UN CONVEGNO E UN APPELLO
Una nuova rivoluzione nel segno di Nathan *
Nel 1913 terminò la l’esperienza del sindaco più straordinario che Roma abbia avuto: Ernesto Nathan. Nel 2013 a Roma si vota per un nuovo sindaco. Nathan, tanto laico da proporre una legge sul divorzio nella città dei papi, mazziniano, ebreo, alleato dei socialisti, ha rappresentato una significativa frattura nella compatta storia della capitale: prima e dopo, e per un intero secolo, a dominare e plasmare la città sono stati - salvo brevi intervalli, in particolare l’esperienza di Petroselli - gli interessi della speculazione fondiaria ed edilizia.
Quella di Nathan fu una rivoluzione interrotta. La sua amministrazione agì soprattutto su quattro ambiti, secondo la sintesi di Italo Insolera nel suo "Roma moderna": la tutela dell’igiene pubblica, l’incremento dell’istruzione elementare, una politica volta a limitare la speculazione fondiaria, la partecipazione della cittadinanza all’amministrazione.
In quei pochi anni, non più di sette, fu varato il primo Piano regolatore di Roma, furono costruite decine di scuole elementari e rurali, fu costruita una rete tramviaria moderna che, grazie al solo referendum cittadino che si sia mai tenuto in città, divenne un’azienda municipale, così come Acea - acqua ed energia - azienda che Alemanno ha cercato di privatizzare del tutto: la pubblicizzazione dei servizi pubblici è un’indicazione più che mai attuale, dopo gli anni delle privatizzazioni forzate, che proseguono.
(...) A noi pare che - se si vuole ridare un futuro a Roma - è da lì che si deve ricominciare. I quattro punti di quel programma sono, visti con gli occhi di oggi e guardando alle più innovative proposte sulla vita delle metropoli, i punti di partenza di una nuova rivoluzione romana. (...)
Tutto questo noi vorremmo fosse l’oggetto di un convegno, da tenersi il 19 gennaio, presso la sala dell’Acquario (piazza Manfredo Fanti 47, a Roma), in cui intelligenze ed esperienze romane, docenti e giovani ricercatori, organizzazioni sociali e movimenti per la casa abbiano l’opportunità di studiare e dibattere quel che accadde un secolo fa per ricavarne l’ispirazione, l’energia necessaria ad avviare le grandi trasformazioni indispensabili per ridare a una città umiliata e impoverita, incollerita e frantumata, una speranza di futuro.
Maria Delfina Bonada, Maria Rosa Cutrufelli, Tommaso Di Francesco, Maria Immacolata Macioti, Riccardo Magi, Rossella Marchini, Angelo Mastrandrea, Sandro Medici, Sandro Morelli, Roberto Musacchio, Vincenzo Naso, Anna Pizzo, Valentino Parlato, Bianca Pomeranzi, Clotilde Pontecorvo, Alessandro Portelli, Enrico Pugliese, Patrizia Sentinelli, Antonello Sotgia, Pierluigi Sullo
* il manifesto, 15.01.2013
A mali capitali, antichi rimedi
di Maria Immacolata Macioti (il manifesto, 15.01.2013)
Ha senso parlare oggi di Ernesto Nathan, sindaco di Roma ai primi del Novecento? Credo proprio di sì. Anzi, forse oggi il suo esempio sarebbe da riprendere più di ieri. Ci troviamo infatti, nella città di Roma, di fronte a una situazione per più versi preoccupante: in primo luogo, un forte deficit economico, il che renderà la vita difficile a chiunque farà il sindaco a Roma, a qualunque giunta.
