PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE. CARO PRESIDENTE NAPOLITANO, CREDO CHE SIA ORA DI FARE CHIAREZZA. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI... IL SONNO MORTIFERO DELL’ITALIA. In Parlamento (ancora!) il Partito al di sopra di tutti i partiti.
Stimatissimi cittadini-magistrati
"Nella democrazia - come già scriveva Gaetano Filangieri nella sua opera La Scienza della Legislazione (1781-88) - comanda il popolo, e ciaschedun cittadino rappresenta una parte della sovranità: nella concione [assemblea di tutto il popolo], egli vede una parte della corona, poggiata ugualmente sul suo capo che sopra quello del cittadino più distinto. L’oscurità del suo nome, la povertà delle sue fortune non possono distruggere in lui la coscienza della sua dignità. Se lo squallore delle domestiche mura gli annuncia la sua debolezza, egli non ha che a fare un passo fuori della soglia della sua casa, per trovare la sua reggia, per vedere il suo trono, per ricordarsi della sua sovranità"(Libro III, cap. XXXVI).
Tempo fa una ragazza, a cui da poco era morta la madre e altrettanto da poco cominciava ad affermarsi il partito denominato "Forza Italia", discutendo con le sue amiche e i suoi amici, disse: "Prima potevo gridare "forza Italia" e ne ero felice. Ora non più, e non solo perché è morta mia madre e sono spesso triste. Non posso gridarlo più, perché quando sto per farlo la gola mi si stringe - la mia coscienza subito la blocca e ricaccia indietro tutto. Sono stata derubata: il mio grido per tutti gli italiani e per tutte le italiane è diventato il grido per un solo uomo e per un solo partito. No, non è possibile, non può essere. E’ una tragedia!". Un signore poco distante, che aveva ascoltato le parole della ragazza, si fece più vicino al gruppo e disse alla ragazza: "Eh, sì, purtroppo siamo alla fine, hanno rubato l’anima, il nome della Nazionale e della Patria. E noi, cittadini e cittadine, abbiamo lasciato fare: non solo un vilipendio, ma un furto - il furto dell’anima di tutti e di tutte. Nessuno ha parlato, nessuno. Nemmeno la Magistratura!".
Oggi, più che mai, contro coloro che "vogliono costruire una democrazia populista per sostituire il consenso del popolo sovrano a un semplice applauso al sovrano del popolo"(don Giuseppe Dossetti, 1995), non è affatto male ricordarci e ricordare che i nostri padri e le nostre madri hanno privato la monarchia, il fascismo e la guerra del loro consenso e della loro forza, si sono ripresi la loro sovranità, e ci hanno dato non solo la vita e una sana e robusta Costituzione, ma anche la coscienza di essere tutti e tutte - non più figli e figlie della preistorica alleanza della lupa (o della vecchia alleanza del solo ’Abramo’ o della sola ’Maria’) - figli e figlie della nuova alleanza di uomini liberi (’Giuseppe’) e donne libere (’Maria’), re e regine, cittadine-sovrane e cittadini-sovrani di una repubblica democratica.
Bene avete fatto, con la Vs. Lettera aperta ai cittadini, a rendere pubbliche le vostre preoccupazioni e a dire e a ridire che la giustizia non è materia esclusiva dei magistrati e degli addetti ai lavori, ma un bene di tutti e di tutte, e che tutti i cittadini e tutte le cittadine sono uguali davanti alla legge. E altrettanto bene, e meglio (se permettete), ha fatto il Procuratore Generale di Milano Borrelli, già all’inizio (e non solo alla fine) del suo discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, quando ha detto: "porgo il mio saluto, infine, ai cittadini, anzi, alle loro maestà i cittadini, come soleva dire il compianto Prefetto Carmelo Caruso, avvicinati oggi da un lodevole interesse a questa cerimonia, del resto non esoterica nonostante il paludamento, ma a loro destinata"; e, poco oltre, riferendosi specificamente alle "difficoltà che la giustizia minorile incontra", ha denunciato che "il denominatore comune - generatore del disagio donde nascono devianze, sofferenze, conflitti - è rappresentato dalle carenze di un’autentica cultura dell’infanzia, a volte necessitata dalle circostanze, a volte frutto di disattenzione, spesso causata dall’incapacità negli adulti di trasmettere valori che si discostino dall’ideologia di un’identità cercata, secondo la nota espressione di Erich Fromm, nell’avere piuttosto che nell’essere". Da cittadino-magistrato non ha fatto altro che dire e fare la stessa cosa che don Lorenzo Milani, il cittadino-prete mandato in esilio a Barbiana, in tempi di sonnambulismo già diffuso (1965): suonare la campana a martello, svegliare - praticare la tecnica dell’amore costruttivo per la legge e, ricondandoci di chi siamo e della parte di corona che ancora abbiamo in testa, avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani....
Cordiali saluti
NOTA:
LA "PROFEZIA" DI MARSHALL MCLUHAN: NARCISO E LA MORTE DELL’ITALIA. Il "rimorso di incoscienza" di Marshall McLuhan
Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un’azienda privata o dare in monopolio a una società l’atmosfera terrestre.
IL SONNO MORTIFERO DELL’ITALIA. In Parlamento (ancora!) il Partito al di sopra di tutti i partiti.
Federico La Sala (28 febbraio 2013)
CRISI COSTITUZIONALE (1994-2013). GLI APPRENDISTI STREGONI E L’EFFETTO "ITALIA". LA CLASSE DIRIGENTE (INCLUSI I GRANDI INTELLETTUALI) CEDE (1994) IL "NOME" DEL PAESE AL PARTITO DI UN PRIVATO. Che male c’è?!
BEPPE GRILLO E IL SUO PROGRAMMA: "RIPRENDIAMOCI QUELLE PAROLE"! 2004-2013: otto, nove anni di lavoro culturale e un grande successo politico. Un suo intervento su "la Repubblica" (2004)
Non è grottesco che proprio chi per vent’anni ha corrotto la forza, l’intelligenza e la reputazione di questo Paese prenda ancora in giro gli italiani al grido di "Forza Italia"? (fls)
Cambiare, se non ora quando?
di Remo Bodei Roberta De Monticelli Tomaso Montanari Antonio Padoa-Schioppa Salvatore Settis Barbara Spinelli
NON potete aspettare di divenire ancora più forti (magari un partitomovimento unico) di quel che già siete, perché gli italiani che vi hanno votato vi hanno anche chiamato: esigono alcuni risultati molto concreti, nell’immediato, che concernano lo Stato di diritto e l’economia e l’Europa.
Sappiamo che è difficile dare la fiducia a candidati premier e a governi che includono partiti che da quasi vent’anni hanno detto parole che non hanno mantenuto, consentito a politiche che non hanno restaurato ma disfatto la democrazia, accettato un’Europa interamente concentrata su un’austerità che - lo ricorda il Nobel Joseph Stiglitz - di fatto «è stata una strategia anti-crescita», distruttiva dell’Unione e dell’ideale che la fonda.
Ma dire no a un governo che facesse propri alcuni punti fondamentali della vostra battaglia sarebbe a nostro avviso una forma di suicidio: gli orizzonti che avete aperto si chiuderebbero, non sappiamo per quanto tempo. Le speranze pure. Non otterremmo quelle misure di estrema urgenza che solo con una maggioranza che vi includa diventano possibili.
Tra queste: una legge sul conflitto di interesse che impedisca a presenti e futuri padroni della televisione, della stampa o delle banche di entrare in politica; una legge elettorale maggioritaria con doppio turno alla francese; il dimezzamento dei parlamentari il più presto possibile e dei loro compensi subito; una Camera delle autonomie al posto del Senato, composta di rappresentanti delle regioni e dei comuni; la riduzione al minimo dei rimborsi statali ai partiti; una legge anti-corruzione e antievasione che riformi in senso restrittivo, anche aumentando le pene, la disciplina delle prescrizioni, bloccandole ad esempio al rinvio a giudizio; nuovi reati come autoriciclaggio, collusione mafiosa, e ripristino del falso in bilancio; ineleggibilità per condannati fin dal primo grado, che colpisca corruttori e corrotti e vieti loro l’ingresso in politica; un’operazione di pulizia nelle regioni dove impera la mafia (Lombardia compresa); una confisca dei beni di provenienza non chiara; una tutela rigorosa del paesaggio e limiti netti alla cementificazione; un’abolizione delle province non parziale ma totale; diritti civili non negoziati con la Chiesa; riconsiderazione radicale dei costi e benefici delle opere pubbliche più contestate come la Tav.
E vista l’emergenza povertà e la fuga dei cervelli: più fondi a scuola pubblica e a ricerca, reddito di cittadinanza, Non per ultimo: un bilancio europeo per la crescita e per gli investimenti su territorio, energia, ricerca, gestito da un governo europeo sotto il controllo del Parlamento europeo (non il bilancio ignominiosamente decurtato dagli avvocati dell’austerità nel vertice europeo del 7-8 febbraio).
Non sappiamo quale possa essere la via che vi permetta di dire sì a questi punti di programma consentendo la formazione del nuovo governo che decida di attuarli, e al tempo stesso di non contraddire la vostra vocazione. Nella giunta parlamentare si può fin da subito dar seguito alla richiesta di ineleggibilità di Berlusconi, firmata da ormai duecentomila persone: la fiducia può essere condizionata alla volontà effettiva di darvi seguito.
Quel che sappiamo, è che per la prima volta nei paesi industrializzati e in Europa, un movimento di indignati entra in Parlamento, che un’Azione Popolare diventa possibile.
Oggi ha inizio una vostra marcia attraverso le istituzioni, che cambieranno solo se voi non fuggirete in attesa di giorni migliori, o peggiori. Se ci aiuterete a liberarci ora, subito, dell’era Berlusconi: un imprenditore che secondo la legge non avrebbe nemmeno dovuto metter piede in Parlamento e tanto meno a Palazzo Chigi.
