IL CASO
"Neutrini più veloci della luce"
Rimesso in discussione Einstein
Lo studio del Cern e dell’Infn
guidato da un italiano:
assiomi
della relatività non più così certi *
TORINO Il Cern di Ginevrà infligge un duro colpo ad uno degli assiomi della relatività di Albert Einstein, secondo il quale nell’universo niente può superare il limite della velocità della luce. Un team di ricercatori guidato dall’italiano Antonio Ereditato ha registrato che i neutrini, le particelle più piccole e così sfuggente da attraversare qualsiasi solido, hanno superato i 300.000 chilometri al secondo.
Ereditato, che lavora al centro di fisica delle particelle del Cern, ha raccontato che nel corso di tre anni di misurazioni è stato verificato che i neutrini si muovono 60 nanosecondi (un tempo infinetesimale) oltre la velocità della luce sulla distanza di 730 km tra Ginevra, sede del Cern, e il Gran Sasso, sede del laboratorio dell’Istituto di Fisica Nazionale (Infn) «Siamo piuttosto certi dei nostri risultati ma abbiamo bisogno che altri colleghi li confermino», ha dichiarato il ricercatore italiano.
In particolare nell’arco di tre anni sono stati «sparati» 15.000 fasci di neutrini dal Cern a Ginevra verso il rivelatore dell’Infn sotto il Gran Sasso. I neutrini avrebbero dovuto percorrere i 732 km di distanza tra i due laboratori in 2,4 millesimi di secondo, ma in realta ci hanno messo 60 nanosecondi (60 milionesimi di secondo) in meno di quanto avrebbero dovuto impiegarci secondo i canoni della fisica di Einstein «Si tratta (apparentemente) di una piccola differenza», ha spiegato Ereditato, «ma concettualmente è incredibilmente importante. La scoperta è così sorprendente che, per il momento, tutti dovrebbero essere molto prudenti. Non voglio neanche pensare alle possibili implicazioni».
«Se la notizia fosse confermata, cadrebbe la Teoria della relatività», ha detto l’astrofisica Margherita Hack. Scoprire che qualcosa può viaggiare ad una velocità superiore a quella della luce metterebbe infatti in contraddizione la Teoria della relatività ristretta, secondo la quale la velocità della luce è una costante impossibile da superare, e la Teoria della relatività generale. Una delle due teorie sarebbe sbagliata e si aprirebbe una nuova pagina per la fisica.
* La Stampa, 22/09/2011
FISICA
"Neutrini più veloci della luce"
Messo in discussione Einstein
Clamorosi risultati di uno studio del Cern e dell’Infn guidato da un fisico italiano: particelle sparate da Ginevra al Gran Sasso hanno infranto il muro considerato invalicabile dalla fisica. Margherita Hack: "Sarebbe una rivoluzione"
ROMA - I risultati, se confermati, possono rimettere in discussione le regole della fisica cristallizzate dalle teorie di Albert Einstein, secondo le quali niente nell’universo può superare la velocità della luce. Un gruppo di ricercatori del Cern e dell’Infn guidato dall’italiano Antonio Ereditato ha registrato che i neutrini possono viaggiare oltre quel limite. Le particelle hanno coperto i 730 chilometri che separano i laboratori di Ginevra da quelli del Gran Sasso a una velocità più alta di quella della luce.
Il muro è stato infranto di appena 60 nanosecondi. Eppure, il risultato è talmente destabilizzante che il team di ricerca ha atteso ben tre anni di misurazioni per sottoporlo all’attenzione della comunità scientifica. "Abbiamo passato sei mesi a rifare i calcoli", racconta Dario Autiero, responsabile dell’analisi delle misurazioni. Per giustificare la discrepanza sono stati presi in considerazione persino la deriva dei continenti e gli effetti del terremoto dell’Aquila del 2009. "Siamo abbastanza sicuri dei nostri risultati", spiega Ereditato, "ma vogliamo che altri colleghi possano verificarli e confermarli".
E le prime reazioni non tardano ad arrivare: secondo il Centre national de la recherche scientifique francese, le fosse confermata la scoperta sarebbe "clamorosa" e "totalmente inattesa" e aprirebbe "prospettive teoriche completamente nuove". Anche per l’astrofisica Margherita Hack si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione perché, osserva, "finora tutte le previsioni della teoria della relatività sono state confermate".
Secondo la teoria della relatività ristretta, elaborata da Einstein nel 1905, la velocità è una costante, tanto da essere parte della celeberrima equazione E=mc², dove E è l’energia, m la massa e c, appunto, la velocità della luce. La relatività, spiega ancora la Hack, "prevede che se un corpo viaggiasse ad una velocità superiore a quella della luce dovrebbe avere una massa infinitamente grande. Per questo la velocità della luce è stata finora considerata un punto di riferimento insuperabile".
Tra l’altro, la teoria della relatività implica l’impossibilità fisica delle traversate interstellari e dei viaggi nel tempo, finora inesorabilmente relegati alla fantascienza e ritenuti irrealizzabili dalla scienza. Ora tutto ciò potrebbe cadere. "Ma io non voglio pensare alle implicazioni", si affretta a precisare Ereditato. "Siamo scienziati e siamo abituati a lavorare con ciò che conosciamo".
La velocità delle particelle è stata misurata dal rivelatore Opera, dell’esperimento Cngs (Cern NeutrinoS to Gran Sasso), nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern di Ginevra e raggiunge i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, dell’Istituto nazionale di Fisica Nucleare.
* la Repubblica, 22 settembre 2011
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
Cosa sono i neutrini? Lo spiega un cartoon
C’è qualcosa nell’universo che può andare più veloce della luce. La clamorosa scoperta del Cern di Ginevra è stata compiuta misurando la velocità dei neutrini nel percorrere il tragitto dal laboratorio svizzero ad un centro di ricerca situato sul Gran Sasso. Ma cosa sono i neutrini e come si è arrivati a stabilire che queste particelle possono superare un limite che pareva invalicabile? Un breve cartone animato, realizzato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, lo spiega in maniera semplice e comprensibile a tutti (la Repubblica, 23 settembre 2011)
Tunnel quantistici per superare la velocità della luce
di Natalie Wolchover/ Quanta Magazine *
Recenti esperimenti suggeriscono che quando atomi o particelle elementari superano una barriera di potenziale a causa dell’effetto tunnel - uno dei fenomeni più bizzarri, e utili, della meccanica quantistica - potrebbero essere in grado di muoversi a velocità superiori a quella della luce. Tuttavia, le condizioni in cui questo avviene farebbero evitare i paradossi previsti dalla relatività di Einstein [...]
*
Fonte: Le Scienze, 02.11.2020
Una luce più veloce nell’universo primordiale? *
Le costanti della natura sono veramente costanti? È un dubbio che ha tolto il sonno a più di un fisico teorico, perché se certi parametri variassero nello spazio e nel tempo, anche a grande distanza da noi, la descrizione che le leggi fisiche fanno dell’universo sarebbe decisamente differente.
È il caso per esempio della velocità della luce che, secondo la teoria della relatività speciale di Einstein, non cambia con il sistema di riferimento utilizzato per misurarla, come dovrebbe essere se continuassero a valere le leggi della relatività galileiana. In altre parole, la velocità della luce è una costante assoluta, oltre a essere una velocità limite, non superabile né da particelle dotate di massa né dall’informazione.
Si tratta di un postulato che è servito per costruire altre importanti teorie, come la relatività generale dello stesso Einstein, una teoria della gravitazione che spiega la struttura a larga scala del cosmo, l’evoluzione dell’universo a partire da una catastrofica esplosione iniziale, il big bang, e l’esistenza di oggetti estremi come i buchi neri.
Le previsioni della teoria della relatività generale sono state confermate innumerevoli volte; eppure ci sono ricercatori che ora sollevano qualche dubbio sui suoi fondamenti: e se nell’universo primordiale, pochi secondi dopo il big bang, le cose fossero state diverse?
