lasciava il suo ricordo nella nebbia
le persiane ormai serrate inventavano la notte
solo il fiume vomitava i suoi rifiuti
vacche stanche di muggire proponevano sbadigli
hanno ancora tanta nebbia da smaltire
è già l’ora è puntuale intrasento il suo profumo
sono già le otto ora legale
la troverò sopra il mare sulle labbra la potrò baciare
là arriverò quando è sera quando il sole tramonta in riviera
vecchi gozzi alla deriva si preparano alla pesca
con le reti rattopate nella stiva
l’onda avanza a passi nani agonistica col molo
mentre il vento già scommette coi gabbiani
è il crepuscolo sul mare rosso il cielo va a brunire
e qualcuno si avvicina alle lampare
è già l’ora è puntuale intravedo il suo profumo
sono già le otto ora legale
la troverò sopra il mare sulle labbra la potrò baciare
là arriverò quando è sera quando il sole tramonta in riviera
la troverò sopra il mare sulle labbra la potrò baciare
là arriverò quando è sera quando il sole tramonta in riviera
Una canzone? No, qualcosa di più.
“Ma il cielo è sempre più blu” è una bandiera di speranza
di EDVIGE VITALIANO (il Quotidiano del Sud, 31 MAG. 2020)
Ancora una volta è stato lui a fare un regalo a noi. Un dono impacchettato con i colori del cielo che ti vien voglia di alzare lo sguardo e continuare a credere che sognare si può. Anzi, si deve! Accade, ad esempio, quando “spari” il volume della radio al massimo perché in quel momento stanno mandando “Ma il cielo è sempre blu”.
Una canzone?
No, qualcosa di più. Un abbraccio a distanza anche in questi mesi chiusi nelle matrioske dei nostri pensieri in bilico. Mentre ascolti quelle note, tra nuvole e sole, si fa largo il sorriso malandrino di Rino Gaetano, quel suo sguardo così simile a un punto interrogativo; in quello sguardo, se ci cadi dentro, puoi trovarci anche l’inquietudine malinconica di chi sa quanto difficile sia guardare oltre, per restare anche dopo.
Aveva solo 31 anni Rino Gaetano quando, nella notte del due giugno del 1981, moriva in un incidente stradale sulla via Nomentana, a Roma. Una notte da schianto che - come il più atroce e beffardo dei dispetti - te la ritrovi davanti in uno dei suoi testi, quasi fosse una profezia: “La ballata di Renzo”, scritto più o meno dieci anni prima.
“[...] Quando Renzo morì, io ero al bar/ La strada molto lunga/ S’andò al san Camillo/ E lì non lo vollero per l’orario./ La strada tutta scura/ S’andò al san Giovanni/ E lì non lo accettarono per lo sciopero./ [...] Con l’alba,/ Le prime luci/ S’andò al Policlinico/ Ma lo respinsero perché mancava il vice Capo/ In alto, /C’era il sole/ Si disse che Renzo era morto/ Ma neanche al cimitero c’era posto. [...]”. Quel pezzo non fu mai pubblicato in un album. Rimase - forse, in fondo a un cassetto - cristallizzato nel tempo come la voce da ragazzo di Rino su un mangianastri. Come lui nelle foto, con la tuba in testa, in compagnia della chitarra o dell’amatissimo ukulele, con le maglie colorate, le sciarpe troppo lunghe, i jeans comodi, le medagliette appuntate sul bavero del frac sanremese.
Stralunato e imprevedibile, Rino era uno che sapeva giocare d’anticipo; ti prendeva in contropiede con le parole, l’ironia intelligente, le provocazioni, il dissenso, la poesia, la rabbia e l’irriverenza. Inafferrabile, fuori dagli schemi, c’era qualcosa che faceva somigliare il cantautore - nato a Crotone il 29 ottobre del 1950 e per sempre con la Calabria e il Sud nella valigia e nel cuore - ad un personaggio a tratti fiabesco che sapeva ridere anche di se stesso.