Avete detto: «Lo Stato siamo noi». Avete svegliato in Italia una cittadinanza che vuole essere attiva e contare, non più delegando ai partiti tradizionali le proprie aspirazioni. Vale per voi, per noi tutti, la parola con cui questa cittadinanza attiva si è alzata e ha cominciato a camminare, nell’era Berlusconi: «Se non ora, quando?».
* la Repubblica, 09.03.2013
Cosa vuol dire governo dei cittadini
di Guido Viale (il manifesto, 8 marzo 2013)
Governo dei mercati? O governo dei cittadini, membri della civitas: cioè, oggi, tutti coloro che vivono nello stesso paese? Un concetto da tener presente - senza impuntarsi sulle parole - quando si parla di reddito di cittadinanza: una misura che "rende cittadini", consegnando a tutti il diritto a una vita dignitosa. Il governo dei mercati, quello di Monti (regista Napolitano), ha ricevuto dal voto una solenne sconfessione. Come il progetto di sostituirlo con un centro-sinistra, eletto e non nominato, che ne rilevasse i punti qualificanti del programma. Che sono i vincoli finanziari - pareggio di bilancio e fiscal compact - per garantire alla finanza internazionale la solvibilità del debito pubblico e dei relativi interessi: a spese di salari, pensioni, occupazione, giovani, piccole imprese, sanità, cultura, istruzione, e tutto il resto. Si tratta di consegnare ogni anno alla finanza, per i prossimi 20 anni, 130-150 miliardi, da ricavare interamente dalle entrate fiscali estratte dal corpo vivo del lavoro e dalla compressione continua della spesa pubblica: un salasso di proporzioni inimmaginabili, che finora nessun governo aveva mai nemmeno tentato.
Quei vincoli restano, anche se forse verranno sottoposti a qualche rimodulazione che non ne attenuerà comunque le conseguenze. Ma non avranno più chi li amministri da Palazzo Chigi: e questo è un rischio mortale non solo per il nostro paese, ma anche per l’euro e per l’economia del mondo intero. Le cui classi dirigenti, soprattutto in Europa (ma il Fondo Monetario Internazionale non è stato da meno) hanno dimostrato di non avere alcuna strategia per affrontare la crisi che hanno provocato. Non avevano previsto il disastro umano e civile imposto alla Grecia che ha anticipato quello che sta travolgendo oggi i paesi balcanici e che sta per esplodere in Portogallo, Spagna e Italia. Ora comincia a tremare anche la Francia e non stanno molto bene nemmeno gli arroganti governi dell’Europa centro-settentrionale.
Nessuno ha finora prospettato delle soluzioni sensate per invertire la rotta: le politiche keynesiane, amministrate a livello statuale o di eurozona, non bastano più e le proposte che le sponsorizzano a colpi di Grandi Opere sono penose (e perdenti). Per questo navigano tutti a vista, preoccupati soltanto di ricavarne qualche tornaconto finanziario o politico immediato. Monti (il terzo clown, bocciato insieme al cagnolino che doveva renderlo simpatico e lo ha reso ridicolo) è tra loro: aveva salutato il primo e il secondo memorandum, che ha mandato in malora la Grecia, come la strada per metterla in salvo; e mentre si vanta di aver evitato all’Italia la stessa fine, ci ha imposto esattamente la stessa ricetta, con risultati che ogni giorno diventano più evidenti. Ma quanto potrà durare una prospettiva del genere se il fuoco comincia a dilagare per tutta la prateria europea?
Nessun partito in Italia, ma presto anche in molti altri paesi, è più in grado di garantire il rispetto di quei vincoli finanziari chiaramente insostenibili. Ma nessuno, oggi, è in grado di respingerli apertamente, imponendone - o anche solo lavorando per imporne - una drastica rinegoziazione. E’ un’estenuante e micidiale pantomima in attesa che l’euro si dissolva da sé, trascinando nel caos un paese dietro l’altro, per l’incapacità di governarlo; o che i paesi più forti abbandonino la nave che affonda, lasciando affogare gli altri paesi-membri e sperando di mettere in salvo quanto resta del malloppo che hanno lucrato nei dieci anni di euro (non poco: sbocchi per le loro esportazioni e prestiti usurari delle loro banche, bassi tassi di cambio e di interesse sul loro debito pubblico e sui crediti alle loro imprese; pace sociale e altro ancora). Ma l’ingovernabilità si sta facendo endemica e ormai dilaga in tutto il continente.
I risultati delle elezioni italiane, con la vittoria del non-partito del non-governo di Beppe Grillo riflette esattamente questo stallo, destinato a protrarsi nel tempo e a diffondersi nello spazio. Perché il fallimento del governo dei mercati non apre di per sé la strada a un governo dei cittadini: non saranno Beppe Grillo, né il partito-azienda di Casaleggio, né il Movimento cinque stelle, né il suo elettorato (che sono quattro cose distinte e differenti, e presto ce ne accorgeremo; e se ne accorgeranno anche gli interessati), non saranno loro a introdurre in Italia un governo dei cittadini: il loro programma, dove indicazioni generiche si mischiano a progetti sacrosanti e a prescrizioni perentorie, non lo prevede. Anzi, non prevede alcun governo.
D’altronde un governo dei cittadini non si decide né si programma in parlamento, e meno che mai su un blog; se nasce, nasce dal basso, a pezzi e bocconi, quando si presentano congiuntamente le condizioni per realizzarlo, la volontà - o anche solo la necessità - di costituirlo e la capacità e le competenze per costruirlo. E’ il governo indispensabile per promuovere un’autentica conversione ecologica; è fatto soprattutto di "corpi intermedi", di assemblee, di comitati, di gruppi di lavoro, di iniziative civiche; non può che essere incentrato su progetti e programmi locali di riconversione, circostanziati e promossi dai lavoratori e dai cittadini direttamente coinvolti dal "fermo-macchine" della produzione; deve essere animato dalla partecipazione diretta al governo dei servizi pubblici e alle decisioni delle amministrazioni locali. Sono tutte cose che si interpongono tra una leadership e la sua base, e che possono minare dal basso la compattezza della falange parlamentare delle cinque stelle. Non è detto che Beppe Grillo le contrasti: certo finora non le ha favorite, anche se si è molto avvantaggiato di quelle che sono cresciute per conto loro in questi anni. Ma è qui, ai "piani bassi", e non certo a livello di governo e di programmi nazionali, che si possono per ora inserire iniziative di convergenza, di collaborazione, senza escludere possibili conflitti: sia con la miriade di buone pratiche sociali e di lotte che in vario modo si sono coagulate nel voto alle cinque stelle; sia con milioni di cittadini e lavoratori, elettori di Grillo e non, che in questo clima di dissoluzione della rappresentanza possono ritrovare la strada di un loro nuovo o rinnovato impegno politico e civile. Tenendo conto che il tempo stringe.
E tenendo soprattutto conto che le misure, sensate e non, ma in gran parte propagandistiche, prospettate dai diversi schieramenti in campagna elettorale, dal reddito di cittadinanza (o di sussistenza) alla green economy, dal finanziamento di scuola e ricerca alla conversione energetica, dalla difesa dell’occupazione alla nazionalizzazione di banche e grandi utilities, dal microcredito alla salvaguardia dei suoli, per non parlare della restituzione o della riduzione dell’Imu, non sono praticabili nel quadro dei vincoli accettati e sottoscritti dal governo Monti e da chi l’ha sostenuto fino a ieri (addirittura con una riforma della costituzione sottratta alla verifica di un referendum). Dunque?
La vera discriminante politica - il risultato principale che emerge dall’esito, per altri versi confuso e indecifrabile, delle elezioni - è la necessità di una radicale rimessa in discussione dei vincoli di bilancio. Con una campagna promossa in modo coordinato a livello europeo (le forze non mancano), ma radicata nelle iniziative di base che costellano da tempo l’intero paese. Occorre collegarsi con i movimenti organizzati degli altri paesi-membri dell’Ue che si trovano in una situazione analoga - senza trascurare le intese con i movimenti dell’altra sponda del Mediterraneo - e unire le forze in una mobilitazione generale contro l’economia del debito: per la sua mutualizzazione, o la sua rinegoziazione, o il suo congelamento (l’Italia, peraltro, ha un debito gigantesco, ma anche un avanzo primario rilevante; congelando il debito potrebbe evitare il ricorso ai mercati finanziari per anni).
Sono misure che possono venir combinate in diversi mix; ma che costituiscono comunque l’altra faccia, indispensabile, di quel processo di costruzione di un governo dei cittadini che l’attuale vacanza politica mette all’ordine del giorno. La mancanza di questa dimensione è il limite principale contro cui si stanno scontrando, da un lato, la giunta Pizzarotti, che avrebbe dovuto fornire a tutto il paese la prova della capacità di governo del movimento cinque stelle; dall’altro, la giunta De Magistris, che dovrebbe fornire a tutti un modello da generalizzare per una gestione partecipata dei beni comuni. Ma dentro il patto di stabilità, senza una mobilitazione generale per azzerarlo, l’iniziativa locale soffoca. E per rimuovere quel patto bisogna smuovere l’intera Europa. Un solo Golia, ma tanti David.
Morozov e la "retorica web" del M5S "Sono scatole oscure, non democrazia"
di RAFFAELLA MENICHINI *
Con il suo The Net Delusion (L’ingenuità della Rete, Codice Edizioni) due anni fa Evgeny Morozov scuoteva l’establishment intellettual-tecnofilo americano e internazionale con tesi provocatorie e appassionate contro la retorica che ci voleva all’alba di una nuova democrazia globale scaturita grazie alla Rete. Una sorta di batteria di fuoco di controinformazione sparata sulla tesi di una Rete salvifica, potenziale sostituto delle pratiche politiche, associative, comunitarie "tradizionali" e piramidali in favore di una distribuzione egualitaria dei mezzi di partecipazione grazie agli strumenti offerti da Internet.
