Lunedì verranno "sparati" dai laboratori del Cern, in Svizzera
Attraverso il sottosuolo in pochi attimi arriveranno in Abruzzo
Da Ginevra al Gran Sasso
la lunga corsa dei neutrini
Fisica, le misteriose particelle protagoniste di un test storico
di CLAUDIA DI GIORGIO (www.repubblica.it, 09.09.2006)
ROMA - L’hanno chiamata "la grande corsa dei neutrini", ed è uno degli esperimenti più spettacolari e complessi della fisica di questi ultimi anni, una collaborazione internazionale in cui l’Italia, attraverso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), ricopre un ruolo di primissimo piano.
Lunedì prossimo un fascio di neutrini, forse le particelle più misteriose ed elusive tra tutti gli ingredienti della materia, comincerà a viaggiare sotto terra dalla Svizzera all’Abruzzo, percorrendo in pochi millesimi di secondo gli oltre settecento chilometri che separano i laboratori europei del Cern a Ginevra da quelli dell’INFN sotto il Gran Sasso.
Prodotto artificialmente grazie all’acceleratore SPS del Cern (lo stesso di cui si servì Rubbia per le ricerche che lo portarono al Nobel), il fascio di neutrini sarà "sparato" da un tunnel a 60 metri sotto il suolo, ma durante la sua corsa penetrerà nella roccia fino a 11 chilometri di profondità. Senza lasciare alcuna traccia, però, dato che una delle caratteristiche dei neutrini è la loro scarsissima interazione con la materia: basti pensare che in ogni momento la Terra, esseri umani compresi, è attraversata da 120 milioni di neutrini per metro cubo.
Il che può suonare rassicurante per la nostra integrità, ma è una pessima notizia per chi studia queste particelle, che sono difficilissime da catturare: per afferrarne poche decine all’anno servono grandi masse e strumenti estremamente sofisticati.
Difatti, all’arrivo (che avverrà una manciata di attimi dopo lo "sparo") i neutrini troveranno ad aspettarli un gigantesco rivelatore chiamato OPERA, una struttura da 1800 tonnellate e alta una trentina di metri, costruita nella sala C dei laboratori sotterranei del Gran Sasso proprio allo scopo di "guardare" le particelle spedite dalla Svizzera, al quale l’anno prossimo si aggiungerà un secondo rivelatore, ICARUS, che osserverà i neutrini con precisione ancora maggiore.
Ma per vedere cosa? Per dirla nel gergo dei fisici, lo scopo dell’esperimento è verificare se durante il viaggio alcuni dei neutrini si sono trasformati, "oscillando" da uno all’altro dei tre "sapori", o tipi, in cui sono conosciuti. In pratica, poiché i neutrini sparati da Ginevra sono tutti di tipo mu (o muonici), se al Gran Sasso arriverà qualche neutrino di tipo diverso si avrà la prova diretta che i neutrini oscillano. E poiché, dice la meccanica quantistica, tutto quello che oscilla è dotato di massa, si avrà la prova diretta e definitiva che anche queste sfuggenti particelle hanno una massa.
Della massa dei neutrini fino ad ora si è avuta solo la prova indiretta, ma malgrado sia piccolissima ha conseguenze enormi per il destino dell’universo. Nel cosmo, i neutrini sono diffusissimi, e aggiungendo la loro massa a quella totale nota finora, si ottiene una forza di gravità la cui attrazione è in grado di bloccare l’espansione dell’universo, invertendone la rotta. Materia ed energia potrebbero quindi tornare ad avvicinarsi, ripercorrendo all’indietro il cammino compiuto a partire dal Big Bang. Finché un Big Crunch, una grande implosione, segnerebbe la fine del cosmo, almeno come lo conosciamo ora.
L’esperimento che partirà dopodomani potrebbe, insomma, far riscrivere parecchi libri di testo. Sarà "un evento scientifico di rilevanza mondiale", come dissero Carlo Rubbia e Antonino Zichichi, che quasi sei anni fa tennero a battesimo l’inizio dei lavori. E che lunedì, assieme al ministro della Ricerca Mussi e ad altri grandi fisici italiani come Nicola Cabibbo e Luciano Maiani, saranno anche loro al Gran Sasso, a salutare l’arrivo di questi microscopici messaggeri dell’universo.
(9 settembre 2006)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Un gruppo di ricercatori inglesi e tedeschi ha trovato la ricetta per riprodurre le origini dell’universo: è già sfida a chi realizzerà per primo l’esperimento
Il Big Bang in laboratorio “Così la luce diventa materia”
di Silvia Bencivelli (la Repubblica, 21.05.2014)
PRENDERE luce, sottoforma di fotoni ad altissima energia. Sbatterla in un apparecchio cilindrico foderato d’oro. Prelevare la materia fresca fatta di elettroni e positroni che ne schizzano fuori. Ecco la ricetta per replicare il Big Bang tra le quattro mura di un laboratorio. È stata scritta da un gruppo di ricercatori inglesi dell’Imperial College di Londra con i colleghi tedeschi del Max Planck Institut di Heidelberg che, ottant’anni dopo le prime idee teoriche sulla possibilità di convertire luce in materia, sono finalmente riusciti a disegnare un esperimento capace di farlo davvero.
Si tratterebbe del primo esperimento in grado di replicare uno dei processi fondamentali avvenuti al momento della nascita dell’universo. In particolare quei primi cento secondi di quattordici miliardi di anni fa quando la pura energia della luce si è potuta trasformare liberamente in materia primordiale. Questa, successivamente, ha dato vita alla materia che oggi forma le stelle, i pianeti, noi che ci abitiamo sopra e tutto quello che esiste. Adesso, dicono gli scienziati, abbiamo la tecnologia adatta e la ricetta da seguire. Il tempo necessario per preparare l’esperimento sarebbe minimo: solo dodici mesi. E la sfida a chi lo realizzerà per primo è già aperta.
L’idea di produrre materia dalla luce risale alla metà degli anni Trenta, quando due fisici americani di nome Gregory Breit e John Wheeler presero l’equazione più famosa del loro collega Albert Einstein e scrissero che un giorno, basandosi su quella, sarebbe stato possibile trasformare la luce in materia.
Formulata nel 1905, l’equazione di Einstein afferma infatti che l’energia e la massa sono strettamente legate tra loro. A tenerle insieme c’è una costante, un numero fisso che non cambia mai, cioè il quadrato della velocità della luce. Breit e Wheeler immaginarono una dimostrazione dell’equazione di Einstein che partisse dall’energia di due fotoni (il “pacchetto minimo di energia” della luce) e che producesse un elettrone e il suo equivalente con carica positiva, cioè il positrone. Siccome gli elettroni sono in tutti gli atomi, e gli atomi sono le componenti fondamentali di ogni cosa, ecco che producendo elettroni avremmo creato materia.
Ma i due fisici americani, negli anni Trenta, non avevano la tecnologia per realizzare l’esperimento. E nemmeno potevano immaginare che un giorno questa sarebbe stata disponibile. Così scrissero anche che «l’osservazione della produzione di materia in un esperimento di laboratorio è del tutto senza speranza».
Adesso il gruppo di ricercatori inglesi e tedeschi sostiene invece, dalle pagine della rivista scientifica Nature Photonics , che finalmente ci siamo. Grazie a nuove sofisticate tecnologie, come i laser ad alta energia, dicono che l’idea di Breit e Wheeler può diventare realtà. Si tratta di sparare elettroni contro una lastra d’oro per creare fotoni un miliardo di volte più energetici di quelli della luce visibile. E poi, in una seconda fase, di farli entrare in una lattina dorata mantenuta ad altissima temperatura dove il fortissimo riscaldamento ha prodotto altri fotoni. La collisione tra i due tipi di fotoni produrrebbe la materia che cerchiamo. Non solo.
Se qualcuno allestisse un simile apparecchio per le collisioni fotone - fotone, ha spiegato il primo firmatario dell’articolo Oliver Pike, «avremmo uno strumento molto pulito per studiare tutta la fisica fondamentale ». Cioè uno strumento in cui «entra luce, esce materia ». In un certo senso, un vero nuovo Big Bang.
L’eco del Big Bang «catturato» al Polo Sud
Ascoltate in Antartico le onde gravitazionali emesse nei primi istanti di vita dell’Universo
L’annuncio degli scienziati Usa che lavorano al progetto di ricerca Bicep 2
Finora era stata rilevata la radiazione di fondo risalente a 380mila anni dopo l’esplosione iniziale
Trovata la traccia lasciata qualche frazione di secondo dopo la nascita del cosmo: odore di Nobel
di Cristiana Pulcinelli (l’Unità, 18.02.2014)
La notizia è di quelle importanti. Di quelle, per capirci, che fanno già sognare un Nobel. Alcuni scienziati avrebbero trovato il segnale residuo della rapidissima espansione che il nostro universo ha sperimentato qualche frazione di secondo dopo il Big Bang, l’evento da cui tutto l’universo ha preso origine circa 14 miliardi di anni fa.
Gli scienziati, che hanno annunciato la loro scoperta ieri pomeriggio, fanno parte di un progetto di ricerca chiamato Bicep 2 il cui scopo è osservare una parte del cielo da un telescopio situato al Polo Sud.
Al progetto lavorano scienziati provenienti dai più importanti centri di ricerca americani: Harvard University, California Institute of Technology, Stanford University, University of California, San Diego Jet Propulsion Laboratory. Ma cosa hanno visto questi scienziati? Hanno identificato un disturbo nella luce proveniente dal Big Bang. Un disturbo che potrebbe essere stato provocato dalle onde gravitazionali. Queste onde, previste dalla teoria della relatività di Einstein nel 1916, non sono state finora mai osservate. La scoperta del gruppo americano sarebbe quindi una prova, sia pure attraverso la radiazione elettromagnetica di fondo, della loro esistenza, oltre ad essere una conferma dei modelli inflazionari dell’universo.
OSCILLAZIONI SPAZIO-TEMPORALI
Questi modelli furono proposti nei primi anni Ottanta del secolo scorso per spiegare alcuni aspetti poco chiari del Big Bang. «Secondo questi modelli spiega il cosmologo Carlo Baccigalupi l’energia associata a forze fondamentali ancora sconosciute avrebbe fatto espandere l’universo in maniera esponenziale nelle frazioni di secondo successive al Big Bang. Ma questa espansione così violenta avrebbe generato delle oscillazioni nello spazio-tempo». In sostanza, i modelli inflazionari prevedono che questa rapida espansione dell’universo sia associata a onde di energia gravitazionale che, però, avrebbero dovuto lasciare un segno indelebile nella luce che proviene dal Big Bang, la radiazione cosmica di fondo. Ebbene proprio queste oscillazioni sarebbero state viste dal Polo Sud.
RAGGI COSMICI
La teoria del Big Bang aveva già la sua conferma proprio nella scoperta della radiazione cosmica di fondo, il residuo della radiazione prodotta da quell’evento violento e che permea tutto l’universo. La scoperta avvenne nel 1964 e da allora la radiazione di fondo viene studiata da scienziati in tutto il mondo.
Il satellite europeo Planck recentemente ci ha fornito, proprio studiando questa radiazione, un’immagine molto dettagliata dell’universo primordiale. Ma questa foto risale a 380mila anni dopo il Big Bang, prima di quel momento materia e radiazione non si potevano separare. «Solo allora quindi dice Baccigalupi che collabora al progetto Planck la luce è stata libera di muoversi liberamente. Ma le onde gravitazionali sono state emesse molto prima, per la precisione i modelli ipotizzano 10 alla meno 35 secondi dopo il Big Bang».
I ricercatori di Bicep avrebbero visto, per dir così, il segno lasciato da queste onde sulla radiazione di fondo, ovvero un cambiamento delle proprietà direzionali della radiazione stessa, chiamato polarizzazione. Questo segnale ci permette di risalire indietro nel tempo fino a sapere qualcosa di quello che accadde una piccolissima frazione di secondo dopo l’origine dell’universo. Un momento finora assolutamente sconosciuto.
Una scoperta dunque importantissima per la cosmologia, ma in generale per la fisica, perché, se confermata, la scoperta ci direbbe anche molto sulla gravità: ci direbbe infatti che è una forza come le altre tre che esistono in natura quella elettromagnetica, l’interazione debole e l’interazione forte dotata di particelle quantistiche che si comportano come un’onda.
«Se confermata, la scoperta di Bicep sarebbe nello stesso tempo una fortissima indicazione dell’esistenza di queste oscillazioni spazio-temporali e un nuovo segnale proveniente dal Big Bang che influenza tutta la fisica», commenta Baccigalupi. «Ora però occorre una attenta analisi dei dati e della metodologia usata dal gruppo di Bicep, e serve la conferma da un esperimento indipendente: Planck ha tutte le caratteristiche per confermare o smentire questa scoperta».
Einstein aveva ragione
Una scoperta importante per la fisica e la cosmologia
Se confermata proverebbe che la gravità è una forza come le altre e che la teoria della folle espansione dell’universo è fondata
di Pietro Greco (l’Unità, 18.02.2014)
«Abbiamo rilevato le onde gravitazionali prodotte dall’universo bambino durante l’inflazione cosmica». Quella che John M. Kovac, scienziato in forze allo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, ha annunciato ieri a mezzogiorno, è una notizia scientifica davvero importante. Di quelle, per intenderci, che capitano una volta ogni dieci anni. E per ben due motivi, abbastanza indipendenti tra loro. Una riguarda la fisica delle alte energie. L’altra riguarda la cosmologia.
Se la scoperta verrà confermata, Kovac e i suoi hanno infatti dimostrato che la gravità è una forza fondamentale come le altre. La fisica delle alte energie, infatti, ci dice che in natura esistono quattro interazioni fondamentali: quella elettromagnetica (la luce ne è una manifestazione), l’interazione debole (responsabile del decadimento radioattivo dei nuclei atomici), l’interazione forte (la colla che tiene uniti i quark nei nuclei atomici) e la gravità.
Ebbene, il quadro teorico prevede che ciascuna forza si trasmetta mediante particelle messaggero. L’interazione elettromagnetica mediante i fotoni; l’interazione debole mediante i bosoni intermedi (quelli scoperti da Carlo Rubbia); l’interazione forte mediante i gluoni. Le onde gravitazionali sono previste dalla teoria della relatività di Albert Einstein. Ma la teoria delle alte energie prevede che anche la gravità abbia le sue particelle messaggero, i gravitoni. Che, come tutte le particelle quantistiche, si comportano anche come un’onda.
Da molti anni molte persone nel mondo sono a caccia di queste onde (in Italia il pioniere è stato Edoardo Amaldi). Ma nessuno le aveva finora rilevate. Tanto che molti fisici teorici avevano iniziato a mettere in dubbio che la gravità fosse, appunto, una forza fondamentale come le altre. Che la sua natura fosse diversa ed esotica. Ebbene, ora Kovac e i suoi hanno riportato la gravità nell’alveo della normalità. Hanno dimostrato che la forza che spinge i corpi ad attrarsi reciprocamente è una forza come le altre.
E poiché i fisici credono fermamente che tutte le quattro forze fondamentali di cui oggi abbiamo esperienza siano in realtà espressione di un’unica forza originaria, il fatto che la gravità sia una forza come le altre corrobora la ricerca dell’unificazione. Così come Rubbia ha dimostrato empiricamente che l’interazione elettromagnetica e l’interazione debole sono espressioni di una forza unica, l’interazione elettrodebole, ora diventa più plausibile l’idea che prima o poi sarà possibile unificare la gravità con le altre interazioni fondamentali e scoprire la forza unica originaria.
Ma la scoperta di Kovac e del suo gruppo ha un’importanza almeno analoga per la cosmologia. Le onde gravitazionali rilevate, infatti, sarebbero ciò che resta dell’inflazione cosmica teorizzato dall’americano Alan Guth e dal russo Andrei Linde. Ovvero quel processo di crescita che in un solo istante avrebbe portato l’universo neonato a crescere di cinquanta ordini di grandezza (ovvero di migliaia di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di volte). È grazie a questo processo che il nostro universo è caratterizzato fin dall’inizio da una sostanziale uniformità. La teoria dell’inflazione è stata considerata per molto tempo una teoria ad hoc. Se Kovac e i suoi collaboratori hanno ragione, ora abbiamo una prova empirica che quell’evento difficile da immaginare è realmente avvenuto.
Insomma, la notizia è che sia i fisici teorici sia i cosmologi teorici, con le loro astruse matematiche, hanno avuto ragione. Come era successo a Peter Higgs con il suo bosone. E questo, per parafrasare il fisico Eugene Wigner, dimostra ancora una volta l’irragionevole efficacia della teoria (e della matematica).
Le onde di Linde, una roba da Nobel
Storia di una scoperta che collega due diverse teorie sull’universo
Lo scienziato ha conciliato il Big Bang con il modello dell’inflazione cosmica riuscendo a rilevare le onde gravitazionali
Dopo settant’anni di ricerca teorica abbiamo ora la prima conferma empirica
di Pietro Greco (l’Unità, 19.03.2014)
IERI L’ALTRO, LUNEDÌ, VERSO MEZZOGIORNO IL POSTINO HA BUSSATO UNA SOLA VOLTA ALLA PORTA DI ANDREI LINDE, UN COSMOLOGO RUSSO DA ANNI IN FORZA ALL’AMERICANA STANFORD UNIVERSITY. Lo scienziato ha aperto la porta e si è visto recapitare una bottiglia di champagne. «Lo hai ordinato tu?», ha chiesto Linde a sua moglie. «No», la risposta. Il vino frizzante gli era stato regalato dai suoi colleghi, per brindare alla prima conferma empirica del modello dell’inflazione cosmica, venuta dal rilevamento indiretto di onde gravitazionali realizzato dalla collaborazione di Bicep2 (Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization) e annunciata lunedì scorso.
Pare che Andrei Linde abbia brindato di gusto. Perché quella teoria che consente di conciliare la teoria del Big Bang con i fatti osservati è, almeno in parte, sua. E se davvero l’osservazione è degna del Nobel, beh a meritare il premio saranno anche i teorici che l’hanno prevista.
Ma andiamo con ordine. Per farlo, ci conviene tornare indietro nel tempo. Fino all’inizio degli anni ’20 del secolo scorso, quando un altro russo, il giovane matematico Alexander Friedmann, trova soluzioni stabili alle equazioni cosmologiche che Einstein ha elaborato applicando all’intero universo la sua giovane teoria della relatività generale. Alcuni anni dopo, l’astrofisico americano Edwin Hubble «vede» che tutte le galassie si stanno allontanando da noi a velocità proporzionale alla distanza. Più sono lontane e più sono veloci. È allora, alla fine degli anni ’20, che abbiamo scoperto di vivere in un universo in rapida espansione. È allora che abbiamo scoperto di vivere in un universo evolutivo.
Non è facile, tuttavia, spiegare il perché di questa folle corsa. Due teorie si confrontano nell’immediato dopoguerra. Quella elaborata da un altro russo emigrato in America, George Gamow: l’universo è nato, circa 14 miliardi di anni fa, dall’immane esplosione di una singolarità iniziale, un punticino piccolissimo, densissimo e caldissimo in cui era concentrato tutto il nostro universo. Che da allora si espande come un palloncino, a velocità decrescente, raffreddandosi progressivamente. L’inglese Fred Hoyle definisce questa ipotesi con sprezzante ironia: ma è un Big Bang. Da quel momento la teoria di Gamow prende, per paradosso, il nome che gli ha dato il suo avversario.
Quando a Hoyle, insieme a Thomas Gold e a Hermann Bondi, di teoria ne elabora un’altra. I tre non amano l’idea di un inizio dello spazio e del tempo. Per di più a partire da una singolarità ove ogni legge della fisica, compresa la relatività di Einstein, viene meno. No, sostengono Hoyle, Gold e Bondi, non c’è stato un inizio dei tempi. L’universo è sì dinamico, ma è sempre uguale a se stesso, si trova in un eterno «stato stazionario»: si espande, certo, ma perché al suo centro c’è una continua generazione di materia. I fatti, anche in cosmologia, sono le osservazioni. E l’osservazione decisiva è quella realizzata da Arno Penzias e Robert Wilson, nel 1963, quando trovano una radiazione del corpo nero, fredda e omogenea, che ricopre l’intera volta celeste.
La radiazione è il fossile della grande esplosione iniziale. È prevista dalla teoria di Gamow e non da quella di Hoyle. E segna dunque il trionfo del modello del Big Bang. Che, resta l’unico in grado di spiegare l’evoluzione dell’universo e diventa il Modello Standard della cosmologia. Ma, benché sia rimasto sulla scena, anche il modello del Big Bang ha i suoi problemi. Dovrebbe essere un universo curvo, molto curvo quello emerso dalla grande esplosione. Proprio come un palloncino. Invece è incredibilmente piatto. Dovrebbe essere pieno zeppo di monopoli, particelle prodotte nei primi istanti dell’universo neonato. E, invece, non se ne trova uno. La singolarità iniziale, poi, deve aver avuto dimensioni tale da non poter ospitare più poche particelle elementari: da dove è sbucata fuori tutta la materia di cui siamo fatti noi, le stelle, le galassie, gli ammassi di galassie? E via enumerando tutta una serie di problemi mica da poco.
Ecco perché genera attenzione quella strana teoria dell’inflazione che un altro russo Aleksej Starobinskij, dell’Istituto di fisica teoria Landau di Mosca, tira fuori dal cappello nel 1979. Cerca di dimostrare, quella teoria, che un istante dopo il Big Bang (10-36, ovvero un miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo, di secondo) il piccolissimo neonato subisce una crescita rapidissima, inflazionaria appunto, di volume, di materia ed energia.