Alla fine degli anni novanta, João Magueijo, dell’Imperial College di Londra, e Niayesh Afshordi del Perimeter Institute, in Canada, ipotizzarono che per esempio la velocità della luce potrebbe essere stata decisamente maggiore appena dopo il big bang. Ora gli stessi ricercatori hanno formulato una previsione verificabile sperimentalmente che dovrebbe consentire di capire se si tratta di un’ipotesi plausibile.
Le strutture presenti nell’universo, come le galassie, si sono tutte formate da fluttuazioni nell’universo primordiale, cioè da differenze di densità da una regione all’altra. Una registrazione di queste fluttuazioni primordiali è impressa nel fondo cosmico a microonde, la radiazione “fossile” che è ciò che resta della prima luce propagatasi nell’universo.
Secondo la teoria elaborata da Magueijo e Afshordi, ora pubblicata sulla rivista “Physical Review D”, se la velocità della luce fosse variata nell’universo primordiale, le fluttuazioni di densità ne avrebbero risentito. E una traccia ne sarebbe rimasta in un parametro fisico associato alla radiazione cosmica di fondo: l’indice spettrale, che in tal caso dovrebbe essere pari a 0,96478, contro un valore attualmente noto di 0,968, con un certo margine di errore.
“La teoria che abbiamo proposto per la prima volta negli anni novanta ha ora raggiunto la piena maturazione, perché ha prodotto una previsione verificabile sperimentalmente: se le osservazioni nel prossimo futuro dovessero confermare questo valore, si potrebbe arrivare a una modifica della teoria della gravitazione einsteiniana, e significherebbe che le leggi dalla natura in passato potevano non essere le stesse di oggi”.
Se l’idea degli autori fosse verificata, a farne le spese potrebbe essere anche un’altra teoria molto accreditata: quella dell’universo inflazionario. Quest’ultima prevede che l’universo, in una fase primordiale della sua esistenza, conobbe una fase di espansione estremamente rapida, chiamata inflazione, che consente ai cosmologi di risolvere il “problema dell’orizzonte”.
In sostanza, l’universo come lo osserviamo nella nostra epoca ha una densità relativamente uniforme, e questo è possibile solo se in una fase primordiale tutte le regioni dell’universo abbiano potuto influenzarsi reciprocamente. Per fare questo, o l’universo in una certa fase era molto piccolo, come previsto dalla teoria inflazionaria, e iniziò l’espansione solo dopo che l’uniformità della massa era stabilita, oppure la velocità della luce era elevatissima, tanto da permettere la comunicazione tra le diverse parti dell’universo anche quando era in una fase di espansione.
Filosofia della Scienza
Einstein confutato?
di Michele Marsonet (Nuovo Monitore Napoletano, 04 Dicembre 2016)
E’ trascorso poco tempo da quando, a seguito della rilevazione delle onde gravitazionali, la teoria della relatività generale di Albert Einstein sembrò ricevere una conferma definitiva, fornendo un ulteriore avallo alla celebre intuizione secondo cui la gravità è una manifestazione della curvatura dello spaziotempo.
Tuttavia i trionfi nella scienza hanno durata breve, e in questi giorni il pendolo si muove in direzione opposta (almeno in apparenza, giacché in ambito scientifico nulla può mai essere dato per concluso). Un recente saggio uscito sulla prestigiosa rivista “Physical Review”, scritto da Joao Mahueijo (Imperial College, Londra) e Niayesh Ashfordi (Perimeter Institute, Canada), mette addirittura in discussione il caposaldo della relatività einsteiniana, vale a dire la costanza della velocità della luce.
E’ opportuno notare, a questo punto, che non si tratta affatto di un’assoluta novità. Dubbi su tale costante fisica erano stati avanzati da altri studiosi, e la sensazione che la teoria di Einstein iniziasse a mostrare delle crepe era tutto sommato già diffusa. Anche se essa conserva tuttora, almeno presso il pubblico dei non addetti ai lavori, una fama di infallibilità.
Tuttavia questa volta i dubbi diventano più consistenti. I due scienziati appena menzionati ipotizzano una velocità della luce assai maggiore di 300.000 km al secondo nella fase iniziale della vita del nostro Universo. Non solo. Se l’ipotesi di Mahueijo e Ashfordi si rivelasse corretta e supportata da dati sperimentali, si giungerebbe alla conclusione che non vi sono leggi di natura invariabili. Anche le leggi, infatti, cambierebbero con lo scorrere del tempo. Abbastanza, insomma, da mutare in misura consistente il quadro della fisica come oggi la conosciamo.
Si può notare che i cambiamenti epocali sono una costante nella storia della scienza, e della fisica in particolare. Di solito questo fatto viene tematizzato, più che dagli scienziati di professione, dagli storici delle varie discipline scientifiche e dai filosofi della scienza. E’ noto che Thomas Kuhn, epistemologo con una forte preparazione storica, cambiò radicalmente il panorama dell’epistemologia contemporanea con il suo libro “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”.
In esso affermò che la storia della scienza è connotata da un incessante susseguirsi di “paradigmi”, vale a dire di teorie nuove che rimpiazzano le vecchie, individuando propria in tale successione la caratteristica principale della scienza stessa. Con ciò contestando in modo radicale la visione tradizionale che basava il progresso scientifico su un progressivo accumulo di dati.
Ma, nel caso di Mahueijo e Ashfordi, è inevitabile che la mente si volga ancora una volta al pensiero di Karl Popper e alla sua epistemologia falsificazionista. Oggi le tesi popperiane sono spesso contestate, sembrando a molti che la sua negazione del procedimento induttivo sia ingiustificata. Eppure proprio dalla costruzione einsteiniana Popper partì per osservare che non esiste alcuna preminenza dell’osservazione sulla teoria, mentre si può argomentare a favore della preminenza opposta.
La reazione di empiristi e positivisti fu aspra, salvo poi appurare che erano le idee di Popper - e non le loro - a riflettere in modo più adeguato la reale pratica scientifica. Si tralasci pure la sua celebre affermazione secondo la quale i veri scienziati sono sempre “felici di essere confutati”. Ovviamente non è vero, giacché a nessuno piace veder confutate le proprie idee, e ciò vale tanto nella scienza quanto nella vita quotidiana.
E’ però un dato di fatto che lo scienziato è per definizione aperto alle critiche anche radicali, dal momento che la scienza è per sua natura sapere condiviso sul piano intersoggettivo, e non possono esservi in essa idee non sottoposte alla discussione collettiva. Popper notò anche che, purtroppo, ciò non vale nell’ambito della politica, ma questo è tutt’altro discorso.
Il Nobel della fisica ai detective del neutrino
“Hanno scoperto come si trasforma e che possiede una massa”
di Gabriele Beccaria (La Stampa TuttoScienze, 07.10.2015)
Si chiamano neutrini e con i fotoni (le particelle della luce) sono la «cosa» più abbondante del nostro Universo. Sono ovunque, ci investono e ci attraversano - 60 miliardi al secondo, per ogni centimetro quadrato della Terra - eppure non ce ne accorgiamo e sono così elusivi da sfuggire volentieri a chi si sforza di acchiapparli. Ecco perché chi li studia merita un Nobel, soprattutto se ne ha svelato uno (dei tanti) misteri. Così ieri l’Accademia di Stoccolma ha deciso di dare il premio per la fisica al giapponese Takaaki Kajita e al canadese Arthur B. McDonald.
Che cos’hanno scoperto? Che i neutrini, contrariamente a quanto molti colleghi avevano ipotizzato per anni, possiedono una massa, anche se minima. E l’hanno dedotto perché i neutrini - che sono davvero particelle bizzarre - non restano mai uguali a se stessi, ma sono dei camaleonti. Addirittura possono assumere tre forme diverse, note in gergo come «l’elettronico», «il muonico» e «il tauonico». E, non contenti, i neutrini hanno anche origini multiple: furono prodotti all’inizio di tutto, durante il Big Bang, e continuano a essere «sparati» da stelle (come il nostro Sole) e da altre molto più energetiche (come le supernovae) e a generarsi sopra le nostre teste, quando i raggi cosmici interagiscono con l’atmosfera terrestre.