Tesi smontata pezzo a pezzo, con un’approfondita analisi degli interessi economici e di potere che giocano (soprattutto in Europa dell’Est, da cui proviene il bielorusso Morozov, ma non solo) dietro questa retorica, ma che cela anche una grande passione: la Rete è uno strumento eccezionale, ma bisogna scoprirla e saperla usare per non esserne strumentalizzati. Lo stesso filone che il giovane (nato nel 1984) politologo, blogger e ricercatore all’Università di Stanford, svilupperà nel suo prossimo libro ("To save everything, click here").
Il suo è dunque un punto di vista radicale sulla "retorica digitale" che - sostiene - è stato il principale ingrediente dello straordinario successo del Movimento 5 Stelle: "Rischiate che il vuoto politico si riempia di totalitarismo o managerialismo". Ma che non è un fenomeno isolato, mente negli Usa sta prendendo piede la politica-marketing: messaggi su misura per gli elettori, a scapito del messaggio calibrato sull’interesse collettivo.
Esistono precedenti nel mondo di un movimento nato e cresciuto sul web che raggiunga un successo elettorale di questo livello?
"Ci sono molti esempi di cittadini consultati su come governare o coinvolti in processi decisionali minori ma non mi risultano esempi simili in caso di elezioni politiche. Credo che i partiti Pirata in Svezia e Germania abbiano sperimentato metodi simili, anche se non su questa scala".
Perché è successo in Italia, perché ora?
"Sarei cauto nell’attribuire un ruolo eccessivo alla cultura di Internet in tutto questo. Se parliamo di partiti nuovi nati dal nulla e che in tre anni diventano così popolari - allora sì, ce ne sono altri, e alcuni di questi esempi sono piuttosto orribili. Ora, non per aderire a strani determinismi - non sto dicendo che Internet non ha contato nulla - ma la risposta al perché in Italia, perché adesso ha a che fare con i problemi strutturali della politica e dell’economia italiane più che con le trasformazioni rivoluzionarie suscitate da Internet. Ovviamente, Grillo e i suoi luogotenenti non vogliono essere visti come un partito marginale con programmi ambigui: i paragoni storici, purtroppo, non giocano in loro favore e incuterebbero paura. Così preferiscono giocare la carta di Internet e pretendere di essere solo la naturale e inevitabile conseguenza dell’"era di Internet". Ma io penso che tutto questo parlare di ’era’ - lo Zeitgeist e lo spirito di Internet - sia in gran parte privo di senso".
Il motto di funzionamento del movimento è "uno vale uno": niente leader, consultazione diretta su ogni questione, nessuna identificazione destra/sinistra, capacità professionali opposte a professionismo della politica. E’ un modello che può funzionare - considerando anche lo stato di deterioramento della credibilità della politica italiana?
"Non vivo in Italia e quel che so della vostra politica mi viene dalla lettura di giornali americani, britannici e a volte tedeschi e da qualche amico italiano. Ma anche con queste mie limitate conoscenze, l’ultima volta che me ne sono occupato il M5S aveva un leader - anche piuttosto buffo - e anche un ufficio in una zona piuttosto costosa di Milano. Non è questa una sorta di gerarchia? Ci sono due modi di pensare al M5S: uno è che il loro tentativo di sfuggire alla politica - con i suoi leader e le sue gerarchie - non possa funzionare perché il motivo per cui abbiamo bisogno di leader e gerarchie non sempre ha a che fare con i costi della comunicazione. Qual è il contributo di Internet? Che riduce i costi della comunicazione. Ma i leader e le gerarchie servono a creare carisma e dare un’idea di coesione e credibilità in fase di negoziazione con gli altri partiti. Questo Internet non può cambiarlo: carisma e disciplina non si fanno con i byte. Qualcuno deve pur rispondere ai commenti al blog, non è che se ne vadano da soli.
"Il secondo punto di vista è che questo deliberato tentativo di sfuggire alle caratteristiche della politica - ideologia, negoziazione, prevaricazione occasionale e ipocrisia - può solo peggiorare le cose. Di fronte a una qualsiasi fluttuazione del sistema politico attuale (e il cielo sa quante ce ne possano essere in Italia), l’imperfezione è meglio di un’alternativa che in questo caso potrebbe essere l’eliminazione di ogni spazio di manovra e la sostituzione della politica con una qualche forma di managerialismo o di totalitarismo populista. L’eccellente libro del 1962 di Bernard Crick "In Defence of Politics" ("In difesa della politica", ed. Il Mulino, 1969, ndr) dovrebbe essere distribuito ampiamente in Italia: è il miglior argomento del perché i sogni populisti e tecnocratici di abbandono della politica siano sbagliati".
Molti osservatori in Italia hanno messo in luce il problema dello stretto controllo esercitato da Grillo e da Gianroberto Casaleggio e la mancanza di trasparenza nelle scelte del Movimento, specialmente nel processo di selezione dei candidati e di votazione. Solo gli aderenti di lunga data possono accedere alle piattaforme di voto, mentre il blog di Grillo è lo spazio pubblico in cui il dibattito si svolge in maniera aperta. Qual è la sua opinione su questo modello?
"Non mi sorprende. Ci sono tutta una serie di miti su come funzionano le piattaforme online. Progetti come Wikipedia, Google e Facebook ci hanno insegnato - e anche condizionato - a pensare che funzionano in modo oggettivo, neutrale e del tutto evidente. Ovviamente non è vero: nel caso di un progetto come Wikipedia, sono molte poche le persone - tra loro c’è il suo fondatore Jimmy Wales - che capiscono come funziona davvero. Nessuno conosce tutte le regole che innescano il meccanismo Wikipedia: ce ne sono troppe. Lo stesso per Google: non sappiamo come funzionano i suoi algoritmi e loro hanno resistito a ogni sforzo di renderli esaminabili. Ed ecco cosa accade: abbiamo una serie di caratteristiche di progetti che pensiamo rappresentino "la Rete" e poi trasferiamo queste caratteristiche dentro la Rete stessa in modo che qualsiasi progetto scaturisca dalla Rete ci sembra avere le stesse caratteristiche. Non mi sorprende che il 5Stelle affermi di essere totalmente orizzontale, trasparente e basato sulla Rete nel momento in cui applica alcune di queste caratteristiche. E’ così che funziona la cultura di Internet: conoscono il suo linguaggio e i suoi trucchi retorici. Un altro esempio? Twitter. Tutti pensano che sia una piattaforma che permette a chiunque, dalla sua camera da letto, di essere altrettanto influente di un commentatore di grido a proposito del futuro della Rete. Ma anche questo è un mito: la maggior parte dei commentatori della Rete che si dicono ottimisti sul suo futuro compaiono nelle liste di "chi va seguito" - compilate dalla stessa azienda Twitter e che gli permettono di acquisire molti più follower di tutti noi. Per esempio, le persone con cui io ho i miei scontri intellettuali - come Clay Shirky o Jeff Jarvis - hanno molti più follower di me ma non perché sono più divertenti (non lo sono!), ma perché l’azienda Twitter amplifica deliberatamente il loro messaggio. Dunque cosa c’è di così democratico e orizzontale nell’ecosistema dei nuovi media?
"Secondo me molte delle piattaforme online usate per l’impegno politico funzionano più o meno come scatole nere che nessuno può aprire e scrutare. La gente ha l’illusione di partecipare al processo politico senza avere mai la piena certezza che le proprie azioni contano. Non è esattamente un buon modello per la ridefinizione della politica".
L’Italia ha un grosso problema di infrastrutture digitali. Siamo agli ultimi posti in Europa per l’accesso alla banda larga. Questo è compatibile con l’aspirazione a una "democrazia digitale"?
"Non si può dare la colpa a un partito politico se non riesce a raggiungere tutti. Perciò va benissimo che si cerchi di utilizzare questi nuovi metodi adesso piuttosto che tra 15 anni, quando tutti saranno connessi. Il pericolo vero è che i processi amministrativi ed elettorali siano rivisti in modo da rendere impossibile la partecipazione alla politica senza tecnologie digitali. Non penso che possa accadere presto, ma è una possibilità. Ci sono tanti progetti digitali in questo spazio civico e politico e specialmente in questa prima fase esiste una specie di pericoloso discrimine di autoselezione: si organizzano importanti riunioni per decidere le regole con cui procedere e solo chi ci capisce di tecnologia (i geek) partecipano. E naturalmente se sono solo i geek a decidere le prime regole mi preoccupa l’esito di queste piattaforme e progetti".
Come giudica i software open-source per i processi decisionali come Liquid Feedback - o i sistemi di voto elettronico come il metodo Schulze? Sono strumenti utili anche per partiti politici diciamo così, convenzionali?
"Nel mio nuovo libro (che negli Usa esce il 5 marzo) ho un lungo capitolo su Liquid Feedback. E’ un tema complesso. Come strumento per condurre focus group all’interno di un partito è uno strumento piuttosto efficace. Il rischio nasce quando piattaforme di questo tipo vengono lanciate come strumenti nuovi per far politica - tipo cittadini che delegano i loro voto ad altri cittadini su questioni di cui sanno poco. Non credo molto nella delega a questo livello. Nel libro in realtà ricordo che alcune di queste aspirazioni esistevano già negli anni Sessanta - almeno negli Usa, con la Rand Corporation - quando molti consiglieri politici tecnlogici pensavano che - attraverso il telefono e le tv via cavo - i cittadini sarebbero stati capaci di delegare i proprio voti a persone più competenti. Come ho già detto, questa visione nasce dall’idea che il problema da risolvere siano i costi della comunicazione e si cerca nelle tecnologie il salvatore. Se invece non pensassimo che il motivo per cui la politica opera nel modo in cui opera è legato ai limiti della comunicazione, allora avremmo una visione più sensata di quel che la tecnologia può darci. Ora negli Usa abbiamo un grande problema di uso massiccio di big data e micro-targetting, specialmente sulla Rete, perché i politici e i partiti presto saranno in grado di fare promesse ritagliate su misura dell’individuo a tutti noi - facendo leva sulle nostre paure e i nostri desideri più profondi - e ovviamente li voteremo più volentieri grazie a questa strategia. Non sono sicuro che valga la pena costruire una società in cui gli elettori ricevono promesse personalizzate - che nessuno potrà mai soddisfare. Eppure questa è la direzione. Una delle attrattive del vecchio e inefficace sistema dei media - in cui un partito doveva formulare un messaggio universale mirato a tutti coloro che lo ascoltassero - era che costringeva i politici a prendere sul serio le proprie ideologie. Dovevano suonare coerenti, assicurarsi che le proprie posizioni non si sfaldassero. In un mondo in cui nessuno può controllare i messaggi personalizzati che i politici inviano ai singoli elettori non c’è bisogno di essere coerenti o di sforzarsi di formulare un’idea. E’ pericoloso".
