La rassegna stampa sulla LETTERA APERTA A BENEDETTO XVI
Italia: le « donne » dei preti cattolici vengono allo scoperto
di Gildas Le Roux
Articolo di France PRESSE in una nostra traduzione dal francese *
Roma, 1 giugno 2010 (AFP) - Relegate nella clandestinità, le donne che condividono la vita dei preti italiani hanno deciso di uscire allo scoperto e rimettere in questione il celibato dei chierici, già contestato dopo gli scandali di pedofilia che hanno scosso la chiesa cattolica.
Una dozzina di loro hanno unito le forze per inviare una “lettera aperta” a Benedetto XVI e a tutti coloro che amano definire il celibato obbligatorio “un valore sacro” (il testo completo è disponibile su www.ildialogo.org).
“L’idea della lettera è sorta poiché, in questo periodo di grande tumulto, il papa ha riaffermato a più riprese il carattere sacro del celibato, e allora ci siamo dette che era tempo di reagire”, testimonia una delle firmataria, Stefania Salomone, 42 anni, che ha vissuto una storia di cinque con un prete.
Pubblicata il 28 marzo, questa lettera, nella quale le firmatarie affermano di sperare nell’eliminazione del celibato obbligatorio, è rimasta riservata fino a quando un sito di un’agenzia di stampa, il Global Post, non l’ha pubblicata.
“Solo tre donne hanno accettato di firmare la lettera col loro nome”, ci dice Stefania, “perché il rischio è che se la donna rende pubblica la sua storia, il prete la lascia, e questo anticipa il fatto che quelle che si esprimono, raccontano storie già finite”.
Questo è anche il caso di Luisa, 38 anni, che ha avuto una relazione con un prete oggi 35enne, dal quale ha avuto un figlio.
Lo ha incontrato sei anni e faceva il parroco a circa una quarantina di chilometri di distanza : « E’ venuto a vivere con me e aveva raccontato alla sua famiglia che viveva in canonica; alla parrocchia che viveva in famiglia”.
“Nella mia cittadina la gente faceva come se niente fosse », ci confida, aggiungendo che avevano deciso di passare alla chiesa anglicana per poter vivere la storia alla luce del sole.
Ma alla fine, anche dopo la nascita del loro bambino che oggi ha circa 20 mesi, ha deciso di lasciarla. “E’ stato molto doloroso: la sua famiglia mi ha mandato da un esorcista e mi accusava di stregoneria. Quanto al vescovo, mi ha chiesto di dare il bambino in adozione”, ci racconta, col cuore spezzato.
Il suo ex ha visto suo figlio, ma ha deciso di non riconoscerlo. “Lo ha visto so lo dieci minuti quando aveva due mesi, e questo è quanto ».
Oggi Luisa si dice “disgustata” dall’atteggiamento della chiesa cattolica. Rimasta credente, ha fatto battezzare suo figlio nella chiesa anglicana di Roma.
Stefania Salomone, che vive e lavora a Roma, non ha avuto figli, ma la sua storia non è meno dolorosa. « Tutto è cominciato come un rapporto di amicizia, una tipica relazione di quelle che si instaurano tra il prete e le persone che si occupano delle attività parrocchiali”, ci racconta. Il prete “non è mai riuscito ad accettare i propri sentimenti. Era turbato e non sapeva come reagire ».
« Non mi sento di vederti », perché si vergognava dei suoi sentimenti. “Per lui ero diventata ingombrante, come di troppo » . Alla fine è riuscito ad ammettere i suoi sentimenti, ma subito dopo mi ha detto che non voleva vedermi più”.
“Secondo me il celibato è completamente inutile. E’ stato introdotto per ragioni meramente economiche”, ci dice Stefania che sottolinea il fatto che “si dimentica che ci sono stati 39 papi sposati. Non c’è ragione al mondo che giustifichi che qualcuno impedisca ad un altro di esercitare un proprio diritto fondamentale”, afferma con convinzione.
