Referendum Costituzionale 25-26 giugno 2006
NO al guasto della Costituzione !
Domenica e lunedì 25 e 26 giugno 2006 Referendum sulla riforma della Costituzione. Vai a votare! È importante!
La Costituzione è la regola delle regole, al di sopra delle maggioranze e dei governi. La Costituzione stabilisce limiti e contrappesi ai diversi poteri, per evitare ogni sopraffazione.
NO al guasto della Costituzione !
Questa riforma è da respingere col NO, perché...
1) ... i cittadini delle diverse regioni diventano diseguali nel diritto alla sanità, all’istruzione, ai servizi
2) ... il Premier (capo del governo) acquista un potere pericoloso, diventa più forte del Parlamento che rappresenta i cittadini e scioglie il Parlamento se gli toglie la fiducia
3) ... la formazione delle leggi diventa complicata molto più di ora, tra Camera dei deputati e Senato delle regioni, causa conflitti di competenza e fa aumentare i decreti del governo
4) ... la Corte Costituzionale (giudica che le leggi rispettino la Costituzione) viene indebolita perché più influenzata dai partiti nella nomina dei giudici, e il Presidente della Repubblica è esautorato
Votiamo NO al guasto della Costituzione !
Gli aggiornamenti necessari della Costituzione si devono fare con largo accordo tra tutte le parti che rappresentano tutti si devono fare con saggezza storica, su singoli punti precisi e non con improvvisazioni interessate perché la Costituzione è la legge fondamentale e permanente è il frutto delle sofferenze e delle conquiste del popolo nella storia è la legge di tutti che dura nel tempo non è una legge ordinaria non è per realizzare i programmi della maggioranza che al momento governa
(www.ildialogo.org/politica, Mercoledì, 21 giugno 2006)
L’ex presidente : "La Carta è viva e attuale. E’ la mia Bibbia civile
Opporsi al nuovo testo non significa essere conservatori"
Ciampi: "Una riforma fuori dalle regole
ecco perché voterò contro"
Prodi: ridurremo il numero dei parlamentari
di MASSIMO GIANNINI (La Repubblica, 23.06.2006)
ROMA - "L’ho già detto pubblicamente, e non ho mai avuto dubbi: andrò a votare al referendum, perché sono un cittadino italiano. E voterò "no", per difendere la nostra Costituzione, che è bella, è viva e più attuale che mai". Nel giorno della qualificazione della nazionale italiana ai mondiali di calcio, e a due giorni dal referendum sulla riforma del Polo, che riscrive ben 54 articoli della nostra Carta fondamentale, in casa Ciampi circola un’aria di sano "patriottismo costituzionale", secondo la felice definizione di Jurgen Habermas rilanciata ieri su questo giornale da Pietro Scoppola e sul "Corriere della Sera" da Claudio Magris.
L’ex presidente della Repubblica non fa mistero della sua soddisfazione per la vittoria degli azzurri, ma non nasconde la sua preoccupazione per i ripetuti tentativi, sempre più frequenti in queste ultime ore, di politicizzare e insieme svalorizzare la Costituzione. Di piegarla a strumento di propaganda politica. Di farne un uso "congiunturale", di parte e di partito.
"Lo sapete - ripete ancora una volta Carlo Azeglio Ciampi - nel corso del mio settennato la Costituzione è sempre stata la mia Bibbia civile. E continuerà ad esserlo". Per questo il predecessore di Giorgio Napolitano al Quirinale è più che mai convinto di dover votare no al "colpo di spugna" voluto dal centrodestra nella passata legislatura. Per questo l’attuale senatore a vita non raccoglie l’ultima provocazione lanciata da Silvio Berlusconi, che aveva definito "indegno" chi non voterà sì a quella sedicente "riforma".
"Per carità - si schernisce adesso Ciampi - a queste parole non voglio rispondere. Non voglio entrare in questa polemica, anche perché mi pare che chi l’ha sollevata sia già stato costretto ad autosmentirla". Ci tiene, il presidente emerito, a non farsi travolgere dal chiacchiericcio del teatrino politico. A mantenere un profilo alto, istituzionale. Ma non per questo intende rinunciare ad esprimere il suo giudizio sull’oggetto del referendum, che resta fortemente negativo. "E il mio è un no ragionato, non un no acritico", conferma Ciampi, che sulla questione sta studiando da tempo, e ha maturato una convinzione che gli deriva dai pareri e dagli scritti dei più importanti giuristi italiani.