Teorizzati nel 1930 dal futuro Nobel Wolfgang Pauli, i neutrini furono battezzati così da un altro cervello destinato al Premio, Enrico Fermi, e finalmente scoperti nel 1956 da due americani, Frederick Reines e Clyde Cowan, anche loro benedetti dal Nobel. Un’avventura accidentata che nel 2015 approda a Takaaki Kajita e ad Arthur B. McDonald, autori di due diversi test, ma complementari: i loro team, impegnati in gigantesche strutture sotterranee in Giappone e in Canada, chiamate Super-Kamiokande e Sudbury Neutrino Observatory, hanno svelato i comportamenti del neutrino, vale a dire le sue tre «oscillazioni», elettronica, muonica e tauonica (un fenomeno ipotizzato nel 1957 da un altro italiano, Bruno Pontecorvo).
E non basta. Portando alla luce la massa dei neutrini, i due scienziati hanno messo in crisi il Modello Standard, che regge (in modo sempre più imperfetto) l’edificio della fisica contemporanea. Tanto che «queste particelle misteriose, strutturalmente diverse da tutte le altre che conosciamo, potrebbero essere la porta su una nuova fisica», ha commentato ieri il presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Fernando Ferroni. Come cambieranno le idee sulla materia e sull’Universo, sulle sue origini e sulla sua evoluzione? È un’ulteriore avventura, degna di molti altri futuri Nobel.
I neutrini hanno una massa
Quei neutrini da Nobel
L’eredità di Pontecorvo
di Paolo Giordano (Corriere della Sera, 07.10.2015)
I neutrini hanno una massa. Irrisoria rispetto a quella delle altre particelle e di origine ancora ignota. L’evidenza di questa massa è stata provata dagli esperimenti valsi il Nobel a McDonald e Kajita (nella foto l’osservatorio dei neutrini in Giappone, in una miniera a 1.000 metri sottoterra)
All’inizio degli anni sessanta John Updike, lo scrittore della saga di Coniglio, dedicò una poesia ai neutrini. S’intitola Cosmic Gall, «Sfacciataggine cosmica», e comincia così: «I neutrini son piccolini. / Non hanno carica né massa / e non interagiscono per niente. / La Terra per loro è una palla demente / in cui passare semplicemente».
La poesia di Updike, pur nella sua irriverenza (l’originale rima in continuazione con «ass»), contiene alcune verità sui neutrini e almeno altrettante falsità. I neutrini sono effettivamente privi di carica elettrica e interagiscono poco volentieri con la materia. Di tutte le particelle conosciute (elettroni, quark, fotoni...) sono le più capricciose, le più difficili da rilevare negli esperimenti, tanto che la loro presenza è assai più spesso evidenziata come deficit di qualcosa. Possono attraversare spessori ragguardevoli - la Terra stessa, come dice Updike - senza subire alcun cambiamento, tanto che ce ne piovono addosso in continuazione, circa cinquantamila miliardi attraversano il nostro corpo ogni secondo, senza che ce ne accorgiamo.
Ciò che Updike non poteva sapere è che i neutrini, per quanto fantasmatici, possiedono una massa, irrisoria rispetto a quella delle altre particelle note e la cui origine è ancora sconosciuta, ma comunque una massa. L’evidenza di questa massa è stata provata dagli esperimenti per i quali, ieri, Arthur B. McDonald e Takaaki Kajita hanno vinto il premio Nobel per la fisica. L’idea stessa di dimostrare che una particella capace di bucare un pianeta abbia un peso dovrebbe dare la misura di quanto gli esperimenti guidati da McDonald e Kajita negli anni novanta fossero delicati e complessi.
Entrambi i laboratori esistono ancora: il Sudbury Neutrino Observatory (SNO) di McDonald in Canada, e Super-Kamiokande di Kajita in Giappone. Sono strutture di bellezza cinematografica: serbatoi di acqua pesante rivestiti in acciaio e punteggiati da migliaia di rivelatori, sferico il primo e cilindrico il secondo, dove gli scienziati entrano con tute sterili solo dopo essersi fatti la doccia. E sono interrati a profondità abissali per ridurre le interferenze. In una lezione a Berkeley, McDonald ha scherzato sul fatto che ogni Paese abbia bisogno di illustrare quelle profondità usando come scala un proprio monumento. Lui ha scelto l’Empire State Building. Per noi, il serbatoio di SNO si trova a circa tredici Moli Antonelliane sotto la superficie terrestre.
In realtà, la massa dei neutrini non è stata rivelata «direttamente» dagli esperimenti, bensì dedotta da un altro fenomeno, chiamato «oscillazione di neutrino». Consiste più o meno in questo. In natura sembrano esistere tre specie diverse di neutrini: i neutrini elettronici, muonici e tauonici. Se fossero davvero privi di massa, come la teoria (e anche Updike) li ha voluti per lungo tempo, ognuno resterebbe quello che è per sempre. L’elettronico resterebbe elettronico, il muonico muonico, il tauonico tauonico.
Negli esperimenti di McDonald e Kajita è stato invece dimostrato che i neutrini possono «oscillare» da un tipo all’altro. Attraversata una certa distanza alla folle velocità a cui viaggiano, diviene addirittura probabile che un neutrino elettronico diventi muonico, per esempio. E questo è possibile soltanto in presenza delle masse. Il sospetto che una simile metamorfosi fosse possibile si ebbe per la prima volta misurando la quantità di neutrini elettronici provenienti dal Sole, e accorgendosi che ne arrivavano a noi meno del previsto. Dov’erano finiti gli altri? Si erano persi per strada oppure si erano trasformati in qualcosa di diverso? McDonald e Kajita, insieme ai loro colleghi, hanno dimostrato che la seconda ipotesi era quella vera.
Ho sempre trovato un po’ meschino, quando si parla di successi della scienza, volerli associare a tutti i costi al proprio Paese, un campanilismo simile a quello che, secondo McDonald, si applica alla misura delle lunghezze. La ricerca ha uno sguardo assai più ampio di quello nazionale. Ma è doveroso, in questo caso, ricordare che la fisica dei neutrini ha alle spalle una tradizione italiana importante. Dopo che Dirac ne postulò l’esistenza, fu soprattutto Fermi a descrivere i processi ai quali i neutrini prendevano parte. Majorana ne diede una descrizione matematica nuova, che lasciò quesiti tuttora aperti. E l’idea germinale che condusse allo studio delle oscillazioni di neutrino fu presentata da Bruno Pontecorvo in un lavoro del 1957. La poesia scientifica di Updike si conclude con questi versi: «La notte (i neutrini) entrano in Nepal / e perforano l’amante e la sua amata / da sotto il letto, voi chiamatelo / stupendo; io lo chiamo idiota». Il Comitato del premio Nobel non era d’accordo con lui.
“Ora nuovi enigmi: c’è un altro Bosone?”
-***A parlare è Stefano Ragazzi, direttore dei Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
di Valentina Arcovio (La Stampa TuttoScienze, 07.10.2015)
«Le scoperte di Kajita e McDonald hanno cambiato un pezzo importante del Modello Standard e hanno aperto la strada a nuovi interrogativi su cui stiamo lavorando». A parlare è Stefano Ragazzi, direttore dei Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, il più grande laboratorio sotterraneo al mondo dedicato alla fisica astroparticellare, dove si svolgono ricerche di punta proprio sulla fisica del neutrino.
Professore, quale pilastro del Modello Standard hanno abbattuto i due nuovi Nobel?
«Il Modello Standard prevedeva l’esistenza di tre famiglie di neutrini con massa nulla. Il lavoro di Kajita e McDonald ha dimostrato, invece, che tutti i neutrini hanno una massa, che varia leggermente a seconda delle famiglie».
In che modo questa scoperta cambia la nostra visione dell’Universo?