Questi argomenti hanno risuonato abbastanza nei sacri palazzi cattolici quando a metà maggio alcuni vescovi hanno chiesto al vaticano di aprire il dibattito sul celibato dei preti e sull’ordinazione di uomini sposati.
glr/mle/cac
Gildas LE ROUX
Agence France Presse (AFP)
* Il Dialogo Martedì 01 Giugno,2010 Ore: 17:42 (ripresa parziale)
Dieci "preti di frontiera" del Nordest: «Chiesa, apri a donne e sacerdoti sposati»
Alla messa di Natale celebrata nell’atrio della stazione di Padova una lettera per chiedere il superamento del celibato, l’abbandono dei titoli e «la libertà da tutti i vincoli con il potere». Tra i firmatari anche il padovano Albino Bizzotto *
PADOVA. L’atrio della stazione ferroviaria, pur capace, non basta ad accogliere i fedeli. Giovani, giovanissimi, coppie, famiglie: alle 22 si celebra la messa notturna di Natale, fra display pubblicitari e annunci sonori dei treni in arrivo. Presto però il coro e le chitarre hanno ragione dei rumori fuori scena. Il via vai continua ma diventa uno sfondo. Sul palco, ad officiare, una rappresentanza dei “preti di frontiera del Nordest”.
Dieci parroci, da sempre a contatto con gli emarginati e spesso balzati alle cronache per posizioni eterodosse rispetto al Magistero. Sono Albino Bizzotto (Padova),Pierluigi Di Piazza (Udine, Franco Saccavini (Udine), Mario Vatta (Trieste), Giacomo Tolot (Pordenone), Piergiorgio Rigolo (Pordenone), Alberto De Nadai (Gorizia), Andrea Bellavite (Gorizia), Luigi Fontanot (Gorizia) e Antonio Santini (Vicenza). La Lettera di Natale che hanno sottoscritto chiede una Chiesa «che apra le porte alle donne prete e ai preti sposati»; una Chiesa «povera, senza titoli nobiliari, senza paludamenti e libera dai vincoli di potere»; una Chiesa «che paghi le tasse e chieda perdono agli omosessuali e alle vittime di pedofilia»; una Chiesa più democratica, «luogo di perdono che accolga tutti».
Non sono ribelli ostili, i preti di frontiera. E rivendicano, anzi, l’appartenenza alla comunità ecclesiale. Che vorrebbero diversa, però. Più in sintonia con l’annuncio del Vangelo, più vicina agli ultimi. «La nostra lettera è ispirata al Concilio Vaticano II», spiegherà don Di Piazza «l’abbiamo scritta per comunicare ciò che le persone comunicano a noi, un modo per mantenere vive le sollecitazioni e continuare il dialogo».
Quest’anno il messaggio è incentrato sulla Chiesa «cui siamo profondamente grati», si legge «ed è questa gratitudine che ci sostiene nel considerare le ombre e i tradimenti al Vangelo. Quando la Chiesa riceve potere perde la forza di denunciare l’illegalità, l’ingiustizia, l’immoralità, il razzismo, come avviene nella nostra Regione a livello politico e legislativo».
Parole come pietre, senza enfasi, tuttavia. Quasi la naturale conseguenza di un cammino cristiano che ha come interlocutori privilegiati coloro che meno hanno e meno contano. Così, nell’omelia, la parola corre subito «ai fatti di Firenze e di Torino», l’assassinio degli ambulanti senegalesi e la caccia selvaggia ai rom, lampi di orrore per i quali viene chiesto perdono. Poi l’odissea degli immigrati, i rifugiati in attesa di asilo, i nati in Italia ancora privati («Crudele ingiustizia») dei diritti di cittadinanza. Rimbalzano temi d’attualità, dal ripensamento dell’ora di religione (che dovrebbe diventare «studio del fenomeno religioso») al nodo dei cappellani militari («Perché resta l’incompatibilità tra Vangelo e armi»).
Ma anche la congiuntura sociale e il rapporto Chiesa-politica: «Una Chiesa che tace di fronte alle tragedie del mondo è lontana anni luce da Gesù. La crisi attuale è etica e culturale prima che economica. I cristiani devono impegnarsi per un mondo nuovo, ma non è pensabile un partito di cattolici». La folla dei fedeli annuisce, scambia pensieri, si stringe ai celebranti. Adulti di colore e ragazzine con piumino e piercing, madri di famiglia. E quando una giovane coppia alza sull’altare Ginevra, neonata in fasce, l’applauso scroscia liberatorio.