Ma Nathan si era trovato in condizioni non dissimili, a Roma, nel 1907: e si era impegnato nel risanamento del bilancio. Tagliando tutte le spese superflue, certamente. Ma anche investendo, al contrario, nella cultura. Non ci saranno mai abbastanza scuole, aveva dichiarato. Lo testimonia Gustavo Canti: «Quegli che rimarrà esempio non superato di rigido e parsimonioso amministratore, quegli che non si peritò di affrontare ire e impopolarità per difendere il pareggio del bilancio... quando si trattò delle scuole non lesinò mai, anzi diede liberamente». L’istruzione e la preparazione professionale sono state al primo posto nella programmazione: «Il bilancio, il suo pareggio sono la legittima preoccupazione di ogni prudente amministratore - dichiara Nathan nel discorso programmatico - ma sino a quando vi sia un solo scolaro entro la nostra cerchia amministrativa, il quale non possa ricevere istruzione ed educazione civile, in ambiente sano ed adatto, le considerazioni del bilancio finanziario devono cedere il passo alle imperative esigenze del bilancio morale ed intellettuale. Le scuole devono moltiplicarsi, allargarsi, migliorarsi; rapidamente, energicamente, insieme col personale scolastico».
Oggi invece si tende a mortificare, a depauperare l’università. Le scuole pubbliche, in Italia in genere e anche a Roma, sono fortemente in difficoltà, tanto che a necessità di base provvedono spesso i genitori degli alunni. Gli insegnanti sono mortificati da annose attese per l’entrata in ruolo, dalla precarietà protratta. Si tende ad addossare loro compiti sempre più gravosi, senza corrispettivi positivi: eppure sono gli insegnanti che nelle scuole provvedono alla socializzazione delle nuove generazioni, un compito sempre importante ma mai come oggi, vista la presenza di tanti bambini figli di migranti. Non solo: va ricordato che a Roma si è perseguita per anni la politica dell’abbattimento di campi rom, con il risultato di buttare cifre consistenti che avrebbero potuto essere impiegate più utilmente per una politica di integrazione e di rendere impossibile ai bambini rom il frequentare le scuole dove erano inizialmente iscritti.
Pareggio del bilancio sì, quindi. Con rigore. Ma anche, insieme, investimenti per le scuole, per l’istruzione. Più scuole e meno chiese, dice Nathan. «Nella Roma di un tempo non bastavano mai le chiese per pregare, mentre invano si chiedevano le scuole; oggi le chiese sovrabbondano, esuberano; le scuole non bastano mai!» chiarisce Nathan in un celebre discorso tenuto il 20 settembre 1910 alla breccia di Porta Pia, discorso che provocherà furiose polemiche.
Roma usciva appena da secoli di dominio papale, era una città dove il lavoro produttivo era scarso e le condizioni sanitarie pessime: tutto intorno alla città, l’Agro romano era fonte di febbri malariche. L’analfabetismo dominante si accompagnava a povertà e a miseria. Sono dei primi del Novecento, nate per iniziativa di poeti e scrittori, di vari intellettuali, le Scuole per i contadini nell’Agro romano. Vengono aperte nelle aree più povere e degradate, sono scuole rivolte ad adulti analfabeti: incoraggiate e concretamente aiutate da Nathan. Che cerca altresì di dare spazio alle scuole professionali - scuole commerciali, per operai addetti al gas, elettricisti, oltre che per assistenti edilizi, magistrali per muratori e operai meccanici - che cerca di abbinare scuole e industrie private, di mettere in collegamento questi due ambiti: eppure la Gelmini nella sua cosiddetta riforma presentava questa esigenza come una grande novità.
Roma oggi è di nuovo una città fortemente degradata. Strade dissestate e sporche, macchine parcheggiate in doppia fila, che rendono difficile lo scorrimento del traffico, lavori annosi che non appena terminati devono essere ripresi perché mal fatti o perché si sono usati materiali non adatti o di scarto, alberi che avrebbero bisogno di cure, parchi abbandonati, servizi che lasciano a desiderare, come ben sa chiunque si sposti o cerchi di spostarsi con mezzi pubblici: i servizi invece erano stati una priorità, per il blocco Nathan. Che, con Montemartini, ha dato un forte impulso in merito: il comune si è occupato dell’igiene della città, dell’assistenza sanitaria. Sono state istituite guardie ostetriche per partorienti, profilassi di malattie infettive, presidi per medici in zone in difficoltà come Porta Metronia, Ferratella, in vari luoghi dell’Agro romano: e si richiede ai medici di risiedervi. Oggi il welfare è uno dei nodi problematici più rilevanti, un tema con cui si dovrà confrontare chiunque lavorerà in Campidoglio.
