VITA, FILOSOFIA, STORIA E LETTERATURA...

BENEDETTO CROCE, LO SPIRITO DI "COLAPESCE", E LA VITA DI UN "PALOMBARO LETTERARIO". Una brillante ricognizione di Luisella Mesiano - a c. di Federico La Sala

Benedetto Croce avvia nell’anno 1915 «una sorta di “liquidazione del passato”, che era indirizzata a prepararmi la tranquillità di animo per continuare e intensificare l’opera già da me iniziata intorno agli studi storici»
venerdì 20 aprile 2018.
 


Identificazione infantile, adulta e senile di Benedetto Croce nella figura di Cola Pesce

di Luisella MESIANO (1)

Benedetto Croce avvia nell’anno 1915 «una sorta di “liquidazione del passato”, che era indirizzata a prepararmi la tranquillità di animo per continuare e intensificare l’opera già da me iniziata intorno agli studi storici» (Croce 1989: 69). Riserba infatti quell’anno «a rivedere, ordinare e correggere» tutta la sua produzione giovanile con la consapevolezza che di quei lavori:

Coevo a questo lavoro di «liquidazione», inteso come pratica del «rivedere, ordinare, correggere», è quello di «ricapitolazione di se stesso» nel Contributo alla critica di me stesso, l’autobiografia intellettuale stesa tra il 5 e l’8 aprile 1915 che accoglie come epigrafe una frase interrogativa di Goethe: «Perché ciò che lo storico ha fatto agli altri, non dovrebbe fare a se stesso?» (Croce 1989: 13).

Risale sempre al 1915 la riscrittura della Leggenda di Cola Pesce, pubblicata nel 1919 all’interno del volume Storie e leggende napoletane, e precedentemente narrata da Croce nel 1885 e nel 1896. In questo testo, l’indistricabilità tra «cronaca» di vita e «cronologia» e «bibliografia» dei propri lavori letterari diviene emblematica. La leggenda di Cola Pesce appare non solo inscritta come cosa viva nell’oralità e nella topografia della città di Napoli, ma, soprattutto, tra le tante rievocazioni delle «immagini del passato», frutto di «assidue e faticose ricerche», essa porta il segno dell’identificazione infantile, adulta e senile di Benedetto Croce nella figura del mitico palombaro.

Croce pubblica una prima versione della leggenda di Cola Pesce nel 1885, in un fascicoletto di 16 pagine estratto dal Giambattista Basile. Archivio di Letteratura Popolare, a. III, n.7, pubblicato a Napoli, nello Stabilimento tipografico di Vincenzo Pesole. La leggenda è inserita in un più ampio discorso che tocca i «racconti ancora vivi sulle bocche del popolo napoletano» e le notizie sul «rozzo bassorilievo che ancora si vede nel sedile di Porto in Napoli, e che il popolo giudica immagine di Nicola» (Graf 1885: 264)2.

Nel 1896 Croce pubblica su Napoli nobilissima. Rivista di topografia e arte napoletana un lungo studio che riprende e arricchisce quello del 1885, e lo intitola «Il bassorilievo del Sedile di Porto e la leggenda di Niccolò Pesce» (la I e II parte nel vol. V, fasc. V, maggio 1896, pp. 65-71; la III e la IV parte nel vol. V, fasc. VI, giugno 1896, pp. 85-89):

Segue il resoconto, «detto di passaggio», delle vicende dello stesso bassorilievo, determinate dai mutamenti della città di Napoli; ed è la storia della sopravvivenza, o della persistenza, del simulacro nel luog o demolito e nuovamente edificato:

Il resoconto della leggenda che segue è sostanzialmente identico a quello del 1885, e sempre dichiaratamente fedele alla tradizione orale:

Dopo aver citato gli studi fecondi di Giuseppe Pitrè, Croce introduce anche un curioso inserto autobiografico ch e rappresenta anche la presa diretta di uno scorcio di vita napoletana:

Ricapitola infine la fortuna critica della sua Leggenda di Niccolò Pesce del 1885, oltrepassando il piano della bibliografia per entrare in quello dell’autobiografia, là dove riconosce il fatale legame che salda insieme la propria figura di uomo e di studioso alla figura del palombaro:

(qualche cosa di simile, come vedete, alla famosa lettera del mandarino cinese: Medico Boerhave - Europa!) per chiedermene una copia. Gliela mandai, e l’avvertii di ricorrere a preferenza allo scritto del suo compaesano Ullrich, ch’era più completo ed esatto. Ma che? Lo Hertslet ha stampato un libro: Treppenwitz der Weltgeschichte, di cui si son fatte quattro edizioni, e, in tutte e quattro, il mio nome figura trionfalmente accanto a Niccolò Pesce! -Qualche anno dopo, nel 1888, Costantino Nigra, nei suoi Canti popolari del Piemonte, illustrando il canto La pesca dell’anello, si riferiva al mio opuscolo per ciò che riguarda la leggenda di Cola Pesce... Non vi pare che io sia stato abbastanza punito? Chiudo la parentesi.
-  Ora il tema è capitato in buone mani, perché prepara su di esso un libro Giuseppe Pitrè, dalla cui larga erudizione e temperanza ed acume di giudizio è da aspettare un lavoro definitivo. Del materiale raccolto, il Pitrè ha dato già un saggio in alcuni fascicoli dell’Archivio per lo studio delle tradizioni popolari (Croce 1896: 68).