L’Italia si trova di fronte anche al centro della grande crisi dell’eurozona, con potenziali forti impatti internazionali. Per la prima volta c’è un movimento non assimilabile a un partito tradizionale che ha una grande forza in Parlamento. Questo pone una sfida anche alle controparti internazionali, in termini di approccio diplomatico, relazioni, linguaggio?
"Di nuovo, io non vivo in Italia. Non so esattamente cosa significhi ’movimento digitale’. Possiamo chiamarlo ’movimento di dilettanti’? Posso capire perché per esempio il partito Pirata in Germania venga chiamato ’movimento digitale’ - non si occupano di altro che non sia la libertà della Rete, la riforma del copyright ecc. Sono tutte questioni tecnologiche, da geek, che la maggior parte della gente chiamerebbe ’digitali’. Se parliamo del M5S non è questo il caso: non so se abbiano posizioni su questioni digitali ma non è questo il motivo per cui la gente ne è attirata. La Rete, nella loro retorica, gioca solo un ruolo di grande legittimatore del loro dilettantismo e della loro attitudine profondamente anti-politica. Dicono di manifestare ciò che un partito politico dovrebbe essere nell’"era della Rete" e ciò mi insospettisce molto perché - di nuovo - non penso che il funzionamento dei partiti si possa spiegare solo in termini di costi della comunicazione.
"Ci sono buoni motivi per cui abbiamo bisogno di gerarchie e di leader che parlino il linguaggio della politica e giochino il gioco fino in fondo: le inefficenze della politica, per usare un linguaggio da computer, non sono un bug (un difetto) ma una feature (una funzione). Per me il test è semplice: dimentichiamoci per un momento che stiamo vivendo una "rivoluzione digitale" e cerchiamo di cimentarci sugli argomenti dei movimenti come il 5 Stelle, basandoci su quel che sappiamo di filosofia e teoria politica. Queste argomentazioni, secondo me, non reggerebbero un’ora di seria discussione in un rigoroso seminario di Scienze Politiche di base. L’unico motivo per cui passano per seri è perché sono ammantati della retorica emancipatoria del sublime digitale. Quanto ai leader internazionali, beh ci sono moltissimi partitini in crescita in Europa: in Olanda, in Gran Bretagna, forse in Grecia. Non sono stati altrettanti bravi nell’utilizzo della retorica di Internet - forse non sono guidati da blogger - ma presto capiranno come fare. Basta guardare a Nigel Farage, tra i leader dell’Uk Independence Party e tra i maggiori euroscettici britannici nel Parlamento europeo. Un uomo che ha usato bene YouTube per le sue operazioni mediatiche e ora ha un seguito pan-europeo. Gli manca qualche ingrediente retorico - "democrazia della Rete" e "consultazioni online" - poi prenderà il volo. Nelle recenti elezioni amministrative britanniche, l’Ukip ha preso rapidamente terreno, il che indica che stanno imparando questo gioco".
In un paese a lungo dominato da un mogul della Tv, l’avvento di un movimento di cittadini informati che rifiutano ogni interazione con i media tradizionali può anche essere visto come un segno di cambiamento sano, l’indicazione di una nuova generazione pronta ad impegnarsi....
"Bè, l’Italia è un caso particolare, ne convengo. Non ho interesse particolare a difendere la Tv e certo non quella italiana - la maggior parte è orribile e renderla un attore meno rilevante nella sfera pubblica è di certo un bel cambiamento. Detto ciò, voi avete ancora buoni giornali, una buona industria editoriale (con un pubblico di lettori tra i più acuti d’Europa, l’accesso a forse il maggior numero di lavori tradotti di tutti i paesi d’Europa) e una delle migliori culture di festival d’Europa. Per cui certo, la televisione non è il meglio ma avete un sacco di altre cose di cui essere orgogliosi. E Internet può mettere a repentaglio queste altre attività e il loro patrimonio culturale e intellettuale? Temo di sì. Odio generalizzare su termini come ’Internet’ - ci sono un sacco di risorse buone e utili online, e tante stupidaggini. Ma non voglio assumere per principio che solo perché i giovani tendono a leggere i blog più che a guardare la tv sia necessariamente una cosa positiva. Ci sono tante altre cose buone da leggere!".
* la Repubblica, 05 marzo 2013
Il pensiero non basta, è il vigore che serve
di Giuseppe De Rita (Corriere della Sera, 4 marzo 2013)
Abbiamo avuto settimane piene di grandi eventi, dalle dimissioni papali agli inattesi risultati elettorali; altrettante ce ne aspettano, per l’elezione del nuovo pontefice e la riorganizzazione dei vertici parlamentari e politici. In mezzo c’è una settimana di relativa, relativissima calma. E di essa si può approfittare per una riflessione non prigioniera delle meraviglie e delle ansie insite nell’incalzare degli eventi, dove noi comuni mortali restiamo «soli senza solitudine»; colpiti cioè da emozioni individuali, che non possiamo condividere con altri, e su cui non abbiamo la possibilità di quella maturazione (del lutto e/o delle speranze) che solo la solitudine psichica può consentire.
Così, quando ci guardiamo allora intorno, vediamo un paesaggio indecifrabile ma non siamo in grado di vedere i fattori che ne costituiscono l’essenza. Approfittiamo allora di questo tempo di limitata solitudine per fissare almeno le due tracce profonde e nascoste di quel che sta avvenendo: l’inattesa importanza del «vigore»; e l’inattesa esigenza dell’«intelligenza del riposizionamento».
Non è sfuggito ai più che sul termine «vigore» si è giocata la vicenda delle dimissioni di Benedetto XVI, motivate dalla consapevolezza «di non aver più il vigore intellettuale e fisico» necessario per esercitare le proprie funzioni. Certo qualcuno avrebbe potuto citare al Papa il ricordo biblico di Mosè che morì a 106 anni e «non gli si era ancora spento il vigore», ma Mosè era un profeta e un grande condottiero ispirato da Dio; mentre in noi comuni mortali il vigore può esaurirsi e allora dobbiamo ammettere la nostra finitudine, come con umiltà ha riconosciuto Benedetto XVI.
In un parallelo quasi a contrasto la stessa importanza del vigore è confermata dalla vitalità primordiale, quasi fisica, che nelle recenti elezioni ha portato alla rimonta di Berlusconi e all’esplosivo percorso di Grillo. Tutte le altre categorie sociopolitiche e umane (la serietà, la continuità, il rigore, la competenza, ecc.) non hanno avuto spazio, tutto si è mosso sulla forza personalmente ostentata nei gesti e nelle parole.
Forse questo duplice primato del vigore non piace a qualcuno, attenendo esso più agli «animal spirits» che ai valori religiosi o civici; ma senza vigore non si campa e non si vince. E se uno non ce l’ha, non se lo può dare. C’è da credere che nelle scelte prossime venture nella Chiesa e nella politica il vigore (in atto per qualcuno, da rilanciare per altri) avrà il suo peso.
Del resto senza vigore nessun soggetto (pontefice, curia, conferenze episcopali, partiti, leader politici, istituzioni, ecc.) può pensare di affrontare il travaglio del «riposizionamento», unica strategia per sopravvivere e riprendere a crescere. Per riposizionarsi serve anzitutto intelligente conoscenza e accettazione della realtà, anche quando essa a prima vista non piace; e serve soprattutto cambiare, differire da se stessi, «esporsi all’altro della vita» come dice Derrida. È la realtà in essere che è costituente, non i pensieri, le tradizioni, gli interessi, le identità di cui molti di noi fanno ritenzione securizzante.
Ma è evidente a tutti che per trattare, vivere, valorizzare la realtà per come si presenta (e talvolta essa non ci piace, come avviene in queste settimane) all’intelligenza occorre accompagnare gli «animal spirits» del vigore, la chimica volontà di vita del nostro corpo sociale. È difficile capire se la combinazione vigore-intelligenza-riposizionamento sia nelle fibre della nostra società e della nostra classe dirigente. Se non c’è, occorre augurarsi ed impegnarsi perché essa si affermi.
Il messaggio del voto all’Europa
di Bill Emmott (La Stampa, 01/03/2013)
Gli stranieri, in particolare i giornalisti e i politici, amano le battute e le semplificazioni, ecco perché molti sono ricorsi alla parola «pagliacci» per descrivere lo sbalorditivo risultato elettorale in Italia, dal tedesco Peer Steinbrück alla rivista inglese, The Economist.
Ma è un grosso errore farsi beffe di questo risultato, o di Beppe Grillo personalmente. L’Europa, come l’Italia, ha bisogno invece di prenderlo molto sul serio.
Benché l’esito sia stato notevole per il modo in cui ha disatteso le prime previsioni di voto e nel pasticcio parlamentare che ha prodotto, non è stato davvero sorprendente. Molti elettori erano in crisi, crisi finanziaria; molti elettori, a volte gli stessi che erano in crisi, a volte diversi, avevano un disperato bisogno di cambiamento, di speranza in qualcosa che potesse infine cambiare la politica italiana o il governo italiano.