Hanno luogo in quegli anni le prime consultazioni popolari: per la mobilità, da cui poi l’Atac. Per l’illuminazione, da cui l’impianto idrotermoelettrico per la produzione e distribuzione dell’energia elettrica, sia per la forza motrice che per l’illuminazione; da cui l’Acea (si può ancora ammirare la centrale Montemartini al Testaccio, oggi un museo). Non senza critiche e irrisioni da parte di una stampa non abituata all’esercizio della democrazia nell’Urbe, in testa il noto «Il Travaso» che pubblica tredici derisorie quartine contro l’idea stessa del referendum («Ben è ver che se Dio non provvede/ a dar Egli la luce ... al cervello, / faccia il Blocco o non faccia l’appello,/ a che serve un miliardo di sì?»), laddove Nathan ha chiaro che l’illuminazione è una misura minima basilare, come ben sanno molte donne che negli ultimi tempi hanno subito aggressioni in zone periferiche, abbandonate e scarsamente illuminate di Roma. E non solo.
Ci si propone la moltiplicazione dei mercati, la guerra al bagarinaggio: e il fastidio per il mercato del pesce dal sindaco voluto e fatto aprire si riflette in una canzonetta di Giggi Pea, pubblicata da G. Micheli: «Er mercato der pesce è ’na risorsa,/questi so’ fatti, mica so’ parole,/de scuali, de merluzzi e de ciriole/ a Roma ce ne so’ na quantità.// Poi sta’ sicuro e si ne voi ’na prova/ar sinnico tu chiedi un baccalà/nemmeno volta l’occhi e te lo trova/ e nun lo paghi manco la metà...»
C’è bisogno di case, di case popolari: troppe le persone costrette a vivere in baracche, in alloggi impropri, con danno della salute. Si avrà un moderno piano regolatore, quello di Saint Just di Teulada, che prevedere diversi tipi edilizi, case popolari. Zone di Roma come Prati, S. Saba, Testaccio sono ancora lì a testimoniare l’importanza di quest’opera. E si cercherà di perseguire una rigida applicazione del sistema di tassazione sulle aree fabbricabili previsto su piano nazionale, basato sull’autodichiarazione del valore del terreno, che potrà però anche essere espropriato sulla base del prezzo dichiarato. Naturalmente la speculazione edilizia non gradisce. E sarà proprio sull’edilizia che la giunta incontrerà le maggiori difficoltà e resistenze, che cadrà.
Promettere poco e mantenere molto, diceva Ernesto Nathan. Proprio il contrario di quanto si fa oggi, quando eventuali candidati promettono mari e monti, da drastici sgravi fiscali a rosei, vicinissimi futuri. E si sa già che non manterranno nulla di quanto proclamato.
È stato, Ernesto Nathan, un riformista autentico. Ci sarebbe bisogno, oggi, di persone come lui, attente ai problemi degli strati sociali maggiormente in difficoltà, pronte a spendersi in prima persona.
IERI E OGGI
Malgoverno e Vaticano, un secolo di analogie
di Enrico Pugliese (il manifesto, 15.01.2013)
Le analogie tra la Roma del 1906 e la Roma di oggi sono notevoli: la situazione economica e sociale della città e quella finanziaria del Comune che Nathan ereditò dalla precedente amministrazione di Prospero Colonna non sono diverse da quella che Alemanno lascia in eredità al futuro sindaco di Roma-Capitale. Oltre al malgoverno del Comune - con un dissesto finanziario che richiese una svolta decisiva, c’è un’analogia significativa che riguarda l’invadenza del Vaticano e degli ambienti della destra cattolica nella vita della città.
Non meno importanti sono le analogie che riguardano la situazione dei lavoratori, sia per quel che riguarda i livelli occupazionali e le condizioni di lavoro - con la disoccupazione strutturale, la precarietà occupazionale e i bassi salari - sia per quanto riguarda le condizioni di vita, in particolare le condizioni igienico-sanitarie degli alloggi e dei ricoveri dei lavoratori più precari.