I suoi nonsense solo apparenti graffiano anche ora, a distanza di anni dalla morte. Così mentre ascolti “Sfiorivano le viole” - pezzo impregnato di salsedine e spiagge di silicio - e ti giunge il profumo intenso dei gigli di mare e di un amore sbocciato sotto il sole di un’estate furente, lui beffardo ti spiazza e racconta del marchese La Fayette che ritorna dall’America. Il gioco è fatto, senza banalità alcuna. Il tempo di soffiare via le nuvole e il viaggio continua nel tempo sospeso di “Ti ti ti ti”. Un pezzo costruito sognando una stella e un veliero. Ma Rino è anche quello di “Mio fratello è figlio unico” , di “Nuntereggae più” , di “Aida”, di “Ad esempio a me piace il Sud” , di “Escluso il cane”...
Ed è l’autore di “Ma il cielo è sempre più blu”, che in molti hanno cantato nell’Italia colpita alle spalle dal virus. Quel “corale” sui balconi intonato dai cuori feriti in cerca di una speranza, è diventato una bandiera senza appartenenze. Il pezzo è anche stato scelto in una speciale versione per una causa benefica - promossa da Amazon insieme ad AFI, FIMI e PMI - a favore della Croce Rossa Italiana. All’iniziativa hanno aderito oltre cinquanta nomi del panorama musicale italiano.
L’idea della cover collettiva, nata da una proposta di Franco Zanetti sul sito Rockol, è stata portata avanti da Takagi & Ketra e Dardust che hanno prodotto il pezzo con il mixaggio di Pinaxa. Com’è andata? Per avere la misura, basta ricordare i numeri nella prima settimana di uscita della cover collettiva - depositata col titolo di “Ma il cielo è sempre blu (Italianstars4life)” - riportati in diversi lanci d’agenzia lo scorso 16 maggio: al primo posto su iTunes per tutta la settimana; al quinto posto della classifica Fimi/Gfk dei singoli più venduti; in top ten tra i brani più suonati dalle radio italiane (la più alta nuova entrata della settimana nella classifica EarOne); 5,3 milioni di telespettatori su Rai Uno per l’anteprima video. La cover corale è accompagnata da un videoclip che ha già registrato un milione di visualizzazioni su Youtube, diretto “a distanza” da Mauro Russo, con l’editing di Marco Cataldo.
E allora ci piace immaginare Rino sorridere col cappello sul cuore. Un abbraccio a distanza tra nuvole e sole!
MITO, FILOLOGIA, TESSITURA. UN PREZIOSO SPIRAGLIO SUI TEMPI CHE “BERTA FILAVA” ....
DIALETTI SALENTINI: “ÈRTULA”. PREMESSO E CHIARITO CHE il filologo tedesco [il Rholfs] ha utilizzato il suo [di Nicola Vacca] contributo «in II, p. 208″: vertularu (L ces) m. venditore di roba fatta al telaio [cfr. il calabrese vèrtula bisaccia, dal latino averta idem] v. vèrtula [...] Apprendiamo così che all’epoca in cui il Rholfs raccoglieva sul campo, e di persona, i fiori del nostro dialetto, le tre voci erano in uso solo nel Leccese e più precisamente: vertularu a Santa Cesarea Terme (L ces), vèrtule ad Aradeo e Ruffano (L ar, ru), èrtula a Lecce e Squinzano (L l, sq) con citazione dell’articolo del Vacca (L 19)», SI PUO’ DIRE CHE i motivi addotti sono buoni e si può ritenere, sicuramente, «che la latina averta, da voce comune, abbia assunto una sorta di nobilitazione giuridica e come tale si sia diffusa nel mondo bizantino con la trascrizione “Ἀβέρτα/βέρτα”».
AVERTA/BERTA. SE LE COSE STANNO così, la preziosa indagine del prof. Polito sollecita non solo a riflettere di più e meglio sul significato del modo di dire “ai tempi che Berta filava”, ma anche a pensare alle molte allusioni di Rino Gaetano quando cantava “E Berta filava”, e, al contempo, a ripensare a quali e quanti prodotti - oltre le “vertule” - i “vertulari” vanno a comprare alla bottega di Atena (Minerva), ma non di Aracne (Ovidio, “Metamorfosi” - VI) - non ieri, ma oggi! *
Federico La Sala
* SUL TEMA, CFR. LA LUNA (“LA SCIANA”), IL DESIDERIO (“LU SPILU”), E IL FILO DI ARACNE. Quanti millenari pregiudizi.