Due anni dopo l’americano Alan Guth, riprendendo alcune idee sulle transizioni di fase di Andrei Linde e di David Kirznits (ancora un russo), propone che la crescita inflazionaria di volume e di materia sia avvenuta a densità di energia costante. In un infinitesimo di secondo l’universo neonato, che si è venuto a trovare in una fase instabile (sottoraffreddato, dicono i fisici), ha subito uno sviluppo incredibile: passando da dimensioni micro a dimensioni macro. Da una singolarità alle dimensioni di un pallone di calcio. Dopo questo brevissimo ma decisivo istante, l’espansione dell’universo è continuata a velocità decrescente, così come prevede il Modello Standard di Gamow. Chi ha (chi avrebbe) pagato il conto di questa straordinaria crescita? Beh, a pagare le spese della fase inflattiva e creatrice, sarebbe stata l’energia potenziale cosmica. Come una pallina che rotola dalla cima del monte giù, fino alla valle, diventando una valanga, l’universo sarebbe passato da un massimo a un minimo di energia potenziale, creando valanghe di materia.
La teoria dell’inflazione è elegante. Si aggiunge e non sostituisce quella, classica, del Big Bang. Tuttavia ha un piccolo difetto. Non può essere dimostrata. È a questo punto che, tra gli altri, interviene anche Andrei Linde per sostenere che sì, un modo per dimostrare la realtà dell’inflazione c’è. Basterebbe osservare le onde gravitazionali che, secondo la relatività di Einstein, la crescita inflattiva avrebbe creato. E che, come la radiazione di f ondo, dovrebbero riempire il cosmo.
UNA CONQUISTA COLLETTIVA
Nel corso degli ultimi trent’anni la teoria ha subìto numerosi ritocchi. È stata corroborata da numerose osservazioni. Specie quelle sulla incredibile (ma non assoluta) omogeneità dell’universo bambino realizzata del 1992 da George Smoot e dal satellite Cobe e riconfermata dieci anni dopo a un livello più profondo dall’italiano Paolo de Bernardis e dal pallone Boomerang.
Ma queste osservazioni erano compatibili con il modello dell’inflazione. Consentivano di eliminare ipotesi alternative. Ma non erano la pistola fumante. La prova provata che il modello di Starobinskij, Guthe Linde fosse quello vero. Che l’universo avesse vissuto una fase di inflazione.
Ora la cosmologia è una scienza non sperimentale. O, almeno, con completamente. La storia dell’universo non può essere riprodotta in laboratorio. Anche se, dopo essere emigrato negli Stati Uniti in quel processo di «fuga dei cervelli» che investì la Russia e gli altri paese eredi dell’Unione Sovietica, Linde ha provato a creare, proprio con Alan Guth, un universo da laboratorio. Molte ed eleganti le ipotesi di lavoro. Ma l’impresa non è riuscita.
Non restava dunque, per validare l’ipotesi dell’inflazione e dello stesso modello del Big Bang, che attendere la scoperta delle onde gravitazionali fossili. Rilevare il relitto di quell’esperimento unico che è stata la nascita dell’universo. C’è voluta molta pazienza. Perché la gravità è una forza debole, anche se agisce a grande distanza. E difficilmente riuscirete a catturarle, le onde che produce, aveva previsto Albert Einstein. Ora il momento sembra arrivato. E Alan Guth ha potuto sollevare il suo calice con lo champagne.
Storie ai confini della scienza
Big Bang? No, è stato il Big Chill
La nuova teoria: “Metto d’accordo Einstein e Planck”
di Luigi Grassia (La Stampa TuttoScienze, 22.11.2012)
In Australia stanno agli antipodi e forse per questo pensano tutto al contrario. Da noi è in voga la teoria del Big Bang, secondo cui l’Universo è nato da un uovo primordiale che è esploso, dando origine a tutto quanto, cioè alla materia e all’energia, ma anche allo spazio e al tempo che li contengono. Anche in Australia, sia chiaro, questi concetti sono familiari, ma James Quach, fisico dell’università e del politecnico di Melbourne, prova a proporre una teoria alternativa. Anzi, una teoria del tutto opposta.
Secondo Quach, l’Universo non è nato da un Big Bang ma da un «Big Chill», cioè dal brusco raffreddamento di una zuppa primordiale in cui la proto-materia, la proto-energia, il proto-spazio e il proto-tempo stavano mescolati e indistinti, ma non ristretti in un uovo cosmico destinato a scoppiare. In base all’ipotesi di Quach, questo proto-universo era un caos che a un certo punto (il momento della creazione, per quanto ci riguarda) si è congelato e cristallizzato; questo avrebbe fatto emergere le tre dimensioni dello spazio e quella del tempo.
Ma quando l’acqua congela e si cristallizza, non lo fa in modo omogeneo: si formano delle incrinature e, se la teoria del Big Chill è giusta, la stessa cosa (probabilmente) è successa all’Universo. «Se queste crepe ci sono» dice Quach «la luce e le particelle in transito dovrebbero essere deviate o riflesse dai difetti di struttura dello spazio-tempo. Allora dovremmo essere in grado di rilevare le eventuali fratture del cosmo e dimostrare la verità della mia ipotesi». Detto e fatto, dopo la pubblicazione di un suo articolo sulla «Physical Review», il professore ha trovato diversi fisici sperimentali che hanno impostato la ricerca delle prove. Fisici australiani anche loro, manco a dirlo.
Ma questa è solo una metà della faccenda. Secondo Quach, qualora venisse dimostrata l’esistenza di fratture nello spazio-tempo sulle grandi scale dell’Universo, diventerebbe più facile costruire e dimostrare sperimentalmente una solida teoria quantistica della gravità, perché si rafforzerebbe la coerenza tra il cosmo nel suo complesso e la sua struttura fine a livello sub-atomico. Questo sarebbe tanto importante quanto passare dal paradigma del Big Bang a quello del Big Chill, perché rendere coerenti la teoria dei quanti e la teoria della Relatività generale è il grande problema irrisolto lasciatoci dalla generazione di Planck e di Einstein.
Troppa carne al fuoco? Forse. Ma la fisica e la cosmologia sembrano impantanate da troppi anni in una quantità di teorie che diventa sempre più difficile sperimentare; così le teorie restano tali per un tempo indefinito. Servono ipotesi come quella di Quach che possano essere dimostrate vere una volta per tutte oppure smentite e gettate via senza rimpianti, come si deve fare nella ricerca scientifica.
Le meraviglie del neutrino cinese
Un esperimento di Jun Cao e altri 240 fisici ha misurato il terzo angolo di mescolamento delle particelle.
Una scoperta di grande portata
di Pietro Greco (l’Unità, 19.03.2012)
Ha fatto molto rumore l’annuncio effettuato sul sito arXiv da parte di Carlo Rubbia, ideatore e direttore di quell’esperimento Icarus che presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso studia le oscillazioni dei neutrini, compresi quelli del progetto Cngs (Cern Neutrinos to Gran Sasso) a Ginevra.
Abbiamo misurato la velocità con cui viaggiano tra la Svizzera e l’Abruzzo le elusive particelle - hanno detto i fisici di Icarus - e abbiamo verificato che sono un po’ più lenti della luce. La misura del gruppo diretto da Carlo Rubbia corrobora la convinzione, ormai diffusa, che la velocità superluminale dei neutrini misurata dal gruppo Opera diretto da Antonio Ereditato sia frutto di un errore. Errore che lo stesso gruppo Opera ha individuato qualche settimana fa. Ora non resta che attendere le misure del tutto indipendenti che saranno realizzate negli Stati Uniti e in Giappone per chiudere la vicenda del «neutrino più veloce della luce».
Ha fatto, tuttavia, meno rumore un altro articolo pubblicato sul medesimo sito arXiv da Jun Cao e dagli altri 240 fisici impegnati nel «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment». Un articolo almeno altrettanto importante. Sia per i contenuti fisici che propone. Sia per il luogo, la Cina, dove l’esperimento è condotto.
Il gruppo ha infatti misurato con grande precisione uno dei tre «angoli di mescolamento» dei neutrini, quello detto «Teta 13». Ai più questo parametro dirà poco. Ma non è complicato da spiegare. I neutrini sono particelle che interagiscono poco con la materia. Ma grazie a Bruno Pontecorvo, allievo di Enrico Fermi, sappiamo che ne esistono di tre tipi (elettronici, muonici e tau) che «oscillano», ovvero si trasformano l’uno nell’altro mentre corrono nello spazio (a velocità prossima, ma a quanto pare non superiore a quella della luce). Se i neutrini oscillano, diceva Pontecorvo, allora hanno una massa, sia pure piccolissima.
L’IPOTESI DI PONTECORVO
Il gruppo Opera negli scorsi anni ha dimostrato che Pontecorvo aveva ragione: i neutrini oscillano e, dunque, hanno una piccola massa. Già ma «quanto oscillano»? In che percentuale i neutrini elettronici si trasformano in muonici viaggiando, per esempio, tra il Sole (uno dei luoghi dove vengono prodotti) e la Terra? L’«angolo di mescolamento» ci dice a quanto ammonta questa percentuale. Finora ne erano stati misurati due, di angoli di mescolamento. Il «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment» ha misurato il terzo e ha chiuso il quadro. Il bello è che la sua misura «spalanca una porta», come sostiene sulla rivista Science l’americano Robert Plunkett, un fisico del Fermi National Accelerator Laboratory di Batavia, in Illinois. La porta spalancata è quella della verifica di una asimmetria tra il comportamento dei neutrini e quello degli antineutrini. Asimmetria che potrebbe spiegare perché il nostro universo è costituito in larga parte di materia e non di antimateria. Insomma, il «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment» apre una nuova pista di ricerca e dimostra che lo studio di queste elusive particelle dominerà la fisica delle alte energie nei prossimi anni.
Ma oltre il contenuto scientifico, c’è la dimensione geografica della notizia. Il «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment» ha battuto sul tempo una serie di altri esperimenti analoghi: il Minos negli Stati Uniti, quello condotto col reattore Double Chooz nella città di Chooz in Francia, il Reno in Corea del Sud. Questo, come sostiene Robert McKeown, un americano in forze al Thomas Jefferson National Accelerator Facility di Newport, in Virginia, è probabilmente il più grande risultato di fisica finora raggiunto in Cina. E dimostra che la fisica cinese delle particelle è ormai in grado di competere alla pari con chiunque.
“I neutrini superveloci smentiscono Einstein”
“Sembrano più rapidi della luce”. Oggi l’annuncio del test italiano al Gran Sasso
di Valentina Arcovio (La Stampa, 23.09.2011)
I neutrini sono più veloci della luce, almeno secondo i dati dell’esperimento italiano «Opera», nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern di Ginevra e raggiunge, dopo 730 km, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Questa è la notizia che da giorni circolava nella comunità scientifica. Poi, ieri, Antonino Zichichi, rompendo a sorpresa il rigoroso embargo imposto alla comunità scientifica internazionale, ne ha dato conferma, anticipando lo scienziato che è il portavoce del team internazionale che ha effettuato l’osservazione. Si tratta di Antonio Ereditato, un cervello italiano che lavora all’Università di Berna. Il fisico ha ammesso che i neutrini, nel corso di 3 diverse misurazioni, sono arrivati sull’obiettivo con un anticipo di 60 nanosecondi rispetto a quanto avrebbero fatto, se avessero viaggiato alla velocità della luce.
L’Infn e il Cern, però, rispondono con un secco «no comment». Senza un «paper» ufficiale i due enti di ricerca optano per un prudente silenzio. I dati dovrebbero essere diffusi dal sito www.arxiv. org, ma, più importante, oggi è previsto un seminario al Cern di Ginevra, in cui gli scienziati autori della scoperta presenteranno i loro dati, confrontandosi con la comunità scientifica internazionale. La posta in gioco, infatti, è troppo alta per permettersi falsi passi: questa scoperta farebbe crollare uno dei pezzi più importanti della fisica attuale. Lo stesso Albert Einstein verrebbe messo in discussione. Se i neutrini sono per davvero più veloci della luce, la teoria della Relatività speciale subirebbe un duro colpo. Nella concezione relativistica lo spazio ed il tempo formano un’unica entità, il «continuo spazio-tempo», con quattro dimensioni: tre dimensioni spaziali ed una temporale.Se gli scienziati dovessero confermare l’osservazione, questo «continuo» non esisterebbe, così come il «principio di casualità», e si aprirebbero scenari inediti.
Fino ad oggi si riteneva impossibile che i neutrini, particelle con una massa infinitesimale, potessero viaggiare più veloci dei fotoni, particelle senza massa che raggiungono una velocità di circa un miliardo di chilometri l’ora. Adesso - ci si chiede - tutta la fisica moderna è destinata a cambiare? E con questa anche il lavoro, presente e futuro, dei laboratori di ricerca di tutto il mondo?
Ora, comunque, la palla passa alla comunità scientifica che, con i dati alla mano, dovrà capire se confermare o smentire l’osservazione. E’ inevitabile che a questo esperimento, destinato a far discutere, dovrannoseguirne molti altri prima di arrivare a una risposta che si possa definire certa. «Siamo piuttosto sicuri dei nostri risultati - ha detto, laconico, Ereditato -. Ma abbiamo bisogno che altri colleghi li confermino».
Il neutrino che batte la luce e sfida Einstein
di Giovanni Bignami (La Stampa, 23.09.2011)
Chissà cosa è successo davvero tra Ginevra e il Gran Sasso. Certo i neutrini non si sono fermati a bere un caffè, anzi, sembra che, come nei fumetti, siano andati più veloce della luce. Ci vorrà un po’ di tempo per capire cosa è successo davvero. Perché, anche se piccola, i neutrini una massa ce l’hanno. Anzi, proprio questa è stata una scoperta recente, premiata con un Nobel nel 2002.
Ma Einstein ci ha insegnato che un corpo con massa non può andare al di là della velocità della luce, anzi neanche uguagliarla. E allora? Ai posteri l’ardua sentenza. Il risultato, se di risultato si tratta, si gioca sulla precisione della misurazione dei tempi di transito. E qui la fisica non perdona: la luce avanza a 300 mila km al secondo e, per decidere chi arriva prima tra fotoni e neutrini, bisogna avere un fotofinish di straordinaria precisione.
Per il momento, si tratta di un passa-parola tra fisici a metà tra lo scettico e l’entusiasta. Noi, però, non possiamo non notare l’importanza sempre maggiore dei neutrini per il futuro della comprensione dell’universo. Se i neutrini italo-svizzeri fossero davvero superluminali, cambierebbero non solo fondamentali paradigmi della fisica, ma forse anche alcune nostre idee sulla formazione e composizione dell’universo. Penso soprattutto alla materia oscura, il grandissimo problema della cosmologia moderna. Ma penso anche ai neutrini viaggiatori, portatori di messaggi ancora non letti dal cielo.
Finora abbiamo visto solo due sorgenti celesti di neutrini: il nostro Sole ed una Supernova nella Grande Nube di Magellano. Proprio dalle osservazioni del Sole abbiamo capito che i neutrini devono avere una massa e che perciò, fino a ieri, non potevano andare alla velocità della luce. Vien da pensare al risultato annunciato due giorni fa a Bradford, Inghilterra, da Carlos Frenk, grande cosmologo anglomessicano, che mette in dubbio le poche idee che ci eravamo fatti sulla natura delle particelle responsabili della materia oscura. Potrebbero non essere quello che pensavamo e potrebbero anche non essere alla portata del Cern. E allora? Non ho la minima idea se i due risultati siano connessi e comunque entrambi hanno bisogno di conferma. Certo, parlando dei neutrini e delle loro strane proprietà, viene voglia di spalancare il cielo ad una nuova astronomia, fatta appunto con i neutrini, dopo che da migliaia di anni ci accontentiamo dei messaggi portati dal fotone viaggiatore.
E’ la fine del monopolio dell’astronomia elettromagnetica, cioè quella fatta con i fotoni che anche i nostri occhi possono vedere? Sarebbe affascinante fare astronomia con i neutrini, perché intorno a noi c’è un universo dove vanno e vengono neutrini senza che riusciamo a cogliere il messaggio che portano. Se poi fossero più veloci della luce, sarebbe anche più divertente. Ma attenzione: tutte le volte che abbiamo messo seriamente alla prova la relatività generale di Einstein, il vecchio Albert è uscito vincitore.
Nuove dimensioni e strane curvature dello spazio-tempo
di Barbara Gallavotti (La Stampa, 23.09.2011)
Non sono giorni normali per i fisici. Da qualche tempo si sussurrava di risultati importanti ottenuti dall’esperimento «Opera». L’attesa per la presentazione ufficiale dei dati era palpabile, ma il sentimento predominante era una sorta di entusiastico scetticismo. Nessuno si lasciava andare ad analisi tecniche, perché la collaborazione «Opera» non aveva ancora terminato di analizzare i dati e la prima comunicazione ufficiale è prevista per oggi. Ciò nonostante, poteva capitare che qualcuno accettasse di immaginare cosa avverrebbe della nostra visione dell’Universo, se i risultati fossero confermati e, dunque, si scoprisse che i neutrini possono viaggiare più veloci della luce.
Ad essere in gioco è uno degli assunti fondamentali della Relatività, quello secondo il quale nulla può viaggiare più veloce della luce, perché, se così fosse, cambiando il sistema di riferimento dell’osservatore, potrebbe avvenire di vedere un fenomeno prima del verificarsi delle sue cause (il che è assurdo). I neutrini sono particelle speciali, le uniche nel mondo dell’infinitamente piccolo ad essere dotate di massa, seppur minuscola, ma prive di carica elettrica. Questa peculiarità non basta però a giustificare il risultato di «Opera» e dunque, se fosse confermato, bisognerebbeimmaginare delle drastiche correzioni alla Relatività (cancellarla sembra impossibile, perché sono troppe le prove a favore della sua validità). Si dovrebbe quindi pensare all’esistenza di nuove dimensioni o a strane curvature dello spaziotempo che permettano ai neutrini di prendere inedite scorciatoie. Un po’ come se, dovendo unire su un atlante L’Aquila e Ginevra, anziché tracciare una linea sulla carta si piegasse il foglio, portando le due città a coincidere, e poi le si congiungesse, forando il foglio con una matita.
Dopo la fuga di notizie, l’atmosfera fra i fisici è cambiata e ieri era praticamente impossibile trovare qualcuno che accettasse di toccare ufficialmente l’argomento della velocità dei neutrini prima del seminario di oggi. L’entusiasmo per una possibile scoperta che cambierebbe il volto della fisica è stato soverchiato dall’urgenza di non farsi travolgere dagli eventi e di procedere nel valutare con cura i dati. Del resto, anche se i fisici del Gran Sasso saranno convincenti, bisognerà attendere che altri analoghi esperimenti confermino l’esistenza del fenomeno. Negli Usa e in Giappone si stanno probabilmente attrezzando a ripetere la misura, ma occorrerà aspettare almeno un anno prima di sapere se l’Universo è tanto diverso da come pensavamo. La scienza ha tempi lunghi e anche a Stoccolma sono abituati ad attendere.
FISICA
"Neutrini più veloci della luce" Messo in discussione Einstein
Clamorosi risultati di uno studio del Cern e dell’Infn guidato da un fisico italiano: particelle sparate da Ginevra al Gran Sasso hanno infranto il muro considerato invalicabile dalla fisica. Margherita Hack: "Sarebbe una rivoluzione" *
ROMA - I risultati, se confermati, possono rimettere in discussione le regole della fisica cristallizzate dalle teorie di Albert Einstein, secondo le quali niente nell’universo può superare la velocità della luce. Un gruppo di ricercatori del Cern e dell’Infn guidato dall’italiano Antonio Ereditato ha registrato che i neutrini possono viaggiare oltre quel limite. Le particelle hanno coperto i 730 chilometri che separano i laboratori di Ginevra da quelli del Gran Sasso a una velocità più alta di quella della luce.
Il muro è stato infranto di appena 60 nanosecondi. Eppure, il risultato è talmente destabilizzante che il team di ricerca ha atteso ben tre anni di misurazioni per sottoporlo all’attenzione della comunità scientifica. "Siamo abbastanza sicuri dei nostri risultati, ma vogliamo che altri colleghi possano verificarli e confermarli", spiega Ereditato, che lavora presso il laboratorio di fisica delle particelle dell’organizzazione ginevrina.
E le prime reazioni non tardano ad arrivare: secondo il Centre national de la recherche scientifique francese, le fosse confermata la scoperta sarebbe "clamorosa" e "totalmente inattesa" e aprirebbe "prospettive teoriche completamente nuove". Anche per l’astrofisica Margherita Hack si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione perché, osserva, "finora tutte le previsioni della teoria della relatività sono state confermate".
Secondo la teoria della relatività ristretta, elaborata da Einstein nel 1905, la velocità è una costante, tanto da essere parte della celeberrima equazione E=mc², dove E è l’energia, m la massa e c, appunto, la velocità della luce. La relatività, spiega ancora la Hack, "prevede che se un corpo viaggiasse ad una velocità superiore a quella della luce dovrebbe avere una massa infinitamente grande. Per questo la velocità della luce è stata finora considerata un punto di riferimento insuperabile".
Tra l’altro, la teoria della relatività implica l’impossibilità fisica delle traversate interstellari e dei viaggi nel tempo, finora inesorabilmente relegati alla fantascienza e ritenuti irrealizzabili dalla scienza. Ora tutto ciò potrebbe cadere. "Ma io non voglio pensare alle implicazioni", si affretta a precisare Ereditato. "Siamo scienziati e siamo abituati a lavorare con ciò che conosciamo".
La velocità delle particelle è stata misurata dal rivelatore Opera, dell’esperimento Cngs (Cern NeutrinoS to Gran Sasso), nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern di Ginevra e raggiunge i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, dell’Istituto nazionale di Fisica Nucleare.