I bassi salari e la difficoltà di trovar casa a condizioni accessibili - nella Roma che in trent’anni dopo l’Unità aveva più che raddoppiato la sua popolazione - riguardavano tutti, non solo la classe operaia e gli strati più bassi dei lavoratori dei servizi ma anche vasti settori dell’impiego pubblico. Con la differenza che all’epoca, dopo il decennio della febbre edilizia e quello della crisi, le case semplicemente non bastavano; ora ci sono ma ne sono esclusi quelli che non possono pagare.
Chi stava peggio erano gli immigrati, dall’entroterra laziale e abruzzese. Erano i lavoratori agricoli, braccianti alla giornata, che con lo sviluppo dell’edilizia si trasformarono sempre di più in lavoratori edili talché al mercato delle braccia per la mietitura e le altre attività agricole stagionali si andò sempre più sostituendo il mercato delle braccia per l’attività edilizia.
Ora vengono da più lontano: sono gli immigrati dal Terzo Mondo e dai paesi dell’Est. Il mercato delle braccia ora si svolge in prossimità degli "smorzi" (i magazzini-deposito di materiale edile) ed essi dormono dove possono. Prima i "cafoni" o i "burini", non potendo permettersi un alloggio, passavano le notti sotto i portici di piazza Vittorio.
Nei decenni precedenti l’esperienza di Nathan la struttura sociale della città era cambiata significativamente. Roma non aveva avuto lo sviluppo industriale delle altre capitali europee: non si può dire che si fosse consolidata una classe operaia industriale (come lamentavano studiosi, sindacalisti e settori del partito socialista) ma è altrettanto vero che gli addetti all’industria erano significativamente aumentati, anche se dominava l’occupazione nei servizi e la componente più evidente del proletariato era rappresentata dagli edili, spesso collocati all’esterno o al margine delle organizzazioni sindacali o aggregati in organizzazioni con posizione critica, come la Lega generale del lavoro, frutto di una scissione della Camera del lavoro, nella quale la componente anarchica era particolarmente significativa.
Dall’altra parte c’era una aristocrazia terriera collegata al Vaticano alla quale erano aggregati settori di borghesia reazionaria anch’essi interessati alla speculazione edilizia e alla rendita e coinvolti anch’essi negli scandali che a fine ’800 avevano riguardato il paese e Roma in particolare. È a questo blocco che si opporrà Nathan. Ma già prima di lui l’indebolimento del fronte reazionario, e un primo blocco popolare che comprendeva anche rappresentanze del movimento operaio, aveva permesso la formazione di una giunta progressista (con sindaco Armellini), ancorché di breve durata, che mostrò l’esistenza di un’alternativa.
Questa si concretizzerà e lascerà un segno indelebile nella storia di Roma con l’elezione a sindaco di Ernesto Nathan. Dal punto di vista del lavoro, disoccupazione e bassi salari si presentavano in maniera drammatica. E su questo la possibilità di intervento dell’amministrazione comunale è molto modesta. Ma le condizioni dei lavoratori possono essere alleviate subito e migliorate in prospettiva con un intervento massiccio nel campo delle politiche sociali. Ad esempio con una politica abitativa per cui coloro che costruiscono le case per la gente non siano costretti a dormire all’addiaccio. Ma anche con lo sviluppo dei servizi e le municipalizzazioni operate da Nathan che ne resero più efficiente la gestione e meno onerosa la fruizione.
La lotta contro l’analfabetismo e la politica scolastica i furono cardini fondamentali dell’impegno di Nathan. Le politiche sociali - si sa - costano. Ma fanno anche risparmiare consentendo sviluppo economico e sociale. E poi i costi sono resi affrontabili da un recupero delle risorse attraverso una tassazione giusta (come allora quella sui suoli o, come potrebbe essere ora, una patrimoniale) e attraverso la gestione di un bilancio pubblico e trasparente.
Cent’anni fa, il futuro
di Sandro Medici (Il manifesto, 21 gennaio 2013)
I trasporti, la scuola, i diritti sociali: un secolo fa, gli stessi problemi Di anni ne sono trascorsi ben cento. E cento sono proprio tanti. In politica, è un’era: da un inizio secolo all’altro. Eppure ad ascoltare gli interventi, le suggestioni, le argomentazioni, perfino le ricostruzioni storiche, che ieri mattina si sono snodati nella Casa dell’Architettura a Roma sembrava proprio di parlare del presente, di come questa città continui a rappresentare un problema capitale e di come sia possibile (e giusto) governarla meglio, aiutarla a liberarsi dai suoi cronici mali.