27 dicembre 2011
http://mattinopadova.gelocal.it/cronaca/2011/12/27/news/una-lettera-di-dieci-parroci-chiesa-apri-alle-donne-1.2881048
La catena dell’amore nelle parrocchie padovane: 19 preti hanno “lasciato” per una donna
Le parrocchie del padovano sono un’eccezione, un “caso” gonfiato dalla legittima curiosità delle cronache, oppure sono la “regola” nascosta, taciuta e negata da una Chiesa cattolica comprensibilmente più che imbarazzata? Succede infatti che nel padovano i preti, al plurale, si innamorano. Di una donna. Donna che vogliono sposare e spesso lo fanno. Federico Bollettin, 35 anni, prete sposato con una donna nigeriana, padre di due figli, offre la sua contabilità del fenomeno: “Negli ultimi dieci anni sono stati ordinati 76 preti diocesiani. Hanno abbandonato il ministero in 19 e altri quattro o cinque sono in fase di riflessione. Questo vuol dire che che a Padova un prete su quattro si toglie la tonaca”. E non perché è svanita la fede ma perché è nato un amore, un insopprimibile amore per una donna.
Dalle cifre ai nomi: don Sante Sguotti che ora fa il camionista per mantenere la moglie e il figlio, celebra messa nonostante sia sospeso “a divinis”. Don Paolo Spoladore, don Romano Frigo che sta meditando sul suo futuro e sul suo amore ormai pubblico per una ragazza cattolica di 26 anni...La Curia di Padova nega che sia in atto un “fenomeno”, ricorda gli ottocento sacerdoti in servizio rispetto ai quali i 19 o anche più sono eccezione. Però imbarazzo in Curia c’è, anche se non certamente sconcerto. “La terra dei preti innamorati” ha titolato il Corriere della Sera, mentre il Corriere Veneto corre ad intervistare e ad identificare fidanzate. Nei bar e sulle piazze del padovano qualche sciocca battuta sull’aria che trasporta pollini d’amore e qualche più serio abbozzo di risposta del tipo: “qui si viene a sapere, altrove si tiene nascosto”. Fatto sta che una, due, tre, diciannove “coincidenze” fanno un indizio. Indizio non che Padova e la sua terra siano chissà perchè la culla dei preti innamorati, ma della difficoltà umana del celibato.
* BLITZ Quotidiano, 7 settembre 2010
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Lettere
Innamorata di un prete
Risponde Umberto Galimberti
Da circa due anni sto vivendo una relazione con il priore (ora ex) del monastero cistercense di S. Maria di Chiaravalle, alle porte di Milano. Si tratta innanzitutto di una bellissima storia d’amore come mi auguro ce ne siano tante ma, come Lei certamente può immaginare, non è una storia che è stato ed è possibile vivere serenamente in forma privata in quanto questo tipo di amore, come molti altri, rientra nella categoria che la gerarchia ecclesiastica ritiene fuori legge. L’iter è stato quello "canonico": vissuto i primi tempi in segreto tra le mura del monastero, è poi uscito allo scoperto ed è stato sottoposto a ogni sorta di persecuzione, di minaccia e di demonizzazione.