Buon Compleanno a Rino Gaetano, da RaiPlay una striscia d’archivio per celebrarlo
"Buon compleanno, Rino" propone materiale d’archivio Rai riattualizzando il passato e offrendo percorsi critici e di riflessione per il presente
di Redazione ANSA *
ROMA
Nasceva oggi Rino Gaetano. RaiPlay, la piattaforma digitale che offre il meglio dei contenuti Rai, propone questa settimana una striscia d’archivio per celebrare il grande artista che il 29 ottobre avrebbe compiuto 66 anni.
La musica del geniale cantautore, ricordato per la sua ironia e per i nonsense caratteristici, per la denuncia sociale celata dietro testi leggeri, continua ad essere ascoltata da giovani e meno giovani, che hanno reso intramontabili canzoni di culto come " Gianna" e "Berta filava". Per l’occasione RaiPlay ha dedicato un’intera fascia alle partecipazioni televisive Rai degli anni ’70 e "80 del cantautore calabrese che ha anticipato il rifiuto della sua generazione per l’impegno tradizionale a favore di un approccio più scanzonato. "Buon compleanno, Rino" propone materiale d’archivio Rai riattualizzando il passato e offrendo percorsi critici e di riflessione per il presente.
Ansa» 2009-01-28 05:15
ADDIO A MINO REITANO
ROMA - E’ morto iera sera dopo una lunga malattia Mino Reitano. Il cantante, 64 anni, si è spento nella sua abitazione di Agrate Brianza, assistito dalla moglie Patrizia e dalla figlia Giuseppina Elena. Reitano era malato da due anni, ed era stato sottoposto a un intervento chirurgico un anno e mezzo fa e, successivamente, nello scorso novembre. I funerali del cantante, che lascia anche un’altra figlia, Grazia Benedetta, si svolgeranno giovedì alle 15 nella chiesa di Agrate Brianza.
MINO REITANO, UNA STORIA ITALIANA DEGLI ANNI ’60
ROMA - La vicenda di Mino Reitano e’ una tipica storia degli anni ’60, un ragazzo povero del Sud che comincia a cantare in Germania insieme ai Beatles quando non erano ancora i Beatles, diventa ricco e famoso negli anni del boom e dei milioni di 45 giri, e resta sempre un bravo ragazzo del Sud. Nella seconda parte della sua carriera per tornare al successo e fare la tv, da bravo ragazzo, era diventato il personaggio di se stesso, un inconsapevole simbolo del trash, digiuno di certi meccanismi che pero’ gli permettevano di restare alla ribalta, tornare a San Remo e andare in America a cantare negli stadi pieni di italiani. Persino la sua spietata malattia e’ diventata una di quelle storie che non mancano mai in quei rotocalchi televisivi dove e’ corsa la sua seconda giovinezza professionale, un episodio brutale che lui ha affrontato con la solita ingenuita’ di bravo ragazzo.