Secondo Ciampi, il "pacchetto" di modifiche costituzionali messo insieme dalla Casa delle Libertà - come ha detto l’ex presidente della Consulta Valerio Onida - rischia in effetti di "minare il funzionamento delle istituzioni". Lo confermano i più grandi costituzionalisti italiani, a partire da Gustavo Zagrebelski fino ad arrivare a Andrea Manzella. Lo ha ribadito, proprio in questi ultimi giorni, Francesco Paolo Casavola. "Andate a rileggere quello che ha scritto sul ’Mattino’ di Napoli - commenta Ciampi - e capirete perché non si può non votare no a questo referendum".
Di quell’articolo, uscito sul quotidiano partenopeo martedì scorso, l’ex Capo dello Stato condivide dalla prima all’ultima riga. A partire da una premessa fondamentale: la riforma del Polo, passata con la formula della revisione costituzionale prevista dall’articolo 138 della stessa Carta, è di fatto illegittima. Il testo approvato dalla Cdl, infatti, mira a cambiare la forma di Stato e di governo, ma così facendo viola l’articolo 139 della stessa Costituzione: "La forma repubblicana - c’è scritto - non può essere oggetto di revisione costituzionale".
Questo "istituto", secondo l’articolo 138, era stato pensato dai costituenti per introdurre modifiche "puntuali e circoscritte" della nostra Costituzione. La riforma del Polo è invece una riscrittura radicale, confusa e contraddittoria, della Carta del ’48. Qui sta il rimando fondamentale, e di metodo, che Ciampi fa allo scritto di Casavola: "Passare dallo Stato unitario allo Stato federale, dal governo parlamentare al premierato che non ha contrappesi né nel presidente della Repubblica né nel Parlamento, non si può con revisione della Costituzione, perché la Costituzione lo vieta".
Meglio di così non si poteva dire. E a chi obietta perché Ciampi, quand’era sul Colle, abbia dato via libera e abbia promulgato questo inaccettabile stravolgimento della sua "Bibbia civile", l’ex Capo dello Stato risponde a tono: "Anche questa - dice - è una polemica strumentale. Quel testo, dopo la sua quarta approvazione parlamentare, non è mai passato al Quirinale. E’ stato pubblicato direttamente sulla Gazzetta Ufficiale, perché gli italiani potessero poi richiedere il referendum confermativo. E dunque non è mai transitato né sulla mia scrivania, né su quella dei miei uffici giuridici".
Se in via del tutto ipotetica questo fosse stato permesso dalle procedure costituzionali, l’ex presidente della Repubblica non avrebbe esitato ad opporre il suo "no" alla promulgazione dell’ennesimo strappo legislativo voluto dal centrodestra, dopo la Gasparri sulle tv, la Castelli sulla giustizia e la Cirielli sulla prescrizione. Perché a Ciampi, anche nel merito, questa riforma sembra inaccettabile. Il senatore a vita non vuole addentrarsi nei dettagli. Ma ancora una volta invita alla lettura dell’articolo di Casavola.
La devolution non farà altro che privare il cittadino del principio di uguaglianza di fronte a beni essenziali come la salute, l’istruzione, la sicurezza, "disponibili solo da quell’unico sovrano che è la Nazione". Il premierato "forte" significa solo "l’uscita dal principio delle democrazie costituzionali", secondo cui "ogni potere è bilanciato da un altro potere". Ciampi l’ha detto più volte nel corso del suo settennato, ed oggi ne è ancora più convinto: "La nostra Costituzione è viva e attuale, perché in essa gli italiani si riconoscono ogni giorno".
Questo non vuol dire che l’ex Capo dello Stato appartenga alla schiera dei cultori del "dogma dell’inviolabilità della Costituzione". Nel corso del suo settennato ha ripetuto più volte, e oggi ne è ancora più convinto, che si possa anche "pensare di ritoccarla, di fare delle correzioni, ma nel rispetto della sua essenza". E purché se ne rispetti il "valido telaio sul quale operare le modifiche necessarie in un mondo che cambia, senza disperderne i principi e i valori fondamentali". Insomma, Ciampi rifiuta lo schema demagogico e ideologico di chi, sul versante dell’attuale opposizione, oggi sostiene che votare sì al referendum significa essere "progressisti e moderni", mentre votare no equivale a qualificarsi come "vecchi e conservatori".