Passione politica e tensione culturale sono stati i principali ingredienti che hanno animato il convegno "Ernesto Nathan 1913-2013, la storia e il futuro di Roma". Un’iniziativa nata dall’intuizione di un gruppo di intellettuali, spinti dal desiderio di riproporre l’esperienza di un grande e anomalo sindaco nell’imminenza della nuova stagione politica che si avvierà in primavera a Roma, sulle macerie dell’amministrazione della destra di Alemanno. Maria Immacolata Macioti ed Enrico Pugliese, Pierluigi Sullo e Vincenzo Naso, Antonello Sotgia e Roberto Musacchio, Vezio De Lucia e Anna Pizzo, Rossella Marchini e Roberto Magi, con il contributo di altri e altre, hanno voluto insomma rileggere un passato straordinariamente stimolante per sollecitare una riflessione che dovrebbe tratteggiare una prospettiva futura. Cercando di scuotere una discussione cittadina, in verità piuttosto modesta, se non direttamente manchevole e reticente.
«Su Ernesto Nathan c’è stata una sistematica e colpevole rimozione», ha spiegato Valentino Parlato. Un sindaco ebreo, massone e molto mazziniano è stato imprigionato in una parentesi della storia, in una sorta di incidente eretico lungo una traiettoria costantemente connotata dalla subalternità alla rendita e dalla subordinazione al comando vaticano (più temporale che spirituale). Certo, con l’eccezione delle giunte rosse tra gli anni settanta e ottanta, con i sindaci Argan, Petroselli e Vetere, con la travolgenti attività dell’indimenticato Renato Nicolini: unica esperienza lungo quest’ultimo secolo che a più riprese ha saputo contrastare ed erodere il sistema di potere capitolino.
Parlare di Nathan oggi, ha osservato Alessandro Portelli, è la dimostrazione di come la memoria storica si trasformi in battaglia politica, in conflitto sociale. C’è da impallidire dalla vergogna (come ha rilevato Clotilde Pontecorvo), se si paragona il programma di estensione del sistema scolastico comunale sviluppato da Nathan all’attacco alla scuola pubblica che negli ultimi tempi sta devastando il paese.
Si resta allibiti di fronte all’intelligenza delle politiche urbanistiche di cent’anni fa, oggi che Roma è praticamente ostaggio di immobiliaristi e finanzieri, potentati politici e faccendieri d’ogni categoria. Le lungimiranti riforme sui servizi cittadini strategici per l’acqua, l’energia, i trasporti, ecc., attraverso la costituzione di aziende municipali, è desolatamente stridente con le scelte di alienazione e privatizzazione delle grandi società comunali, Acea in testa. Ed è forse proprio qui, in questa profonda differenza tra quanto avviato allora e quanto oggi deteriorato, il principale contrasto politico che si dovrà agire in vista della prossima battaglia elettorale per il Campidoglio.
A Roma non si deve più edificare nulla, niente di niente («Bisogna tracciare una linea rossa invalicabile», ha affermato Vezio De Lucia): la città è finita , ha raggiunto il suo limite di sostenibilità. Le risorse pubbliche, il patrimonio pubblico, le stesse aziende comunali appartengono alla città e a essa vanno restituite, non possono essere vendute per compensare i tagli assassini imposti da governi nazionali e continentali. Basta con le grandi opere e si avvii un’estesa rigenerazione dei tessuti urbani, un recupero dell’edilizia vuota e abbandonata, che è una vera e propria riserva, indispensabile per corrispondere ai molteplici bisogni sociali e culturali.
Nathan fu insomma il sindaco che introdusse a Roma la modernità, una modernità laica e democratica, quand’ancora l’eco delle spingarde a Porta Pia non s’era del tutto assopita. Una modernità che viaggiava con i primi embrioni di welfare («Per la prima volta si parlava di diritti sociali», ha spiegato Catia Papa), con i primi correttivi di democrazia diretta attraverso i referendum, con i primi progetti di gestione e razionalizzazione del trasporto pubblico («Arrivarono i tram, magari ce ne fossero oggi», ha evocato Enzo Naso).