Mino in Germania c’era andato da emigrante ma con i fratelli suona rock’n roll, cosi’ ad Amburgo si trovo’ a dividere il palco con i Quarrymen, che, tornati a Liverpool, diventeranno i Beatles. Poi e’ diventato un protagonista della canzone italiana degli anni ’60: prima Castrocaro, poi nel ’67 San Remo con un brano di Mogol e Battisti, ’Non prego per me’. Nel 1968 arriva al primo posto della hit parade con ’Avevo un cuore che ti amava tanto’, seguito da un altro grande successo, ’Una chitarra cento illusioni’. Nel 1971 vice un Disco per l’estate con ’Era il tempo delle more’. E’ il suo periodo piu’ felice, partecipa a tutti i festival piu’ importanti, vende tantissimi dischi, e’ un protagonista fisso di Canzonissima, scrive pure canzoni per Mina e Ornella Vanoni. Il tutto con un fare tra l’impacciato e il dinoccolato e un modo di cantare che sta tra Paul Anka e Luciano Tajoli. La sua e’ la biografia perfetta per l’uomo legato alla famiglia che con i primi veri soldi si e’ comprato una sorta di ranch in Brianza dove ha vissuto con le famiglie dei fratelli fino alla fine. Dopo un periodo di oscurita’, negli anni ’80 Mino Reitano e’ entrato nella sua esistenza televisiva, della quale la carriera di cantante e’ stata l’appendice musicale. Da quel momento diventa un personaggio da rotocalco e ogni sua partecipazione al Festival di Sanremo, soprattutto quella del 1988 con ’Italia’, e’ stata nel segno della piu’ ingenua popolarita’, anche se poi, proprio grazie a San Remo, ha trovato altri ingaggi per programmi tv e tournee’ per gli italiani all’estero. La malattia raccontata in pubblico ha riservato un’eco immeritata al suo triste finale.
REITANO: BAUDO, UN EMIGRANTE CON GRANDE VOGLIA DI ARRIVARE
ROMA - ’’Mino Reitano era un bravissimo ragazzo, ostinato, il classico emigrante con grande voglia di arrivare, esuberante, simpatico’’. Cosi’ Pippo Baudo ricorda commosso il cantante, scomparso questa sera a 64 anni. ’’Nonostante il finale tragico e la sofferenza che durava da parecchi anni - sottolinea Baudo - Mino e’ stato fortunato, perche’ ha avuto dalla vita quello che voleva, passando dall’anonimato della provincia meridionale ai palcoscenici piu’ importanti del mondo dello spettacolo, del quale e’ diventato a pieno titolo un protagonista’’. Di Reitano, Baudo cita ’’i grandi successi a San Remo, ma soprattutto a Canzonissima, con la sua capacita’ di coinvolgere centinaia di migliaia di persone, che da casa lo votavano senza esitazione, e di farsi notare, con esibizioni che a qualcuno talvolta sembravano eccessive. Ma aveva anche l’animo del compositore: ha scritto, tra l’altro, ’Una ragione di piu’’, uno dei brani piu’ belli del repertorio di Ornella Vanoni, che considerava il suo piccolo capolavoro’’. ’’Finche’ ha avuto la forza - dice ancora Baudo - non si e’ mai risparmiato nei suoi spettacoli, che duravano anche tre ore, grazie alla sua grande voglia di farsi amare. Mino - conclude Pippo - lascera’ un ricordo piacevole e simpatico, e questa e’ la cosa piu’ bella per un artista’’.
REITANO: LITTLE TONY, PERDO UN AMICO PREZIOSO
ROMA - ’’Era un collega e un amico speciale, prezioso, da 40 anni’’: Little Tony si dice ’’molto addolorato’’ per la scomparsa di Mino Reitano, al quale era stato vicino in questi ultimi due anni di malattia. ’’Ci siamo sentiti ogni settimana, io cercavo di incoraggiarlo in tutti i modi. Lui viveva la malattia con grande entusiasmo - aggiunge - mi diceva sempre che voleva fare un programma in cui io facevo Dean Martin e lui Frank Sinatra. L’anno scorso a Sanremo avrebbe voluto cantare in coppia con me, ma era gia’ malato’’. Per Little Tony,
Reitano, insieme a Celentano, Morandi, Al Bano e Bobby Solo, faceva parte di quel gruppo di artisti con cui ha sempre vissuto la sfida canora negli anni ’60, ma precisa: ’’Con Mino e Bobby ci siamo frequentati anche fuori dal lavoro, in tutti questi anni. Con lui c’era un’amicizia forte. Era dolce, modesto e si comportava sempre nel modo giusto. Era una persona speciale, particolare. Sua moglie Patrizia gli e’ stata vicina in questo calvario’’. ’’L’unico rimpianto - conclude Little Tony - e’ che dovevamo vederci dopo la sua ultima operazione, dopo le feste. Invece, sono stato male io, con un’influenza da cui sono uscito solo quattro o cinque giorni fa. Ora sono in albergo a Milano, dove ero in attesa di incontrarlo. Ma sua moglie, mezz’ora fa, mi ha dato la notizia della sua scomparsa. Siamo tutti molto addolorati’’.