"Le modifiche alla Costituzione - ragiona in queste ore l’ex Capo dello Stato - sono possibili nei limiti previsti dall’articolo 138 combinato con l’articolo 139". Modifiche di portata più ampia, come ha detto durante la sua permanenza sul Colle e come continua a dire anche oggi, "non possono essere affidate solamente ad una parte, sostenendo che vi è una maggioranza che ha i voti e le fa passare a tutti i costi, salvo poi fare ricorso al referendum finale del cittadino". E comunque qualunque modifica dovrebbe assicurare "la coerenza e la funzionalità del quadro costituzionale, nel suo insieme e in tutte le sue parti".
E’ esattamente questa, la coerenza che manca al disegno "pseudo - riformatore" della Cdl. Che invece, come afferma Casavola e come conviene Ciampi, mira solo a "scambiare per Costituzione un’autorizzazione a governare, per interessi congiunturali o particolari". Ecco perché, una volta di più, il senatore a vita, domenica prossima, scriverà sulla scheda il suo no. Un no che non vuole chiudere, ma semmai aprire una fase di confronto. Rimettere in moto un processo di revisione coerente con i valori irrinunciabili di uno Stato costituzionale. Ci ha lavorato per sette anni, purtroppo inutilmente. Far dialogare i due poli, per garantire una "difesa dinamica dei nostri valori costituzionali".
Quel dialogo andrebbe ripreso. Il no al referendum lo consente, il sì rischia di precluderlo per sempre. Sarebbe il peggiore dei mali, secondo Ciampi, convinto insieme a Casavola che "la Costituzione non è di destra né di sinistra, ma è di tutti e per tutti". Si finisce da dove tutto era cominciato: "patriottismo costituzionale". Non c’è altra formula, per descrivere le parole e i pensieri di Ciampi alla vigilia del referendum. C’è giusto il tempo, prima del voto di domenica prossima, per brindare al raddoppio di Inzaghi contro la Repubblica Ceca. "Bella partita", commenta il senatore a vita.
Allora, forza Italia. Ciampi sorride, ci pensa un attimo e poi aggiunge: "Sì, sì, forza Italia. Ma non equivochiamo: lo dico in senso calcistico".
(23 giugno 2006)
Inoltre E’ BENE tenere presente e NO ... farsi confondere le idee tra le posizioni della gerarchia e del partito "Forza ...Chiesa"!!!, e le posizioni di TUTTA LA CHIESA : c’è l’abisso!!!
AL REFERENDUM SULLA COSTITUZIONE, VOTARE "NO" È UN DOVERE MORALE
di Mons.Enrico Chiavacci*
In Italia siamo chiamati ad accogliere o respingere in blocco importanti modifiche alla Costituzione della Repubblica. È una scelta grave, che richiede conoscenza della Costituzione e delle molte modifiche da valutare. Purtroppo la grande maggioranza degli italiani non conosce la Costituzione, e non sa neppure che cosa sia una Costituzione: e questo vale anche per buon numero dei parlamentari.
Una Costituzione è l’atto con cui uno Stato si costituisce autonomamente di fronte alla comunità internazionale, ed è la Carta fondamentale che definisce l’identità di un popolo. Con la Costituzione vengono stabiliti:
le finalità essenziali e irrinunciabili della convivenza (della Repubblica Italiana);
gli strumenti per perseguire tali finalità, e cioè i così detti ‘poteri dello Stato’.
Le modifiche oggi sottoposte al referendum riguardano la seconda parte: i poteri dello Stato, che sono sostanzialmente tre.
Il potere legislativo: fare leggi che attuino al meglio le finalità costituzionali. Esse potranno variare al variare delle diverse situazioni storiche in cui la Costituzione deve essere attuata: la Costituzione è la legge per il legislatore, a cui impone direzioni e limiti. Il legislatore è solo il parlamento.
Il potere esecutivo: fare osservare le leggi, stabilirne i regolamenti attuativi e costituire le strutture punitive per i violatori, governare la finanza pubblica con le finalità e i limiti stabiliti dalle leggi. Tale potere spetta al governo.
Il potere giudiziario: giudicare se le leggi siano state violate, e punire i trasgressori nei modi stabiliti dalla legge.