«Non ha cambiato le nostre conoscenze sulla cosmologia, ma ha aperto un capitolo nuovo della fisica delle particelle. Grazie al lavoro dei due Nobel abbiamo aggiunto un altro pezzetto all’identikit di una delle particelle più elusive dell’Universo. Il neutrino, infatti, è ancora qualcosa di misterioso e Kajita e McDonald ci hanno dimostrato che il Modello Standard non lo descrive correttamente».
Che cosa manca oggi per completare l’identikit del neutrino?
«Sappiamo dove i neutrini vengono prodotti, a quante famiglie appartengono e che possono cambiare durante il loro percorso. Grazie ai due Nobel sappiamo che hanno una massa diversa a seconda della famiglia. Ma quello che ignoriamo è ancora tanto. Non sappiamo, per esempio, se la massa del neutrino è uguale a quella della sua antiparticella o meno. Se fosse così, potremmo avere un indizio importante che la massa del neutrino non è generata dallo stesso meccanismo delle altre particelle, il campo di Higgs. È possibile, ad esempio, che esista un’altra “particella di Dio”, oltre al famoso bosone di Higgs. E non è escluso che il neutrino sia simile alle particelle descritte da Ettore Majorana, cioè che coincidono con la propria antiparticella».
Anche i fisici italiani sono impegnati nello studio dei neutrini: su cosa ci concentrano?
«Innanzitutto, prima di Kajita e McDonald, era stato Bruno Pontecorvo a suggerire che i neutrini potessero oscillare, cioè cambiare famiglia. E oggi l’impegno dell’Italia nello studio di questa particella è davvero importante: i Laboratori del Gran Sasso dell’Infn hanno contribuito con l’esperimento “Macro” allo studio dei neutrini atmosferici, mentre le misure del test “Opera” hanno dimostrato l’esistenza dell’oscillazione dei neutrini dalla seconda famiglia alla terza, completando quindi gli studi di Kajita e McDonald. Ma non meno importante è il ruolo dell’esperimento “Gallex” nella comprensione dei neutrini solari e le successive misure di precisione condotte da “Borexino” sulle componenti del loro flusso».
Perché siamo alla ricerca dei segreti nascosti in quegli istanti iniziali
Il fascino di un nuovo passo che proietta verso l’ignoto
di Paolo Giordano (Corriere della Sera, 04.06.2015)
«A mouth-watering prospect», una prospettiva da far venire l’acquolina in bocca: così, in una mail al personale, il direttore generale del Cern, Rolf Heuer, ha definito l’esplorazione della regione di energie fino a 13 TeV, inaugurata ieri a Lhc.
Il Large Hadron Collider venne concepito trent’anni fa (l’idea risale al 1984) proprio con l’intenzione di raggiungere questa scala di energie, quindi si può ben intuire il senso di trionfo, di commozione e di lieve sgomento che pervade nelle ultime ore le migliaia di persone coinvolte. L’evento non è molto diverso dal lancio in orbita di un nuovo veicolo spaziale, meno scenografico forse, perché qui tutto avviene nelle profondità della terra e in uno spazio minuscolo, invisibile agli occhi - ma non molto diverso -. Se una sonda spaziale ci permette di visitare regioni inesplorate dello spazio, infatti, aumentare l’energia delle collisioni in un acceleratore come Lhc ci permette di visitare regioni inesplorate del tempo. L’analogia è ben chiara a tutti i fisici e discende da una formula alquanto semplice. In sostanza, più si aumenta l’energia delle collisioni, più indietro nel tempo ci si spinge, ricreando artificialmente gli istanti fatidici successivi al Big Bang, come se si guadagnasse ogni volta qualche fotogramma di una pellicola che ha filmato l’evoluzione dell’Universo dal principio.
Nel caso di Lhc, decenni di lavoro, una quantità abnorme di tempo, di energie intellettuali, fisiche ed economiche ci permettono di guadagnare qualche frazione infinitesimale di secondo. Sembra poco, sembra non valerne quasi la pena, ma non è così. Il tempo non ha tutto lo stesso valore nell’evoluzione dell’Universo: per i fisici, ci sono forse più misteri cruciali da risolvere nel primo centesimo di secondo preistorico di quanti ce ne siano nei miliardi di anni seguenti. La fatica che agli scienziati è richiesta per strappare un’altra piccola porzione di passato aumenta esponenzialmente mano a mano che si procede all’indietro, come se il mistero dell’Inizio ci prendesse in giro, o volesse a tutti i costi restare inconoscibile. Ora, il salto dall’energia della prima presa dati di Lhc - 8 TeV, quanto è bastato per rivelare il bosone di Higgs - all’energia attuale servirà, forse, a chiarire di che cosa sia fatto quel venticinque percento di materia del cosmo che non vediamo, non percepiamo, ma sappiamo essere lì (venticinque percento: non proprio un’inezia). E servirà, forse, a svelare per quale meccanismo, dopo una fase brevissima di sostanziale parità, la materia abbia prevalso sulla sua gemella eterozigote, l’antimateria.
L’aspetto inedito, affascinante, di questo nuovo passo è che stavolta non si va a caccia di qualcosa di troppo definito. Il bosone di Higgs, l’ultimo pezzo nel puzzle della fisica «standard» delle particelle, era lì dove lo si aspettava, adesso si tratta di misurarne meglio le caratteristiche, ma delle energie più alte si conosce poco o nulla, si hanno a disposizione soltanto ipotesi discretamente vaghe, al punto da riassumerle tutte nell’espressione anodina «Nuova Fisica». Perlopiù, si cercherà di scovare qualche anomalia nei processi. Dopodiché, ammesso di trovarne, si farà di tutto per interpretare quelle anomalie con i vari modelli predisposti dai fisici teorici. È iniziata quindi una specie di peregrinazione in un luogo estraneo e imprevedibile, proprio il genere di attività che agli scienziati fa veni re «l’acquolina in bocca».
Una precisazione importante: 13 TeV non è di per sé un’energia spaventosa. Diviene tale quando è condensata in un volume di spazio ridotto quanto quello delle collisioni a Lhc, tanto da farci ipotizzare che negli scontri si raggiunga la temperatura più alta presente nell’Universo attuale.
È possibile che in futuro mancheranno i mezzi e la fiducia per realizzare una macchina capace di superare le prestazioni di Lhc, che le collisioni a 13 TeV restino il massimo mai osato dall’ingegno umano, ma i dati a nostra disposizione smentiscono una supposizione del genere. Finora, l’uomo ha sempre trovato il modo di spingersi ancora un po’ oltre - un po’ più lontano nello spazio, un po’ più indietro nel tempo.
NEUTRINI SUPERLUMINALI: UNA NOTIZIA CHE NON ANDAVA NEANCHE PROPOSTA...
di Leonardo Rubino leonrubino@yahoo.it 01 Luglio 2012
Oggi, a bocce ferme, a distanza di quasi un anno (non manca molto) da quella notizia da CERN ed OPERA,
possiamo fare qualche considerazione; drastica e drammatica, purtroppo. Quella notizia non era nemmeno da
dare.
Io, personalmente, presi subito le distanze e alcuni dei blog citati qui sotto (in Links vari) lo testimoniano.
E i risultati che li indussero a dare una simile notizia non erano nemmeno da prendere in considerazione, in
quanto una persona che ha compreso la fisica (e che, in generale, non c’entra nulla con il fatto che uno abbia,
o meno, una laurea in fisica, o cariche prestigiose in campo fisico) doveva spontaneamente pensare subito
all’errore di misura e/o di valutazione.
Nel 1919 alcuni eminenti scienziati scherzavano (e neanche tanto) sul fatto che solo tre persone al mondo, in
quel momento, capivano la Relatività. Beh, forse, da quegli anni ad oggi, le cose non sono evidentemente
cambiate molto.
Le Università conferiscono solo i titoli di studio, non la intima e profonda comprensione dell’Universo; quest’ultima la fornisce solo
il Creatore; e, di volta in volta, a chi vuole lui! E le prestigiose riviste scientifiche ufficiali possono solo esigere endorsements di
provenienza accademica, mentre quelli di origine cerebrale, ancora una volta, li offre solo il Creatore; e, ancora una volta, a chi pare
a lui.