Sempre nel vol. V, fasc. IX di Napoli nobilissima, settembre 1896, alle pp. 141-143, Croce pubblica «La storia po polare spagnuola di Niccolò Pesce», ovvero il resoconto dei trecentosessanta versi della Relación spagnola, «raro cimelio bibliografico, [che] dopo infinite ricerche, poté per opera del Croce rivedere le stampe» (Pitrè 1904: 55) 3.Ricordate sinteticamente le ragioni storiche che hanno permesso il diffondersi della leggenda dalla Sicilia all’Andalusia - «Si dovrebbe dunque ammettere che sulla fine del s. XV o i principii del XVI, nell’Andalusia, si raccontassero popolarmente le avventure di Niccolò Pesce. Ciò non farà meraviglia, quando si ripensi alle antiche e strette relazioni della Spagna con l’Italia meridionale, e specialmente con la Sicilia» (Croce 1896: 85)-, Croce passa ad illustrare la vicenda del ritrovamento dell’opuscolo:

Questa disposizione di Croce alla ricerca non può non rievocare la metafora di Cola Pesce «ardito esploratore» e «palombaro letterario» viva in quegli anni nella cultura partenopea, come dimostrano alcune lettere di Vittorio Imbriani. In particolare, in una lettera a Gaetano Amalfi, inviata da Pomigliano d’Arco il 25 agosto 1885, Imbriani segnala di voler inserire nel «terzo di frontespizio» dell’ Agamennone di Francesco Mario Pagano una «xilografia di Niccolò Pesce», aggiungendo che sotto la effigie di Niccolò Pesce andrebbero stampati, ne’ più minuti tipi, che la stamperia Morano offre, i seguenti tetrastici:

Tornando al resoconto della Relación, composta in versi e suddivisa in tre romances, Croce avverte che anche per quanto riguarda la materia, essa può distinguersi in tre parti:

Lasciando questa evocazione di un Cola Pesce sirena maschio, è interessante tornare alla riscrittura della leggenda napoletana del 1896, dove prende corpo un movimento singolare: lo spostamento della versione vivente della leggenda in direzione autobiografica. Emblematico è, per esempio, che Croce racconti di aver interrogato la donna seduta sotto il simulacro, e che la interroghi su un argomento di cui, poco oltre, dichiara di essere «dotto», non per necessità di informazioni, quindi, ma per raccogliere appunto una «versione vivente».

Ancora più curioso è il fatto che la donna venga anticipata nella risposta da «un vecchio, che aveva tutta l’aria di un antico cocchiere appadronato». Questo cocchiere ricompare nella Leggenda di Cola Pesce del 1915, inserita da Croce all’inizio del capitolo XI, Leggende di luoghi ed edifizi di Napoli, delle Storie e leggende napoletane (1919), ma qui diviene «il cocchiere di casa», non più un vecchio sconosciuto di cui si intuisce soltanto «che aveva tutta l’aria di un antico cocchiere appadronato». Non è importante stabilire l’identità dell’uomo che “pare” un antico cocchiere oppure “è” l’attuale cocchiere di casa Croce, non è importante uscire dai testi. Di fatto il narratore popolare, il depositario della «versione vivente napoletana» della leggenda si colloca via via in una sfera più intima e familiare.

I testi radunati nel capitolo Leggende di luoghi ed edifizi di Napoli sono preceduti da una premessa che si apre sulla domanda: «Perché tanta amorosa sollecitudine nel raccogliere le leggende, e persino i più piccoli rimasugli e vestigi di leggende popolari?» (Croce 1993: 295). Dopo aver affermato che «le leggende popolari hanno un significato che va oltre la loro fallacia storica» (Croce 1993: 296), Croce mette in rilievo la gioia della scoperta e le «impressioni della fanciullezza» proprie del ricordo autobiografico rispetto alle «gonfiature della boria scientifica»:

La versione della leggenda del 1915 in cui Cola è un fanciullo maledetto dalla madre, è infatti seguita dalla descrizione del bassorilievo di Cola Pesce additato dal cocchiere di casa:

In questo caso il narratore è, come si diceva, il cocchiere di casa, ma forse in questa e in altre occasioni può essere stata la madre stessa a farsi voce narrante, poiché Croce, nel Contributo alla critica di me stesso, leggendo i Casi della vita e vita interiore nella topografia stessa della sua città, afferma:

A questo punto Croce non legge più Cola Pesce come una «persecuzione», una figura di identificazione impostagli quasi dall’esterno, come ancora aveva fatto nel 1896; recupera invece «in un cantuccio dell’anima» molto simile ai recessi del «cuore nel cuore», e non si dimentichi che quel cuore era in fondo materiato di letteratura e storia, la storia della sua identificazione infantile nella figura di Cola Pesce:

Questo passaggio di luogo e il “localizzarsi ” della leggenda in una vecchia pietra scolpita, preesistente, quasi la «versione vivente», facendosi da siciliana napoletana, avesse trovato qui «il suo elemento», come Cola lo aveva trovato nel mare, è la migliore descrizione figurata di ciò che sta accadendo a Croce stesso: la leggenda di Cola Pesce, a partire dal 1885, si “localizza” nella sua persona, e questo processo si instaura prima ancora del consapevole riconoscimento della sua identificazione infantile e adulta, i cui primi segnali si leggono nella versione del 1896 e poi nel 1915, quando il processo di «liquidazione del passato» lo porta a “localizzare” stabilmente, alle radici del proprio essere, la figura di Cola Pesce.

La frase interrogativa di Goethe premessa come epigrafe al Contributo, «Perché ciò che lo storico ha fatto agli al tri non dovrebbe fare a se stesso?» (Croce 1989: 13), sembra trovare risposta in più direzioni, non solo nella forma dell’autobiografia intellettuale, ma anche nell’identificazione, o meglio nella localizzazione, della figura di Cola Pesce in Benedetto Croce. Quest’azione di identificazione non poteva che portare a una vera e propria mutazione del ritratto del filosofo, e non importa, ai fini dell’accertamento della sua realtà, se essa è tutta giocata sul piano della letteratura. L’identificazione senile di Benedetto Croce in Cola Pesce è in questo senso esemplare nel romanzo L’orologio di Carlo Levi dove è narrato il sogno dell’orologio e del tribunale, luogo detto simile a un bagno turco o a un mercato coperto:

Il riconoscimento avviene in fondo proprio perché qui Croce è un vecchio Cola Pesce, ma con i tratti temibili della sirena maschio della Relación. Cola è invecchiato insieme a Croce, non è più un fanciullo o un giovane palombaro che, semplicemente, partecipa della natura dei pesci: la lunga frequentazione dei fondali marini ne ha fatto un mutante, è ormai «scaglioso egli stesso come un pesce». In una Napoli percorsa come se si camminasse «nell’interno di un enorme animale», «nello stomaco di un gran pesce», il bassorilievo di Cola sostituisce ormai la targa col nome accanto alla porta di casa Croce:

NOTE:

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Riferimenti bibliografici

CROCE, Benedetto (1885): «La le ggenda di Niccolò Pesce». Giambattista Basile, vol. III, n. 7.

CROCE, Benedetto. (maggio 1896): «Il bassorilievo del sedile di Porto e la leggenda di Niccolò Pesce I e II». Napoli nobilissima. Rivista di topografia e arte napoletana, vol. V, fasc. V.

CROCE, Benedetto. (giugno 1896): «Il bassorilievo del sedile di Porto e la leggenda di Niccolò Pesce III e IV». Napoli nobilissima. Rivista di topografia e arte napoletana, vol. V, fasc. VI.

CROCE, Benedetto (settembre 1896): «La storia popolare spagnuola di Niccolò Pesce». Napoli nobilissima. Rivista di topografia e arte napoletana, vol. V, fasc. IX.

CROCE, Benedetto (1919 [1993]): Storie e leggende napoletane, a cura di Giuseppe Galasso. Milano, Adelphi.

CROCE, Benedetto (1926 [1989]): Contributo alla critica di me stesso, a cura di Giuseppe Galasso. Milano, Adelphi.

GRAF, Arturo (1885): «Recensione a Benedetto Croce, “La leggenda di Cola Pesce”». Giornale Storico della Letteratura Italiana, vol. VI, fasc. 16-17.

IMBRIANI, Vittorio (1964): Carteggi di Vittorio Imbriani. Gli hegeliani di Napoli, a cura di Nunzio Coppola. Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano.

LEVI, Carlo (1950): L’orologio. Torino, Einaudi.

PITRÈ, Giuseppe (1904): Studi e leggende popolari in Sicilia e nuova raccolta di leggende siciliane. Torino, Clausen.

SAVI-LOPEZ, Maria (1894): Leggende del mare. Torino, Loescher.



NAPOLI/Lapide a Orione


Sul tema, nel sito, si cfr.:

IL PROBLEMA GIAMBATTISTA VICO. CROCE IN INGHILTERRA E SHAFTESBURY IN ITALIA. La punta di un iceberg.

CROCE “CRISTIANO”, VICO “ATEO”, E L’UOMO DELLA PROVVIDENZA.

VENI, CREATOR SPIRITUS: LO SPIRITO DELLA VERITA’. Lo Spirito "costituzionale" di Benedetto Croce, lo spirito cattolico-romano di Giacomo Biffi, e la testimonianza di venti cristiani danesi (ricerca scientifica)

CARLO LEVI: IL CORAGGIO E LA LIBERTA’ DI UN FILOSOFO E DI UN ANTROPOLOGO.

FREUD, IL MARE, E "LA MENTE ESTATICA". Un invito a ripensare il lavoro di Elvio Fachinelli

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO.

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