* la Repubblica, 22 settembre 2011
Si è acceso Icarus: dovrà svelare i segreti dell’Universo
L’obiettivo è capire i misteriosi «neutrini»
di Carlo Rubbia (Corriere della Sera, 29.03.2011)
La parola neutrino è italiana, coniata da Enrico Fermi nel 1934 per caratterizzare queste particelle dalle più straordinarie proprietà. Ogni secondo, di giorno come di notte, senza rendercene conto, siamo attraversati su ogni centimetro quadrato da ben 65 miliardi di neutrini solari, ad una velocità vicina a quella della luce. La maggioranza di questi neutrini proviene dal Sole e attraversa quasi senza effetti sia il Sole che la nostra Terra perdendosi nell’immensità del fondo cosmico.
I neutrini sono simili ai ben più familiari elettroni, ma con una cruciale differenza, quella di essere elettricamente neutri e influenzati solamente dalla forza debole trasmessa dai bosoni W e Z, per la cui scoperta al Cern ho ricevuto assieme a Van der Meer il premio Nobel per la Fisica nel 1984. Un grandissimo numero di neutrini sono anche prodotti da certi tipi di decadimenti radioattivi e da reazioni nucleari come quelle prodotte dal Sole, dai raggi cosmici e soprattutto dai reattori nucleari. Forse pochi sanno che una importante frazione dell’energia prodotta dalla fissione nucleare sfugge sotto forma di neutrini.
Postulato da Pauli nel 1930, il neutrino fu rivelato sperimentalmente nel 1956 da Cowan e Reines, che ricevettero solo quarant’anni dopo il premio Nobel. Il 23 febbraio 1987 neutrini provenienti dall’esplosione della supernova SN 1987A a 168 mila anni luce furono rivelati sperimentalmente in laboratori sotterranei in Giappone e negli Usa, la più luminosa esplosione stellare vista ad occhio nudo da quando Keplero osservò una supernova nel 1604.
Oggi sappiamo che i neutrini saranno la fine ultima della morte di ogni stella, incluso il nostro Sole, ma fortunatamente solo tra circa cinque miliardi di anni! Per comprendere l’immensità dell’Universo che ci circonda, basti pensare che all’incirca ogni secondo una nuova supernova esplode, trasformandosi in neutrini, da qualche parte dell’Universo!
I fisici sono quindi convinti che i neutrini siano uno dei più importanti e straordinari fenomeni cosmologici, in gran parte ancora tutti da scoprire, come confermato peraltro dai numerosi premi Nobel per la Fisica attribuiti a questo soggetto. Basti pensare che assieme a ogni protone proveniente dalla primordiale nucleosintesi, quella che generò circa tre minuti dopo il Big Bang tutta la materia conosciuta dell’universo - i famosi tre minuti così ben descritti dal libro di Steve Weinberg - sono generati ben un miliardo di neutrini, che ancora oggi attraversano lo spazio cosmico.
Come inizialmente postulato dal nostro Bruno Pontecorvo e dimostrato da numerosi esperimenti, oggi sappiamo che esistono almeno tre tipi diversi di neutrini. Uno dei fenomeni più straordinari è che essi spontaneamente «oscillano» tra di loro e cioè viaggiando a grandi distanze si trasformano continuamente tra di loro.
Da qui l’estremo interesse ad esempio del fascio di neutrini proveniente dal Cern di Ginevra che attraversando le Alpi e gli Appennini a grande distanza sottoterra, risale in superficie grazie alla rotazione della Terra e viene rilevato, unico in Europa, nei laboratori del Gran Sasso presso L’Aquila a circa 800 chilometri di distanza.
I nostri esperimenti al Gran Sasso stanno mostrando ogni giorno di più come i neutrini risultanti alla fine di questo lungo viaggio siano profondamente diversi da quelli inizialmente prodotti. Questi esperimenti sono anche centrali ad un’altra delle più straordinarie scoperte degli ultimi anni e cioè l’evidenza sperimentale di quella che comunemente si chiama la «materia oscura» , che diede tra l’altro il premio Nobel nel 2006 a John Mather e a George Smoot per il successo del satellite Cobe lanciato nel 1989 e del loro successivo prodigioso lavoro di ricerca con più di mille tra ricercatori e ingegneri.
Questo straordinario risultato, oggi confermato da molteplici osservazioni cosmologiche, ci dice che la materia ordinaria, quella di cui siamo fatti e caratterizzata dalla ben nota tabella degli elementi chimici di Mendeleiev, non è la forma predominante della materia dell’Universo e che una ben altra componente, molto più massiva, invisibile e fino ad ora completamente sconosciuta, in realtà controlla, grazie alla sua forza gravitazionale, la massa dell’Universo tutto intero.
Da qui l’immenso interesse di scoprire la presenza in laboratorio e la vera natura della materia oscura che senza dubbio ci attraversa continuamente, un risultato le cui conseguenze immense superano largamente quelle della fisica e cosmologia, della stessa importanza della rivoluzione copernicana quando si dimostrò che la Terra non era il centro dell’Universo. Lo studio della materia oscura è un altro argomento portante dell’Infn e dei laboratori del Gran Sasso. Quest’ultimo e quello dei neutrini sono ambedue campi di ricerca ancora tutti da scoprire.
E’ forse anche possibile che la materia oscura origini in una forma ancora da scoprire dovuta ai neutrini e più precisamente ai cosiddetti neutrini sterili. Ma potrebbe essere anche qualcosa d’altro, come ad esempio le particelle Susy che sono un soggetto centrale di ricerca dell’acceleratore Lhc al Cern di Ginevra. E’ questo un magnifico e meraviglioso esempio di quello che Galileo Galilei battezzò come «filosofia naturale» : solo l’esperimento potrà darci le risposte che ci attendono. E’ indubbio che queste grandissime potenziali scoperte necessitino di nuovi, più potenti strumenti di osservazione.
Da qui l’importanza dell’evento che si celebra oggi ai laboratori del Gran Sasso con l’inaugurazione dell’ esperimento Icarus, un programma di altissimo livello fondato sulla tecnica innovativa di liquidi criogenici di elevatissima purezza e di centrale importanza tanto per lo studio dei neutrini a grande distanza che per il problema della materia oscura. E’ questa un’occasione per celebrare vent’anni di originale ricerca e sviluppo attraverso la realizzazione concreta in Italia di uno strumento scientifico di grandi dimensioni, di altissima tecnologia e fino ad ora unico al mondo, e che, peraltro seguendo il nostro esempio, sia americani che giapponesi hanno iniziato a sviluppare e perseguire.
*Premio Nobel per la fisica
FISICA
Il Cern cattura l’antimateria grande mistero dell’universo
Per la prima volta, gli atomi specchio non sono scomparsi un attimo dopo la loro creazione. Permetteranno di capire come la materia e il suo opposto non si siano annullati al momento del Big Bang. E gli scienziati si divertono a ricordare Dan Brown
di ELENA DUSI *
CHIUSI in una "bottiglia", destano la stessa curiosità di un alieno piovuto sulla Terra. Sono frammenti di antimateria: testimoni di un universo misterioso e insieme protagonisti di romanzi thriller. I laboratori del Cern non solo hanno prodotto degli atomi di anti-idrogeno, ma per la prima volta oggi sono anche riusciti a "catturarli" prima che svanissero in una nuvola di energia.
L’antimateria è infatti una sorta di realtà capovolta, estremamente rara in natura, in cui i protoni hanno carica elettrica negativa e gli elettroni positiva. Quando entrano in contatto, materia e antimateria si annullano a vicenda creando una scarica di energia. Per questo le anti-particelle che finora il Cern (l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare) era riuscito a creare in laboratorio erano svanite nel giro di pochi millisecondi: il tempo necessario a entrare in contatto con le pareti del contenitore fatte di materia.
L’esperimento Alpha condotto a Ginevra è riuscito ora a confinare 38 atomi di anti-idrogeno (formati da un protone negativo e un elettrone positivo). È stato necessario raffreddarli a meno 272 gradi (temperatura vicina allo zero assoluto) e poi usare un campo magnetico per spingerli al centro del contenitore, a debita distanza dalle pareti. Delle migliaia di particelle "aliene" create da Alpha, 38 hanno vissuto abbastanza a lungo (1,7 decimi di secondo) da poter essere studiate dai fisici. I risultati dell’esperimento vengono pubblicati giovedì da Nature.
Uno dei grandi misteri della cosmogonia riguarda proprio lo squilibrio fra materia e antimateria. Della prima è fatto tutto il nostro mondo. Della seconda esistono solo tracce infinitesime dell’universo. Il motivo è ignoto a tutti. E se le due si fossero trovate in perfetto equilibrio al momento del Big Bang, si sarebbero annullate a vicenda, riducendo l’esistenza del cosmo a un istantaneo scoppio di energia e nulla più.
"Per ragioni che nessuno comprende, la natura esclude la presenza dell’antimateria. Sapere che ne abbiamo intrappolati alcuni atomi nei nostri apparecchi ci dà una sensazione davvero speciale", spiega Jeffrey Hangst dell’università danese di Aarhus, responsabile di Alpha. "Ora che l’abbiamo raggiunta, siamo pronti a carpire i suoi segreti".
Il Cern è l’unico laboratorio al mondo con la tecnologia necessaria a catturare la materia-specchio, la cui esistenza fu teorizzata nel 1931 da Paul Dirac ed effettivamente osservata l’anno successivo. I primi 9 atomi di anti-idrogeno furono prodotti a Ginevra nel 1995. Nel 2002 le tecniche furono affinate tanto da permettere una produzione su larga scala. Negli ospedali, gli apparecchi Pet utilizzano correntemente i positroni (ovvero elettroni positivi) per la diagnosi di alcune malattie.
La fiction (e in particolare Dan Brown con Angeli e Demoni) ci ha messo poco a trasformare le fantomatiche bottiglie di antimateria in armi capaci di far esplodere il mondo. Ma Andrea Vacchi, scienziato italiano dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, tranquillizza: "È davvero impossibile portare l’antimateria a spasso come accade nel romanzo". L’anti-idrogeno resta un regalo goloso per i fisici: eventuali differenze fra l’idrogeno e il suo opposto potrebbero indicarci dei "difetti" nello specchio della natura. E farci capire come mai sulla bilancia del cosmo oggi la materia di cui siamo fatti prevalga con tanto margine sull’antimateria.
* la Repubblica, 17 novembre 2010
L’ultimo libro di Frank Close, professore ad Oxford, racconta l’infinitamente piccolo e le origini dell’universo
Misteri, segreti e bellezza della metafisica delle particelle
Siamo nati da una Grande Distruzione. Quella che creò il nostro mondo
I testi di scienza, non solo quelli divulgativi, sono appassionanti come romanzi
di Pietro Citati (la Repubblica, 28.09.2010)
Temo che, in Italia, gli amatori di romanzi e di poesia non leggano volentieri i libri di fisica teorica. Mi sembra doloroso e penoso: non solo perché i nostri letterati rinunciano a conoscere importantissime leggi di fisica, con le loro affermazioni, contraddizioni, scandali, strani contrasti con l’esperienza e la ricerca. C’è qualcosa di più grave. La passione metafisica, il gioco puro delle idee - tutto quanto, una volta, eravamo abituati a trovare nei libri di filosofia - , lo ritroviamo, oggi, nei libri di fisica teorica. Se leggiamo Einstein, o Heisenberg, od Hawking, - vi respiriamo quell’atmosfera di assoluto, quella luce di indimostrabile e incontrovertibile, che, alle origini della cultura europea, abbiamo conosciuto in Parmenide, Platone e, poi, in Plotino. Di questo respiro di assoluto noi abbiamo bisogno.
Nei libri di fisica teorica, la mente insegue il doppio infinito: oscilla tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. La passione per l’infinitamente grande risale a Pascal e a Leopardi:
«e quando miro
Quegli ancor più senz’alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle
Ch’a noi paion qual nebbia...».
Oggi siamo abituati all’immensamente vasto: ciò che ci affascina è soprattutto l’infinitamente piccolo. I libri ci parlano, per esempio, del nanosecondo: vale a dire di un miliardesimo di secondo; tempo in cui la luce velocissima percorre trentatre centimetri e trentatre millimetri - niente.
Contro i libri di fisica moderna, i cultori di letteratura obiettano, di solito, che sono difficili: quel guazzabuglio di frasi e di numeri è incomprensibile. Non è vero. Tra i libri di fisica che oggi vengono pubblicati, sia tra quelli creativi sia tra quelli divulgativi, moltissimi sono estremamente facili: si leggono con un piacere quasi romanzesco, saltando di teoria in teoria, partecipando con passione alle discussioni tra grandi scienziati, insinuandoci come formiche tra gli enigmi. Vorremmo conoscere Dirac, o Touscheck o Ernest Rutherford, o il misteriosissimo Majorana, che ha lasciato il suo nome ai neutrini di Majorana; e ascoltarli discutere nel silenzio dell’universo. In questi giorni, per esempio, la casa editrice Einaudi pubblica un lucidissimo libro di Frank Close, professore ad Oxford: Antimateria (traduzione di Giorgio P. Panini, pagg. 204, euro 24), al quale auguro molti lettori felici. *** Quattordici miliardi di anni fa, avvenne il cosiddetto Big Bang, prima del quale niente esisteva: un improvviso, violentissimo scoppio d’energia, di cui ignoriamo la fonte. Come dice la Genesi: «Sia la luce. E la luce fu». Le ricerche moderne e modernissime riescono a risalire a un attimo dopo lo scoppio: un miliardesimo di secondo. Allora si rivelò quale è il numero, e il ritmo fondamentale, dell’universo. Non l’Uno della filosofia platonica, e della religione cristiana ed islamica, ma il Due. Di qua la materia, di là il suo opposto, l’antimateria: di qua l’elettrone, con cariche elettriche negative, di là il suo opposto, il positrone, con cariche elettriche positive, lo specchio rovesciato del primo. Per un tempo esilissimo, le due forze si equilibrarono e si bilanciarono. E, per un istante, l’osservatore (se fosse esistito un occhio nel fuoco e nella tenebra) non avrebbe saputo prevedere il futuro dell’universo. Siamo diventati materia, e ne sopportiamo il peso: ma forse avremmo potuto diventare antimateria, la forza che domina nel cuore della nostra Galassia
La fantasia del lettore moderno ritorna, senza fine, a quel miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, che gli scienziati hanno fatto rinascere negli anelli cavi del Cern di Ginevra. Di alcune cose siamo certi. Sappiamo che l’energia originaria si convertì, nel giovanissimo universo, in primordiali frammenti di materia (elettroni), da cui siamo discesi. E sappiamo che, di fronte alla materia, si estendeva una quantità quasi eguale di antimateria (positroni), la quale, forse, non era soggetta alla forza di gravitazione, e quindi si levava verso l’alto. Tra materia e antimateria (dotata di un immenso potere distruttivo), avvenivano collisioni frequentissime: elettroni e positroni si annichilivano in un lampo di luce; e gli oggetti appena nati duravano pochissimo. Se questa condizione di equilibrio e di simmetria tra i due poli fosse continuata, la vita non sarebbe mai apparsa nel mondo.
Se noi oggi viviamo, ciò dipende da due cause. La prima, l’ho già detta: nell’universo esistevano due forze, che lottavano l’una contro l’altra; non una sola forza, incapace di movimento. La seconda causa è probabile: allora esisteva un leggero squilibrio a favore della materia; uno squilibrio forse lievissimo, qualcosa di minimo e quasi inesistente come un nanosecondo, ma che bastò a produrre quella che viene chiamata la Grande Annichilazione. Nell’universo, il minimo genera, o può generare, l’immenso. Almeno nel nostro mondo, l’antimateria scomparve, come una furtiva ombra spettrale. E la materia cominciò a costruire i suoi innumerevoli edifici: tanto che oggi, per molte centinaia di milioni di anni-luce attorno a noi, tutte le cose sono costituite esclusivamente da materia.
Dove si è nascosta quell’immensa quantità di positroni, che esisteva dopo il Big Bang? Per loro, il mondo che noi abitiamo è alieno ed ostile, e li distrugge rapidamente. Ma, circa centomila anni fa, nel cuore del sole si formarono nubi di positroni, che sono stati quasi subito annichiliti, emettendo raggi gamma. Questi raggi tentarono di fuggire alla velocità della luce, ma vennero ostacolati da una folla di elettroni e protoni, che formano la massa ribollente del sole. Dopo un certo periodo di tempo, sebbene respinti in una direzione o un’altra, assorbiti e riemersi, riuscirono a raggiungere la superficie dell’astro; persero energia, cambiarono frequenza e lunghezza d’onda, diventarono prima raggi X, poi raggi ultravioletti, e percorsero tutti i colori dell’arcobaleno. La luce del sole, che ogni mattina appare ai nostri occhi, condivide dunque in piccola parte l’energia distruttiva dei positroni originari.
Con ogni probabilità, i positroni hanno trionfato altrove, lontanissimi dal sistema solare. Nel centro della nostra Galassia, esistono nubi di positroni: essi si trovano presso stelle binarie che emettono raggi X, e vengono attratte da stelle che producono neutrini e da buchi neri. Ma conosciamo positroni molto più prossimi a noi: quelli che hanno creato in laboratorio, per decenni, gli scienziati che lavorano al Cern presso Ginevra. I fisici del Cern hanno disposto un’immensa macchina, il Lep (Large Electron Positron collider) a una cinquantina di metri di profondità nel sottosuolo, in una galleria di 27 km, lunga come la Circle Line della metropolitana di Londra.
Il Lep è un anello cavo, dove viene fatto il vuoto. Una fitta serie di elettromagneti, disposti lungo la circonferenza del cavo, guida fasci di elettroni e di positroni, facendoli girare per settimane e settimane, a una velocità prossima a quella della luce. Le particelle rapidissime attraversano il confine tra Svizzera e Francia undicimila volte al secondo, passano sotto la statua di Voltaire a Ferney, sotto campi coltivati, villaggi ai piedi del Giura, dove un tempo Rousseau passeggiava ed erborizzava. I percorsi degli elettroni e dei positroni sono mantenuti a lieve distanza gli uni dagli altri: ma in quattro punti della grande circonferenza il loro cammino si incrocia. Qualche volta si verifica la collisione di un elettrone e di un positrone; ed entrambi si annichilano in un lampo incandescente di energia. Questo evento minimissimo nel sottosuolo di Ginevra riproduce quello che accadde, un istante dopo il Big Bang. Noi siamo vivi e attivi: cresciamo, abbiamo un corpo, mangiamo, parliamo, pensiamo, camminiamo, generiamo altra materia, che genererà altra materia; eppure siamo nati dalla Grande Distruzione che creò il nostro mondo.
ASTRONOMIA
Nessun Big Bang, nessuna fine
Una nuova teoria per l’Universo
Il nostro cosmo non ha avuto un momento iniziale e non morirà: è in continua evoluzione, mentre massa, tempo e spazio possono convertirsi l’uno nell’altro. Fa discutere lo studio di un ricercatore di Taiwan, che permette di risolvere molti misteri, ma presenta alcune incoerenze
di LUIGI BIGNAMI *
NESSUN inizio, nessuna fine, ma un Universo in continua evoluzione, dove massa, tempo e spazio possono convertirsi l’uno nell’altro. Un Universo dunque, senza Big Bang e senza fine. Questo è il cosmo in cui viviamo, così come lo ha concepito e definito Wun-Yi Shu della National Tsing Hua University di Taiwan, che permette di risolvere molti problemi ancora aperti della teoria oggi comunemente accettata, che vuole che l’Universo in cui viviamo sia nato dal Big Bang.
Nell’Universo di Shu sono quattro gli elementi in contrasto con l’attuale teoria dell’evoluzione del cosmo e che ne danno una nuova visione. Il primo: la velocità della luce e la "costante gravitazionale" non sono costanti, ma variano con il tempo. Il secondo: il tempo non ha avuto né inizio, né fine, quindi non c’è stato alcun Big Bang. Il terzo: la sezione spaziale dell’Universo è paragonabile ad una sfera a più di tre dimensioni, un’immagine inconcepibile con la fantasia umana, ma che si spiega solo matematicamente. Il quarto, infine: l’Universo vede momenti di accelerazione e decelerazione nella sua espansione.
L’ipotesi di Shu vede da una nuova prospettiva le entità che stanno alla base dell’Universo, in quanto il tempo e lo spazio si possono convertire l’uno nell’altro con la velocità della luce come fattore di conversione. La massa e la lunghezza sono anch’esse intercambiabili: la conversione dipende dalla "costante gravitazionale", che è variabile nel tempo, e dalla velocità della luce, anch’essa variabile. Secondo questa nuova complessa visione, quando l’Universo è in espansione il tempo si converte in spazio e la massa in lunghezza. Quando l’Universo si contrae avviene il contrario.
"Nella mia visione dell’Universo la velocità della luce è un fattore di conversione tra il tempo e lo spazio, in quanto è semplicemente una delle proprietà della geometria dello spazio-tempo", spiega Shu, il quale continua: "Poiché l’Universo è in espansione si può ipotizzare che in fattore di conversione vari in rapporto a tale espansione e dunque la velocità della luce varia con il tempo cosmico".
Questa nuova concezione del cosmo in cui viviamo, tra l’altro, dà modo di spiegare la sua espansione senza ricorrere all’"energia oscura" che, secondo i canoni attuali, compone il 73% dell’Universo (il 23% è materia oscura e solo il 4% è materia ordinaria, quella di cui sono composte le stelle, i pianeti e tutto l’Universo visibile). Dell’energia oscura non si sa nulla e rimane il più grande mistero per gli scienziati.