Il reale "crimine" di cui siamo stati accusati non è stato, infatti, quello di amarci (anche se, come è noto, secondo il Codice di Diritto Canonico per ogni amore "non lecito" è prevista la condanna come per un delitto quale un assassinio) ma di rifiutarci di vivere questo amore nell’ombra, come previsto, se non dalla legge, dalle consuetudine. "Fai quello che vuoi, ma fallo di nascosto" è stato detto ad Alberto. Ma lui ha risposto che di nascosto si ruba e si uccide, non certo si ama. Così ora è fuori dal monastero e, da sette mesi, viviamo insieme progettando il nostro presente e il nostro futuro tra una lettera di minaccia di sospensione a divinis e l’altra. Cito solo ad esempio una parte di una delle lettere a lui pervenute dai suoi attuali superiori: -"Carissimo padre Alberto... ho voluto rileggermi... gli articoli del Codice di Diritto Canonico e di conseguenza mi sento in dovere di esprimerti quanto segue: non devi abitare né stabilmente né saltuariamente (vedi CIC 1395 § 1) con la persona che ti ha distolto dalla tua vocazione. In caso contrario sarò costretto a informare i Superiori perché mettano in atto le procedure previste dal Codice. Augurandomi che non si debba giungere a tanto, concedo un lasso di tempo di trenta giorni perché tu possa impetrare dallo Spirito Santo la forza di dare un taglio netto e non calpestare il grande dono della vocazione che il Signore ti ha concesso. Pregando per te e in particolare affidandoti a Maria perché allontani il nemico e sani le ferite del tuo spirito, ti abbraccio fraternamente".
Credo che questi fatti siano già una dura verità ma, purtroppo, non sono tutto.
L’ultimo evento che ci ha turbato è stata una comunicazione ufficiale arrivata al mio ex-marito, con cui ho mantenuto ottimi rapporti, dall’Abate Generale della Congregazione in cui viene accusato di essere responsabile degli accadimenti successi all’ex-priore di Chiaravalle in quanto, sempre secondo il Diritto Canonico, responsabile dello scioglimento, contrario alla legge, del nostro vincolo matrimoniale (tenga conto che siamo separati di fatto da 7 anni e legalmente da 3).
Tutto questo per dirle che ci sono dei momenti in cui vivo la storia che ci è capitata come un grande privilegio perché l’amore che ci unisce è davvero speciale. In altri, però, sono davvero presa dallo sconforto e dal panico perché mi rendo conto che i roghi e le persecuzioni di oggi, se pur meno cruenti, sono anche più violenti di un tempo. È accettabile che passi ancora sotto silenzio che l’Istituzione Ecclesiastica continui a trarre potere dalle ferite e dai malesseri personali, rinforzandoli e perpetuandoli, anziché essere veicolo, come sarebbe auspicabile, di strumenti di guarigione?
Elena E. - Milano
Non ho mai pensato che l’amore, anche nella sua espressione sessuale, sia un ostacolo alla fede in Dio e alla comprensione degli uomini. Anzi. Il Vangelo non ne fa cenno, il Diritto Canonico invece sì. La domanda allora è: che tipo di uomo vuole la Chiesa quando impone ai suoi sacerdoti l’astinenza, impropriamente chiamata castità? In tutte le religioni i peccati di base, segnalati come tentazione del maligno, sono il potere, il denaro e il sesso.
Ne conviene anche la psicoanalisi quando, alle tre fasi dello sviluppo della libido, assegna alla fase orale il denaro come simbolo dell’avere, alla fase anale il potere e alla fase genitale la sessualità. Questa concordanza tra religione e psicoanalisi non deve stupire. Quando si catturano le metafore di base dell’umanità, le simboliche si riprendono e, sia pure in contesti diversi, si ritrovano. Ora, come nei vasi comunicanti, quando togliamo l’acqua da un contenitore, questa si sposta negli altri due, così nell’uomo la libido sottratta alla sessualità viene investita nel denaro e nel potere.
Non voglio dire con questo che la Chiesa, attraverso l’astinenza sessuale, costruisce uomini di denaro e di potere, ma certamente la mortificazione della carne avrà, nello sviluppo della personalità, qualche risvolto negativo, magari in un’affettività sterile, in un carattere reattivo, in un’irritabilità malcontenuta, in un integralismo non dialogante, perché se è vero che Dio è sempre disposto a perdonare i peccati, la natura, di solito, non perdona mai. Ma forse alla Chiesa sta più a cuore il buon funzionamento di sé come istituzione che le condizioni psicologiche ed emotive dei suoi sacerdoti, spesso circondati da una solitudine così radicale, che non è proprio il miglior ingrediente per uno sviluppo armonico della personalità.
* la Repubblica, 5 aprile 2003
http://d.repubblica.it/dmemory/2003/04/05/rubriche/lettere/254pre232254.html