Purtroppo, invece, la notizia venne data; anzi, tempo prima, pare che un illustre scienziato (un canuto
scienziato italiano) già fece trapelare la cosa, precaldeggiando, in qualche modo, la futura pubblicazione
della notizia di neutrini più veloci della luce. E poi, pare che dichiarò:
"Una delle scoperte più importanti dai tempi di Galileo"
Sappiamo tutti, però, come è poi finita parecchi mesi dopo: con una clamorosa smentita ufficiale del tutto.
E poi, a notizia pubblicata, addirittura altri scienziati illustri, come, ad esempio, una illustre astrofisica
italiana, nonchè un illustre matematico italiano (molto noto in TV) presero posizione, in qualche modo, a
favore dei neutrini tachionici; la prima, pare, sottolineando che la cosa poteva essere inquadrata nell’ambito
del progresso della scienza che, dopo anni ed anni di convinzioni su fatti come quello della velocità limite
della luce, stava, ad un certo punto, offrendo all’uomo la rivoluzione, lo sconvolgimento, del tutto plausibile
e chiudendo con una sorta di
leggi tutto su:
http://www.scribd.com/doc/98810797/Neutrini-Superluminali-una-Notizia-Che-Non-Andava-Neanche-Proposta
Saluti e cordialità.
Leonardo Rubino.
L’esperimento sul «viaggio» delle particelle tra Ginevra e Gran Sasso
I risultati falsati da una cattiva connessione tra il Gps e un computer
«C’è stato un errore». I neutrini non vanno più veloci della luce
La «misura che ha fatto scalpore», perché sanciva che i neutrini viaggiavano a una velocità superiore a quella della luce smentendo Einstein, nasceva dal cattivo funzionamento di una scheda informatica.
di Pietro Greco (l’Unità, 23.02.2012)
Si tratterebbe di un errore. Una cattiva connessione tra l’unità Gps (il sistema satellitare che consente di misurare con estrema precisione la distanza tra due unti) e un computer potrebbe essere la causa della «misura che ha fatto scalpore». I neutrini non vanno più veloci della luce. E non falsificano la teoria della relatività di Albert Einstein.
Oggi sarà la “collaborazione Opera”, diretta dall’italiano Antonio Ereditato, a riconoscerlo in un comunicato ufficiale. Ma le voci ieri sera sono corse con insistenza e hanno trovato riscontro anche sul sito della rivista americana Science. La collaborazione Opera studia il comportamento di fasci di neutrini che, generati al Cern di Ginevra, raggiungono i Laboratori Nazionali che l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha sotto il Gran Sasso. I neutrini sono le particelle più elusive che si conoscano. Ma Opera ha a disposizione strumenti di rilevamento eccezionali.
Nell’effettuare queste misure la collaborazione Opera ha raggiunto risultati di valore assoluto: ha, tra l’altro, verificato che i neutrini oscillano (sono di tre tipi e si trasformano l’uno nell’altro) e dunque hanno una massa. Per due anni il gruppo internazionale di scienziati ha ottenuto alcune misure che sembravano incredibili. Facendo i conti si otteneva che le minuscole particelle viaggiavano a una velocità superiore a quelle della luce. Coprivano la distanza tra Ginevra e il Gran Sasso, circa 730 chilometri, in 60 nanosecondi (miliardesimi di secondo) meno di quanto avrebbe fatto la luce. Queste misura metteva in seria difficoltà la teoria della relatività ristretta uno dei cardini della fisica moderna secondo la quale la velocità della luce non può essere mai superata. Se fosse stata vera, sarebbe passata ai posteri come una delle più importanti scoperte in fisica degli ultimi due o tre secoli.
CONTROLLI SU CONTROLLI
I conti a Opera sono stati fatti e rifatti. Ma nessuno, per mesi, ha trovato un errore. Quindi la decisione, lo scorso autunno, di rendere nota la notizia, con un articolo scientifico e con un seminario tenuto a Ginevra ma seguito in tutto il mondo. Ereditato e il suo gruppo sono stati molto onesti. Non hanno voluto interpretare i dati. Non hanno detto che i neutrini viaggiano certamente a una velocità superiore a quella della luce. Hanno detto: questi sono i dati. Noi non troviamo errori. Se qualcuno è in grado bene. Noi continuiamo a effettuare misure e attendiamo con serenità altre verifiche indipendenti. Alcuni ancora più prudenti, anche all’interno di Opera, sostenevano che quei dati non andavano resi pubblici.
Col senno di poi gli scettici a oltranza sembrano aver avuto ragione. L’errore c’era ed era banale: il malfunzionamento di una scheda informatica. Solo che era ben nascosto. E, infine, è stato individuato. Dal medesimo gruppo che, ove la scoperta fosse stata confermata, sarebbe passata alla storia.
L’errore lascia l’amaro in bocca. Ma a ben vedere è un ottimo esempio di come funziona la scienza. Non sempre ci fornisce verità. Ma ha al suo interno la capacità e l’onestà intellettuale di correggere se stessa. E, in fondo, è questo il segreto del suo successo.
di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 23.02.2012)
Il buon vecchio Einstein si è salvato. La sua teoria della relatività, messa in forse dagli esperimenti del Cern sui neutrini veloci, si è salvata anch’essa. È stato infatti annunciato che le macchine usate per l’esperimento erano difettose. L’episodio ci permette di fare alcune considerazioni. La prima, anticipata di molti decenni dallo stesso Einstein, è che «la scienza non è una repubblica delle banane, in cui succedono rivoluzioni ogni sei mesi».
Il pubblico si appassiona sempre ai cambiamenti epocali, ma forse nella scienza è più utile concentrarsi sugli aspetti ormai assodati, sui risultati acquisiti, che non sulle nuove idee che ancora attendono conferme e verifiche.
La seconda considerazione è, però, che all’annuncio dell’esperimento il mondo intero si è coalizzato nel tentativo di comprendere quali sarebbero state le conseguenze teoriche e pratiche di una velocità superluminale dei neutrini. Articoli di giornale, discussioni sui blog, seminari di ricerca hanno rivisto i fondamenti della relatività di Einstein, mettendo a volte in luce aspetti nascosti o impostazioni innovative che un secolo di abitudine alla teoria avevano lasciato in ombra. In un’intervista al nostro giornale, pochi giorni dopo l’annuncio dei risultati dell’esperimento, il premio Nobel Shelly Glashow ha sottolineato quali sarebbero state le conseguenze d’una conferma dell’esperimento: conseguenze così in contrasto con il resto della fisica conosciuta, che costituivano quasi una confutazione per assurdo dell’esperimento stesso. Ma questi suoi contributi, insieme a quelli di molti altri, ci hanno comunque chiarificato che possiamo considerare la velocità della luce come un limite insuperabile, e possiamo continuare a usare la relatività come una teoria insostituibile.
Gli occhi del mondo intero si concentrano ora, dopo l’ubriacatura dei neutrini, su altri esperimenti del Cern e di altri laboratori. In particolare, l’annunciata e probabile scoperta della cosiddetta «particella di Dio», così come dell’attesa, ma per ora ancora non verificata, esistenza di «particelle simmetriche». L’episodio dimostra comunque come la scienza contenga dentro di sé gli anticorpi per i propri possibili errori, e come in un breve volgere di tempo la comunità scientifica possa mettere proposte anche rivoluzionarie sotto il microscopio per verificarle o confutarle. E’ in questo processo dialettico di dimostrazioni e refutazioni che si cela il segreto del successo della scienza.
FISICA
Nuovi test, stessi risultati
neutrini più veloci della luce *
L’AQUILA I neutrini sembrano davvero più veloci della luce. Ad affermarlo è l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) che stasera ha annunciato che nuovi test «realizzati ai laboratori nazionale dell’Infn del Gran Sasso dalla Collaborazione Opera, utilizzando dei particolari fasci di neutrini, molto più brevi nel tempo e distanziati, inviati dal Cern, hanno confermato i risultati resi noti a settembre sulla velocità dei neutrini».