Alcune critiche, tuttavia, sono già state mosse alla nuova teoria. Le più vigorose vengono da Michael Drinkwater, astronomo alla Univesity of Queelsland, il quale sottolinea come vi siano numerose prove che la velocità della luce è costante e non cambia con il tempo come sostiene Shu. La quantità di idrogeno, elio e altri elementi presenti nell’Universo, inoltre, sono coerenti con la nascita dell’Universo attraverso il Big Bang. Un’altra problematica riguarda la "radiazione cosmica di fondo" che, nel modello del Big Bang, corrisponde alla radiazione residua delle fasi iniziali della creazione dell’Universo e ne è considerata una conferma chiave. Shu è consapevole di queste controversie, ma secondo l’astrofisico è solo una questione di tempo e anch’esse troveranno una spiegazione nell’Universo infinito.
* la Repubblica, 03 agosto 2010
IL CERN E LE CENERI DELLA SCIENZA
Postato il Martedi 23 Settembre 2008 (7:15) di davide
Il Large Hadron Collider (LCH, un mezzo per far passare spese militari nel bilancio civile
DI DOMENICO CHIRICO
Etleboro *
“Senza energia l’uomo, semplicemente, non esiste”. Mark Twain
E’ stato definito il più importante esperimento della scienza contemporanea, l’esperimento che ci porterà tra le stelle, quello dell’acceleratore di particelle del CERN. L’istallazione del Large Hadron Collider (LHC) permetterà di raggiungere forme di energia mai conosciute prima, con la finalità di scoprire proprietà della materia finora teoriche, almeno per i cosiddetti scienziati ufficiali come Rubbia. Il mondo intero si è fermato attonito dinanzi allo spettacolo di una macchina dalla mole impressionante, senza proferire parola, anche perché la maggior parte delle persone non ha le conoscenze scientifiche necessarie per esprimere un parere, se non ripetere a pappagallo ciò che ha sentito nei servizi del Tg1 e “Studio Aperto” sulle interviste improvvisate. In realtà, per chi ha memoria, questo sembra un film già visto, ed è altamente probabile che le finalità di questi esperimenti vadano al di là di quelle preposte, esattamente come avviene per tutti quegli esperimenti ad uso “civile”.
Un esempio su tutti è l’ITER, il progetto internazionale che avrebbe realizzato la fusione termonucleare. In un’ intervista rilasciata nel dicembre del 2005, Emilio del Giudice dichiarò il suo fermo punto di vista sull’ITER: “È uno dei mezzi surrettizi per far passare spese militari nel bilancio civile. Non a caso i paesi che già hanno la bomba all’idrogeno non investono nella fusione calda. Perché un reattore a termo-fusione offre un modo per studiare, senza destare sospetti, come si comporta un plasma di neutroni. Perché occorre sapere che non esiste una teoria matematica che spiega la bomba H, ma esistono una serie di “ricette” che hanno bisogno della messa in pratica per sapere se funzionano o meno. All’inizio hanno investito molto gli Stati Uniti, la Russia e la Gran Bretagna, fino al momento in cui hanno realizzato la bomba H. Da quel giorno in poi hanno perso l’interesse. A chi interessa invece ancora molto? Al Giappone e ai paesi europei, appunto, a quelli cioè che non hanno ancora l’ordigno a idrogeno. Quando avranno raggiunto lo scopo prefissato si disinteresseranno a loro volta degli eventuali benefici civili.”
Sembrano considerazioni logiche che possono ragionevolmente essere applicate all’istallazione del CERN, analizzando la questione sulla base delle informazioni sinora disponibili. Facciamo dunque il punto della situazione. Sappiamo innanzitutto che l’ LHC è costituito da oltre 1600 magneti superconduttori raffreddati ad una temperatura prossima allo 0 assoluto, cioè vicino al limite fisico dei -273,15 °C. L’impianto criogenico di LHC è il luogo massivo più freddo e più grande del mondo. Per permettere ai protoni di muoversi liberamente lungo il loro tracciato, il tunnel deve essere necessariamente portato in condizioni di vuoto assoluto. Tra gli scopi principali degli studi vi è quello di cercare, fra queste particelle, tracce dell’esistenza del bosone di Higgs (che diversifica e attribuisce la massa alle altre particelle) e di nuove particelle. Questo consentirà anche di scoprire l’energia e la materia oscura, che costituiscono il 95% dell’universo, nonché di rilevare se esistono dimensioni ulteriori alle tre spaziali e quella temporale, confermando la “Teoria delle Stringhe” ( si veda Fisica subatomica: la teoria delle stringhe ).
In prossimità dell’apertura in data 10 Settembre dell’impianto, numerose sono state le polemiche da parte di numerosi scienziati sull’eventualità di formazioni di buchi neri che avrebbero distrutto il pianeta, tanto da chiedere persino l’intervento della Corte Europea, che prontamente ha respinto queste polemiche. Non è dato sapere attraverso quali criteri i giudici sono arrivati a formulare una sentenza, dato che le affermazioni di entrambi gli schieramenti non sono altro che teorie, tanto che per confermarne alcune è stato costruito proprio l’LHC. Il punto è che certamente l’impianto è stato costruito a fronte di una spesa di miliardi di euro e certamente non può essere inutilizzato. Considerando il punto di vista economico, ci si può sbizzarrire con le diverse teorie accusando finanziatori e finanziati, soprattutto in un periodo di recessione come quello attuale, ma parlandone non si farebbe altro che cadere nell’ovvietà e nel qualunquismo sebbene le riflessioni possano ritenersi più che valide. Semmai è più interessante analizzare la questione scientifica e le contraddizioni in esse preposte: si cercano particelle sebbene esse non esistano, al di là di una “dualità quantistica” solo apparente, in virtù del fatto che tutto è costituito da onde d’energia in continua propagazione che si presentano come particelle solo all’atto di osservarle.
Essendo le proprietà dedotte dalla fisica quantistica più che accettate, la Teoria delle Stringhe è di fatto più che valida, anche se è bene notare che le “sole” 11 dimensioni, sono il frutto di una conoscenza limitata dell’universo, in conformità ai parametri immessi nel set di equazioni .
E’ giusto far notare che col progressivo incremento della conoscenza e di nuove forze ed energie, le equazioni verrebbero nuovamente riviste e le dimensioni rilevate ancora più numerose. La teoria verrebbe notevolmente ampliata, ma nei fatti non si giungerebbe ad una "nuova teoria" sull’universo, né a delle conoscenze eccezionalmente diverse rispetto a quelle già sappiamo. Resta il dato di fatto che l’universo è UNO, e tutto è connesso: nella sua totalità non può che essere considerata una singolarità (matematica) al pari del centro di un buco nero (in cui parametri come gravità e dilatazione temporale vanno all’infinito) e quindi tutto ciò che lo caratterizza non può che tendere all’infinito (ivi comprese il numero delle dimensioni). Inoltre, è noto che la genesi della materia avviene nel vuoto, e ciò è stato rilevato per via sperimentale anche in ambito ufficiale (anche se il senso di tale significato non è ancora noto): non c’è alcun Big Bang, ne’ primi istanti da rilevare.
Mettendo dunque da parte le motivazioni di "curiosità scientifica" dei finanziatori miliardari del progetto, la vera particolarità sta nell’impianto e nelle condizioni ambientali a cui esso porta. Chi avrà raccolto informazioni sulla Free Energy, avrà sicuramente sentito parlare dello ZPE (Zero Point Energy), ma non tutti hanno ben compreso a cosa fa riferimento. Quegli scienziati che in quasi completa segretezza sperimentano sulla Free Energy, hanno rilevato lo stato minimo di energia di un sistema quantistico, solo in un ambiente con due caratteristiche principali vuoto assoluto (o quasi) e temperatura zero assoluto (o quasi). Due condizioni che ritornano all’interno dei tunnel dell’LCH, in cui viaggiano i fasci di protoni e in cui quindi avvengono le fluttuazioni quantistiche che generano coppie di particelle e di anti-particelle. Non esiste un Big Bang, un inizio del tempo e dello spazio ne tanto meno una fine; l’universo è costituito a livello puntuale e nella sua totalità da vibrazioni di energia, di cui l’etere teorizzato da Tesla è solo la punta dell’iceberg. Ogni luogo dell’Universo ha in se le proprietà di generare energia e materia, non ha bisogno di alcuna esplosione primordiale. Le leggi che regolano la free energy sono semplicemente la componente costruttiva in antitesi ai processi termodinamici che portano al degrado di qualunque sistema, ed esse convivono in perfetto equilibro. Ogni essere vivente vive nel luogo delle infinite possibilità dove le risorse sono illimitate, è questo il più grande segreto, ciò che porta allafine di qualunque monopolio e di qualunque ricatto. E’ difficile comprendere le finalità ultime, ma sicuramente isolano nella loro totalità, da quelle preposte. Ancora una volta la verità sulle sperimentazioni e i loro risultati apparterranno come sempre ad una piccola elite e alla gente comune andranno solo le briciole, quel tanto che basta per giustificare le spese sostenute agli occhi dell’opinione pubblica.
*
Ing. Domenico Chirico
Fonte: http://etleboro.blogspot.com
Link: http://etleboro.blogspot.com/2008/09/il-cern-e-le-ceneri-della-scienza.html
17.09.08
Si inceppa la macchina della "fine del mondo"
Guasto al Cern, fermo per due mesi l’acceleratore di particelle
di PIERO BIANUCCI (La Stampa, 21/9/2008)
Incidente al Cern, almeno due mesi di stop per l’acceleratore di protoni LHC, il più grande del mondo, inaugurato a Ginevra il 10 settembre davanti a cinquecento giornalisti. E’ successo venerdì poco dopo mezzogiorno, ma la notizia è stata diffusa solo sabato pomeriggio. Una connessione elettrica tra due magneti superconduttori è andata in cortocircuito e il calore che si è prodotto ha «bucato» il circuito dell’elio liquido che serve a raffreddare i magneti a 271 gradi centigradi sotto zero. L’elio liquido si è così riversato in grande quantità nel tunnel a cento metri di profondità al confine tra Francia e Svizzera. Nessun danno alle persone, non è certo la «fine del mondo» neppure in senso figurato. Sono malfunzionamenti piuttosto comuni in queste tecnologie estreme.
Però è un contrattempo sgradevole per vari motivi. Perché ci sarà un ritardo nell’avvio degli esperimenti. Perché la spesa per la riparazione non sarà lieve, anche se irrisoria rispetto agli otto miliardi del costo complessivo di LHC. Perché il 21 ottobre, quando è prevista l’inaugurazione «politica» di LHC con l’intervento di decine di capi di Stato, la gigantesca macchina non potrà funzionare. E infine anche per un motivo psicologico. Il 10 settembre aveva trovato ascolto la tesi di una sparuta minoranza di scienziati, secondo i quali LHC avrebbe potuto produrre minibuchi neri capaci di inghiottire la Terra intera. Ovviamente non è successo e non succederà niente del genere, ma su Internet già dilagano migliaia di blog che rilanciano paure e grida di allarme. LHC, Large Hadron Collider, è una pista circolare lunga 27 chilometri nella quale corrono in direzioni opposte fasci di protoni, le particelle che con i neutroni costituiscono i nuclei atomici.
I due fasci si scontrano in quattro aree sperimentali. E’ lì che i fisici sperano di trovare il «bosone di Higgs», detto anche «la particella di Dio» perché spiegherebbe l’esistenza di tutte le altre e quindi dell’universo stesso. Perché i protoni formino fasci sottili come un capello occorrono potenti magneti. Altri magneti servono a curvarne la traiettoria in modo che seguano la circonferenza del tunnel. I magneti che svolgono questo compito sono l’oggetto più freddo dell’universo: 1,9 Kelvin sopra lo zero assoluto, mentre lo spazio cosmico è a 2,7. Il raffreddamento, che serve a limitare il consumo di energia elettrica, si ottiene con elio liquido. E’ facile capire che una struttura formata da 1700 magneti distribuiti lungo 27 km, con parti ultrafredde e altre a temperatura ambiente, subisce forti stress per la diversa dilatazione dei materiali.
Nell’incidente di venerdì il cortocircuito ha causato uno sbalzo termico ben più violento, e il sistema di contenimento dell’elio ha ceduto. La riparazione sarà lunga perché il settore 3-4 della «pista» per protoni che ha subito il danno dovrà essere riportato a una temperatura normale, e dopo la riparazione occorrono parecchie settimane per ridiscendere a meno 271°C. Un problema simile aveva già ritardato quasi di un anno l’inaugurazione. «Quando è avvenuto l’incidente - fa notare James Gillies, portavoce del Cern - il fascio di protoni non era acceso e i tecnici al lavoro non hanno corso nessun rischio: le misure di sicurezza hanno funzionato alla perfezione». Ma basterà a far tacere gli epigoni di Nostradamus?
Ansa» 2008-09-10 15:41
AL LAVORO LA MACCHINA CHE VEDRA’ IL BIG BANG
ROMA - Un lancio verso l’esplorazione delle frontiere dell’infinitamente piccolo: la tensione che oggi ha accompagnato l’avvio dell’acceleratore più grande del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra, è paragonabile a quella del lancio di una navetta spaziale.
L’obiettivo, in questo caso, è ancora più ambizioso perché una macchina così grande e potente promette di rivoluzionare la fisica: la scommessa è riuscire a capire quello che è successo negli istanti che hanno immediatamente seguito il Big Bang che ha dato origine all’universo, quando molto probabilmente sono entrate in gioco leggi fisiche molto diverse da quelle note oggi.
"E’ stato un lancio nel microcosmo", ha detto il presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), che ha seguito tutte le fasi dell’avvio dell’Lhc dalla sede centrale dell’istituto a Roma, in collegamento con il Cern. Un evento storico e "importantissimo", come lo ha definito il presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) ed ex direttore generale del Cern, Luciano Maiani, che ha seguito le operazioni da Ginevra. Un successo pieno, quello ottenuto oggi, e vissuto fra un grande entusiasmo. Nella notte qualche difficoltà nell’apparato che controlla le bassissime temperature della macchina aveva creato qualche momento di tensione, che questa mattina ha comportato un leggero ritardo. Ma tutto è stato superato nel migliore dei modi.
Sotto gli occhi si tutto il mondo (dal Big Bang Breakfast organizzato in Gran Bretagna al pigiama party imposto agli Stati Uniti per il fuso orario) la macchina si è accesa e il primo fascio di protoni l’ha percorsa interamente, completando il giro dei 27 chilometri dell’anello dell’Lhc in poco meno di un’ora, alle 10,27. In realtà, ha spiegato il vicepresidente dell’Infn, Umberto Dosselli, i protoni sono stati iniettati a un’alta energia (450 miliardi di elettronvolt, GeV), tale da far raggiungere il 99% della velocità della luce e percorrere un intero giro in un decimo di secondo.
Ma per verificare che la macchina riuscisse a "vederle" in ogni punto del percorso, le particelle sono state bloccate in almeno otto diverse tappe da schermi simili a lastre fotografiche. Di volta in volta venivanno iniettati nuovi fasci (tutti relativamente piccoli, di qualche milione di protoni), ognuno dei quali bloccato in un punto diverso e misurato. Tappa dopo tappa, i protoni sono stati "visti" da tutti gli apparati dei quattro esperimenti dell’acceleratore (Alice, Cms Lhcb e Atlas).
Ma il primo "lampo" è esploso quando i potoni hanno incontrato il gas residuo nell’esperimento Cms. E’ stato un altro dei momenti emozionanti di questa lunga mattinata. Poi l’applauso e i brindisi che hanno salutato il completamento del primo giro in questo percorso a tappe. "Adesso - ha aggiunto Dosselli - si continua a iniettare nuovi fasci di particelle, in questa fase di rodaggio della macchina. L’Lhc funzionerà a regime fra qualche mese, nel quale una delle cose principali da fare sarà imparare a capire quando fascio diventa instaile e a gestirlo".
Le prime collisioni sono attese fra circa un mese e per l’inizio del prossimo anno l’ acceleratore più potente del mondo funzionerà a regime, alla temperatura di 7.000 miliardi di elettronvolt (TeV). Inizia l’ avventura dell’Lhc, che funzionerà almeno per i prossimi 25 anni, ma forse anche di più, visto che periodicamente sarà modificata e "ringiovanita".
Al via l’esperimento preliminare dell’istituto nucleare di Ginevra
Iniettati i primi fasci di protoni: le collisioni nei prossimi giorni
Cern, attivato l’acceleratore Lhc
"E’ andato tutto come previsto"
Le particelle hanno percorso senza problemi i 27 chilometri del tunnel
GINEVRA - L’acceleratore è stato attivato e tutto è andato come previsto: nessuna apocalisse all’orizzonte. L’esperimento preliminare del Lhc (Large Hadron Collider) del Cern di Ginevra è partito come da programma poco dopo le 9 e 30, con l’obiettivo di verificare il funzionamento del più grande acceleratore di particelle del mondo, costato oltre 6 miliardi di euro. Per "vedere" i primi protoni scontrarsi tra loro e ricreare così le condizioni del Big Bang, bisognerà invece aspettare qualche giorno, mentre la piena efficenza del Lhc sarà raggiunta solo nel 2009.
La prova. Nel test di oggi per la prima volta un fascio di particelle, composto da un miliardo di protoni, ha percorso interamente l’anello di 27 chilometri, senza però essere "accelerato" dai magneti superconduttori e quindi con una velocità inferiore a quella prevista per gli esperimenti, che sfiora quella della luce. La prova preliminare procederà con l’iniezione di un altro fascio in direzione opposta, utile perchè si possa verificare la perfetta percorribilità del tunnel in entrambi i "sensi di marcia". Durante l’esperimento si è osservato anche un "lampo", creato dall’interazione tra i protoni del fascio e quelli del gas rimasto nell’acceleratore.
Le reazioni. Il direttore del Cern Robert Aymar esprime soddisfazione per l’esito della prova. "Abbiamo due emozioni: la soddisfazione per aver completato una grande missione e la speranza di grandi scoperte davanti a noi’’.
Per il presidente del Cnr ed ex direttore del Cern, il test di oggi è "Estremamente importante. Con Lhc si apre una nuova generazione di macchine, inoltre - precisa Maiani - il principio delle collisioni che oggi viene applicato con Lhc è stato inventato in Italia negli anni ’60, a Frascati, nell’anello dell’accelleratore Ada da un fisico austriaco che all’epoca si era trasferito a fare ricerca da noi".
Sottolinea il contributo italiano anche il presidente dell’istituto nazionale di fisica nucleare Roberto Petronzio: "E’ una svolta per la scienza, oggi comincia un nuovo percorso e i 600 fisici italiani che hanno collaborato all’esperimento potranno dire di esserci stati".
Il problema tecnico. Nella notte, durante i preparativi per il test della mattina, il Cern aveva comunicato che erano stati rilevati alcuni "piccoli problemi elettrici", che non hanno tuttavia impedito lo svolgimento dell’esperimento preliminare.
I prossimi esperimenti. Nei prossimi giorni verranno iniettati nuovi fasci di protoni, che verranno poi accelerati e fatti scontrare. Sono 4 gli esperimenti principali su cui si concentreranno i circa 3.000 fisici coinvolti nel progetto: Atlas e Cms daranno la caccia al bosone di Higgs, la cosiddetta "particella di Dio" che ha dato massa a tutte le altre, Lhcb studierà le differenze tra materia e antimateria, mentre Alice si occuperà dello stato della materia nei primi istanti dell’universo.
* la Repubblica, 10 settembre 2008.
Tremila scienziati di trenta Paesi al Cern cercano la "particella di Dio"
Il tunnel di 27 chilometri viene inaugurato con una provasperimentale
Ginevra, è il giorno del Big Bang
"Ma non sarà la fine del mondo"
dal nostro inviato ELENA DUSI *
GINEVRA - È stato costruito per trovare la "particella di Dio", servirà a studiare l’origine dell’universo ma alcuni temono che scatenerà la fine del mondo. Al Cern di Ginevra dopo 15 anni di lavori sta per illuminarsi il più grande e ambizioso strumento scientifico del mondo. L’ora X dell’accensione è prevista oggi per le nove e mezza. "Finora abbiamo guardato per terra. Ora potremmo iniziare a guardare verso il cielo" sorride Guido Tonelli, fisico delle alte energie, in una vigilia che intanto sa di tramezzini e caffè in bicchieri di plastica.
E mentre qualcuno teme che il mondo finisca oggi inghiottito da un buco nero, per i 3mila scienziati di 30 paesi che qui stanno fissi di fronte agli schermi un universo sta per aprirsi, fatto di particelle dai nomi esoterici come quark, pioni, gluoni e muoni. Più la grande star della compagnia, che a partire da oggi potrebbe decidere di presentarsi in qualunque momento. Si chiama "bosone di Higgs" ed è stato soprannominato la "particella di Dio" perché tutti ci credono, molti la studiano, probabilmente si trova ovunque attorno a noi anche se nessuno l’ha vista.
Per arrivare alla particella di Dio si è scesi 100 metri sottoterra e si è scavato un tunnel che è un cerchio perfetto lungo 27 chilometri. Nel tunnel verrà lanciato un fascio di protoni che correrà a una velocità che è il 99,9999991% della velocità della luce. Nel gigantesco "autoscontro" fra i protoni si scateneranno energie che normalmente si registrano solo nello spazio. Sottoterra la materia disgregata per un istante tornerà allo stato che aveva alcuni miliardesimi di secondo dopo il big bang.
Sconvolgente e misterioso, il tunnel chiamato "Lhc" ha già suscitato la paura di un’apocalisse sotto forma di un buco nero che inghiottirà il mondo. "Non ci sarà nessun’Apocalisse. Ma se mi sbaglio, venitemi pure a cercare" scherza John Ellis, barba e capelli lunghi e bianchi. Ma anche chi dei fisici non si fida troppo, ha buoni motivi per dormire sonni tranquilli. Oggi infatti il tunnel verrà inaugurato solo con un esperimento preliminare. Nella "ciambella" verrà lanciato il primo fascio di protoni. Farà qualche giro di pista in un senso e poi nell’altro, verificherà che i magneti in grado di spingere le particelle a compiere il percorso 11mila volte in un secondo siano ben allineati e in piena efficienza.