Vi è poi, in ogni Stato democratico moderno, una Corte suprema - da noi la Corte Costituzionale - che deve giudicare inappellabilmente il rispetto delle direttive e dei limiti imposti dalla Costituzione ai singoli poteri, ed eventualmente dirimerne le controversie. Nei Paesi, come l’Italia, in cui alcuni poteri siano esercitati dalle regioni, dovrà dirimere le controversie fra poteri locali e poteri dello Stato.
Una netta separazione fra i tre poteri è oggi la migliore garanzia perché l’uomo e il cittadino vedano rispettati i propri diritti stabiliti dalla Costituzione o da organizzazioni internazionali a cui un Paese abbia aderito (tale limitazione della sovranità è prevista dalla Costituzione italiana). La garanzia consiste in questo: nessun potere può essere esercitato senza il consenso o il controllo di un altro potere: in tal modo nessun uomo o gruppo politico può assumere tutto il potere. Per evitare situazioni di paralisi reciproca fra i tre poteri, come era successo fra le due guerre in alcuni Paesi europei, la Costituzione italiana prevede la figura del Presidente della Repubblica (il Capo dello Stato) come custode della Costituzione stessa e dell’unità dell’Italia, dandogli specifici poteri di intervento. E su questo preciso punto il referendum ha particolare e gravissima importanza.
Sul potere legislativo il Presidente può rifiutare la firma di una legge approvata dal Parlamento, per motivi di incostituzionalità, e rinviarla alle Camere con messaggio motivato. Se la legge venisse rivotata senza le modifiche richieste, la legge è in vigore. Ma il Presidente ha un altro potere: il potere di sciogliere le Camere, un potere che spetta a lui solo. Ciò può avvenire se sia impossibile formare un governo che goda della fiducia del Parlamento, o anche quando venga confermata una legge palesemente anticostituzionale. Il Presidente non ha un suo potere legislativo, ma ha il potere di rimettere al giudizio del popolo gravi situazioni conflittuali.
Sul potere esecutivo il Presidente ha il potere di incaricare un nuovo presidente del Consiglio e di nominare (o rifiutare) i ministri da lui proposti. Il governo così costituito dovrà poi avere la fiducia del Parlamento: anche in questo caso non vi è potere esecutivo diretto, ma la scelta viene sottoposta al giudizio delle Camere.
Sul potere giudiziario il Presidente presiede il Consiglio superiore della magistratura: non può deciderne le deliberazioni, ma può autorevolmente consigliare e indirizzare.
Il Presidente è inoltre il capo delle forze armate e presiede il Consiglio superiore di difesa. Ha il potere di nomina di alcuni membri della Corte costituzionale e di alcuni senatori a vita.
Riforma come un cavallo di Troia
Le modifiche sottoposte a referendum sono spesso indicate come modifiche al sistema regionale: questo è vero. Ma è anche vero che in modo meno reclamizzato la riforma modifica radicalmente alcuni cardini essenziali della Costituzione riguardanti i poteri dello Stato e le garanzie dei cittadini. Vediamone alcuni elementi fondamentali.
Il Presidente della Repubblica non nomina i ministri: li nomina il presidente del Consiglio, che ora dovrebbe cambiare nome in ‘Primo Ministro’. Modifica indicatrice di un profondo cambiamento. Salvo casi eccezionali, il Presidente della Repubblica non ha più il potere di sciogliere le Camere: anche questo passa al Primo Ministro.
Il Primo Ministro, in base alle recenti leggi elettorali, è automaticamente quello indicato dai collegamenti delle liste elettorali. A lui spetta ora il potere di sciogliere le camere, di nominare e di cambiare i ministri.
Con questi due soli cambiamenti cade la severa separazione dei poteri legislativo ed esecutivo. Infatti il governo è completamente dominato dal Primo Ministro, che impone i ministri e li può cacciare quando non siano d’accordo con lui. Ma il Primo Ministro, con la legge elettorale vigente, è collegato automaticamente alla maggioranza del potere legislativo. Saranno così ben rari i casi di sfiducia al governo da parte del Parlamento, e inoltre vi è la clausola della ‘sfiducia costruttiva’, che prevede la costituzione di un nuovo governo all’interno della stessa maggioranza che ha sfiduciato il precedente. In casi estremi irrimediabili, il Primo Ministro può sciogliere le camere di sua insindacabile iniziativa. Legislativo ed esecutivo sono entrambi - salvo casi veramente eccezionali - nelle mani del Primo Ministro.