Questa situazione è particolarmente evidente in Italia, dove la sofferenza e il desiderio di cambiamento sono particolarmente acuti. Ma accade anche in altri paesi. Così, quando le elezioni premiano un candidato che ha ascoltato il dolore e si è concentrato solo su un modo per alleviarlo, e un altro candidato che si trova praticamente da solo a parlare di cambiamento, gli altri Paesi europei devono prestare attenzione.
Il fatto che il primo sia Silvio Berlusconi e il secondo Beppe Grillo è un peccato per l’immagine internazionale dell’Italia, ma pazienza. Quell’immagine passerà.
Il messaggio serio per l’Europa non sta nel dettaglio dei programmi politici di Grillo o di Berlusconi, né in alcun pericolo immediato per l’euro. Il messaggio grave sta nel fatto che esigere austerità fiscale, anno dopo anno, in tutti i Paesi dell’Eurozona, non può funzionare a lungo in termini politici a meno che non si accompagni a un messaggio positivo di speranza, di nuove opportunità, di un futuro più luminoso per i figli e i nipoti.
E’ il messaggio che il presidente Mario Monti non è riuscito a trasmettere. Né Pier Luigi Bersani, tanto più che il suo Pd incarnava i vecchi modi di fare politica. Ma è anche il problema con l’incalzante messaggio che viene da Berlino e dal cancelliere Angela Merkel: la disciplina di bilancio, al fine di raggiungere la competitività non è un messaggio che ispiri o motivi le persone. Può andar bene per un anno o due. Ma la crisi dell’euro sta arrivando al suo terzo anno.
Impari o meno la lezione, il mondo ora guarderà l’Italia, e in particolare a Berlusconi e a Grillo, in uno stato di nervosa fascinazione. Chi conosce la politica italiana può fare un ragionevole tentativo di prevedere come si comporterà Berlusconi: sfrutterà la sua posizione politica per il massimo guadagno e starà già cercando di capire quali deputati e senatori di altri partiti, in particolare del M5S, potrebbero essere persuasi a cambiare bandiera e ad unirsi al Pdl.
Nessuno tuttavia, all’estero certamente, ma probabilmente anche in Italia, sa prevedere il comportamento di Grillo. Forse nemmeno lui potrebbe, dal momento che questa è una situazione nuova anche per lui, e si starà chiedendo come diavolo farà a mantenere il controllo dei suoi 162 parlamentari, della maggior parte dei quali non sa quasi nulla. Certo, ha necessità di dettare l’agenda, concentrandosi su alcune aree chiave della riforma che può esigere dal Pd e dal Pdl. Ma quali e con quali rischi? Queste sono le domande più insidiose.
Naturalmente è un momento di pericolosa instabilità, e, naturalmente, i mercati finanziari hanno ragione a essere preoccupati per l’Italia. Tuttavia, dato il discredito della classe politica in questi ultimi anni, dato il forte senso d’irrealtà o di negazione che ha così spesso dominato il dibattito politico ed economico, è anche un momento molto eccitante.
Forse è più facile da dire per un non-italiano che per un italiano. Noi non dobbiamo convivere con le conseguenze. Ma se l’Italia davvero deve svegliarsi, allora l’allarme probabilmente deve suonare un po’ come questo, tanto forte è stata la resistenza dei partiti politici, delle federazioni di grandi imprese e dei sindacati alla necessità di un cambiamento. In passato allarmi di questo tipo sono stati ignorati, o tacitati e potrebbe accadere di nuovo. Se ciò dovesse accadere, tuttavia, gli effetti potrebbero essere davvero gravi. Non ci sarebbe alcun conforto nel fatto che siano stati opera di un pagliaccio.
Traduzione di Carla Reschia
Il kolossal dell’addio che ricorda la «Dolce vita»
di Alberto Crespi (l’Unità, 1 marzo 2013)
Il Papa ha trasformato il suo addio in un kolossal, forse perché nessuno pensi che potrebbe invece trattarsi di un thriller. Le immagini dell’elicottero che ha sorvolato Roma prima di dirigersi verso Castel Gandolfo hanno stuzzicato la memoria di qualunque cinefilo: siamo usciti da Habemus Papam, il film che sta andando in scena in Vaticano da svariati giorni, e siamo entrati in altri due film, uno sublime e l’altro orrendo. Il pensiero è volato ad Angeli e demoni, uno dei film più brutti di tutti i tempi ispirato a un romanzo demente (sì, demente: dire demenziale sarebbe fargli un complimento) di Dan Brown.
Nel finale di quel thriller religioso, un elicottero si alza in volo sopra il Vaticano per poi esplodere in una deflagrazione atomica: Tom Hanks cade nel Tevere dall’altezza di qualche chilometro e si limita a rialzarsi spolverandosi la giacca, manco fosse Wyle E. Coyote.
Sublime, invece, è il ricordo di La dolce vita, un film che all’epoca passò al vaglio delle alte sfere vaticane ottenendo finalmente il placet del cardinale Siri e, indirettamente, di Giovanni XXIII.
Lo sconvolgente affresco creato dalla fantasia di Federico Fellini si apriva con un elicottero che sorvolava gli acquedotti dell’Appia portando appesa ad un cavo l’enorme statua di un Cristo benedicente. Dai pratoni della Caffarella - proveniente, si potrebbe dire, dai Castelli e quindi da Castel Gandolfo... - l’elicottero sorvola il quartiere Don Bosco e arriva sopra San Pietro.
È una sorta di epifania sacra, subito «laicizzata» dalle ragazze in bikini che, da un terrazzo, salutano il Cristo e chiedono dove lo stiano portando. «Dal Papa», è la risposta di Mastroianni, cronista d’assalto che assieme al complice fotografo Paparazzo sta «coprendo» l’evento viaggiando su un altro elicottero al seguito. Fellini aveva già capito tutto. Ci vorrebbe davvero il suo occhio, così visionario e perspicace, per capire qualcosa dei giorni turbolenti che l’Italia sta vivendo.
Un Papa che si dimette mentre un ex Gesù condiziona la vita politica del Paese è una fantasia grottesca che anche Fellini avrebbe faticato ad immaginare; ma forse solo lui riuscirebbe a raccontarla, in un altro affresco che potrebbe non avere più nulla di dolce.
Vi state chiedendo chi sia l’ex Gesù di cui sopra? Era proprio Beppe Grillo in uno dei due film importanti che ha interpretato come attore: Cercasi Gesù di Luigi Comencini, dove alla fine faceva addirittura un miracolo (l’altro era Scemo di guerra di Dino Risi, e non faremo facili battute). Anche Cercasi Gesù sta andando ininterrottamente in scena in questi giorni, con i cronisti che inseguono vanamente Grillo e Bersani che prima lo chiama in causa come un «normale» avversario politico, e poi si accinge ad attenderlo invano in Parlamento dove magari non si farà nemmeno vedere. Farà i miracoli in contumacia.
Visto che ieri Grillo ha messo sul suo blog il manifesto di 47 morto che parla con la faccia di Bersani al posto di quella di Totò, qualcuno potrebbe «postargli» a tradimento qualche scena di quei due film: nonostante fosse diretto da due grandissimi registi, come attore il guru non era davvero granché.
Il Papa ha tutta un’altra classe. Per essere eletti a quel soglio, bisogna essere attori consumati. L’arte della messinscena con la quale Benedetto XVI ha gestito il proprio addio è degna di Cecil B. De Mille o di Steven Spielberg. Il fatto che l’elicottero, prima di puntare sui Castelli, abbia sorvolato tutta Roma è stato un «coup de theatre» fantastico e, al tempo stesso, un gesto toccante. È come se il Papa avesse voluto riempirsi per un’ultima volta gli occhi con tutta quella bellezza che stava lasciando.
Naturalmente Roma - come ogni città - ha anche angoli molto brutti, ma da un elicottero si percepisce solo la sua conformazione scenografica, i colli e i monumenti, i tentacoli di case che si allungano fra i giardini e i pratoni che arrivano quasi fino in centro. Anche chi non è credente, e considera il Papa solo un uomo di potere, non può cancellare un brivido di fronte a questo gran finale.
Fra poco inizierà un altro grande film, il primo conclave moderno con l’ex pontefice ancora vivo ad assistere, sia pure a distanza. Cercasi Papa. O Cercasi Papa 2, visto che uno ci sarebbe già..
Il premio Nobel Dario Fo
Grillo e Bersani, sedetevi insieme e trovate l’accordo su dieci punti
di Malcom Pagani (il Fatto, 1.03.2013)
Indifferente ai suoi 87 anni: “Ma perché mi dà del lei? È forse per farmi sentire una cariatide? ” Dario Fo rimane sordo ai rumori di fondo: “Ora tra un assalto delle telecamere e una visita degli artificieri nel suo giardino, è difficile capire esattamente cosa accadrà domani. Ho provato a parlare direttamente con Beppe, ma da due giorni contattarlo somiglia a una missione impossibile. Se vuoi metto a disposizione la mia preveggenza”.
E ride, il Nobel che preferisce la seconda persona alla terza, rivedendo forse nella parabola del comico iconoclasta premiato dal voto, le motivazioni dell’Accademia di Stoccolma che al tramonto dei ‘90 diedero lustro a una vasta genìa di giullari intenti a dileggiare il potere “restituendo dignità agli oppressi”.
Secondo Fo, il mistero buffo uscito dalle urne fa parte della schiera. E adesso che i grilli sono diventati davvero cavalli, per proposte indecenti o mètaletture, ironie, dubbi e richieste di moderazione, Fo presta orecchio e voce. “A patto di usare le parole giuste perché quello a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi non ha precedenti”.
Alleanza fa parte dei termini corretti?