Una modernità che forse oggi potrebbe tradursi in bisogno di contemporaneità («O di complessità», come ha chiosato Lorenzo Romito). Un impulso alla trasformazione radicale del sistema-città: non più centrifugo, espansivo e consumistico, ma invece centripeto, rivolto al recupero e al riuso; non più giganteggiante e scioccamente competitivo con altre città, votato alla rincorsa a chi realizza il grattacielo più lungo, ma al contrario introflesso e teso al lavoro di cura di morfologie e territori, al rilancio di economie tenui e redistributive nella cultura, nei servizi sociali, n ell’agricoltura. Insomma, per Roma non sarebbe male costruirsi un futuro di cent’anni fa.
L’eroe borghese che offusca il buon socialista
di Grazia Pagnotta (il manifesto, 25 gennaio 2013)
La figura di Ernesto Nathan è stata assunta sul piano politico e nel discorso pubblico divulgativo come emblema positivo di buon governo, per questo da celebrare. E la memoria ricostruita della storia di Roma lo ha posto come uno dei personaggi della narrazione novecentesca della città. Il convegno che in proposito si è svolto lo scorso sabato è stato così improntato, ma sarebbe appropriato effettuare un’osservazione equilibrata del personaggio, considerando l’esperienza collettiva della giunta. All’epoca, nel 1907, liberali democratici, socialisti, repubblicani e radicali si unirono formando il «Blocco del popolo» (la denominazione ufficiale era Unione liberale popolare) che sostenne l’elezione a sindaco di Nathan.
La giunta capitolina espressa dal «Blocco» (7 liberali, 3 socialisti, 2 repubblicani e 2 radicali) raccolse le forze migliori della borghesia romana del tempo, meno legate ai potentati locali nati in parte dopo l’Unità e in parte ereditati dalla Roma pontificia, e dunque fu più propensa delle precedenti a interventi che potessero accelerare la modernizzazione della capitale. Governò fino al 1913, tra grandi difficoltà dovute alla natura delle questioni da affrontare, ma anche alla diversità delle forze che la componevano. Soprattutto il sindaco e l’assessore Giovanni Montemartini compirono un grande sforzo per tenere insieme le differenti anime politiche, fatica che non resse alla prova delle difficoltà reali.
Ma va detto che Nathan in alcuni momenti effettuò scelte che non aiutarono la compattezza della giunta, come la decisione di portare il suo saluto allo zar in visita in Italia nel 1909. Nel gennaio-febbraio 1912 uscirono dall’esecutivo i repubblicani, in disaccordo sulla nuova convenzione con la Società anglo-romana che gestiva la distribuzione dell’energia elettrica, indispensabile per garantire l’elettricità necessaria all’avvio delle linee tranviarie municipali; in agosto uscirono i socialisti, ufficialmente per ragioni di politica nazionale, ma che in realtà avevano soltanto corroborato i ben più importanti accadimenti nell’attività amministrativa (accuse alla giunta di aver deluso le aspettative, tempi lunghi per la gestazione di una nuova legge per Roma, lunghe attese per i fondi necessari alle case popolari e alle municipalizzazioni, problema del caroviveri, rivendicazioni operaie del 1908-1909, e saluto allo zar); il sindaco e quel che restava della giunta diedero le dimissioni nel dicembre 1913.
Alla data del 1912 ormai la coalizione aveva compiuto le sue opere politiche più importati, tra cui l’avvio della municipalizzazione del trasporto pubblico e della distribuzione dell’elettricità con la relativa costituzione delle aziende comunali Atm e Aem. L’artefice ne fu il socialista Montemartini assessore ai Servizi tecnologici. Fu il teorico più autorevole sulla materia, contribuendo a creare il contesto culturale nazionale necessario e a definire il piano normativo della legge n. 103/1903, Assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni. Di fatto con le sue riflessioni, argomentazioni e soluzioni che coniugavano sviluppo economico e libertà democratiche, impostò una cultura metropolitana moderna, fino ad allora quasi assente in Italia.