Poi un brindisi chiuderà la giornata della più grande concentrazione di scienziati del mondo (c’è chi calcola che da Ginevra nei prossimi mesi passerà la metà dei fisici teorici e delle particelle del mondo). Mentre i rivali americani del "Fermilab" di Chicago seguiranno l’esperimento con un pigiama party.
I primi scontri fra protoni avverranno le prossime settimane e per vedere la macchina funzionare a pieno regime bisognerà aspettare il 2009. Mentre il fisico Stephen Hawking ha scommesso 100 dollari che il bosone di Higgs non verrà mai trovato, oggi la paura degli "uomini delle particelle" è piuttosto che si ripeta l’inconveniente di Lep (il nonno di Lhc), inaugurato nel 1989. Una lattina di birra lasciata nel tunnel rovinò il giro di prova del fascio di protoni. E a chi chiede quali sono le finalità pratiche di una cattedrale della scienza di queste dimensioni, costata 6 miliardi di euro, la maggior parte dei fisici risponde che proprio al Cern alla fine degli anni ’80 per gestire la gran mole di dati degli esperimenti fu inventato il world wide web.
* la Repubblica, 10 settembre 2008
Quanto ci piace l’apocalisse
di FRANCESCO MERLO *
SE SIETE vivi e ci state leggendo, allora siete già in un altro mondo, anche se con le stesse fattezze di quello che è appena finito. Ci hanno detto infatti che alla fine del buco nero, nel quale siete già precipitati, c’è la terra numero due, anello gemello di ricambio, solo apparentemente con gli stessi ingredienti, con lo stesso giornale che infatti avete ancora in mano e con gli stessi scienziati giocherelloni. Sono infatti loro che in un immenso laboratorio sotterraneo, sepolto a un centinaio di metri sotto il confine tra Francia e Svizzera, stanno sottoponendo il pianeta all’accanimento epistemologico, vale a dire alla verifica del big bang.
Secondo informazioni di primissima mano sappiamo che sulla terra che è scappata dalla terra mancherebbero soltanto i mutui e gli affitti da pagare, Bossi, Carfagna e Gelmini, i piatti da lavare, il mal di testa e le partite di calcio. E che il resto si vedrà. Di sicuro non ci può essere nuovo mondo senza fine del mondo. Anche gli Stati Uniti nacquero per scappare dalla guerra tra Cristo e antiCristo che in Europa annunziava appunto la fine del mondo. L’America fu il buco nero dei padri pellegrini, la rigenerazione dell’umanità.
Comunque sia, voi che state leggendo questo articolo, per favore, non dimenticate il cielo. Ogni tanto alzate gli occhi per vedere se lassù, senza chiasso, il sole non si stia spegnendo o al contrario non si stia espandendo. Non è infatti detto che il big bang venga avvertito con un rumore, potrebbe trattarsi di uno scuotimento convulsivo silenzioso. E dunque la fine del mondo potrebbe anche essere piacevole, come un nirvana, un’interruzione di coscienza appena percettibile, un sogno.
Se invece foste morti e non poteste leggerci, se domani non sarà insomma un altro giorno, ebbene allora sarebbe stata un’eutanasia o meglio una ’autanasia’, non un suicidio per mettere fine alla sofferenza, ma un suicidio per gioco scientifico, per un’esplosione che non serve a nulla se non a provare un’ipotesi cosmologica.
Non è la prima volta che viene annunziata la fine del mondo. Anzi, si può dire che la storia del mondo è piena di fini del mondo, ma certo questa sarebbe la prima fine del mondo tutta umana, una fine del mondo laica e secolare, senza sacre scritture, senza Dio e senza religioni, innescata in laboratorio, senza paradisi inferni e purgatori, senza giudizio universale in ordine alfabetico, ma anche senza l’angoscia delle processioni dell’ultimo giorno e delle utopie millenaristiche, senza esegesi bibliche o riscoperte di testi aramaici.
Convinti che ci sia un rapporto stretto tra la scienza e le convinzioni più bizzarre, tra i miti e le scoperte scientifiche, tra, per esempio, l’eliocentrismo copernicano e l’eliocentrismo precristiano..., convinti insomma che l’oscurantismo sia alla base del sistema solare o, se volete, che il sistema solare legittimi i miti oscurantisti, siamo tutti qui ad aspettarla davvero questa fine del mondo da ’Large hadron collider’ che un gruppo di scienziati ha messo in moto e che un altro gruppo di scienziati vanamente ha cercato di fermare.
Entrambi sono ossessionati dalla fine e dal cominciamento, proprio come lo erano gli antichi movimenti spiritualistici e millenaristici. Gli scienziati insomma hanno sostituito l’atomo alla preghiera. Sono loro i nostri stregoni, credono nella fine del mondo un po’ come Keplero che, grande scopritore dell’orba ellittica del pianeta, era, in realtà, un mistico del numero. Credeva nella perfetta geometria di Dio, descriveva i demoni e i mostri lunari ma proprio la sua passione oscurantista per la geometria gli fece prefigurare lo studio dei cristalli. Notò infatti che "ogni volta che smette di nevicare i primi fiocchi di neve prendono la forma di un asterisco a sei angoli. Perché non a cinque e neppure a sette angoli?".
E si sa che Voltaire decapitava lumache e che Spallanzani passò la vita ad amputare rospi. E se il fisico Charles Wilson non fosse stato un fanatico delle nuvole al punto di cercare di fabbricarle in laboratorio mai avrebbe messo a punto, senza volerlo, quel sistema per trattenere le particelle elementari che gli fruttò il Nobel.
Ecco: se non fossero fanatici della fine del mondo, "alla ricerca della particella di Dio" come ha appunto dichiarato James Gillies, il portavoce del Centro di Ricerche Nucleari di Ginevra, i nostri scienziati non avrebbero creato l’appuntamento odierno con l’Apocalisse. "I miei calcoli indicano che il rischio che un buco nero mangi il pianeta a causa dell’esperimento è serio", ha affermato il professor Otto Rossler, un chimico tedesco della Eberhard Karls University.
Insomma oggi 10 settembre 2008 abbiamo la prova finale che la scienza è il prodotto del suo contrario e che il progresso scientifico è fatto più di buio che di luce. Come sosteneva Leo Szilard, uno dei padri della bomba atomica, grande amico di Fermi e di Einstein. Nel 1963 Szilard abbandonò la scienza e cercò di convincere un miliardario americano a finanziare con trenta milioni di dollari all’anno una Fondazione per riunire i più grandi scienziati della Terra. Divisi in dieci comitati di dodici sapienti, essi avrebbero dovuto usare la scienza per fermare la scienza o quanto meno per ritardarla, ritardando così il ritorno delle tenebre e la nostra fine. E dunque, se l’anello gemello all’altro capo del buco nero fosse solo una balla, oggi nessuno di noi potrebbe testimoniare che il povero Szilard aveva ragione. Bang.
* la Repubblica, 10 settembre 2008.
Oggi a Ginevra l’acceleratore di particelle dovrebbe svelare l’origine dell’universo, trovando la «Particella di Dio»
La scommessa di Hawking anti Cern
Lo scienziato ha puntato cento dollari sul fallimento del test
«Sarebbe molto più emozionante un esito negativo»
Carlo Rubbia è stato l’ispiratore della super macchina. L’evento pone l’Europa all’avanguardia nelle ricerche sulla fisica
di Giovanni Caprara (Corriere della Sera, 10.09.2008)
GINEVRA - «Ho scommesso cento dollari perché spero che la famosa "particella di Dio", il bosone di Higgs, non riesca a scoprirlo il nuovo superacceleratore che oggi si accende al Cern di Ginevra». La battuta di sfida è di Stephen Hawking, il più celebre scienziato vivente, il «maestro del tempo» e dei segreti dei buchi neri. Hawking ama le scommesse e non è la prima volta che perde. «L’acceleratore LHC sprigiona un’energia mai raggiunta prima e secondo le teorie dovrebbe essere sufficiente per trovare questa fantomatica particella la quale spiega la massa delle cose, e quindi rappresenta una misura fondamentale per decifrare la materia», ha spiegato lo scienziato alla Bbc. «Ma credo - ha aggiunto il celebre scienziato - che sarebbe più eccitante se non lo trovassimo, il bosone di Higgs. Dimostrerebbe che c’è qualcosa di sbagliato nelle nostre idee e che dobbiamo pensare di più per trovare altre spiegazioni. Per questo ho scommesso cento dollari che non lo troveremo». Hawking guarda con maggior fascino alla possibilità di scovare traccia della supersimmetria, anche questa prevista dai teorici, la quale dimostrerebbe che esistono delle particelle simmetriche a quelle che conosciamo. In realtà il superacceleratore ginevrino aprirà le porte di una nuova fisica che in parte nemmeno gli scienziati costruttori della macchina possono oggi immaginare. Anzi sperano caldamente di trovare molte cose di cui non hanno mai discusso o ipotizzato.
«La sfida di Hawking è molto interessante ed ha ragione per molti aspetti perché sarebbe affascinante non trovare il desiderato bosone, per le implicazioni che genererebbe» commenta Fabiola Giannotti che dirige Atlas, uno dei quattro esperimenti permessi dall’acceleratore, e con il quale si dovrebbe rivelare la particella di Dio. «Ma in questo caso - aggiunge Fabiola - dovremmo vedere qualche altra particella che ne fa le veci, oppure scoprirla in condizioni diverse da quelle immaginate. Di certo sarà comunque stimolante perché dimostrerebbe come la Natura sia molto più intelligente di noi». La Giannotti è alla guida dei 2.500 scienziati, provenienti da 37 nazioni dei cinque continenti, che da oggi si metteranno alla ricerca della famosa particella.
Intanto Hawking non perde occasione per demolire l’idea che la creazione di micro- buchi neri forse generati dalla macchina possa «distruggere » la Terra. «In natura - conclude - questi fenomeni accadono spontaneamente ogni giorno senza scatenare niente di terribile ». Al grande scienziato britannico che siede sulla cattedra di Newton si può credere perché è stato proprio lui a ipotizzare l’esistenza degli speciali e microscopici buchi neri che forse zampilleranno dalla macchina di Ginevra. Ed è proprio lui a spiegare con la teoria che porta il suo nome (Hawking’s ratiation) che evaporeranno all’istante senza guai. La famosa «particella di Dio», punto centrale dell’esperimento che si avvia oggi nel superacceleratore del Cern di Ginevra - il cui ispiratore fu Carlo Rubbia- venne scoperta da Peter Higgs, scienziato scozzese, negli anni Sessanta e battezzata «particella di Dio» dal premio Nobel per la fisica Leon Lederman. Che venga trovata oppure no, come auspica Hawking, con l’acceleratore l’Europa si pone all’avanguardia nelle ricerche sulla fisica, retrocedendo al secondo posto gli Stati Uniti.
Big Bang a Ginevra, il terrore corre sulla Rete
di Cristiana Pulcinelli *
C’è chi ha trovato anche la citazione di Nostradamus adatta all’occasione. Recita così: «Tutti dovrebbero lasciare Ginevra. Saturno si trasforma da oro in ferro. Il raggio opposto al positivo sterminerà ogni cosa». Come al solito, potrebbe andare bene per qualsiasi evento, ma gli estensori del blog su cui si trova la citazione sono sicuri che l’astrologo francese quando, in pieno XVI secolo, faceva la sua profezia si stesse riferendo proprio all’esperimento che prenderà il via oggi al Cern.
Se qualcuno non fosse convinto, può guardare un disegno attribuito a Nostradamus (ma forse opera di suo figlio) in cui si vede un arciere che spara contemporaneamente due pesci in direzione opposta in quella che sembra la sezione di un tubo. Due pesci non sono esattamente due fasci di protoni ma le conoscenze della fisica delle particelle a quell’epoca non consentivano di fare meglio. Ancora qualche dubbioso? I bloggisti non demordono e fanno notare che «LHC dovrebbe cominciare a funzionare esattamente quando la popolazione mondiale raggiunge 6,66 miliardi di persone». E 666 non è forse il numero dell’anticristo?
Ma l’opposizione all’acceleratore di particelle più potente del mondo non è solo fatta da millenaristi un po’ folli. Nel grande calderone c’è posto per tutti, anche per associazioni contro la globalizzazione che dicono la loro contro gli «scienziati Frankestein». C’è poi il sito ufficiale dei cittadini che sono contrari a LHC (Lch Defense) il cui scopo principale è ricorrere ad azioni legali per bloccarlo. L’associazione basa le sue attività sulle affermazioni di Walter Wagner e Franck Wilczek, due fisici americani che scrissero una lettera a «Scientific American» già nel 1999 per allertare il mondo sui possibili pericoli che l’attività degli acceleratori di particelle avrebbe provocato. Le argomentazioni sono quelle riprese nei giorni scorsi: lo scontro tra protoni ad altissima energia può provocare la formazione di micro buchi neri che potrebbero inghiottire la Terra, ma anche di «strangelets», materia diversa da quella che conosciamo. Il Cern risponde con un rapporto sulla sicurezza di LCH stilato nel 2003: i micro buchi neri, seppure si dovessero formare, si disintegrerebbero immediatamente, mentre gli strangelets si sarebbero dovuti produrre già in altri acceleratori di particelle, cosa mai avvenuta.
Ma la guerra in Rete si combatte soprattutto a suon di filmati. C’è ad esempio quello che si trova sul sito Lhc Defense che termina mostrando le immagini di una Terra progressivamente inghiottita dall’oscurità. La risposta viene da un filmato prodotto da alcuni fisici del Cern che, a ritmo di rap, spiegano cosa fa e perché non è pericoloso LHC. C’è poi chi lascia filmati-testimonianza sulla civiltà umana e su come sia stato bello vivere sulla Terra. Della serie: non si sa mai.
E su YouTube si può trovare il filmato dal significativo titolo: «Chi controlla la scienza?» dove si ascolta (in spagnolo) Otto Roessler, il biochimico tedesco che ha chiesto alla Corte europea per i diritti dell’uomo di fermare l’esperimento di Ginevra, che spiega le sue ragioni. Sul sito del quotidiano inglese «Guardian» è apparso un articolo su questo tema in cui si chiedeva il commento dei lettori. Si sono aperte le cateratte del pessimismo: «Se il mondo finirà non avremo perso niente». O ancora, se i micro buchi neri falliscono «ci penserà il buco nero della nostra civiltà che succhia ogni giorno la vita a 200 specie viventi».
* l’Unità, Pubblicato il: 10.09.08, Modificato il: 10.09.08 alle ore 12.07
Scienza e pensiero.
Il Cosmo visto con gli occhi di Spinoza
Le scimmie intelligenti alla scoperta dell’universo
-di Giulio Giorello (Corriere della Sera, 11.09.2008)
«La scimmia senza sforzo diventò uomo, che un po’ più tardi disgregò l’atomo». Così Raymond Queneau nel 1950. Ma qualche scimmia un po’ più intelligente è andata oltre, scoprendo tutto uno zoo di particelle elementari che, nella loro piccolezza, dovrebbero spiegare l’origine del grande Universo!
I fisici non si sono accontentati, però, di studiare le interazioni fondamentali che fanno sì che il mondo sia quello che è: sono alla ricerca, con una passione intellettuale degna di Spinoza, della Grande Unificazione per cui nelle condizioni primordiali del Cosmo tutte le forze erano una sola. Il tassello mancante è la massa (detto in breve, la materia), in quanto le teorie correnti non spiegano perché certe particelle sono molto più massive di altre. Queste differenze potrebbero venir spiegate introducendo, un nuovo campo in cui sarebbe immerso, come in un grande oceano, l’intero Universo; le particelle che «nuotano in questo mare » acquistano apparentemente massa, un po’ come i corpi immersi nell’acqua sembrano acquisire inerzia, e tutto dipende dall’intensità di tale interazione.
Speculazioni... non molto diverse da quelle di Newton, che immaginava che il corpo di Dio pervadesse il Tutto! Ma adesso possono essere controllate: come i campi elettromagnetici sono format i da fotoni (i «quanti di luce» di Einstein), così i campi di Higgs sarebbero formati da particelle battezzate «bosoni di Higgs »; e queste potrebbero venire osservate nei detriti delle collisioni prodotte appunto dall’Lhc. Se le cose andassero così, l’evento sarebbe festeggiato da grandissima parte della comunità scientifica.
Stephen Hawking spera invece che l’impresa non riesca. Come Pascal, è pronto a scommettere sulla capacità della natura di sorprenderci; come Popper, è convinto che impariamo soprattutto dalle sconfitte. Poiché si tratta di tecnologie ipersofisticate, l’impresa porterà comunque a importanti ricadute, anche a costo di qualche timore che compaia un «buco nero » che ci inghiotta tutti. Ma credo che per l’ennesima volta i profeti di sventura dovranno ammettere che l’Apocalisse è rimandata... «a data da destinarsi».
il caso
LE FRONTIERE DELLA SCIENZA
Parla Lucio Rossi, fisico che al Cern di Ginevra partecipa all’esperimento Lhc: «Scoprire il bosone di Higgs, la ’particella di Dio’, ci farà capire molto sulla formazione dell’universo. A noi scienziati il creato appare dotato di un ordine sorprendente: c’è chi vi vede solo il caso, ma io scorgo piuttosto un piano intelligente»
«Così indaghiamo il disegno di Dio»
DA PIACENZA BARBARA SARTORI (Avvenire, 13.09.2008)
« Poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui » . La citazione è del biologo Pasteur, ma a riprenderla per tratteggiare la sua esperienza professionale è Lucio Rossi, fisico piacentino di stanza al Cern di Ginevra nell’ambito del progetto Lhc. Dal 2001 Rossi dirige la costruzione del grande acceleratore di particelle, che il 10 settembre ha aperto nuove frontiere nello studio della materia. C’è chi ha guardato all’esperimento con diffidenza, paventando addirittura la fine del mondo. E chi l’ha interpretato come uno schiaffo alla visione cristiana dell’origine del cosmo. Niente di più lontano dalla realtà, dice Rossi, che domenica torna a Piacenza per ricevere, nella cornice della Festa della cattedrale, il premio ’ Angil dal Dom’.
È un viaggio nell’infinitamente piccolo, quello aperto al Cern con il test del Large Hadron Collider, che ha aperto la caccia alla ’ particella di Higgs’, nota anche come ’ particella di Dio’. « Newton trovò che la massa è responsabile della gravitazione. Einstein che la massa è equivalente all’energia - sintetizza Rossi -. La particella di Higgs, ipotizzata una ventina d’anni fa, spiegherebbe l’origine della massa, quindi di molti fenomeni del mondo che ci circonda » .
Qualche esponente del mondo scientifico, però, preferisce parlare del bosone di Higgs come del ’ dio degli scienziati’ e considera il progetto Lhc una vittoria della scienza sulla fede. «Per me ci vuole più fede a non credere che a credere - ribatte invece Rossi -. Vedo una complessità tale nell’universo, governata peraltro da regole di simmetria di base molto armoniose, che mi sembra indichi più facilmente l’idea di un disegno intelligente piuttosto che di un grandissimo caso » .
Scienza e fede, insomma, non solo è un binomio possibile, ma necessario. « Credo che l’esistenza di un Dio Incarnato non ponga alcun problema alla scienza. Mi sembra anzi che sia la via più certa per affermare che noi siamo fatti strutturalmente per comprendere - e fino in fondo - il mondo fisico e la sua razionalità. Se Dio si è incarnato, allora il mondo, anche il mondo fisico, è importante da conoscere, ne vale davvero la pena, e non solo per ’ utilizzare’ le conoscenze. La scienza moderna è uno dei più bei fiori della valorizzazione che il cristianesimo ha fatto della razionalità greca, come papa Ratzinger sta spiegando, da Ratisbona in poi » .
Lo scienziato che studia l’infinitamente piccolo non ha dimenticato la lezione del padre agricoltore, con cui, da ragazzo, condivideva il lavoro nei campi. « Dall’agricoltura ho appreso che si semina, si suda, ma non si sa se si raccoglie. Il lavoro è indispensabile, ma non è quello che fa crescere i prodotti della terra. C’è di mezzo un disegno che non è del lavoratore. Così è anche nella ricerca scientifica. Una scoperta, un’innovazione tecnologica non sono solo dello scienziato. Intanto ci si appoggia sulla tradizione, senza la quale non si costruirebbe nulla. E poi - lo si avverte chiaramente se si è onesti - c’è qualcos’altro. Chi dice il caso, io dico un disegno » .
Ansa» 2007-10-19 14:53
AL GRAN SASSO I NEUTRINI PARTITI DAL CERN
ROMA - In un esperimento unico al mondo, un fascio di neutrini lanciato dal Cern di Ginevra ha viaggiato sottoterra alla velocità di migliaia di chilometri l’ora, percorrendo 730 chilometri 2,4 millisecondi, ed è arrivato nei laboratori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) al Gran Sasso. La prima immagine è stata catturata dai rivelatori di Opera, la più sofisticata ’macchina fotografica’ delle particelle esistente. Queste particelle, ancora sotto molti aspetti sconosciute, sono state inviate a milioni dal Cern, da dove sono state inviate nell’esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso). Una volta colpito il bersaglio di emulsioni nucleari dei rilevatori di Opera, il primo neutrino arrivato a destinazione ha prodotto una cascata di altre particelle. Tra queste, i ricercatori cercheranno di identificare e riconoscere quelle che appartengono a una famiglia di neutrini, chiamati tau, che non era presente nel fascio partito da Cern e che si è formata strada facendo a partire un’altra famiglia di neutrini, chiamati mu. Riuscire a vedere i neutrini tau significherà così avere la prova, cercata a lungo dai fisici di tutto il mondo, del fatto che è possibile la trasformazione diretta di un tipo di neutrino in un altro, il cosiddetto meccanismo di oscillazione dei neutrini.