«I nuovi test - afferma l’Infn - sembrano escludere una parte dei potenziali errori sistematici che avrebbero potuto essere addebitati alla misura precedente».
«Una misura così delicata che ha profonde implicazioni per la fisica, richiede un eccezionale di livello di approfondimento - commenta Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare -L’esperimento Opera, grazie al particolare adattamento dei fasci dei neutrini del Cern, ha realizzato un test importante per la consistenza dei suoi risultati. Il risultato positivo dei test ci rende più fiduciosi sulle misure anche se - avverte Ferroni - la parola decisiva può essere detta solo dalla realizzazione di esperimenti analoghi in qualche parte del mondo».
La Collaborazione Opera ha sottomesso il paper sulle misure della velocità dei neutrini alla rivista scientifica Jhep e, contemporaneamente, al sito ArXiv. Quest’ultimo lo metterà online proprio nelle prime ore di domani, venerdì 18 novembre. Il periodo passato dal seminario tenuto il 27 settembre scorso al Cern è stato dunque utilizzato dagli scienziati sia per preparare un preprint più “leggibile”, incorporandovi anche suggerimenti arrivati da tutta la comunità scientifica, sia per verificare ulteriormente i principali argomenti dell’analisi dei dati, sia per condurre nuovi test con i particolari fasci di neutrini dal Cern.
Questi fasci, spiegano gli scienziati, sono caratterizzati «da una migliore definizione del “tempo di estrazione” dei protoni. I “pacchetti” di neutrini, cioè, sono lunghi solo tre nanosecondi e spaziati gli uni dagli altri di 524 nanosecondi. Molto più stretti e separati -spiegano gli scienziati- rispetto a quelli della misura annunciata a settembre: in quel caso i fasci duravano 10.500 nanosecondi ed erano distanziati da 50 mln di nanosecondi».
«Questi test hanno permesso di prendere una misura più accurata della velocità di neutrini -proseguono gli scienziati - utilizzando peraltro una minore intensità dei fasci. In questa fase Opera ha collezionato 20 eventi analizzati individualmente: altri potranno essere registrati nei test previsti per il 2012».
«Questo traguardo - continuano gli scienziati - è stato reso possibile da una stretta collaborazione con il team del Cern che lavora sugli acceleratori. La collaborazione Opera continuerà a prendere dati nel corso del 2012 anche utilizzando al Cern un nuovo rivelatore di muoni collocato dietro l’assorbitore di adroni che consentirà - concludono gli scienziati - di realizzare ulteriori studi indipendenti».
* La Stampa, 18/11/2011
Battaglia relatività-neutrini
per ora Einstein resiste
Nelle due settimane trascorse dall’annuncio dell’esperimento di Opera sono stati pubblicati più di 70 studi. Per il momento prevale il grande scienziato. Ma la contesa è ben lontana dalla conclusione
di ELENA DUSI *
Einstein resta saldo sul piedistallo nonostante la pioggia di neutrini. Due settimane dopo l’annuncio dell’esperimento 1 che ha osservato i neutrini più veloci della luce, oltre 70 studi scientifici sono stati pubblicati per tentare di demolire la misurazione, oppure di rivedere la teoria della relatività. E anche questo è un record di velocità.
Ma tra il grande scienziato e le piccole particelle, è il primo per il momento a resistere alle critiche. Uno studio in particolare utilizza proprio le idee di Einstein per cercare di smontare le osservazioni di Opera, il grande rilevatore di neutrini che si trova nei Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. L’autore, Carlo Contaldi, è un fisico italiano che lavora all’Imperial College London. E invita a tenere conto degli effetti della relatività sugli orologi che "prendono" il tempo dei neutrini alla partenza, al Cern di Ginevra, e sotto al Gran Sasso, 730 chilometri più a sud.
"La Terra non è una sfera perfetta, e i due laboratori si trovano a distanze diverse rispetto al centro del pianeta. Quello del Cern, che è più vicino, dovrebbe contare il tempo più lentamente rispetto a quello del Gran Sasso". E’ proprio la teoria della relatività infatti a sostenere che il tempo scorre in maniera diversa in due punti sottoposti ad accelerazioni diverse. E più un oggetto è vicino al centro di gravità del pianeta, più l’accelerazione cui è sottoposto è grande. "Non abbiamo quantificato con esattezza quanto un effetto simile potrebbe influire sulle misurazioni di Opera, ma se si dimostrasse che la sincronizzazione fra l’orologio del Cern e quello del Gran Sasso non sono perfette, bisognerebbe rivedere le misure".
Oltre agli articoli scientifici che fanno le pulci agli strumenti di misurazione, non mancano gli sforzi dei fisici teorici per spiegare in qualche modo l’esistenza di un neutrino più veloce della luce. "Le idee proposte finora puntano molto sull’esistenza dei cosiddetti neutrini sterili" spiega Giovanni Amelino-Camelia, fisico teorico dell’università La Sapienza di Roma. "Se già i neutrini normali interagiscono poco con la materia, quelli sterili riducono questa interazione a zero, e ci aprono le porte a un mondo di nuove possibilità. Una di esse è che queste particelle siano le uniche, o quasi, a poter accedere ad altre dimensioni spaziali che per noi restano invisibili". Di certo, prosegue Amelino-Camelia "i fisici teorici hanno molta creatività, e parte del nostro lavoro consiste proprio nel prevedere fenomeni sconosciuti o misure sorprendenti. Ma un dato come quello di Opera non rientrava neanche nelle nostre speculazioni. Sono solo 60 nanosecondi di anticipo rispetto al tempo che avrebbe impiegato la luce, ma si tratta di una differenza enorme. Siamo al lavoro da due settimane ma non riusciamo a farla rientrare in nessuno dei nostri modelli matematici".
Fabrizio Tamburini e Marco Laveder dell’università di Padova ricorrono alle idee di Majorana per giustificare la violazione del tetto della velocità della luce. "Rileggendo i suoi appunti di circa 80 anni fa - spiega Tamburini in una nota diffusa dall’Istituto nazionale di astrofisica - mi sono convinto che la sua teoria non è in disaccordo con i dati di Opera. L’idea di Majorana prevede infatti che i neutrini possano avere massa "immaginaria". Sarebbero dunque "svincolati dai limiti imposti dalle equazioni della relatività e potrebbero viaggiare più veloci della luce".
Che alla fine la sorpresa si riduca a un errore di misura è convinzione anche di Gian Giudice, fisico teorico del Cern. "Non riusciamo a dare un senso a questo dato. Anche ammettendo che la misura di Opera sia giusta, un neutrino più veloce della luce dovrebbe decadere, e decadendo perdere energia. Ma il rilevatore del Gran Sasso non osserva questa perdita. Si tratta di un dato incompatibile con se stesso. Per spiegarlo dovremmo smantellare troppe leggi della fisica a noi note, ed entrare nelle sabbie mobili".
L’errore di misura salverebbe Einstein e i cento anni di sperimenti che hanno confermato le sue teorie. Ma proprio martedì il Nobel per la fisica è stato assegnato a tre scienziati 2 che avevano misurato l’espansione dell’universo in accelerazione: osservazione che nel ’98 raccolse solo scetticismo. E il giorno dopo per il Nobel per la chimica è stato scelto lo scienziato israeliano Dan Shechtman 3, che aveva osservato una struttura della materia da tutti ritenuta "impossibile" e come sberleffo si era visto regalare un manuale di chimica base. "Qualunque cosa succeda - conclude Amelino-Camelia - stiamo osservando il metodo scientifico in azione. Aspettiamoci per molto tempo ancora una decina di articoli scientifici al giorno. E tanta confusione. Ma nel lungo periodo non ci sono dubbi, saranno i risultati degli esperimenti a darci la risposta giusta".