È tra quelli sbagliati. L’alleanza con il Pd non c’è mai stata, né ci sarà. È un equivoco. Uno slogan vuoto. Un espediente giornalistico. Grillo vuole risolvere problemi sospesi da anni. Temi reali, reclusi nel limbo dell’incerto dalla colpevole ignavia dei responsabili del Pd.
Non le piacciono i ragazzi del Nazareno?
Sono a dir poco dei ballerini zoppi. Gente che và di qua e di là cercando di vendere la propria merce per ottenere vantaggi e prebende.
Grillo è diverso?
Molto. Grillo dice una cosa semplice. Sostiene che in Italia esistano alcune ineludibili urgenze ferme da decenni, propositi ibernati che devono diventare leggi e regolamenti. Sono argomenti noti, sui quali non si può più perdere tempo. Il conflitto di interessi, il costo della politica, le spese per gli armamenti. Potrei andare avanti per un quarto d’ora.
Come si trova un punto di convergenza allora?
Sulle cose da fare. Il Movimento di Beppe ha proposto una ventina di punti su cui iniziare a ragionare. Dall’altra parte, su almeno dieci provvedimenti quasi identici e presenti nel suo programma, il Pd potrebbe trovare un accordo con Grillo.
Lei sarebbe favorevole?
Certo. Ci si mette attorno a un tavolo, si tirano via le difficoltà, si compie un primo passo di grande valore. Un dialogo di peso per migliorare la prospettiva dell’Italia. Un’idea del genere sarebbe già il principio di una rivoluzione. Un ribaltamento di schema mai intravisto dalle nostre parti.
E la diffidenza? Le schermaglie? Le percentuali interne? Le correnti?
Credo, spero, che nelle stanze del Pd abbiano capito che con Grillo e la sua gente non si può scherzare. Non è tempo di sofismi. Se si lambiccano con rimandi, cupe strategie da politicanti o trappole, quelli li mandano a fare in culo. Ma ho fiducia. In Sicilia l’esperimento funziona. Ha funzionato. E continua a funzionare.
Si stupisce?
Con tutto l’amore per i siciliani e per la loro terra, non è che da quelle parti siano celebri per azioni di politica collettiva e determinata. Però, proprio in Sicilia, i due mondi si sono incontrati. È una piccola cosa, mi rendo conto, ma qui si tratta di procedere necessariamente a una proiezione ingigantita del reale. Bisogna provare a sognare, con animo sgombro. Ci spero.
Grillo per ora sembra negare la sola ipotesi.
Grillo ha subìto da pennivendoli e vigliacchetti un assalto mediatico senza paragoni. Gli hanno detto e gettato addosso di tutto. Insulti, accuse, ignominie. Si è tenuto nello zaino l’umiliazione quotidiana e le provocazioni costanti di un vasto e ignobile microcosmo. A 60 anni, dall’alba al tramonto, mangiando panini e rischiando le corde vocali si è buttato in mezzo alla gente per ascoltarla. Che ora, in un quadro di generale sorpresa per il risultato, l’unico che forse se lo aspettava sia incazzatissimo con i solòni di casa nostra è perfettamente comprensibile.
Bisogna aspettare?
Grillo è furioso, non c’è dubbio. Il Vaffanculo stavolta non è soltanto tecnico, ma emotivo. Gli passerà, ma si dovrà attendere che la rabbia decanti. Intanto, dai giudizi tedeschi, l’ha pubblicamente difeso Giorgio Napolitano. Mi sembra una notizia notevole.
Il Presidente l’ha convinta?
Nell’occasione è stato straordinario.
Il futuro del M5S tra realismo e paranoia
risponde Luigi Cancrini
psichiatra e psicoterapeuta (l’Unità, 1.03.2013)
Insieme Bersani e Grillo potrebbero davvero fare cose importanti, quelle che la sinistra non ha mai potuto realizzare fino in fondo perché costretta a governare con chi, quelle cose, non voleva per interessi personali e di appartenenza. Ora credo che la volontà di cambiare ci sia tutta, le forze che servono pure; si tratta di trovare i modi.
Silvana Stefanelli
In che direzione andrà ora il Movimento 5 Stelle? La Rete, dicono i giornali, si è spaccata dopo che Grillo ha risposto picche alla proposta di Bersani. Con due ipotesi politiche opposte da verificare nei prossimi giorni (o nelle prossime settimane) su quella che è (sarà) la tendenza prevalente del nuovo partito.
Volevano davvero la riduzione delle spese per la politica, il dimezzamento dei parlamentari, una nuova legge elettorale, la fine degli inciuci, una legge vera sul conflitto d’interessi, la trasparenza, il blocco delle spese per gli F35 e, più in generale, per gli armamenti e una modificazione profonda del costume politico?
La possibilità di ottenere queste cose c’è tutta. Basta chiederle: alla luce del sole, in Parlamento, quando si discutono (e, più tardi, quando si attueranno) i programmi elettorali di un nuovo governo.
Rinunciare a questa possibilità porterebbe a rendere più probabile la seconda ipotesi, quella di un movimento che vuole soltanto sfasciare tutto. Pensando non tanto al Paese quanto alla possibilità di crescere ancora lui (il movimento di Grillo) se gli altri falliranno ancora. Dall’interno di un vissuto paranoico in cui si pensa di dover continuare a lottare da soli contro tutti: «per cambiare il mondo», si è lasciato sfuggire ieri Grillo che forse ci crede davvero.
Riusciranno i suoi a fargli capire che la paranoia è incompatibile con la razionalità (che ci parla dei limiti di ognuno di noi) e con la democrazia (che è consapevolezza dell’arricchimento che ci può venire dall’altro)?
di Michele Serra (la Repubblica, 1.03.2013)
Quando si dice che questo voto stravolgerà tutto e tutti, si dice davvero: tutto e tutti. Comprese le Cinque Stelle, che in poche convulse mosse, in pochi difficili giorni saranno costrette a capire molto della propria natura e del proprio futuro.
Capire in primo luogo se sono in grado di inverare il loro mito fondante, quello della democrazia autoconvocata, oppure se devono figurare come una docile armata compattamente a disposizione del suo capo e creatore.
In poche parole: come si prendono le decisioni, là dentro? Decidono solo Grillo e Casalegno? Decidono - o decideranno - gli eletti? Esistono o esisteranno forme e luoghi di decisione collettiva, sia pure in qualche arcana forma webbica?
Ove decidesse solo Grillo, neanche il Pcus funzionava così, e il “nuovo” prenderebbe sembianze ben sinistre. Con i voti, milioni di voti, usati come fiches nelle mani di un giocatore di poker.
Si guarda a quel potente grumo di pulsioni politiche e sociali con giustificata ansia, e un misto di diffidenza, interesse, paura, speranza. Il timore è che la gente di quel movimento confonda ogni parola esterna con un’intrusione, ogni contatto con una contaminazione. Il mito della purezza perde anche i migliori.
Le riforme della ricostruzione
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 1 marzo 2013)
L’INVENZIONE politica e istituzionale battezzata “Seconda Repubblica” è crollata miseramente e rischia di seppellire il paese sotto le sue rovine. Un esito purtroppo prevedibile, viste le illusioni sulle quali quella nuova fase era stata fondata. Ricordiamole.
Il bipolarismo come bene in sé, che avrebbe inevitabilmente prodotto stabilità governativa, governabilità a tutto campo, efficienza, fine della corruzione grazie all’alternanza al governo di diverse coalizioni. Oggi sarebbe persino impietoso ricordare con nomi e cognomi chi ha assecondato questa deriva, anche se prima o poi bisognerà pur farlo.
Ma, intanto, si deve almeno sottolineare come non si sia voluto vedere l’abisso crescente tra quelle illusioni e la realtà, tanto che si arrivò addirittura a dire, dopo le elezioni del 2008, che l’orribile “Porcellum” aveva comunque avuto come effetto quello di stabilizzare il bipolarismo. Se vogliamo comprendere il presente, e progettare il futuro in maniera meno avventurosa, si dovrà partire proprio da una severa lettura critica dell’intera storia della cosiddetta Seconda Repubblica.
In questo momento, il criterio di analisi e di valutazione è ovviamente rappresentato dalle vere novità politiche del voto di domenica e lunedì. Che sono tre: la vittoria del Movimento 5 Stelle, il rifiuto dell’Agenda Monti, il ritorno della politica dei contenuti. La vittoria di Grillo e del suo movimento è già stata commentata nei modi più diversi. Ma la sua “anomalia” si somma al fatto che critiche sostanzialmente analoghe alla politica condotta e poi rilanciata da Mario Monti sono state l’elemento forte della campagna di Silvio Berlusconi.
Che gli elettori hanno bocciato in modo sonoro la personificazione di quell’Agenda affidata alla lista “Scelta civica” e che da Monti aveva preso le distanze anche una parte del Pd. Questo dato politico non può essere minimizzato e anzi, nel momento in cui si insiste sulla necessità di andare in Parlamento con proposte precise, contiene una indicazione importante per quanto riguarda appunto i criteri di selezione delle proposte.
Il dimezzamento dei parlamentari e il taglio radicale dei costi della politica, che compaiono in cima all’ipotetica nuova agenda di governo, sono proposte che circolavano da anni e sono la conferma evidente di quel che si diceva all’inizio, dunque della lontana origine della crisi attuale. Ma ridurre della metà il numero dei parlamentari è misura certamente assai simbolica, che tuttavia avrebbe risultati economici modesti, e persino qualche effetto negativo.
Nell’ultimo decennio è emersa una enorme manomorta politica, alimentata da aumenti ingiustificati e insensati delle indennità corrisposte agli eletti a qualsiasi livello, accompagnati da una ulteriore attribuzione di risorse a singoli e gruppi che nulla ha a che vedere con lo svolgimento dell’attività istituzionale. Questa manomorta deve essere abbattuta, eliminando ogni beneficio aggiuntivo rispetto alle indennità, a loro volta riportate a cifre socialmente accettabili, con un intervento che azzeri gli appelli alle competenze locali.