REITANO: RANIERI, ERA LA PUREZZA IN PERSONA
ROMA - Massimo Ranieri avrebbe dovuto parlare con Mino Reitano qualche ora fa. Ma la notizia della scomparsa del collega gli e’ giunta in una pausa di un concerto che sta tenendo a Novara. ’’Avrei dovuto chiamarlo proprio oggi - racconta - per me era come un fratello maggiore. Eravamo tutti e due del Sud e per lui provavo grande stima e un affetto sincero. Era la purezza in persona e questo colpiva il pubblico, quella sua bonta’ e modestia. Era partito dalla Calabria ed era andato in Germania per cantare le nostre canzoni’’. ’’Ci avevo parlato un mese fa - conclude - e avevo capito che stava molto male. Mi manchera’ molto’’.
INEDITI
L’indimenticato «figlio unico» della canzone italiana, scomparso in un incidente 25 anni fa, sarà presente a Sanremo con una composizione ancora attuale. E provocatoria
Rino Gaetano. Il ritorno
In un quaderno a righe datato 1967 ritrovati i pensieri di un ragazzo del Sud che con la sola arma della poesia tentava di contrastare i razzismi, le guerre, la solitudine e altre contraddizioni di una società malata
di Massimiliano Castellani (Avvenire, 22.02.2007)
Tenetevi forte; Rino Gaetano, l’indimenticato «figlio unico» della canzone d’autore italiana sta per tornare a Sanremo. Ma forse sarebbe meglio dire che quel ragazzo dal ricciolo e dallo spirito ribelle, che sotto un Cielo sempre più blu cantava il paradosso e lo sfascio dell’Italia a cavallo tra i plumbei anni ’70 e i vuoti ’80 (che fece solo in tempo a vedere), non se ne è mai andato, nonostante il destino crudele se lo sia portato via a soli trent’anni.
Torna in via virtuale, ma anche profondamente spirituale, su quel palco della «sublime banalità» canzonettara, come vuole il filosofo Giulio Giorello, dove nel 1978 salì per cantare Gianna. E come quando saliva sul «109» creò la rivoluzione. Quella fu la sua unica, ma memorabile e irriverente esibizione sanremese, con tanto di frac, cilindro, scarpe da tennis e una chitarrina, l’ukulele, autentico cimelio nel simbolismo di Gaetano, che sua sorella Anna 5 anni fa ha capitalizzato mettendolo all’asta: il ricavato è stato devoluto in favore dei bambini della Sierra Leone.
Torna dunque l’eterno Rino, al quale presta la voce un degno erede della dissacrazione, l’attore-comico Paolo Rossi che interpreterà la sua sconosciuta «eppure attualissima» - come conferma la produttrice del disco, Claudia Mori - In Italia si sta male. Una delle tante composizioni inedite di quel ragazzo, romano d’adozione come tutta la famiglia, ma fiero di essere arrivato dal Sud (era nato a Crotone il 29 ottobre 1950). I primi tentativi cantautoriali di Gaetano risalgono infatti agli anni dell’adolescenza, trascorsi in seminario in Umbria, alla Scuola apostolica Piccola Opera del Sacro Cuore di Gesù di Narni, dove era entrato nel 1961. Appena uscito da lì esattamente quarant’anni fa, nel 1967, Rino cominciò ad archiviare i suoi pensieri, che oggi sono gelosamente custoditi da Anna. In un quaderno a righe che reca quella data, compare il testo che può forse considerarsi una delle sue prime canzoni: «Mondo in re maggiore».