* la Repubblica, 08 ottobre 2011
Lo scettico del super neutrino
"Ecco perché dubito dei calcoli del Cern"
Il Nobel Glashow ha appena pubblicato un lavoro che critica l’esperimento e i suoi risultati
Credo che siano stati fatti errori nella statistica, nella sincronizzazione degli orologi o forse nella misura della distanza"
"Se le particelle fossero più veloci della luce si entrerebbe in conflitto con principi molto generali della fisica"
di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 08.10.2011)
L’annuncio che l’esperimento opera effettuato tra il Cern di Ginevra e il laboratorio del Gran Sasso aveva misurato una velocità dei neutrini superiore a quella della luce, ha messo in subbuglio il mondo intero, scientifico e non. Si è parlato in particolare di violazione della teoria della relatività di Einstein, e di anomalia che mette in crisi il paradigma corrente della fisica. Per cercare di capirne qualcosa di più abbiamo intervistato Sheldon Glashow, premio Nobel per la fisica nel 1979 ed eminenza grigia della fisica delle particelle. Il quale, benché quasi ottantenne, in meno di una settimana dall’annuncio aveva già pubblicato un lavoro che gettava forti dubbi sulla sua correttezza, e ne inquadrava teoricamente le paradossali conseguenze.
Anzitutto, vogliamo brevemente ricordare cosa affermano gli sperimentatori dell’opera?
«Che il viaggio dei neutrini tra il Cern e il laboratorio del Gran Sasso, distante circa 730 chilometri, dura 60 nanosecondi, meno di quanto ci metterebbe la luce a percorrere la stessa distanza. Dunque, i neutrini sembrano essere particelle superluminari, e viaggiare a una velocità superiore a quella della luce nel vuoto di circa 7 chilometri e mezzo al secondo».
Interessanti, dunque, questi neutrini!
«Lo erano anche prima di questo esperimento, come dimostra la loro storia. Agli inizi furono "inventati" da Wolfgang Pauli, per salvare il principio di conservazione dell’energia. Vennero osservati per la prima volta negli anni ’50, e negli anni ’60 si scoprì che ce n’erano due tipi, che salirono a tre in seguito. Negli anni ’70 si presentò un problema legato ai neutrini solari, che fu risolto definitivamente solo nel 2001, con osservazioni effettuate in Giappone e in Canada. Nel frattempo, sia negli Stati Uniti che in Giappone erano stati rilevati neutrini emessi dalla supernova del 1987. E nel 1998 i giapponesi avevano osservato le oscillazioni dei neutrini atmosferici, dimostrando che almeno alcuni tipi hanno una massa».
Ci sono ragioni per dubitare dei risultati annunciati?
«Io credo che ci debbano essere stati errori sperimentali. Forse nella sincronizzazione degli orologi. Forse nella misura della distanza, che non può essere stata effettuata solo con il gps, perché non si possono trasmettere segnali ai satelliti in orbita dal laboratorio del Gran Sasso, che si trova a circa un chilometro e mezzo di profondità sotto la montagna. Forse nella statistica, o ancora in qualcos’altro, chissà».
Assumendo che non ci siano invece errori, è stato suggerito che i neutrini superveloci potrebbero essere dei tachioni.
«I tachioni sono particelle ipotetiche, che in teoria non violano la teoria della relatività speciale, ma in pratica portano a contraddizioni: ad esempio, la loro massa dovrebbe essere immaginaria, cioè avere un quadrato negativo (mentre tutti i numeri reali, anche quelli negativi, elevati al quadrato diventano positivi)! Nessuna persona di buon senso può pensare che i neutrini siano dei tachioni».
Cosa si può pensare, allora?
«Qualcuno sospetta che ci possano essere delle violazioni delle previsioni della relatività speciale: in particolare, che la massima velocità raggiungibile dai neutrini possa essere superiore alla velocità della luce».
Ma la relatività non afferma solo che ci debba essere una velocità insuperabile, senza stabilire a priori che debba essere proprio quella della luce?
«E’ possibile formularla così. Ma si può fare anche di più, come abbiamo mostrato Sidney Coleman ed io nel 1999: si può supporre che le velocità massime raggiungibili differiscano per le varie particelle, e calcolare limiti alle possibili differenze di queste velocità».
E cosa succede?
«Strane cose. Ad esempio, se gli elettroni possono viaggiare più velocemente della luce, allora quando lo fanno perdono rapidamente energia (a causa della cosiddetta radiazione di Cherenkov nel vuoto). Viceversa, se la velocità della luce è superiore a quella massima raggiungibile dagli elettroni, allora i raggi gamma ad alta energia devono decadere in coppie di elettroni e positroni. Così, il fatto che si osservino sia elettroni che fotoni ad alta energia ci permette di dedurre delle restrizioni molto forti sulla possibile differenza tra le loro velocità massime raggiungibili, e le cose vanno come previsto».
Se effettivamente la velocità massima raggiungibile dai neutrini fosse superiore a quella della luce, questo vorrebbe dire che i fotoni dovrebbero avere una massa maggiore di quella dei neutrini?
«No, non necessariamente. Il che non significa che i fotoni non abbiano una massa! Potrebbero averla, ma le restrizioni più forti che abbiamo assicurano che in tal caso la cosiddetta lunghezza d’onda di Compton del fotone (che misura il rapporto fra la costante di Planck e il prodotto fra la velocità del fotone e la sua supposta massa) sia superiore a qualcosa come una settimana luce: cioè, alla distanza percorsa dalla luce in una settimana, che è di circa 180 miliardi di chilometri!».
E i neutrini dell’esperimento opera, dai quali siamo partiti, possono avere velocità superiore a quella della luce?
«Solo se non valgono i princìpi di conservazione dell’energia e del momento (cioè, del prodotto fra massa e velocità)! L’ho dimostrato l’altro giorno, subito dopo l’esperimento, insieme a Andrew Cohen, in un articolo sulle Nuove costrizioni sulle velocità dei neutrini. Se valgono quei due princìpi, allora i neutrini superluminali dovrebbero emettere coppie di elettroni e protoni e perdere energia. In particolare, i calcoli mostrano che solo pochissimi di quelli emessi al Cern potrebbero raggiungere il Gran Sasso con energie superiori a 12,5 gigaelectronvolt (l’elettronvolt misura il momento delle particelle, e "giga" sta per "miliardo"), mentre l’esperimento ne ha osservati molti a energie comprese fra 20 e 50. E anche altri autori, ad esempio un gruppo di teorici cinesi guidati da Xiao-Jun Bi, hanno ottenuto risultati, che giungono alla stessa conclusione: supporre che i neutrini vadano più veloci della luce è in conflitto con princìpi molto generali della fisica, senza dover scomodare la relatività».
Dunque, cosa dimostrerebbe l’esperimento?
«Sono state proposte due "soluzioni". La prima, assurda, è che nella prima ventina di metri del loro viaggio i neutrini viaggino a velocità dieci volte superiori a quella della luce, e poi scendano sotto di essa. La seconda, spiacevole ma non così assurda, è che non comprendiamo perfettamente la legge della conservazione del momento: modificandola, si potrebbe trovare che i neutrini possono viaggiare a velocità superiore a quella della luce, senza perdere energia».
Sembra comunque che ci sia un conflitto con la velocità dei neutrini calcolata sulla base delle osservazioni della supernova apparsa nel 1987.
«Solo apparentemente, perché i neutrini emessi dalla supernova avevano energie migliaia di volte inferiori a quelli emessi dal Cern. Dunque, gli effetti superluminali potrebbero dipendere fortemente dall’energia, e questo non sembra presentare un problema».
In conclusione, prima di divulgare la notizia al mondo intero, non sarebbe stato meglio aspettare di capirci qualcosa di più?
«No! I ricercatori ci hanno provato in tutti i modi, a trovare spiegazioni sensate di quella che essi stessi hanno definito un’"anomalia", ma non ci sono riusciti. E non essendo impiegati di un’azienda farmaceutica, non potevano mettere tutto a tacere: sarebbe anche stato scorretto nei confronti delle molte nazioni che hanno finanziato l’esperimento. Hanno annunciato i risultati, e sperano che altri possano in qualche modo spiegarli».
Lei come pensa che finirà?
«Personalmente, alla luce dei calcoli di cui ho parlato, io credo che ci siano stati errori: in tal caso, li troveremo. Comunque, inizierà presto l’analogo esperimento minos negli Stati Uniti, e vedremo se confermerà o refuterà quello di opera».