Questa operazione, però, deve andare al di là del ceto politico in senso stretto. Un’altra deriva degli anni passati è quella che ha portato ad un altrettanto ingiustificato dilatarsi delle retribuzioni nella dirigenza pubblica. Sono molti i dirigenti che hanno compensi persino doppi rispetto all’indennizzo previsto per il Presidente della Repubblica (248.000 euro). Si può polemizzare con Marchionne sottolineando che la sua retribuzione è 415 volte superiore a quella di un operaio Fiat e ignorare del tutto che sperequazioni ancora maggiori vi sono tra dirigenti pubblici e poliziotti in strada o impiegati ministeriali? Interventi in queste direzioni, insieme alla rottura delle cordate di magistrati amministrativi che ormai governano le strutture pubbliche, non garantirebbero soltanto risparmi, ma sarebbero un segnale importante verso un recupero dell’eguaglianza.
Proprio i principi di eguaglianza e di dignità sono all’origine di un’altra tra le proposte che circolano, quella riguardante il reddito di cittadinanza. Anche qui, tuttavia, bisogna liberarsi delle genericità, evitando di guardare a misure del genere come l’avvio di una fulminea palingenesi sociale.
Vi sono ipotesi serie, già trasformate in proposte di legge d’iniziativa popolare, che possono essere subito sottoposte all’attenzione parlamentare, avviando così anche l’indispensabile riordino degli ammortizzatori sociali e sfidando un certo conservatorismo sindacale.
È tempo, peraltro, di restituire al mondo sindacale una pienezza democratica per troppi versi perduta, con una legge sulla rappresentanza che davvero può stare in un programma dei cento giorni. Allo stesso modo, ai diritti del lavoro deve essere restituita la loro dimensione costituzionale, abrogando l’articolo 8 del decreto dell’agosto 2011 che permette di stipulare accordi anche in contrasto con le leggi vigenti, ampliando in maniera abnorme il potere imprenditoriale.
Questi esempi vogliono ricordare che un vero governo di programma, capace di abbandonare stereotipi e chiusure d’orizzonte, deve essere esplicito su provvedimenti che riguardino la dimensione sociale, ponendo basi solide per vere politiche del lavoro. Non si tratta di dare un “segnale”, ma di stabilire le giuste priorità in una situazione che, data la tensione sociale crescente, non può essere affrontata insistendo soltanto su misure istituzionali.
Intendiamoci. La tensione è alimentata anche dalle gravi inadeguatezze istituzionali che, di nuovo, ci riportano ai vizi della Seconda Repubblica.
Enormi si rivelano oggi le responsabilità di quanti, da troppe parti, hanno impedito la riforma della legge elettorale, invocando la necessità che una nuova legge salvaguardasse bipolarismo e governabilità. Abbiamo visto com’è andata a finire.
La riforma elettorale, dunque, è una priorità assoluta, ma pure una buona legge faticherebbe a funzionare se non venissero rimossi gli ostacoli al suo funzionamento, che esigono norme severe sui conflitti d’interesse, riforma del sistema dei mezzi di comunicazione, disciplina davvero severa contro la corruzione, a cominciare dalle norme penali sul falso in bilancio. E nuove norme sulla partecipazione dei cittadini, per riaprire i canali necessari alla comunicazione tra società e politica.
Tutte cose che sappiamo a memoria e fin da troppo tempo, e che devono essere prese terribilmente sul serio se si vuol dare una pur minima credibilità ad una prospettiva di governo. Se questa prospettiva dovrà essere coltivata in primo luogo dal Pd, come buona logica istituzionale vuole, bisognerà considerare un’altra novità politica. Il tracollo dell’Udc, considerata come partner necessario, libera dalla subordinazione alle pretese di questo partito su due questioni chiave: i diritti delle persone e i beni comuni. Il Pd ha ormai l’obbligo di proporre norme finalmente sottratte ai diktat fondamentalisti sulla procreazione assistita, sulle unioni tra persone dello stesso sesso, sulle decisioni di fine vita. E deve dichiarare esplicitamente la sua volontà di seguire la strada indicata dai referendum sull’acqua. È un compito difficile, una sfida ai conservatorismi e alle incrostazioni che sono il lascito pesantissimo di un ventennio.
Un compito, allora, che non può essere affidato ad alcun tecnico. I punti programmatici diventano credibili solo se vengono incarnati da un governo dichiaratamente politico e provveduto di un altissimo tasso di competenze. Solo così può essere ripreso l’impervio cammino della ricostruzione della fiducia nella politica. E, se uno spirito deve essere invocato, forse è quello del discorso sulle quattro libertà pronunciato da Roosevelt all’indomani dell’attacco giapponese a Pearl Harbor. La ricostruzione della Repubblica esige che agli italiani vengano restituite due di quelle libertà: quella dal bisogno e quella dalla paura.
Grillo a Pd e Pdl: "Stabilità? Con governo M5S".
Dice "grazie" a Napolitano. Che apprezza
Botta e risposta tra il leader dei Cinque Stelle e il segretario democratico dopo la proposta di un esecutivo guidato dal Movimento. Polemiche contro la petizione per la collaborazione tra i due partiti: "Opera di un’infiltrata" *
ROMA - "Se proprio Pd e Pdl ci tengono alla governabilità possono sempre votare la fiducia al primo governo M5S". Con un tweet Beppe Grillo rilancia di nuovo la discussione su come uscire dallo stallo post-elettorale. E lo fa con una mossa a sorpresa. Dopo le frasi insultanti nei confronti di Bersani il messaggio è anche quasi una risposta alla pressione di messaggi che gli arrivano dalla base di usare la massa di voti che gli è stata affidata.
Moltissimi da ieri quelli sul suo blog con l’invito a "trattare" che pare abbiano aperto una frattura nella base grillina. Questa mattina è stata lanciata sul web una petizione per non fare accordi con nessuno che si oppone all’altra aperta ieri da una giovane simpatizzante, Viola Tesi (guarda il video), che chiedeva di usare il suo voto. E questa petizione in un giorno ha raccolto quasi centomila firme. Anche se ora è lo stesso leader a sconfessare la promotrice "che desta sospetti e non si era mai sentita prima".
Sui siti vicini al M5S è scattato subito infatti l’esame del "Dna" dell’autrice della petizione. In particolare il blogger Claudio Messora ha accusato la Tesi di essere una pericolosa transfuga del Partito pirata. Si tratterebbe quindi di una cosiprazione contro il movimento di cui Repubblica, colpevole di aver dato spazio alla notizia, sarebbe parte in causa.
"Cari ’grillini’ voi siete arrivati adesso con le valigie di cartone, ma questi conoscono l’arte di mettervelo in quel posto meglio di chiunque altro, avendo una lunga scuola alle spalle", scrive ancora Messora in un post dal titolo "Fiducia, What’s fiducia?" che Grillo ha prontamente fatto suo ritwittandolo.
Ma più che le polemiche sulla purezza grillina di chi pensa che sia auspicabile trovare una forma di collaborazione con il Pd, destinata a far discutere è senz’altro la proposta di un governo a guida Cinque Stelle lanciata oggi dal leader. Ipotesi che realisticamente non pare percorribile, visto che difficilmente il presidente della Repubblica potrebbe conferire l’incarico di formare il nuovo esecutivo ad una forza minoritaria in entrambi i rami del Parlamento, ma alla quale Pierluigi Bersani ha voluto replicare con durezza. "Come noi rispettiamo gli elettori, anche Grillo li rispetti", afferma il segretario del Pd. "I numeri - aggiunge - li vede anche lui. Non pensi di scappare dalle sue responsabilità con delle battute. Ci si vede in Parlamento e davanti agli italiani".
E, a proposito di Napolitano, da registrare che dopo mesi di insulti Grillo cambia oggi tono nei confronti del capo dello Stato dichiarando forse una tregua in vista delle imminenti consultazioni. "Napolitano merita l’onore delle armi. In questi anni è stato criticato per molte scelte a mio avviso sbagliate, ma ieri in Germania ho visto, al termine del suo mandato, il mio presidente della Repubblica. Un italiano che ha tenuto la schiena dritta. Chapeau", scrive il leader del M5S sul suo blog. Il riferimento è naturalmente al fatto che il capo dello Stato si è rifiutato ieri di incontrare il candidato alla cancelleria tedesca Peter Steinbrueck, colpevole di aver definito Grillo un clown. Il presidente ha risposto da Berlino: "Ho apprezzato le sue parole".
* la Repubblica, 28 febbraio 2013
Napolitano: “L’Italia non è allo sbando” “Non c’è contagio, non avendo malattie
«l’Italia non è senza Governo. Monti è in carica e rappresenterà l’Italia al Consiglio europeo di metà marzo prendendosi tutte le responsabilità” E su Steinbruck: “Serve rispetto” *
«Non c’è un’Italia allo sbando e non vedo la possibilità di un contagio perché noi non abbiamo preso nessuna malattia». Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al termine dell’incontro con il presidente tedesco Joachim Gauck.
Napolitano ha inoltre ricordato che «l’Italia non è senza Governo in questo momento. L’attuale Governo è in carica fino al giuramento del nuovo e il Governo Monti rappresenterà l’Italia al Consiglio europeo di metà marzo prendendosi tutte le responsabilità necessarie, anche consultando le forze politiche uscite dalle elezioni».
Iin conferenza stampa a Berlino dopo l’incontro con il presidente federale tedesco Joachim Gauck il presidente della Repubblica ha spiegato ch e «Non vedo alcun rischio di contagio: per esserci un contagio deve esserci una malattia e noi non abbiamo preso nessuna malattia. C’è da gestire un risultato elettorale complicato, c’è stata frammentazione e contrapposizione, ma non può accadere che per avere un risultato che ci lasci più tranquilli si faccia un accordo a tavolino sul risultato». E ha aggiunto:«Si è espresso liberamente il popolo, questa è la legge della democrazia, dobbiamo confrontarci rispettando la volontà degli elettori»
«Ci sono degli adempimenti da rispettare» come la verifica degli eletti, la nomina dei presidenti delle Camere e la composizione dei gruppi parlamentari: «Quindi non vedo quale sia la possibilità di una accelerazione». Così Napolitano ha risposto ai giornalisti su una eventuale accelerazione della formazione del governo.