«Quando un bambino chiede alla sua mamma l’amore che non ha/ è un soldato che chiede alla nazione un poco di libertà...». Sono i versi di un diciassettenne in rivolta che avverte la spinta liberatoria di un Sessantotto alle porte, un figlio dei fiori che cerca nello scontro con il passato e le vecchie e obsolete convenzioni la ristabilizzazione di un’armonia e una modernità che sappia di «sale negli occhi» e in zucca, ma soprattutto di pace. È l’appello disperato di un ragazzo triste, che rimarrà tale fino alla fine, avvertendo su di sé il peso dell’«emarginazione» di un popolo, quello meridionale, quei 5 milioni di emigranti saliti verso Nord, che ai suoi occhi diventano metafora della solitudine universale dell’uomo contemporaneo.
Un uomo che Rino Gaetano osserva con disincanto, con l’ironia sferzante che gli deriva da quello che considera un «maestro», Enzo Jannacci. Ma nelle sue prime composizioni si avverte anche la rabbia civile di De André e la protesta pacifista americana di Bob Dylan. Sente nella sua musica la necessità del rock di Adriano Celentano, ma pure l’artigianato naif di Ricky Gianco, dei «Gufi», di Gian Pieretti, e l’irregolarità poetica di un maledetto come Piero Ciampi.
La poesia è l’unica arma che fin da ragazzo lo sottrae all’accerchiamento di un mondo corrotto, avvelenato da marchiane contraddizioni e umilianti differenze di classe, dalla violenza gratuita e soprattutto dalla minaccia imperante della guerra. Così, per difendersi nella stanza del «figlio unico» e solitario, Gaetano chiama a rinforzo i suoi miti, i comandanti ideali di un esercito pacifista. Ne L’umidità che manca la dedica è per Louis Armstrong che «vuol suonare la tromba e non la bomba». I meridionali d’America per lui sono i neri, e il più grande è stato Martin Luther King che nel suo Spiritual ha una missione divina da compiere: «Il Signore ha scelto un negro/ gli affidò la pace/ lo mandò in un Paese dove non c’è pace ». La morte di King non interrompe il processo di pace, così come l’ultimo sorriso tra la folla di Dallas per lui non deve segnare la fine del New Deal, il sogno di J.F.Kennedy. «La vita non è tutta qui/ lui lavora anche lassù/ e come un fiume bagnerà qua, il suo fantasma inspirerà».
Ma quel sogno, con la tragica fine del presidente più amato e che ne fu l’artefice, Rino sente che si è spezzato; è con un certo malessere che condanna la guerra in Vietnam in Ah! Quanto è bella l’Usa e con fastidio annota: «E presto vedremo sul nostro mercato/ un biofucile che fa il bucato/ e compreremo quello più grosso/ di quel fucile che lava più rosso». Canta già con il sorriso amaro quel ragazzo che non vuole arrendersi ai mali della società, o meglio di quella che lui chiama l’«Associazione antropologica mondiale». Una società malata, ferita in quegli anni di terrore in cui c’era - e forse c’è ancora - chi «tira la bomba e chi nasconde la mano». I suoi occhi vivi, sempre vigili, vedono un’Italia e un universo con un Sud povero, pieno di gente «che vive in baracca» e un Nord sempre più ricco, ma anche più inquinato, per il quale si sente in diritto di scomodare i santi: «Contro lo smog cittadino S. Ambrogio ci è vicino/ per aiutare Celentano S. Ambrogio da Milano».
Sono ancora lontani gli anni della censura pretestuosa nei suoi confronti e rispetto ai colleghi cantautori del romano Folk Studio (De Gregori e Venditti) Gaetano per tutta la sua breve vita ha continuato a nutrirsi di utopia, portandosi dietro il fardello dell’idealista-puro, arrivato alla melanconica e assurda verità che «oggi l’uomo è solo emarginato, estromesso, figlio unico». Tutti i trent’anni del suo passaggio su questa terra, anche se in forma talvolta acerba, come è normale che siano gli scritti giovanili di ogni poeta, sono già abbozzati in quei quaderni.