Né miglior sorte tocca al potere giudiziario, anche se per via indiretta. Infatti:
la rigida separazione fra procuratori e giudici, con promozioni per concorso, potrebbe aprire la porta in modo indolore a controlli da parte dell’esecutivo. Si sa come vanno in Italia i concorsi. Il timore di apparire non graditi all’esecutivo induce spesso una ‘autocensura’ nell’animo dei magistrati aspiranti. Con la riforma prospettata dell’ordina-mento giudiziario, l’intromisione diretta o velata da parte degli altri poteri è certo da attendersi;
Nell’ordinamento costituzionale ora vigente, solo 5 membri su 15 sono eletti dal Parlamento (cioè dalla maggioranza al potere). Con la riforma proposta sarebbero 7 su 15: sarebbe sufficiente un solo voto fra gli altri 8 per deliberare. Il rischio di controllo del potere legislativo è grande, proprio là dove deve esser controllata la costituzionalità di un atto del potere legislativo stesso.
Il referendum viene presentato come attuazione della devolution, ma al suo interno, come in un cavallo di Troia, viene introdotto un vero sconvolgimento dei principii stessi della nostra Costituzione.
La Chiesa non può tirarsi fuori Quanto alla devolution, accenniamo appena a tre punti che ci sembra sconvolgano l’intero sistema. 1 - Col Senato federale scompare il sistema bicamerale, salvo casi particolari di conflitto fra Camera e Senato federale, di soluzione complessa (e confusa), e con l’ultima parola riservata al Primo Ministro, e cioè al capo dell’esecu-tivo. L’attuale doppia lettura e votazione di una stessa legge è strumento importante di democrazia per due motivi. I tempi di passaggio fra le due assemblee consentono un dibattito pubblico (giornali, tv e altro) importante: spesso le correzioni fatte nella seconda lettura hanno consentito in passato miglioramenti notevoli. Ma è anche importante la differenza di età degli elettori: gli elettori della Camera - 18 anni - hanno cose nuove da dire, ma votano più per giovanile impulso che per riflessione sul bene del Paese, mentre gli elettori del Senato - 25 anni - sono già meno aperti alle novità, ma hanno anche maggiore maturità; e ad essi si aggiungono i senatori a vita scelti per lunga esperienza e per prestigio internazionale nei vari campi del sapere e del-l’impegno sociale. La fine del sistema bicamerale è la fine di questa possibilità dialettica di vita democratica. 2 - Le regioni hanno potestà legislativa esclusiva su assistenza e organizzazione sanitaria e su organizzazione e programmi scolastici: sanità e scuola sono due diritti essenziali per ogni cittadino (e per ogni essere umano qui residente) che devono essere garantiti e regolati per tutti nello stesso modo e nella stessa misura. Cade il principio degli ‘inderogabili doveri di solidarietà’ di ciascun cittadino verso tutti: tali doveri sarebbero attuati in maniera diversa da regione a regione. 3 - La potestà legislativa di Stato e regioni deve oggi rispettare la Costituzione, ma anche gli obblighi internazionali: quest’ultimo vincolo sparisce dalla nuova proposta. Vi sono qui nascoste due cose. La prima cosa è lo spirito antieuropeo e xenofobo e la velata chiusura all’altro: fra tali obblighi vi è la percentuale del Pil per i Paesi poverissimi e l’impegno contro l’inquinamento (Kyoto). La seconda cosa è che fra gli obblighi internazionali vi è anche il trattato e il concordato con la Santa Sede, che in base a questa modifica dell’art. 117 potrebbero essere violati anche da singole regioni. E questa insana modifica potrebbe avere ben più gravi conseguenze. È certo che la Costituzione va rivista, soprattutto per snellire varie procedure e dare più spazio al sistema regionale. Ma i fondamenti della convivenza e i principi ispiratori non possono essere toccati. L’unità del Paese non può essere frantumata in una federazione di Regioni con ampia autonomia anche rispetto alle esigenze del bene comune: e vi è chi auspica, anche esplicitamente, una specie di secessione. Le supreme garanzie di libertà e di solidarietà per tutti i cittadini e i residenti, assicurate dalla separazione dei poteri e dalla funzione attiva del Presidente della Repubblica, non possono essere in alcun modo toccate. Si ricordi che negli Usa - uno Stato federale - molti singoli stati