Viaggio alle origini dell’Universo
di Cristiana Pulcinelli *
Se pensate che la domanda «da dove veniamo?» non abbia alcun senso, allora LHC non fa per voi.
Ma se, magari guardando il cielo stellato sopra la vostra testa, siete stati per un attimo sfiorati dalla voglia di sapere qualcosa sull’origine dell’universo, allora seguite attentamente quello che questa macchina farà nei prossimi anni.
LHC e gli esperimenti che ad esso sono collegati sono frutto di due caratteristiche della nostra specie: una smisurata curiosità e un’alta opinione di sé.
Noi uomini pensiamo non solo di poter giungere a capire cosa è successo 13,7 miliardi di anni fa, quando il nostro universo è nato, ma addirittura di trovare le prove delle nostre teorie. Così abbiamo deciso di costruire la macchina più potente e precisa mai fatta finora per arrivare a capire da dove veniamo e, forse, perché siamo così come siamo.
LHC sta per Large Hadron Collider. Si tratta di un acceleratore di particelle davvero molto potente. Il progetto della sua costruzione venne approvato nel 1994 dal consiglio del Cern (Conseil Européen pour la recherche nucléaire) e tra il 1996 e il 1998 furono approvati i 4 esperimenti che ad esso sono collegati. Da allora ad oggi si è lavorato alla costruzione di questo immenso macchinario. Ancora non è pronto, ma manca pochissimo: l’inaugurazione è prevista ad ottobre del 2008. Poi ci vorranno ancora un paio d’anni perché la macchina funzioni alla sua massima potenza.
L’acceleratore giace a 100 metri sotto il livello del suolo e si estende per 27 chilometri a cavallo tra la Svizzera e la Francia. Il tunnel circolare che lo ospita venne costruito per il vecchio acceleratore, Lep, smantellato nel 2000 per far posto al suo fratello maggiore. LHC è 100 volte più potente del Lep e 10 volte più potente dell’acceleratore americano Tevatron che si trova al Fermilab di Chicago. Quando entri nelle viscere della terra dove LHC riposa, vedi quante parti lo compongono e la moltitudine di gente che ci lavora, capisci perché i fisici delle particelle sono convinti che dopo di lui sarà il diluvio. Ovvero, che una macchina più grande di questa non verrà mai costruita. Lo sforzo compiuto per far vivere LHC e i suoi esperimenti è davvero immane.
Visitare il tunnel fa un certo effetto: la fine non si vede, al suo centro i tubi si estendono a perdita d’occhio. All’interno di quei tubi corrono i protoni, le particelle che normalmente si trovano nel nucleo degli atomi. I protoni corrono in due fasci di direzione opposta e vengono fatti accelerare fino a raggiungere il 99,9998% della velocità della luce. A intervalli regolari, i tubi sono incapsulati dentro dei magneti superconduttori che mantengono i protoni concentrati in un fascio di spessore inferiore a quello di un capello. Ce ne sono 9000 in tutto e sono nel luogo più freddo dell’universo: vengono tenuti infatti alla temperatura di -271 gradi centigradi grazie all’elio superfluido.
Tolte le apparecchiature, lo spazio restante nel tunnel non è molto, diciamo meno di due metri di larghezza. Il carrello che trasportava i vari componenti durante il montaggio della macchina aveva mezzo centimetro di gioco per ogni lato. Dato che doveva procedere con una lentezza esasperante, accadeva che il guidatore si addormentasse, così è stata tracciata una linea bianca a terra e il carrello è stato dotato di un lettore laser. Oggi, in quello spazio c’è una pista ciclabile: i tecnici vanno in bici per raggiungere i punti più lontani. Tutti con il casco in testa e, a tracolla, un kit che permette di respirare ossigeno in caso di incendio o di fuoriuscita di elio. Il punto più lontano da una delle uscite si trova a 1,7 chilometri: una distanza difficile da percorrere a piedi in caso di pericolo. Quando LHC entrerà in funzione nessuno potrà più entrare nel tunnel.
In quattro punti distinti dell’anello i fasci si incontrano e i protoni si scontrano producendo energia. Lì si aprono delle enormi caverne dove sono ospitati i quattro esperimenti di LHC: Atlas, CMS, Alice, LHCb. Atlas è il più grande: nella caverna che lo ospita ci starebbe mezza cattedrale di Notre Dame. Anche gli altri, tuttavia, non scherzano. Basti pensare che il magnete di CMS contiene tanto ferro quanto tutta la Torre Eiffel.
Ora che ancora non sono entrati in funzione si possono visitare dall’interno. La prima cosa che viene in mente è: così doveva essere il cantiere della Torre di Babele. Migliaia di lavoratori di tutte le nazionalità lavorano fianco a fianco. Inglese, francese, italiano, russo, indiano: le lingue si intrecciano nell’aria, ma anche sui cartelli appesi alle pareti che indicano l’uscita o i turni di lavorazione. «Tutti sentono di partecipare a un grande progetto» ci spiega la nostra guida. Se così non fosse, del resto, potrebbero dedicare vent’anni della loro vita a quest’idea? Intanto, tredici anni sono già passati a lavorare senza sapere se la macchina funzionerà. Tra gli operai, ci dicono, ci sono molti fisici russi: in patria le cose non vanno bene, così vengono qui a mettere a disposizione le loro conoscenze. Loro sanno che la precisione è fondamentale, anche nei dettagli. Sarà il clima che si respira, ma sembra di capire che qui potrebbe venir messo in discussione l’universo così come lo conosciamo.
Il fatto è che molte cose dell’universo ci sono ancora poco chiare. Ad esempio, la massa. Perché le particelle elementari sono dotate di massa e perché le loro masse sono diverse le une dalle altre? La fisica teorica ha supposto l’esistenza di una particella, chiamata il bosone di Higgs, che spieghi questo fatto: l’interazione delle particelle con questo bosone determinerebbe la loro massa. Ma purtroppo il bosone di Higgs finora non è mai stato visto.
Un altro mistero da svelare riguarda l’antimateria. L’antimateria è l’immagine speculare della materia: se per strada incontraste un’automobile fatta di antimateria non la distinguereste da quella fatta di materia. Ma se i due oggetti entrassero in contatto l’uno con l’altro, si annichilerebbero a vicenda lasciandosi alle spalle solo energia. I fisici ritengono che al momento della nascita dell’universo materia e antimateria siano state prodotte nella stessa quantità. Quando materia e antimateria si scontravano si annullavano a vicenda. Oggi però il nostro universo, dalle galassie al giornale che state leggendo, è fatto tutto di materia. Dove è finita l’antimateria? E perché la materia ha prevalso? Se potessimo vedere l’antimateria prodotta dal Big Bang, forse ne sapremmo di più.
Sempre in tema di questioni irrisolte: la materia oscura. Secondo i calcoli dei fisici, tutta la materia che noi vediamo è solo il 4% della massa totale dell’universo. Per spiegare alcuni effetti gravitazionali, si deve supporre l’esistenza di una materia oscura e una energia oscura che non possiamo vedere. Si pensa che l’universo sia composto per il 30% da materia oscura. Ma dove sono le sue particelle?
E ancora, alcuni fisici teorici ipotizzano che le nostre quattro dimensioni siano troppo poche per descrivere l’universo. Ce ne sarebbero altre che però non possiamo vedere. Aumentando l’energia saremo in grado di individuarle?
Gli esperimenti di LHC cercano risposte a queste domande. Le collisioni tra protoni, infatti, generano un’energia molto intensa, pari a quella che si poteva misurare qualche frazione di secondo dopo il Big Bang. Questo permette a particelle che oggi non ci sono più di tornare in vita. Ma la loro sopravvivenza dura una piccolissima frazione di secondo, poi si disintegrano dando vita a particelle conosciute. Ebbene, gli esperimenti di LHC vogliono vedere queste particelle prima che scompaiano di nuovo. In particolare, Atlas e Cms, con i loro rivelatori, cercano di «fotografare» quelle, come il bosone di Higgs, che darebbero risposta alle domande cui abbiamo accennato prima. E forse anche a qualcun’altra: «Se fossimo molto fortunati - spiegano i fisici - potremmo trovare il gravitone». Il gravitone è la particella che porta la forza di gravità, ma anch’esso, finora, è solo un’ipotesi. Alice e LHCb, invece, sono esperimenti più piccoli che lavorano su due campi specifici: il primo, attraverso le collisioni tra i nuclei di piombo, cercherà di ricreare uno stato della materia esistito per pochi milionesimi di secondo dopo il Big Bang; il secondo focalizzerà i suoi sforzi per capire il comportamento di materia e antimateria subito dopo il Big Bang.
Si dice che sui paesi che collaborano all’esperimento Atlas non tramonti mai il sole perché gli scienziati vengono da tutte le aree del mondo, escluso l’Antartide. E a CSM collaborano 2500 tra fisici, ingegneri e studenti provenienti da 135 istituti sparsi in 38 paesi. L’Italia ha un peso rilevante, non solo perché in quanto membro del Cern vi investe soldi, ma anche perché molti scienziati italiani partecipano all’impresa (l’Istituto nazionale di fisica nucleare coordina i circa 600 scienziati italiani che lavorano a LHC). Inoltre, l’industria italiana ha prodotto molte componenti di precisione.
Al Cern dicono che LHC può avere anche applicazioni tecniche: dalla medicina all’industria. Ben vengano, ma il centro della questione è un altro: il fatto che si sia trovato un accordo così vasto per finanziare un’impresa fondamentalmente conoscitiva ci fa ben sperare sulle sorti della nostra specie.
* l’Unità, Pubblicato il: 29.09.07, Modificato il: 29.09.07 alle ore 8.55
L’esperimento fra 10 giorni. Guerra tra scienziati: "Un buco nero ci inghiottirà" Il Cern di Ginevra: nessun rischio. Ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani
"Fermate il test sul Big Bang
o la Terra sparirà"
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI *
LONDRA - Per gli studiosi che si apprestano a spingere il pulsante d’accensione, si tratta di ricreare le condizioni che esistevano una frazione di secondo dopo il Big Bang: ovvero di riportarci indietro nel tempo sino al momento della creazione del nostro universo, all’inizio del mondo.
Ma per un gruppo di preoccupati ricercatori l’esperimento che dovrebbe cominciare tra dieci giorni in un immenso laboratorio sotterraneo, sepolto a un centinaio di metri sotto il confine tra Francia e Svizzera, comporta il rischio della fine del mondo, la distruzione e anzi la letterale scomparsa del nostro pianeta. Così, all’ultimo momento, gli oppositori del progetto hanno presentato un ricorso davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani, che in teoria potrebbe bloccare il più grande, ambizioso e costoso test scientifico di tutti i tempi.
Oggetto della contesa è il Large hadron collider, un acceleratore da 6 miliardi di euro che, facendo scontrare particelle atomiche ad alta velocità e generando temperature di più di un trilione di gradi centigradi, dovrebbe rivelare il segreto di come è cominciato l’universo. Venti paesi europei, più gli Stati Uniti, hanno finanziato il progetto, che dopo anni di preparativi dovrebbe prendere il via il 10 settembre al Centro di Ricerche Nucleari di Ginevra.
Qualcuno, tuttavia, teme che l’esperimento andrà ben oltre le aspettative, creando effettivamente un mini buco nero, che crescerà di dimensioni e potenza fino a risucchiare dentro di sé la terra, divorandola completamente nel giro di quattro anni. Gli scienziati di Ginevra ribattono che non c’è assolutamente nulla da temere: ci sono scarse possibilità che l’acceleratore formi un buco nero capace di porre una minaccia concreta al pianeta, dicono, perché la natura produce continuamente delle collisioni di energia più alte di quelle che saranno create artificialmente dall’acceleratore, per esempio quando i raggi cosmici colpiscono la terra. Esperimenti di questo tipo, inoltre, sono stati condotti per trent’anni, senza avere risucchiato nemmeno un pezzettino della terra né causato danni di qualsiasi genere.
Vero è che il nuovo acceleratore ha suscitato attenzioni e polemiche perché è il più grande mai costruito, con una circonferenza di 26 chilometri e la possibilità di lanciare particelle atomiche 11.245 volte al secondo prima di farle scontrare una contro l’altra a una temperatura 100mila volte più alta di quella che esiste al centro del sole. La speranza è individuare, così facendo, le teoriche particelle chiamate bosoni di Higgs, giudicate responsabili di avere dato massa, ovvero peso, a ogni altra particella esistente. Ma gli scienziati ammettono che ci vorranno anni prima di arrivare eventualmente a un risultato del genere, per le difficoltà nel trovare particelle così infinitesimamente piccole nel caos primordiale post-Big Bang creato dentro l’acceleratore.
Abbiamo ancora dieci giorni per salvare la terra?, si chiede, con leggera ironia, il Sunday Telegraph. "I miei calcoli indicano che il rischio che un buco nero mangi il pianeta a causa dell’esperimento è serio", afferma il professor Otto Rossler, un chimico tedesco della Eberhard Karls University che ha presentato il ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani insieme ad alcuni colleghi. Replica James Gillies, portavoce del Centro Ricerche Nucleari di Ginevra: "Il ricorso non introduce nessun argomento che non sia già stato esaminato e respinto in passato, se questi esperimenti fossero rischiosi lo sapremmo già".
In ogni caso lo sapremo con certezza dopo il 10 settembre, se la Corte Europea, come sembra di capire, darà luce verde all’iniziativa: che non sarà la "fine del mondo", ma un po’ di curiosità al di fuori dei confini della scienza, in questo modo, l’ha ottenuta.
* la Repubblica, 1 settembre 2008.
Un gruppo di ricercatori si era appellato alla Corte europea dei diritti dell’uomo
Secondo gli oppositori l’acceleratore di particelle potrebbe generare un buco nero
Lhc, via libera da Strasburgo "L’esperimento vada avanti"
Dai giudici no all’appello. Il 10 settembre il test a Ginevra
STRASBURGO - Via libera anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo all’esperimento del Cern che, grazie all’accelleratore "Large hadron collider" (Lhc), cercherà di riprodurre le condizioni immediatamente successive al Big Bang che ha generato l’universo. I giudici si sono pronunciati dopo la denuncia di un gruppo di ricercatori, convinti che il test genererà un buco nero in grado di risucchiare il pianeta.
La causa. Gli oppositori dell’esperimento, guidati da Markus Goritschnig, si erano rivolti alla Corte di Strasburgo, chiedendo che venissero applicate misure di blocco nei confronti dei venti paesi membri del Cern, il Centro europeo per la ricerca nucleare responsabile del progetto. Secondo Goritschnig e gli altri, gli Stati che collaborano al progetto sarebbero responsabili della violazione dell’articolo 2 e dell’articolo 8 della Convenzione europea per i diritti umani, ovvero il diritto alla vita e il diritto al rispetto della vita privata e familiare. La Corte ha tuttavia ritenuto che nessuno di questi articoli fosse stato violato dando così il via libera definitivo all’esperimento.
Gli esperti. Sull’apocalisse paventata dagli oppositori, si è espresso anche il mondo della scienza italiano. E’ sicuro del buon esito dell’esperimento il presidente dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare Roberto Petronzio: "Questi scenari apocalittici non hanno alcun riscontro reale. Da Lhc non arriva nessun pericolo. L’allarme lanciato è basato su congetture e ipotesi e non su riscontri reali". Stessa posizione anche per il presidente del Cnr ed ex direttore generale del Cern Luciano Maiani: "L’esperimento è da considerare a rischio zero, relativamente a quanto quest’espressione possa essere utilizzata in fisica: è stato giusto porsi il problema ma esso non ha un fondamento tale da indurre preoccupazioni".
Il test. Il primo utilizzo dell’LHC, il più grande accelleratore di particelle mai costruito, con un diametro di 26 chilometri e costato circa 6 miliardi di euro, si terrà come da programma il prossimo 10 settembre al Centro di ricerche nucleari di Ginevra. La speranza degli scienziati è quella di individuare il bosone di Higgs, particella responsabile - almeno in teoria - di aver dato massa a tutte le altre.
* la Repubblica, 1 settembre 2008.
Il 10 settembre è in programma il Large Hadron Collider
Secondo alcuni scienziati "si rischia la fine del mondo"
Il rap degli scienziati
per il test sul Big Bang
Il Cern spiega in musica perché non bisogna avere paura
di MARINA ZENOBIO *
A pochi giorni dal discusso test del Large Hadron Collider (Lhc) a Ginevra, gli scienziati più giovani del CERN (Centro europeo per la ricerca) hanno messo in rete un video che a tempo di rap racconta l’esperimento e rassicurare la gente.
ASCOLTA IL RAP DEGLI SCIENZIATI
Perché le particelle elementari presentano masse diverse? Sappiamo che il 95% della massa dell’universo è costituita da materia diversa da quella ordinaria. Di che si tratta? In altre parole, cosa sono la materia e l’energia oscura? In termini per non addetti ai lavori, come ha avuto inizio l’universo? A queste ed altre domande i fisici di tutto il mondo sperano di trovare risposte esaurienti il 10 settembre.
In un tunnel di 27 chilometri di circonferenza, scavato tra 50 e 150 metri sotto terra tra le montagne del Giura francese e il lago di Ginevra in Svizzera, l’Lhc (Large hadron collider), il più grande e potente acceleratore di particelle esistente al mondo costato 6 miliardi di euro, farà scontrare due fasci di particelle atomiche che viaggiano in direzione opposte e ad altissima velocità (oltre il 99,9% della velocità della luce) generando temperature che supereranno un trilione di gradi Celsius (100 mila volte più alta di quella che esiste al centro del sole) e una pioggia di nuove particelle che verranno studiate dai fisici. In questo modo gli scienziati sperano di individuare le particelle dette bosoni di Higgs, che, per ora solo in teoria, avrebbero dato massa ad ogni altra particella esistente.
La collisione avverrà in quattro punti, in corrispondenza di quattro caverne in cui il tunnel si allarga in altrettante sale, o stazioni sperimentali, che ospitano le sedi dei rivelatori dei principali esperimenti di fisica delle particelle programmati dal Cern. E’ infatti il Centro europeo per la ricerca nucleare, con sede a Ginevra, alla guida del più grande, ambizioso e costoso test scientifico di tutti i tempi, finanziato da venti paesi europei più gli Stati uniti ma che sta facendo discutere tra loro ricercatori di tutto il mondo.
Un gruppo di studiosi contrari all’esperimento, preoccupati dai rischi che potrebbe comportare il ricreare le condizioni che esistevano una frazione di secondo dopo il big bang che ha dato origine all’universo, qualche tempo fa si era rivolto alla Corte europea dei diritti umani denunciando gli Stati sponsor del progetto di violare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, e chiedendo quindi la sospensione del test.
Il ricorso - comunque respinto - parla di mondo a rischio distruzione, di esperimento che potrebbe addirittura creare un mini buco nero che, nel giro di quattro anni, aumenterà di potenza e dimensioni fino a risucchiare in sé il pianeta stesso. Per fortuna questi scenari apocalittici sono molto lontani dalla realtà, anche perché - seppur in tono minore - è da trent’anni che si fanno test simili senza che siano state registrate conseguenze particolari.
Secondo il portavoce del Cern James Gillies, il ricorso non ha introdotto argomenti che non siano stati già stati esaminati in passato e se questi esperimenti fossero pericolosi già lo si saprebbe. Al Centro europeo per la ricerca nucleare sono convinti che non c’è nessun motivo per temere che la messa in opera dell’Lhc possa dar vita ad un buco nero, anche perché in natura - come quando i raggi cosmici colpiscono la terra - si producono continuamente collisioni di energia, persino più forti di quelle che saranno prodotte artificialmente dall’acceleratore.
Ansa» 2008-09-07 13:30
CONTO ALLA ROVESCIA TEST LHC, PER ESPERTI ZERO RISCHI
ROMA - La Terra non corre alcun rischio di essere distrutta dal test che avrà luogo al Cern di Ginevra il 10 settembre prossimo quando nel più potente acceleratore di particelle del mondo, Lhc, sarà fatto circolare il primo fascio di protoni.
A sostenerlo sono il presidente dell’Istituto nazionale di Fisica Nucleare, Roberto Petronzio e il presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Infn), Luciano Maiani, che è stato direttore generale del Cern dal 1999 al 2003. Con la decisione della Corte Europea dei Diritti Umani di respingere il ricorso presentato da un gruppo di scienziati, secondo i quali potrebbe crearsi un mini buco nero capace di risucchiare il nostro pianeta, parte così il conto alla rovescia ufficiale. L’Infn oltre ad aver partecipato alla realizzazione di Lhc, con i suoi scienziati partecipa ai test, per i quali copre anche ruoli di responsabilità internazionali. Petronzio precisa che, in ogni caso, il rischio non riguarda ciò che avverrà il 10, quando non vi saranno scontri di particelle ma verrà immesso nella macchina il primo fascio di protoni che sarà fatto girare nell’acceleratore.
In merito ai test successivi, quando fasci di particelle saranno fatti scontrare ad altissime temperature per ricreare le condizioni del Big Bang, in base alla relatività di Einstein, sottolinea Petronzio, non vi è alcun pericolo. "Già nel 2003 - ha spiegato Petronzio - il Cern ha creato un gruppo di valutazione per la sicurezza di Lhc che ci ha rassicurato sulla sicurezza degli esperimenti prodotti nell’acceleratore.