Persino quella precoce sbandata all’alba, in solitudine come sempre, su quell’ultima curva della vita, il 4 giugno 1981, è descritta nell’inedita Quando Renzo morì io ero al bar. «Era già tutto previsto», canta l’amico Riccardo Cocciante. È andata proprio così, come Rino aveva scritto su quel quaderno. Nel Paese da sempre offeso dalla malasanità, tre dei 5 ospedali che quella notte dell’incidente rifiutarono il suo ricovero compaiono nel testo, che va letto forse non solo come il testamento del più grande cantautore italiano, ma di un’intera generazione: «È morto in un giorno di festa/ leggeva il giornale agli amici del bar/ amava la vita di tutti/ ustionata dalla pubblicità».
testimone Anna Gaetano: l’autoritratto più vero l’ho trovato in un suo scritto «Sono Rino e sono buono/ Quasi sempre io perdono...»
La sorella: «Sarebbe fiero di sapere che Celentano canterà i suoi pezzi»
di Massimiliano Castellani (Avvenire, 22.02.2007)
La custode di tutti gli inediti e della grande eredità poetica e umanitaria lasciata da Rino Gaetano è sua sorella Anna. La sorella maggiore, sei anni più grande di Rino, per il quale è stata praticamente una seconda madre. «Rino aveva cominciato a scrivere testi di canzoni già a 13-14 anni. Era un ragazzo che aveva una forte spiritualità. La scelta del seminario di Narni per lui fu praticamente obbligata dai nostri problemi famigliari. Nostro padre era cardiopatico, io già lavoravo e mia madre non poteva badare a Rino, così andò lì e io ricordo ancora oggi con un filo di nostalgia i viaggi in pullman da Roma per andare a trovarlo in Umbria alla domenica». Erano i pomeriggi tristi e solitari cantati da Celentano in Azzurro, quelli del giovane Gaetano. «La solitudine è una malattia che ci legava e che io conservo ancora. Rino era così, aveva tanti amici, ma anche questa profonda paura di restare da solo. E così è stato fino a quell’ultima notte...».
Ma Rino è ancora presente e addirittura si beffa del destino, tornando su quel palco di Sanremo sul quale nel 1978 era salito controvoglia e sfidando anche le critiche feroci dei suoi fan. «Quella volta Rino aveva accettato di andare a Sanremo solo per la grande amicizia che lo legava a Vittorio Salvetti, alla fine lo aveva convinto. A lui in fondo non piaceva molto essere associato al mondo della canzonetta, anche se poi uno dei suoi miti era Celentano, e credo che se fosse qui oggi sarebbe molto fiero di sapere che Adriano in futuro ha intenzione di cantare alcuni suoi inediti rimasti in quei quaderni».
Celentano canterà altri inediti, mentre sua moglie Claudia Mori è la produttrice del brano in Italia si sta male che sul palco dell’Ariston verrà interpretato da un uomo di teatro e non un cantautore, Paolo Rossi. «Niente di strano, Rino aveva cominciato con il teatro e amava recitare oltre che cantare. Il suo modello artistico era infatti il "teatro-canzone" di Giorgio Gaber e di Enzo Jannacci e credo che se avesse avuto il tempo per farlo si sarebbe mosso proprio in quella direzione. Devo dunque ringraziare Claudia Mori, che considero come una sorella per aver voluto che Rino tornasse a Sanremo. So che Paolo Rossi è un grande artista e il fatto che goda della piena fiducia di Claudia per me è una garanzia».
Molti sono concordi che se Rino Gaetano fosse ancora vivo forse l’altro Rossi della canzone, Vasco, sarebbe un personaggio di secondo piano nel panorama musicale italiano. Un’ipotesi ritenuta plausibile dallo stesso Vasco. «Non so, e non sta a me giudicare. Io so soltanto che se Rino fosse ancora qui tra noi, di cose da raccontare al suo pubblico ne avrebbe ancora tante. Il mio più grande rammarico è non avere mai incontrato un uomo come mio fratello. Un uomo capace di aiutare tutti, di riuscire a far sorridere chi gli stava a fianco senza far pesare mai quella sofferenza che si portava dentro. C’è un inedito in quei quaderni dal titolo "Sono Rino", in cui scrive: "Sono Rino e sono buono/ per la strada per gli amici/ Quasi sempre io perdono...". Come è vero... Quello è l’autoritratto di mio fratello».