Tornando sull’episodio di ieri che lo ha costretto ad annullare un incontro con il candidato premier della Spd, Peer Steinbruck, che aveva detto «In Italia sono stati eletti due clown», Napolitano ha detto che «Ognuno è libero di pensare dentro di sé quello che vuole, ma quando si parla di cose che riguardano libere elezioni di un paese amico, bisogna essere molto ponderati nei giudizi e non deve mai venire meno una regola di discrezione e rispetto». . «È stato uno spiacevole imprevisto», ha aggiunto Napolitano.
Al termine dell’incontro, Napolitano ha ricordato che «L’Italia non potrà non seguire la strada della costruzione europea» facendo anche «la sua parte di sacrifici» e su una strada europeista «sono convinto che continuerà ad operare anche il futuro Governo».
* La Stampa, 28/02/2013
Il web si ribella a Grillo
Proteste dopo gli insulti a Bersani. Il leader Pd: lo dica alle Camere. Monti: meglio M5S del Cav
Ma sul blog scoppia la rivolta: «Beppe, stai sbagliando»
di Toni Jop (l’Unità, 28.02.2013)
Accade semplicemente che il voto sia andato a bussare al portone del suo referente e che gli stia dicendo: ti ho sostenuto, ma se fai le bizze di fronte a una proposta di collaborazione di governo senza andare a vedere le carte, la festa appena cominciata è già finita, atsalùt. Non c’è trucco, non c’è inganno, è tutto vero: in queste ore sul blog del Grande Imbuto sta maturando un evento biblico, imponente per dimensioni - i post sono migliaia e migliaia - e eccitante per la ricchezza dei piani di confronto lungo i quali si incollano le comunicazioni. La stragrande maggioranza degli scriventi si rivolge direttamente a Grillo, ma non sono pochi quelli che si rivolgono proprio a questa tormentata audience per avvisarla, per strigliarla, per rimetterla sulla retta via, evidentemente «tradita» da questa nuova, corale, potente disponibilità al dialogo con l’odiato, disprezzato Bersani, con il cadavere putrefatto di quel partito che si chiama Pd. Così, sotto gli occhi del Capo assoluto, si consuma questa confessione di massa, che si snocciola ai piedi di un suo post, il Post dei Post, in cui il leader del Pd viene definito «morto che parla», e più avanti liquidato come «lo stalker politico», uno che infastidisce le persone perbene con offerte offensive.
FUOCHI D’ARTIFICIO
Folklore grillino, simile a quello del Bossi degli anni verdi, ma che forse nasconde intenzioni meno folkloristiche del linguaggio con cui sono vestite. Comunque vada, Grillo non può rinunciare ai suoi fuochi d’artificio, in troppi lo rimprovererebbero per il suo «imborghesimento». Poi, se trattativa ci deve essere, pensa, è bene che questo avvenga al punto più basso per il Pd, è cioè quando Bersani sia in ginocchio; qualunque concessione, qualunque cedimento al realismo che imporrebbe l’ascolto suonerebbe un tradimento delle trombe di Gerico che Grillo ha suonato durante tutta la campagna elettorale: predicava il bombardamento di Dresda, non una nuova stagione di intese. Per questo, forse, sbatte intanto la porta davanti al «morto». Il problema è che, a quanto pare, la grande maggioranza di chi usa quel suo blog - il salotto privato che lui da sempre mette a disposizione del suo pubblico elettore - vorrebbe riaprire quel-la porta proprio mentre lui la sta chiudendo.
Tira e molla, sì, ma da ascoltare perché è istruttivo e dice molte cose di chi lo ha votato, di chi ha votato le sue trombe, del perché lo ha fatto, e di cosa si aspetta si faccia ora con quel voto e di che cosa possa fare quel voto se la sua postilla non sarà accolta, presa in considerazione. In parole povere, questa pioggia scrosciante di post pone a Grillo un problema, inedito fin qui in queste dimensioni, su un terreno che il capo detesta: quello del potere, il suo. Chi è lui e chi sono i suoi elettori: fino all’altro ieri erano una cosa sola, adesso molto meno.
«Ok, ci siamo, è ora di combinare qualcosa di buono.Personalmente un “governo di scopo” con pochi punti ben chiari si potrebbe fare, vorrei proprio sentire che scuse trova il Pd di fronte ad una legge riduce i costi della politica o che regolamenta il conflitto d’interessi. Se accettano si va finalmente avanti, se rifiutano si scavano definitivamente la fossa»: così sbotta Marco Santinon, per lui la trattativa è una possibile tagliola per la sinistra, e va usata in questo senso; è chiaro che per questa via il militante ritiene di portare, ancora, la sinistra ad accettare o a rinnegare, sottoscrivendo o meno quelle proposte operative, il proprio format culturale; per questo, anche, vuole che il capo vada a vedere. Intelligenza tattica.
ATTENTO, È UN’OPPPORTUNITÀ
Guido Cavallari è più diretto: «Beppe non tirare troppo la corda. Il Paese è nella tempesta. È ora di governare la barca. Abbiamo l’occasione di dettare le regole per cambiamenti importanti che molti del Pd condividono. Se si manda a monte questa opportunità si rischia di consegnare il Paese allo psiconano»; ed è chiaro che l’autore del post non sta proponendo inciuci o banali giochi di facciata: lui sa che nel Pd ci sono le sensibilità per costruire, su una piattaforma definita, preziose sintonie. Insieme, quel «Beppe non tirare troppo la corda» è un gesto forte al cospetto del grande Capo, un avvertimento, quasi minaccioso. Un tono ripreso molte volte, da Alberto Coluccia, per esempio: «Grillo è ora di saltare a casa. Se vuoi imporre la tua presenza diventi come i capi partito. E alle prossime elezioni non avrai il mio voto. Bersani e il Pd sono marci ok ma se tendono la mano sulle riforme del movimento vale la pena votare la fiducia e metterli alla prova, se non si va avanti, legge elettorale e tutti alle elezioni»; di nuovo la questione del potere: stanno rimproverando Grillo di imporre la sua presenza; ricordano che lo slogan del capo dice altro, e cioè che «uno vale uno», senza eccezioni. Non pochi si muovono lungo questo fronte in aperta rotta di collisione col leader padrone e suggeriscono vie alternative alla Rappresentanza unica: «Caro Beppe anche tu hai chiuso, il megafono è giusto che ora si spenga e che il movimento si esprima autonomamente via web su cosa fare: Referendum on line!!!!!!!!!!!»; così spariglia Maria A. E lo fa impugnando proprio l’attrezzatura che Grillo aveva promesso ai suoi, senza mai rispettare la parola data. Lo farà? Nell’incertezza, Vito Lanci avvisa: «Se Beppe non la pianta di fare il supereroe delle cause perse invito tutti alla riflessione. Il movimento non deve morire ora che sta imparando a camminare», e aggiunge che se non verrà aperta quella porta il suo voto e quello di tanti altri prenderanno altre strade.
SOSPETTO INFILTRATI
Logica stringente, servita fredda da atti di vera e propria insubordinazione di fronte all’autorità costituita. Insolito. Qualcuno la prende male, ci vede le tracce di una invasione aliena, Pd nel caso, tesa a sovvertire la felice pax post elettorale del Movimento: «Chi critica Beppe, o non ha mai seguito ciò che ha sempre detto fin dal 2009 (niente alleanze), oppure è un infiltrato del Pd», sentenzia Massimo P. E siamo già nella pancia di un sommovimento che mette in discussione la sincerità - predicata da Casaleggio - del Santo Web. Vogliono, i moltissimi contestatori, che il Movimento si misuri con Pd e Sel su argomenti chiave: il conflitto di interessi, la lotta alla corruzione, il finanziamento pubblico ai partiti, il reddito di cittadinanza, la riforma elettorale. Tutta farina del sacco della sinistra: non hanno torto a voler andare a vedere.
Fo, Asor Rosa e Hack: i «pontieri» dell’intesa *
ROMA - Felice del risultato elettorale ottenuto dal Movimento 5 Stelle, Dario Fo aveva auspicato a caldo che il suo candidato Beppe Grillo acconsentisse all’appello alla collaborazione lanciato da Pier Luigi Bersani. Ieri altri intellettuali di area sono intervenuti per condividere una prospettiva di esecutivo Pd-M5S.
Sull’Unità, l’astrofisica Margherita Hack spiega che «da queste elezioni potrebbe uscire il governo più forte che ci sia mai stato negli ultimi anni», perché, se quello che dice Grillo «non sono chiacchiere», «i grillini vogliono molte cose che vuole anche il centrosinistra». La Hack boccia come «impossibile» una grande coalizione con il Pdl, e per Monti vede un ruolo da «opposizione intelligente». Sempre sul quotidiano fondato da Gramsci, il direttore Claudio Sardo dichiara il suo «No, il governissimo no», e sottolinea che «la riproposizione della strana maggioranza (tra Pd e Pdl, ndr) sarebbe un suicidio per il Paese e per le stesse istituzioni».
Su il manifesto anche il professor Asor Rosa respinge come «catastrofica» un’ipotesi di grande coalizione con il centrodestra, sperando invece in un governo guidato da Bersani, senza Monti («non sappiamo che farcene di lui e della sua agenda») e basato sul confronto programmatico con il M5S. E un invito simile arriva all’Ansa dall’ex presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, Salvatore Settis: «Non basta allearsi. La sinistra si sieda a un tavolo con Grillo per rileggere insieme la Costituzione».
* Corriere della Sera, 28.2.13