E lo stesso parere è stato espresso anche dal gruppo di scienziati Scp Scientific Policy Committee, di cui fanno parte premi Nobel per la Fisica che esprime valutazioni scientifiche per il Consiglio del Cern". Se questo non bastasse, prosegue Petronzio, la prova maggiore che confuta la teoria del rischio buco nero sono le continue, innocue, collisioni di alte energie che avvengono nell’Universo, come i raggi cosmici che colpiscono anche la Terra.
L’assenza di rischio dai test di Lhc, è sottolineata anche da Maiani. "E’ stato giusto porsi il problema - ha detto - ma il problema non ha un fondamento tale da indurre preoccupazioni. Dal punto di vista scientifico, invece, sono pienamente convinto che i risultati dell’esperimento saranno nel senso positivo".
ATTESA SENZA INTRALCI AVVIO ACCELERATORE - Ancora pochi giorni e il gigante degli acceleratori di particelle si "sveglierà": il primo fascio di protoni percorrerà i 27 chilometri dell’anello del Large Hadron Collider (Lhc) mercoledì 10 settembre. Tutto sta procedendo senza intralci e fanno sorridere le ipotesi catastrofiste dei giorni scorsi, mentre cresce di ora in ora l’attesa di quest’ evento fra i ricercatori del Cern di Ginevra. "Alcuni di noi stanno lavorando da quasi vent’anni a questo progetto e adesso siamo pieni di speranze, c’é un clima molto bello", dice la fisica Maria Curatolo, responsabile dei fisici italiani per Atlas, uno dei quattro grandi esperimenti che saranno condotti nell’Lhc. "I test di iniezione partiti in agosto si sono conclusi e tutto è andato bene", prosegue.
Mercoledì 10, finalmente, si procederà alla fase successiva: "un volta iniettati nell’ acceleratore, i fasci di particelle saranno fatti circolare in tutto l’anello". Inizialmente l’intensità dell’energia sarà piuttosto bassa rispetto a quella prevista a regime: 450 Gev (ossia 450 miliardi di elettronvolt), che in breve tempo saranno portati a cinque TeV (5.000 miliardi di elettronvolt) e quindi a sette TeV (7.000 miliardi di elettronvolt). "In questi giorni - prosegue Curatolo - sono in corso tutte le verifiche, che continueranno fino all’ultimo momento. Tutto è sotto controllo e sappiamo che il 10 settembre l’attenzione del mondo sarà puntata sull’acceleratore".
E intanto, aggiunge, "é già una grande soddisfazione vedere che è stata realizzata e che sta funzionando una macchina che rappresenta una vera e propria frontiera della tecnologia". Tutti, al Cern, sono consapevoli del fatto che l’acceleratore Lhc è una macchina complessa e difficile. "proprio per questo motivo negli ultimi anni c’é stato qualche ritardo e la data prevista per l’avvio del funzionamento è slittata più volte. Ma adesso finalmente tutto è pronto e siamo tutti in attesa". Speranza e fiducia sono gli stati d’animo più diffusi, quelli che traspaiono in modo sempre più evidente: "siamo tutti speranzosi. Sappiamo che gli scienziati che lavorano alla macchina anno fatto moltissimo e adesso situazione è arrivata a punto finale. Siamo davvero fiduciosi che adesso è iniziata la fase che aspettavamo da tanto tempo e nella quale potremo prendere tutti i dati necessari per esplorare un nuovo orizzonte fisica.
LHC, parte il viaggio verso le origini dell’universo
di Cristiana Pulcinelli (l’Unità, 08.09.2008)
TRA DUE GIORNI prova di funzionamento per la macchina più potente costruita dall’uomo. Un’impresa durata 14 anni che impegna 10.000 scienziati. Ci farà capire come si è formato il mondo che ci circonda?
Ci siamo: tra due giorni sapremo se LHC funziona. Mercoledì 10 settembre un primo fascio di protoni farà un giro di prova nell’acceleratore di particelle più potente del mondo. Chi sta lavorando alla costruzione di questa macchina da 14 anni proverà un tuffo al cuore. Ma anche per noi che seguiamo l’avvenimento da spettatori l’emozione sarà forte.
LHC è un progetto del Cern. Il suo nome per esteso è Large Hadron Collider. Large perché è grande, così grande che i fisici sono convinti che una macchina così grande non verrà costruita mai più. Hadron perché accelera protoni e ioni, particelle della materia che rientrano nella categoria degli adroni. Collider perché queste particelle vengono fatte collidere, ovvero scontrare tra loro.
Com’è fatto
A 100 metri sotto il livello del suolo, LHC corre a cavallo tra la Svizzera e la Francia in un tunnel circolare lungo 27 chilometri. Il tunnel era stato costruito per il vecchio acceleratore del Cern, il Lep, che è stato smantellato nel 2000. LHC però è 100 volte più potente del Lep. Al suo interno 2 fasci di particelle circoleranno in direzioni opposte in un vuoto paragonabile a quello dello spazio intergalattico e a una velocità pari al 99,9999991 % di quella della luce. Per ottenere questo risultato LHC utilizza 9000 magneti il cui scopo è mantenere i protoni concentrati in un fascio di spessore inferiore a quello di un capello e far curvare questi fasci. I magneti lavorano al freddo, la temperatura all’interno di LHC è la più bassa che potrete trovare nell’universo: -271 gradi Celsius. Si calcola che se LHC utilizzasse magneti tradizionali dovrebbe misurare 120 chilometri per raggiungere la stessa energia. In quattro punti della circonferenza i fasci vengono fatti scontrare: lì si aprono enormi caverne che ospitano gli esperimenti, ovvero i rivelatori di particelle: ATLAS, CMS, ALICE e LHCb. Anche qui le dimensioni sono enormi: ATLAS è una macchina lunga 46 metri e alta 25, come mezza cattedrale di Notre Dame, mentre il magnete centrale di CMS contiene più ferro della Torre Eiffel.
Cosa cerca
LHC accelera i protoni e gli ioni per poi farli scontrare ad altissima velocità. Nello scontro nascono moltissime particelle che vengono registrate dai rivelatori e analizzate dai fisici. Ma cosa ci possono rivelare queste particelle? Il fatto è che molte cose dell’universo ci sono ancora poco chiare. Ad esempio, perché le particelle elementari sono dotate di massa e perché le loro masse sono diverse le une dalle altre? La fisica teorica ha supposto l’esistenza di una particella, chiamata il bosone di Higgs, che spieghi questo fatto: l’interazione delle particelle con questo bosone determinerebbe la loro massa. Ma purtroppo il bosone di Higgs finora non è mai stato visto. I fisici sperano che LHC ci permetta di provarne l’esistenza. Un altro mistero da svelare riguarda l’antimateria. L’antimateria è l’immagine speculare della materia: se per strada incontraste un’automobile fatta di antimateria non la distinguereste da quella fatta di materia. Ma se i due oggetti entrassero in contatto l’uno con l’altro, si annichilerebbero a vicenda lasciandosi alle spalle solo energia. I fisici ritengono che al momento della nascita dell’universo materia e antimateria siano state prodotte nella stessa quantità. Quando materia e antimateria si scontravano si annullavano a vicenda. Oggi però il nostro universo è fatto tutto di materia. Dove è finita l’antimateria? E perché la materia ha prevalso? Se potessimo vedere l’antimateria prodotta dal Big Bang, forse ne sapremmo di più.
Sempre in tema di questioni irrisolte, c’è il problema della materia oscura. Secondo i calcoli dei fisici, tutta la materia che noi vediamo è solo il 4% della massa totale dell’universo. Per spiegare alcuni effetti gravitazionali, si deve supporre l’esistenza di una materia oscura e una energia oscura che non possiamo vedere. Si pensa che l’universo sia composto per il 30% da materia oscura. Ma dove sono le sue particelle?
E ancora, alcuni fisici teorici ipotizzano che le nostre quattro dimensioni (le tre conosciute più il tempo) siano troppo poche per descrivere l’universo. Ce ne sarebbero altre che però non possiamo vedere. Aumentando l’energia saremo in grado di individuarle?
Gli esperimenti di LHC cercano risposte a queste domande. Le collisioni tra protoni, infatti, generano un’energia molto intensa, pari a quella che si poteva misurare qualche frazione di secondo dopo il Big Bang, l’evento che 14 miliardi di anni fa portò alla genesi dell’universo. Questo permette a particelle che oggi non ci sono più di tornare in vita. Ma la loro sopravvivenza dura una piccolissima frazione di secondo, poi si disintegrano dando vita a particelle conosciute. Ebbene, gli esperimenti di LHC vogliono vedere queste particelle prima che scompaiano di nuovo.
Chi partecipa
Si dice che sui paesi che collaborano all’esperimento ATLAS non tramonti mai il sole perché gli scienziati vengono da tutte le aree del mondo, escluso l’Antartide. Il progetto LHC impegna nel suo complesso oltre 10.000 scienziati e ingegneri da tutto il mondo. Oltre ai fondi provenienti da moltissime nazioni. I suoi costi, del resto, sono elevati: nel marzo 2007 si calcolava che solo la macchina dell’acceleratore sarebbe costata 3 miliardi di euro, ma le spese sono poi salite. L’Italia ha un peso rilevante, non solo perché in quanto membro del Cern vi investe soldi, ma anche perché molti scienziati italiani partecipano all’impresa. L’Istituto nazionale di fisica nucleare coordina i circa 600 scienziati italiani che lavorano a LHC. Inoltre, l’industria italiana ha prodotto molte componenti di precisione.
I pericoli
Benché la concentrazione di energia nella collisione delle particelle sia la più alta prodotta in laboratorio, in termini assoluti l’energia sprigionata è molto più bassa di quella con cui abbiamo a che fare tutti i giorni. Tuttavia, LHC riproduce la densità di energia che esisteva pochi istanti dopo il Big Bang. Per questo ci si riferisce alle collisioni come a dei mini Big Bang.
Secondo alcune teorie, nelle collisioni tra particelle possono prodursi dei piccoli buchi neri. Se anche così fosse, dicono i fisici, questi mini buchi neri evaporerebbero molto presto lasciandosi dietro solo radiazioni. E per avvalorare la loro tesi fanno notare che anche i raggi cosmici, che hanno molta più energia di quella sprigionata da LHC, potrebbero produrre buchi neri, ma nessuno ha mai assistito a questo fenomeno. Il rilascio di radiazioni invece è inevitabile, ma al Cern assicurano che i raggi prodotti nelle viscere della terra non raggiungeranno la superficie.
Ansa» 2008-09-09 21:02
GINEVRA, POCHE ORE ALL’OPERAZIONE BIG BANG
ROMA - Ancora poche ore e il gigante degli acceleratori di particelle si ’’svegliera’’’: il primo fascio di protoni percorrera’ i 27 chilometri dell’anello del Large Hadron Collider (Lhc) mercoledi’ 10 settembre.
Tutto sta procedendo senza intralci e fanno sorridere le ipotesi catastrofiste dei giorni scorsi, mentre cresce di ora in ora l’attesa di quest’ evento fra i ricercatori del Cern di Ginevra.
’’Alcuni di noi stanno lavorando da quasi vent’anni a questo progetto e adesso siamo pieni di speranze, c’e’ un clima molto bello’’, dice la fisica Maria Curatolo, responsabile dei fisici italiani per Atlas, uno dei quattro grandi esperimenti che saranno condotti nell’Lhc. ’’I test di iniezione partiti in agosto si sono conclusi e tutto e’ andato bene’’, prosegue.
Ora, finalmente, si procedera’ alla fase successiva: ’’un volta iniettati nell’ acceleratore, i fasci di particelle saranno fatti circolare in tutto l’anello’’. Inizialmente l’intensita’ dell’energia sara’ piuttosto bassa rispetto a quella prevista a regime: 450 Gev (ossia 450 miliardi di elettronvolt), che in breve tempo saranno portati a cinque TeV (5.000 miliardi di elettronvolt) e quindi a sette TeV (7.000 miliardi di elettronvolt).
’’In questi giorni - prosegue Curatolo - sono in corso tutte le verifiche, che continueranno fino all’ultimo momento. Tutto e’ sotto controllo e sappiamo che il 10 settembre l’attenzione del mondo sara’ puntata sull’acceleratore’’.
E intanto, aggiunge, ’’e’ gia’ una grande soddisfazione vedere che e’ stata realizzata e che sta funzionando una macchina che rappresenta una vera e propria frontiera della tecnologia’’. Tutti, al Cern, sono consapevoli del fatto che l’acceleratore Lhc e’ una macchina complessa e difficile. ’’proprio per questo motivo negli ultimi anni c’e’ stato qualche ritardo e la data prevista per l’avvio del funzionamento e’ slittata piu’ volte. Ma adesso finalmente tutto e’ pronto e siamo tutti in attesa’’.
Speranza e fiducia sono gli stati d’animo piu’ diffusi, quelli che traspaiono in modo sempre piu’ evidente: ’’Siamo tutti speranzosi. Sappiamo che gli scienziati che lavorano alla macchina anno fatto moltissimo e adesso situazione e’ arrivata a punto finale. Siamo davvero fiduciosi che adesso e’ iniziata la fase che aspettavamo da tanto tempo e nella quale potremo prendere tutti i dati necessari per esplorare un nuovo orizzonte fisica.
Fisica: ok primo test su neutrini (www.ansa.it, 2006-09-11 16:15)
730 km in 2,5 millisecondi dal Cern di Ginevra al Gran Sasso
(ANSA) - ASSERGI (L’AQUILA), 11 SET - Un fascio di neutrini ha impiegato 2,5 millisecondi per percorrere 730 km, ’sparato’ alla velocita’ della luce. E’ riuscito l’esperimento "Cern Neutrino to Gran Sasso" (CNGS) che consisteva nell’invio di questo fascio di neutrini dal CERN di Ginevra fino ai Laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) del Gran Sasso. L’esperimento promette di aprire una nuova pagina nella fisica contemporanea per chiarire il rapporto fra materia e antimateria.
COSMOLOGIA ...
Ricercatori giapponesi hanno accertato che i sistemi stellari hanno iniziato a formarsi già 780 milioni di anni dopo il Big Bang
L’inizio della formazione delle galassie anticipato di 60 milioni di anni
di CRISTINA NADOTTI (www.repubblica.it, 13.09.2006)
ROMA - Lo sguardo rivolto al cielo, indietro, circa 60 milioni di anni più indietro di quanto fosse mai stato fatto prima. Gli astronomi giapponesi Masanori Iye, Kazuaki Ota e Nobunari Kashikawa hanno osservato uno dei "reperti" più importanti per l’archeologia cosmica, che indaga sulle fasi iniziali dell’universo. I ricercatori dell’Osservatorio astronomico nazionale del Giappone hanno insomma scovato, per la prima volta senza usare stratagemmi tecnici che amplificassero i segnali, la più lontana e antica tra le galassie conosciute.
Agli occhi degli scienziati, attraverso il telescopio Subaru, che si trova nelle Hawaii, la galassia IOK-1 si è mostrata con un redshift (misura accurata dell’universo) di 6.964, un dato che permette di accertare che le galassie esistevano già circa 780 milioni di anni dopo la presunta data di nascita dell’universo.
La scoperta dei ricercatori giapponesi fornisce insomma un nuovo punto di riferimento cronologico per comprendere l’evoluzione dell’universo. Paolo De Bernardis, astrofisico dell’Università La Sapienza di Roma, che recentemente ha ricevuto il premio Balzan, osserva: "La ricerca degli scienziati giapponesi è molto importante sia per il metodo usato per arrivare alla scoperta, sia per i dati ottenuti".
"Gli astronomi giapponesi - continua De Bernardis - sono riusciti ad osservare una galassia molto lontana e hanno perciò raccolto informazioni su un periodo di transizione fondamentale nell’evoluzione dell’universo. E’ il momento in cui si passa dall’universo omogeneo e buio a quello strutturato in galassie e luminoso".
In pratica l’osservazione della galassia IOK-1 spinge i ricercatori a determinare esattamente cosa accadde nel periodo tra 780 e 840 milioni di anni fa, dopo il Big Bang, durante, appunto, la formazione delle galassie. "Rispetto a quel periodo - sottolinea De Bernardis - ogni dato è il benvenuto".
(13 settembre 2006)
Un Nobel fra le pieghe dell’universo
di Pietro Greco *
Premio Nobel per la fisica 2006 agli americani John C. Mather e George F. Smoot per le misure dell’anisotropia della radiazione cosmica di fondo realizzate con il satellite COBE tra la fine dell’anno 1989 e l’inizio 1990. Una delle più importanti mai effettuate nella storia, peraltro recente, della cosmologia scientifica perché sono considerate la quarta prova indipendente su cui poggia il modello del Big Bang: il modello che spiega lo sviluppo del nostro universo a partire dai primissimi istanti dopo la sua nascita.
Il progetto COBE è stato realizzato da un team di almeno mille persone, con la collaborazione della Nasa. La missione, portata a termine con successo, era quella di «fotografare» l’universo così come appariva 300.000 anni dopo la sua nascita, quando la temperatura era diventata abbastanza fredda il cosmo divenne «trasparente». John Mather ha coordinato l’intero progetto e ha ricostruito la mappa del fondo cosmico. George Smoot è stato il leader del gruppo che con COBE ha misurato l’anisotropia nella radiazione di fondo. Ha poi raccontato la vicenda, e le sue implicazioni, in un libro, Nelle pieghe del tempo uscito in italiano per i tipi della Mondadori nel giugno del 1994: un vero bestseller scientifico.
Ma cos’è il fondo cosmico e perché è importante la sua leggera anisotropia? Beh tutto nasce nel 1948, quando il fisico russo emigrato negli Stati Uniti, George Gamow, mette a punto un modello - il Big Bang caldo - per spiegare l’evoluzione cosmica. Fu l’autentica e per certi versi clamorosa scoperta di un universo evolutivo: un universo cui non avevano creduto né Newton né lo stesso Einstein. Grande fu, dunque, la sorpresa quando, nel 1929, l’astronomo Edwin Hubble fornì le prove empiriche che davvero il nostro universo si sta espandendo, come previsto da Friedmann. Venti anni dopo Gamow si chiede come sia nato questo universo e perchè, nella sua componente materiale, sia composto da due soli elementi chimici, i più leggeri - l’idrogeno (75%) e l’elio (25%) - con piccole tracce di tutti gli altri elementi più pesanti. Tenendo presente questo dato, le nuove conoscenze sulla fisica sub-nucleare e quella legge della termodinamica secondo cui un sistema isolato in espansione si raffredda, Gamow elabora la sua teoria sull’evoluzione cosmica. Tutto è nato da un’immane esplosione, il Big Bang, di un punticino molto piccolo, denso e caldo in cui si concentrava tutta la materia/energia dell’attuale universo. All’origine il cosmo era, però, composto da un plasma fluido di particelle elementari libere: una sorta di brodo primordiale. Ma, dopo l’esplosione, quando ha iniziato a espandersi a gran velocità, la temperatura ha iniziato a scendere. In meno di 20 minuti, calcola Gamow, in un «lasso di tempo inferiore a quello necessario per cucinare l’anatra e le patate arrosto», il forno cosmico ha cucinato il brodo primordiale trasformandolo in buona sostanza nell’universo materiale che vediamo oggi.
Se il modello del Big Bang è vero, aggiunge Gamow, allora deve esistere nel cosmo una «radiazione omogenea di fondo» relitto dell’epoca in cui materia ed energia si sono disaccoppiate e l’universo è diventato trasparente. Ciò si sarebbe verificato circa 300.000 anni dopo il Big Bang, quando la temperatura è scesa sotto una certa soglia e gli elettroni hanno potuto iniziare a legarsi in modo stabile ai nuclei per formare gli atomi. La radiazione presente in questo periodo ha continuato a raffreddarsi e oggi, sostiene Gamow, dovrebbe ricoprire l’intera volta celeste e avere una temperatura bassissima, di soli 3 gradi sopra lo zero assoluto. Quando poi, nel 1963, Arno Penzias e Robert Wilson scoprono la radiazione omogenea di fondo è la consacrazione definitiva del modello del Big Bang.
C’è tuttavia un elemento ancora da spiegare. Perché quell’universo omogeneo primordiale si è poi trasformato nell’universo attuale, così diversificato: con le sue stelle, le galassie, gli ammassi e i grandi vuoti? È a questa domanda che risponde il satellite COBE progettato da Mather e Smoot. Il quale conferma la grande omogeneità della radiazione di fondo, così come previsto dal modello. Ma rileva anche la leggera anisotropia: delle piccolissime pieghe in quel lenzuolo perfettamente steso. Sono i nuclei intorno a cui, per gravità, la materia inizia ad addensarsi e che poi di lì a qualche centinaio di milioni di anni daranno vita alle stelle e, poi, a tutte le strutture cosmiche attuali.
Con le loro osservazioni Mather e Smoot hanno fornito la quarta prova indipendente a favore del modello del Big Bang e spiegato come sono potute nascere, in breve tempo (si fa per dire), le stelle, le galassie e gli ammassi. Una pietra miliare nella storia della cosmologia scientifica. Una storia a cui hanno contribuito prima e dopo anche molti italiani, fra cui ricordiamo Francesco Melchiorri, Paolo de Bernardis e i fisici italiani dell’esperimento Planck.
*
www.unita.it, Pubblicato il: 04.10.06 Modificato il: 04.10.06 alle ore 12.23
Un satellite vince il Nobel per la fisica
Viene dal cuore dell’universo il Nobel per la fisica 2006. Ancora due statunitensi, gli astrofisici John Mather (del Nasa Goddard Space Flight Center) e George Smoot (dell’università di Berkeley, in California) sono stati insigniti ieri dall’Accademia reale delle scienze svedese del premio più ambito “per la loro scoperta della forma di corpo nero e dell’anisotropia della radiazione cosmica di fondo a microonde”.
di Luca Tancredi Barone *
Un premio Nobel che nei fatti premia il satellite Cobe (Cosmic background explorer), lanciato dall’agenzia spaziale americana Nasa nel 1989. Un satellite che ha suggellato il successo della teoria del Big Bang, sbaragliando tutte le altre teorie concorrenti sulla formazione dell’universo, in particolare quella definita dello stato stazionario.