A Roma i tempi per questo cambiamento erano ormai maturi, poiché i due servizi svolti dalle due monopoliste Società anglo-romana e «Società tramways ed omnibus» erano molto inefficienti e poiché già dalla giunta precedente del moderato Enrico Cruciani Alibrandi, si discuteva sulle modalità adottabili. Tanto maturi che il dibattito si svolse sempre su un piano concreto, e che anche i cattolici furono a favore della municipalizzazione, partecipando attivamente alla campagna per il referendum del 1909 (perfino l’«Osservatore Romano» invitò a recarsi a votare).
Le modalità che si proponevano erano differenti, ma a definire la soluzione fu Montemartini: per l’economista socialista si doveva affrontare la questione osservandone i vantaggi nelle specifiche situazioni. E a Roma in quel frangente la soluzione doveva essere quella del «municipio concorrente», che prima avrebbe creato un suo servizio a fianco ai monopolisti, per poi procedere gradualmente alla municipalizzazione completa. Senza questo scatto di concretezza di Montemartini la città sarebbe rimasta ancora a lungo impantanata nella difficile situazione creata dai due monopoli.
Convinse tutti, ma nel 1913, quando ormai era uscito dalla giunta, cominciò ad evidenziarsi che proprio Nathan non era convinto e che tra i due vi era una sostanziosa differenza di vedute. Alla critica di immobilismo sulla municipalizzazione dei tram avanzata dall’ex-assessorre, il sindaco rispose di non ritenere che i servizi pubblici avrebbero portato guadagno poiché quelli privati erano più economici. La posizione di moderazione di Nathan sulle municipalizzazioni fu definitivamente nitida nel 1918, nella fase di difficoltà che attraversava l’amministrazione Colonna nel portare a compimento il riscatto di tutte le linee tranviarie della Srto. Parlò dalle pagine del «Messaggero», con un intervento stupefacente, e per questo importante, che a distanza di anni confermava ciò che Montemartini e il gruppo socialista gli avevano rimproverato: «Sarebbe un errore a mio avviso abbandonare la concorrenza attuale, per una specie di statizzazione di secondo grado. Ho i miei dubbi se l’esercizio di Stato delle ferrovie, soggette a tutte le politiche e parlamentari pressioni, non possa fra pochi anni far rimpiangere le passate convenzioni con grandi concorrenti imprese private; così dubito se, scendendo di un grado dallo esercizio nazionale a quello municipale, gli interessi e le comodità di Roma saranno appagati col tuffo nella municipalizzazione».
Perché dunque scegliere di assumere a metafora di buona amministrazione soltanto Nathan e non tutta la giunta? E soprattutto perché non guardare piuttosto che a un «eroe borghese liberale», al riformista socialista di levatura internazionale che fu Giovanni Montemartini?
La sinistra romana rinata all’indomani del fascismo, fece propria l’esperienza della giunta Nathan, scegliendo di riutilizzare la denominazione di «Blocco del popolo» per la coalizione che vide insieme i comunisti guidati da Aldo Natoli, socialisti e azionisti. Ma lo fece guardando all’esperienza complessiva di quella giunta, non alla sola personalità del sindaco. Chi invece recuperò Nathan nel discorso pubblico sulla città fu Marco Pannella nel 1993, che appuntò l’attenzione innanzitutto sul suo anticlericalismo.
Il periodo della giunta Nathan è importante nella storia di Roma. Ma, in verità, per capire fino in fondo l’ambito amministrativo, politico e sociale della capitale all’inizio del Novecento occorre che gli storici ricostruiscano l’intera storia amministrativa cittadina dalla fine dell’Ottocento fino al governatorato fascista. E occorre che studino ancora questa giunta a partire dalle carte d’archivio, e non a partire da un’idea o da un’interpretazione, perché nel mestiere di storico non c’è scorciatoia al documento.
Nathan è stato studiato sui verbali del consiglio comunale, meno sui verbali della giunta mediante i quali si possono articolare meglio le posizioni dei componenti, e non a sufficienza sull’ampia e vivace stampa romana, attraverso la quale può emergere con più chiarezza la battaglia politica piena di sfaccettature nella capitale. Si può dunque augurare buon lavoro a chi vorrà farlo.