federati hanno e applicano la pena di morte mentre altri la rifiutano. Si noti infine che questo referendum deve esser votato in blocco: non si può votare solo perché ci piace un punto o una parte. È strettamente doveroso considerarlo nel suo insieme: approvare le modifiche proposte vuol dire approvarle tutte. Ed è seria opinione di chi scrive questi brevi cenni che la Chiesa italiana non possa dichiararsi ‘neutrale’ di fronte allo scardinamento sistematico di una Costituzione che tutela gli inalienabili diritti di libertà e gli inderogabili doveri di solidarietà di ciascuno verso tutti. Queste nostre righe potranno aiutare, si spera, a comprendere meglio quale sia la posta in gioco, ben al di sopra di divisioni fra partiti o gruppi o maggioranze e minoranze varie. È anche seria opinione di chi scrive che votare contro le modifiche costituzionali sul tappeto sia un grave dovere morale per ogni uomo di buona volontà: ricordiamo che Mussolini e Hitler andarono al potere per vie costituzionali simili a quelle ora proposte, senza alcuna rivoluzione, e in breve tempo assunsero nella propria persona tutti i poteri. Né vacanze o gite o incomodi vari possono passare avanti a questo dovere. È in gioco l’unità e la democrazia del nostro Paese, il futuro di noi tutti.
*Mons. Enrico Chiavacci è docente di teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale
IL TUO SÌ CONTRO LE FALSITÀ DELLA SINISTRA
1) Non è vero che la riforma faccia scempio della Costituzione: i principi fondamentali e i diritti di libertà contenuti nella prima parte non vengono toccati, perché la riforma modifica la seconda parte della Costituzione, che riguarda il funzionamento degli organi statali e regionali. Peraltro se vincessero i no non torneremmo alla Costituzione del 1948 ma a quella del 2001, modificata dal "federalismo" della sinistra, che ha creato tanti contenziosi tra Regioni e Stato e dunque sprechi di tempo e denaro.
2) È falso che la riforma porti alla "dittatura del premier". L’indicazione del suo nome sulla scheda elettorale, il potere di nomina e revoca dei ministri, la facoltà di chiedere lo scioglimento della Camera, erano previsti nella bozza di riforma della commissione D’Alema del 1998. Sono gli stessi poteri che hanno sindaci, presidenti di provincia e di regione, servono per garantire stabilità di governo e tutelano il diritto dei cittadini di scegliere un primo ministro, un governo, un programma, garantendo questo diritto con le norme antiribaltone.
3) La riforma non mette in pericolo l’unità nazionale ma al contrario la rafforza, perché: a) introduce il concetto di interesse nazionale e dà al governo il potere di bloccare le leggi regionali che danneggino l’interesse collettivo; b) distingue con chiarezza le materie di competenza statale e quelle di competenza regionale, riportando allo Stato la competenza su tredici importanti materie (prime fra tutte energia e infrastrutture) e perfezionando il meccanismo di devoluzione alle Regioni.
4) Non avremo venti sanità regionali perché le Regioni faranno leggi sull’organizzazione ospedaliera e sanitaria per una gestione più attenta alle esigenze locali ma rimane allo Stato il compito di garantire i livelli essenziali di assistenza. Allo stesso modo le Regioni avranno competenza sull’organizzazione delle scuole e sulla formazione professionale ma i programmi di studio restano nazionali, integrati da moduli di insegnamento regionali, per preservare le tradizioni delle singole regioni.
5) Sarebbe meglio fare le riforme costituzionali con l’accordo di tutti: peccato che nel 2001 la sinistra per prima riformò la Costituzione da sola. Inoltre "dimenticano" che la Costituzione stessa prevede un procedimento di modifica a maggioranza e di conseguenza un referendum confermativo come giudizio ultimo affidato al popolo.
Dunque il 25 e 26 giugno vota e fai votare Sì per dire no alle falsità della sinistra e per confermare una buona riforma, che divide con chiarezza i compiti di Stato e Regioni e che velocizza e razionalizza la procedura per fare le leggi. Votare Sì salva una riforma che garantisce più potere ai cittadini, istituzioni più efficienti e che riduce di 175 il numero dei parlamentari, misura simbolo di uno Stato meno costoso e più produttivo.