Tutta la credibilità della teoria del Big Bang, secondo la quale l’universo si sarebbe formato da una enorme esplosione primordiale, si fondava sulla possibilità di poter ritrovare ancora oggi le tracce residue di tale esplosione - avvenuta, come ora possono dimostrare gli astronomi, circa 13 miliardi di anni fa. Espandendosi fino alla dimensione attuale, l’universo si è lentamente raffreddato, arrivando alla temperatura di circa 2,73 gradi al di sopra dello zero assoluto (-273 gradi centigradi). Cobe è riuscito a scovare precisamente la firma di questa temperatura, difficilissima da scorgere, confusa com’è dalla luce e dalla radiazione emessa da tutte le stelle e le galassie che si sono formate nel frattempo.
Il nome di questa radiazione è “radiazione cosmica di fondo” e, a causa dell’espansione dell’universo, oggi la vediamo nella parte dello spettro di radiazione chiamata “microonde”, che sono onde di luce (invisibile a occhio nudo) di lunghezza superiore a quelle della luce visibile. La distribuzione di radiazione da parte di un qualsiasi corpo - e quindi anche dell’universo - ha una forma ben determinata che dipende proprio dalla temperatura e si chiama “radiazione di corpo nero”. Cobe è riuscito a mostrare esattamente la curva che ci si aspettava: la “pistola fumante” in mano agli astrofisici da quel momento in poi per mandare in soffitto la teoria dello stato stazionario, che - più elegantemente del Big Bang - non prevedeva per l’universo un momento di inizio dello spazio e del tempo. Non solo: Cobe è riuscito a individuare le “anisotropie”, ossia le irregolarità in questa emissione. Cioè i germi di quelle che, con il passare dei milioni di anni, sarebbero diventate le galassie e gli ammassi di galassie che possiamo osservare ancora oggi.
L’immagine che gli esseri umani hanno del cosmo ha cominciato a cambiare quando Einstein, all’inizio del secolo scorso, ha pubblicato la sua teoria della relatività che, curiosamente, prevedeva l’espansione dell’universo, ma a quel tempo i fisici non potevano credere in qualcosa di tanto bizzarro. E fu così che Einstein commise quello che ebbe a definire l’errore più grave della sua vita: modificò le proprie equazioni. Ma presto, verso la fine degli anni Venti, l’astronomo Edwin Hubble si accorse che tutte le galassie si allontanano da noi secondo una regola precisa. Vennero formulate diverse teorie per spiegare questo curioso fenomeno. Allora non c’erano gli strumenti tecnici per poter osservare l’universo con la giusta accuratezza ed accorgersi della presenza o meno della radiazione cosmica di fondo, la cui presenza era stata già prevista in via teorica dal brillante fisico nucleare russo George Gamow negli anni 40. Fino a quando, per caso Arno Penzias e Robert Wilson, che lavoravano per una compagnia telefonica, nel 1964 si accorsero di un segnale di disturbo proveniente dallo spazio: era proprio la radiazione cosmica di fondo, che regalò loro il Nobel nel 1978. Ma fino a Cobe nessuno avrebbe ancora scommesso sul Big Bang.
«Cobe, è stato un vero e proprio pioniere», ci spiega Giorgio Palumbo, che insegna fisica spaziale all’università di Bologna. «Per anni quella misura è stata la più precisa di tutta l’astrofisica. Ma la storia è proseguita: dopo c’è stato il pallone italo-americano Boomerang, che volando sopra l’Antartide nel 1998 ha “fotografato” l’immagine dell’universo da piccolo, e soprattutto il satellite Wmap, che è ancora al lavoro e sta fornendo ai cosmologi dati preziosi sulle caratteristiche dell’universo. Certo - conclude Palumbo - è un peccato che il Nobel non sia stato dato anche a Mike Hauser, che aveva collaborato come gli altri a Cobe e grazie al quale era stato possibile ripulire i dati dalla luce degli oggetti più vicini».
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www.liberazione.it, 04.10.2006
L’universo è morto. Evviva il multiverso
di Pietro Greco *
Al fondo c’è la stringa. Una corda che vibra, producendo diverse armoniche. E la sua musica, una sinfonia cosmica in undici dimensioni, dà corpo e forma a elettroni e fotoni, quark e neutrini: a tutto quanto esiste nell’universo. Anzi, nel multiverso: l’insieme degli infiniti universi paralleli, compatibili - e forse necessari - alla sopravvivenza della «teoria di stringa» o «delle M-brane»: l’unica che sembra oggi in grado di realizzare il sogno di Albert Einstein e unificare in un unico quadro teorico l’intera fisica. Che, da almeno ottant’anni, poggia su due grandi teorie. Una, la relatività generale, descrive il comportamento dell’universo a grande scala. L’altra, la meccanica quantistica, descrive il comportamento dell’universo a livello microscopico. La situazione è imbarazzante. Perché entrambe sono teorie molto precise. Ed entrambe ambiscono a definirsi generali e, quindi, «ultime». Eppure la relatività generale e la meccanica dei quanti risultano, tra loro, incompatibili. In otto decenni e più ogni tentativo di riconciliarle è naufragato. Cosa significa, tutto questo? Che forse la realtà sfugge a ogni possibilità di essere descritta in modo unitario? Che dobbiamo rassegnarci a visioni frammentate del mondo?
La gran parte dei fisici teorici non è disposta a rinunciare a una visione unitaria e coerente dell’universo. Anzi del cosmo: il «tutto armoniosamente ordinato» degli antichi Greci. Ed è per questo che, malgrado le frustrazioni di uno sforzo titanico tanto prolungato quanto finora vano, è ancora alla ricerca della teoria unica, della «teoria del tutto».
I «fisici delle stringhe» sono convinti di avere finalmente imbroccato la strada giusta. Grazie a due svolte decisive realizzate, rispettivamente, nel 1968 e nel 1995. La prima a opera di un italiano, Gabriele Veneziano, e di una sua brillante idea. Poniamo che la realtà ultima del mondo, sosteneva (e sostiene) il fisico teorico torinese in forza al Cern di Ginevra, non sia costituita da particelle puntiformi, ma da stringhe, da piccole corde, insomma da qualcosa di molto simile a lacci di scarpe infinitamente piccoli, che si estendono nello spazio a una dimensione. Applichiamo a queste stringhe le leggi della meccanica quantistica e vediamo cosa succede.
Beh, non senza meraviglia di Gabriele Veneziano, quelle stringhe iniziano a vibrare. A suonare, come corde di violino. E a ogni modo di vibrazione, a ogni nota di quelle corde di violino, corrisponde una particella o una forza della natura. La musica delle stringhe è la forza creatrice del mondo. E questa sinfonia è così rilassante da realizzare, finalmente, l’attesa riconciliazione tra relatività generale e meccanica quantistica. Tra micro e macro.
Tutto risolto, dunque? Niente affatto. Per almeno due motivi. I fisici teorici riescono a descrivere solo con equazioni approssimate l’universo delle stringhe. E, inoltre, nel corso degli anni sbocciano una, due, ... cinque diverse teorie di stringa: troppe per poter salutare la «teoria ultima».
La nuova svolta avviene nel 1995, quando l’americano Ed Witten, in forze a quell’Istituto di Studi Avanzati di Princeton ove Albert Einstein spese oltre venti anni a cercare la «teoria del tutto», dimostra che le cinque teorie di stringa e un’altra teoria, quella della gravità quantistica, sono espressioni diverse di una medesima e più fondamentale teoria soggiacente: la teoria che egli battezza M-6. L’universo di M-6 ha undici dimensioni, dieci spaziali e una temporale, e in esso vibrano non solo corde unidimensionali, ma anche membrane o «brane» a due, a tre e a più dimensioni. L’universo elegante di M-6, per usare una fortunata definizione di Brian Greene, è una sinfonia suonata da un’orchestra a infinite dimensioni.
Ed Witten, che questa settimana sarà a Napoli per partecipare al convegno che si apre oggi al Centro Convegni Partenope dell’Università Federico II e per tenere sabato prossimo una conferenza pubblica all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, è considerato non solo uno dei più grandi fisici teorici viventi. Ma viene collocato da Life nel novero dei sei americani più influenti della nostra epoca.
È dunque la sua melodia in M-6 la teoria finale? No. O almeno, non ancora. M-6 indica che forse i fisici hanno imbroccato la strada giusta verso la teoria in grado di fornirci una visione unitaria e coerente del mondo. Ma si tratta di una strada lunga e ancora tutta da percorrere. Non solo e non tanto perché la teoria, per quanto elegante e complessa, deve essere ancora rifinita. Ma anche e soprattutto perché M-6 non è stata ancora empiricamente verificata. Per questo alcuni sostengono che quello descritto da M-6 più che un universo fisico è un universo metafisico. E nella teoria di superstringa vedono più che una nuova fisica, una nuova metafisica.
In realtà la teoria che deve così tanto a Ed Witten potrebbe, in tempi relativamente brevi, trovare solidi appigli empirici. A patto che i nuovi acceleratori trovino, nei prossimi mesi, le cosiddette particelle «supersimmetriche» o che altri tipi di rivelatori riescano a individuare i componenti della materia oscura che, insieme all’energia oscura, sembra riempire la gran parte del nostro universo osservabile.
Il fatto è che la «teoria di stringa», ormai lo riconosce lo stesso Witten, non solo è compatibile ma sembra addirittura prevedere anche l’esistenza di un multiverso: un insieme rapidamente crescente di infiniti universi paralleli a quello in cui viviamo. Con tutti i paradossi, fisici e concettuali, che si trascina dietro il concetto di infinito (nell’universo accanto ci sarebbe una nostra copia identica che mena la nostra stessa esistenza salvo un dettaglio, e nell’universo vicino c’è un’altra copia ...).
Questa non è fisica, ma metafisica - sia pure altamente matematizzata - sostengono gli scettici. A Napoli in questi giorni avremo un’occasione irripetibile per verificare di persona come uno dei più grandi fisici teorici viventi difende la sua teoria e quella sua visione pitagorica del mondo. Anzi del multimondo.
www.unita.it, Pubblicato il: 10.10.06 Modificato il: 10.10.06 alle ore 13.03
E se i neutrini, i quarck e tutto il resto giù a scendere non esistessero e fossero solo artifici matematici?
Quanto alle grandi teorie unificate, i protoni non decadono.
E il sole non è una macchina termonucleare: è troppo freddo per esserlo e applicare la legge dei gas perfetti al plasma è solo un azzardo.
E nel mondo dei pipistrelli gli equivalenti di Lorenz ed Eistein cosa dedurrebbero circa il Concorde ?
MEDIOEVO
Uno studio ripropone la figura del vescovo scienziato, che già nel Medioevo parlava di un universo nato da un punto di energia
Grossatesta, il Big Bang nel ’200
Solo il cristianesimo, con la sua idea di creazione, rese possibile lo sviluppo della scienza. E il maestro di Oxford intuì il nesso tra il «Fiat lux» e la "genesi" cosmica riconosciuta nel Novecento
di Francesco Agnoli *
La prima domanda che si pone lo storico della scienza moderna è sicuramente perché essa sia nata in Europa, e non altrove. Le spiegazioni possibili sono tante, ma sicuramente ve ne è una che risulta fondamentale: perché solo qui esisteva il concetto di creazione. Solo il cristianesimo infatti si fonda sull’idea che il mondo non coincida con Dio, ma sia, semplicemente, una creatura. Si tratta di una idea fondamentale, perché libera l’universo da presenze divine immanenti, spirituali, che portano ad una visione magica ed astrologica della realtà, e che rendono impossibile la nascita del concetto di legge fisica. L’universo greco, romano, animista ecc., è un "grande animale", un’entità eterna, mai nata e destinata a esistere per sempre, secondo una visione ciclica del tempo.
Solo l’universo cristiano non coincide con Dio, ma ha iniziato ad esistere nel tempo, un tempo lineare, ed è regolato da leggi fisiche poste in essere da un Creatore, inteso come Legislatore supremo, "divino Artefice", come scriveranno Copernico e Keplero. Quest’idea è talmente importante nella storia della scienza che proprio da essa nascono, già nel medioevo, una serie di riflessioni cosmogoniche straordinarie.
Tra queste si segnala senza dubbio quella di Roberto Grossatesta, un vescovo legato alla scuola francescana di Oxford, che in Italia è purtroppo pressoché sconosciuto. Eppure Grossatesta non fu solamente un grande studioso di lenti, di specchi, e dei fenomeni della luce in genere, tanto da essere considerato uno degli inventori degli occhiali, ma è anche colui che ha proposto, forse per primo, una straordinaria ipotesi: che il mondo sia nato da una sorta di puntino piccolissimo di luce-energia, posto in essere dal Creatore, ed espansosi sino a formare l’universo intero.
Grossatesta parte dal «Fiat lux» del Genesi, e dalle sue osservazione di ottica, per affermare che la luce, prima creatura, «è capace per natura di moltiplicare se stessa in ogni direzione. Naturalmente infatti la luce gen erando si moltiplica in ogni direzione, e, insieme con l’esistere, genera. Per questo riempie immediatamente ogni luogo circostante». Proseguendo spiega che la creazione della luce è anche l’origine di moto, tempo e spazio: il moto della luce crea lo spazio, e il rapporto tra moto e spazio dà vita al tempo. Moto, tempo e spazio, non sono quindi degli assoluti, ma dei relativi, che hanno iniziato ad esistere, in un istante di tempo che «dà inizio al tempo», non «continuazione del passato verso il futuro, ma solo inizio del futuro».
Nelle sue riflessioni a metà tra lo scientifico e il filosofico, Grossatesta arriva quindi a negare l’esistenza di una materia eterna, teorizzata ad esempio nel Timeo platonico, e a sostenere che il moto degli astri non solo non abbisogna di anime astrali, ma neppure di intelligenze motrici, essendo il mondo materiale non un "grande organismo" vivente, ma una "mundi machina", una macchina del modo, regolata, come ogni meccanismo, da precise leggi intrinseche.
In Grossatesta, ha scritto la Battisti Saccaro, «concezione creazionista del mondo e concezione meccanicistica della sua formazione sembrano poter coesistere grazie all’azione della luce: l’evento soprannaturale della sua posizione è, nel De luce, dato per scontato, e l’unico accenno che vi riscontriamo è là dove si parla della forma prima nella materia prima creata; può quindi essere delineato il successivo costituirsi del cosmo come sistema autoproducente senza l’ulteriore intervento del Creatore».
Si capisce quindi, dopo quanto si è detto, perché diversi studiosi inglesi della scuola di Oxford, tra cui il Crombie, abbiano parlato di Grossatesta come di un precursore della scienza moderna e soprattutto dell’odierna teoria del Big Bang. Una teoria, è il caso di ricordarlo, che fu ripresa da Galileo Galilei in una lettera del 1615 a monsignor Pietro Dini, in cui partendo dal fiat lux del Genesi, ipotizzava appunto l’origine dell’universo da un punto di luce energia. La teorizzazione moderna di questa possibile origine del cosmo si deve però al gesuita Lemaitre, ideatore dell’"atomo primordiale".
Franco Prattico racconta al riguardo questo aneddoto: «Si dice che quando Georges Lamaitre, un sacerdote scienziato che, con George Gamow, fu autore di una delle prime formulazioni del Big Bang, cercò di discutere con Einstein la possibilità di descrivere lo stato iniziale dell’universo, il più grande fisico del nostro secolo abbia scrollato le spalle: "Questa faccenda somiglia troppo alla Genesi", avrebbe detto, "si vede bene che siete un prete". E non manca ancora oggi chi considera questo modello con un certo sospetto, per la sua somiglianza appunto con un "atto di creazione"» (Franco Prattico, Dal caos... alla coscienza, Laterza).
A ben vedere infatti il Big Bang, così chiamato con disprezzo dal fisico ateo sir Fred Hoyle, che lo considerava "troppo cristiano", è una teoria perfettamente compatibile con la fede, in quanto presuppone, come notava Grossatesta, un mondo originatosi dal nulla, in cui moto, spazio e tempo hanno iniziato ad esistere e potrebbero un giorno, magari con un Big Crunch, scomparire.
Scrive Francis Collins, direttore del Progetto Genoma umano, nel suo Il linguaggio di Dio: «Per la tradizioni di fede secondo cui Dio ha creato l’universo dal nulla, questo [il Big Bang] è un risultato elettrizzante». A un evento così sbalorditivo si addice la definizione di miracolo? La sensazione di meraviglia generata dal Big Bang ha indotto parecchi scienziati agnostici ad esprimersi in termini nettamente teologici.
L’astrofisico Robert Jastrow, per esempio, conclude così il suo God and Astronomy: «Sulla teologia, la teoria del Big Bang ha conseguenze profonde. Per lo scienziato che ha vissuto alla luce della fede nel potere della ragione, la storia finisce come un brutto sogno. Ha scalato le montagne dell’ignoranza; è sul punto di conquistare la vetta più alta ed ecco che, arrampicatosi sull’ultima roccia, viene accolto da un gruppo di teologi s eduti lì da secoli». E Collins chiosa: «Il Big Bang domanda a gran voce una spiegazione divina. Non riesco a capire come la natura avrebbe potuto crearsi da sé. Solo una forza soprannaturale al di fuori del tempo e dello spazio avrebbe potuto fare una cosa simile».
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l’anticipazione
La filosofia della luce
Pubblichiamo in queste colonne una riflessione di Francesco Agnoli sul tema del suo nuovo saggio, «Roberto Grossatesta. La filosofia della luce», in uscita per le Edizioni studio domenicano (pagine 202, euro 12,00). Tra le ultime pubblicazioni dello storico, «Contro Darwin e i suoi seguaci» e «Controriforme. Antidoti al pensiero scientista e nichilista».
* Avvenire, 11.08.2007
Considerazioni teoriche sulla meccanica quantistica
e personale teoria della ’trasformazione continua’
I fenomeni che sfidano apertamente il senso comune abbondano. Planck ipotizzò che la luce fosse emessa in ’quanti’ di radiazione, e non con continuità come si credeva fino ad allora. Bohr sviluppò un modello di struttura atomica in cui gli elettroni, per passare da un’orbita all’altra (cambiamento del loro stato energetico) dovevano emettere o assorbire esattamente uno dei quanti di radiazione ipotizzati da Planck. Schrödinger formalizzò una equazione per il moto degli elettroni all’interno dell’atomo, fondando la meccanica ’ondulatoria’. In questa equazione non si descrive il moto di una particella, ma l’evoluzione temporale di una grandezza (la ’funzione d’onda’), grandezza complessa che non ha un equivalente classico. Born introdusse il concetto di ’densità di probabilità’ in fisica: la ’funzione d’onda’ ci dice quanto sarà la probabilità che, trascorso un certo intervallo di tempo, si possa trovare la particella in quella posizione. Contrariamente le equazioni della meccanica classica ci dicono dove si trova esattamente la particella dopo un intervallo di tempo. Heisemberg formulò il principio di indeterminazione: si può misurare con estrema precisione o la posizione dell’elettrone o la sua quantità di moto, una delle due grandezze però resta sempre completamente indeterminata. Secondo la fisica classica la traiettoria di un corpo è definita fornendone istante per istante la posizione e la velocità. Per Heisenberg questo non è più possibile, quello che ci è dato di sapere è che i corpi microscopici non seguono vere e proprie traiettorie per giungere da una posizione ad un’altra; Spazio e tempo, con questo principio, diventano incerti. De Broglie ipotizzò l’esistenza di un comportamento complementare sia nella luce che nella materia: a seconda del fenomeno fisico coinvolto, la luce poteva comportarsi come onda o come particella (l’effetto Compton e l’effetto fotoelettrico misero in luce l’aspetto corpuscolare della radiazione elettromagnetica), lo stesso vale per la materia, ma i due diversi comportamenti, quello ondulatorio e quello corpuscolare, non si manifestano mai assieme (principio di complementarietà). Bhor (il suo ’Modello atomico’ è uno dei cardini della Meccanica quantistica) raccolse tutte queste istanze innovative e fondò la ’Scuola di Copenaghen’: un folto gruppo di fisici convinti assertori dell’interpretazione probabilistica della meccanica quantistica (Interpretazione di Copenhagen. Le idee fondamentali di tale interpretazione sono: * La quantizzazione delle grandezze fisiche * La funzione d’onda (il suo modulo quadrato come densità di probabilità) * Principio di indeterminazione * Principio di complementarità * Principio di corrispondenza: la meccanica quantistica applicata a corpi macroscopici si riduce (corrisponde) alla meccanica classica. In meccanica quantistica, quindi, gli oggetti possono comportarsi come particelle o come onde, questi due aspetti mostrano una complementarità che sempre più si va rivelando fondamentale. Non è stata, fino ad ora, dimostrata l’esistenza di particelle o onde isolate, tranne se derivate da "sistemi" (come quello onda-particella) formati da almeno due componenti che interagiscono. Lo stesso ’principio di complementarietà’ esclude la contemporaneità del comportamento bivalente. Ogni nuova acquisizione della meccanica quantistica contiene almeno un elemento di variabilità (principio di indeterminazione di Heisemberg) che solo lo stato di "continua trasformazione" può spiegare. In altre parole: nell’universo non sono osservabili fenomeni statici (immutabili nel tempo), bensì tutti in evoluzione, ed ogni osservazione o nuova teoria, confermando tale ipotesi, consente di assumere la "costante trasformazione" quale condizione di esistenza dell’universo.