Siamo entrati nel dopo Einstein?
Il risultato coinvolgerebbe tre delle più importanti idee del XX secolo: la relatività speciale di Einstein, la teoria dei campi elettromagnetici e quella elettrodebole
Come cambierebbe la fisica se si andasse più veloce della luce
L’esperimento del Cern è finito in prima pagina su tutti i giornali del mondo: se davvero il neutrino fosse più veloce della luce si aprirebbe una nuova era. Non solo per la comunità degli studiosi. Tre delle idee più importanti del XX secolo dovrebbero essere riviste: tra queste la relatività speciale. In attesa di conferme dai fisici, vediamo cosa succede quando la scienza cambia paradigma
di Marco Cattaneo (la Repubblica, 02.10.2011)
Fino alla fine dell’Ottocento i fisici erano convinti che lo spazio fosse pervaso di un mezzo invisibile attraverso il quale si propagava la luce: l’etere luminifero. La sua esistenza era necessaria per conciliare le leggi della fisica, e in particolare il principio di relatività galileiano con le equazioni di Maxwell che descrivono il legame tra il campo elettrico e il campo magnetico, da cui emergono le onde elettromagnetiche, che comprendono la luce visibile. Così, nell’ultimo quarto del secolo, fiorirono gli esperimenti per verificare la natura dell’etere. E nel 1887 Albert Abraham Michelson ed Edward Morley misero a punto un sofisticato strumento per misurare l’esistenza del "vento d’etere". econdo le congetture dell’epoca, infatti, il misterioso mezzo avrebbe dovuto influenzare la velocità di qualunque cosa vi fosse stata immersa, compresa la luce. Michelson e Morley suddivisero dunque un fascio di luce in due fasci che percorrevano cammini perpendicolari, per studiarne l’interferenza nel punto in cui convergevano nuovamente su uno schermo, ma il loro ingegnoso trucco portò a un esito allarmante: la velocità della luce sembrava indipendente dalla direzione, e perciò non ci sarebbe stato nessun etere a trasportarne le onde. Ripetuto in laboratori diversi e con differenti modalità fino al 1906, l’esperimento di Michelson e Morley sarebbe stato definito, più avanti nel Novecento, "il più riuscito esperimento fallito della storia della scienza". Ma la sua realizzazione spalancò le porte all’elaborazione delle trasformazioni di Poincaré e Lorentz prima e, in ultimo, alla teoria speciale della relatività di Albert Einstein. Questa lunga premessa per dire che, pur con importanti differenze sotto il profilo epistemologico e storico, se i risultati ottenuti con il rivelatore Opera sul fascio di neutrini in viaggio tra il CERN e il Gran Sasso fossero validati e confermati da altri esperimenti analoghi, saremmo davanti a un evento di quelli che la scienza produce una volta per secolo, o giù di lì. Il condizionale è indispensabile, perché in fisica una conferma è la realizzazione di un esperimento indipendente da cui emergono i medesimi risultati. Perché i neutrini superluminali diventino davvero una svolta epocale per la fisica del XXI secolo, dunque, occorre che si realizzino tre condizioni. La prima è che i dati resi pubblici dalla collaborazione Opera reggano ad analisi indipendenti. I risultati sulla velocità dei neutrini sono espressi in forma statistica, e la loro affidabilità dipende dal margine di errore intorno ai tempi misurati. Se fosse più rilevante di quanto indicato, allora i neutrini potrebbero avere una velocità compatibile con quella della luce nel vuoto, o anche leggermente inferiore. La seconda condizione è la verifica dei risultati da parte di esperimenti indipendenti. Non è un caso se l’esperimento di Michelson e Morley fu ripetuto in condizioni diverse e in laboratori diversi per quasi vent’anni, prima di abbandonare l’idea dell’etere. Così pure il risultato ottenuto tra il Cern di Ginevra e i laboratori del Gran Sasso dell’INFN occorre sia replicato da altri. Negli Stati Uniti sono già in corso misurazioni della velocità di un fascio controllato di neutrini all’esperimento MINOS, e in Giappone l’esperimento K2K potrebbe fornire ulteriori dati indipendenti. Ci vorranno mesi perché possano essere disponibili i primi dati da questi laboratori, ma da lì potrebbero venire le prime conferme del fenomeno.
Infine, se la velocità superluminale dei neutrini sarà confermata, occorrerà inserire questo sorprendente risultato sperimentale in un quadro coerente. Che, naturalmente, non cancellerà Einstein e la relatività speciale, ma permetterà di estendere la portata delle leggi fisiche a un fenomeno nuovo e inaspettato. Il risultato di Opera coinvolgerebbe infatti tre delle più prolifiche teorie del XX secolo. La relatività speciale infatti, è consistente con la teoria dei campi elettromagnetici proprio in quel valore della velocità della luce nel vuoto che fino a oggi è considerato un limite universale. E la teoria dei campi elettromagnetici è unificata alla teoria delle interazioni deboli, quelle in cui si producono i neutrini, dalla teoria elettrodebole, la cui verifica valse il premio Nobel a Carlo Rubbia. Tra le molte ipotesi che sono già state avanzate, l’esistenza del fenomeno potrebbe significare che esiste un limite di energia oltre il quale particelle come i neutrini, prive di carica elettrica e di massa minuscola, che interagiscono molto debolmente con la materia, possono violare la velocità della luce nel vuoto.
Sono già al lavoro anche gli specialisti della gravità quantistica, ovvero i teorici che da più di mezzo secolo tentano di riconciliare le due grandi rivoluzioni del Novecento, la meccanica quantistica e la relatività, in una descrizione coerente della gravità, la forza più appariscente eppure più enigmatica del cosmo. Perché questo risultato potrebbe avere a che fare con una struttura discreta dello spazio-tempo che è stata ipotizzata proprio nell’ambito della gravità quantistica. E, naturalmente, non poteva mancare la schiera dei teorici delle stringhe. In questo complesso edificio matematico, infatti, si potrebbe annidare la spiegazione del fenomeno, ipotizzando che i neutrini possano arrivare in anticipo "prendendo una scorciatoia" nelle dimensioni extra dell’universo.
Per il momento siamo sul terreno delle ipotesi più ardite, ma comunque vada l’esperimento della collaborazione Opera ha già prodotto due risultati di rilievo. Il primo è sotto gli occhi di tutti. La comunicazione pubblica dei risultati sta permettendo a noi comuni mortali di gettare uno sguardo nei processi della scienza. Nel dibattito, anche aspro, si scontrano posizioni a volte inconciliabili, ma sempre fondate sull’osservazione dei fenomeni. E, soprattutto, senza alcun equivoco, anche gli scontri più duri - come quelli che videro protagonisti Einstein e Niels Bohr sulla natura della teoria dei quanti - sono sempre volti a un obiettivo comune: il progresso nella conoscenza delle leggi di natura. Per questo la scienza è la più straordinaria impresa collettiva dell’umanità.
Il secondo è forse più materia per addetti ai lavori. Dopo decenni, infatti, un risultato inatteso, ottenuto con quella serendipity che spesso accompagna le grandi rivoluzioni scientifiche (la misurazione della velocità dei neutrini non era l’obiettivo primario dell’esperimento), spinge i fisici di tutto il mondo a ripensare i fondamenti di una materia che negli ultimi decenni pareva un po’ stagnante, tra la celebrazione del modello standard della fisica delle particelle e le astrusità matematiche della teoria delle stringhe. Da tutto questo potrà forse emergere una nuova fisica, che non cancellerà certo i risultati acquisiti nell’ultimo secolo e mezzo, grazie ai quali esiste molta della nostra tecnologia di uso quotidiano, ma spingerà un po’ più in là gli orizzonti della nostra conoscenza. O forse no, se il lungo processo di validazione non darà conferma di questi risultati preliminari. Ma soltanto con i tempi della scienza sapremo se Opera sarà stato l’esperimento di Michelson e Morley del XXI secolo.
(L’autore è direttore de "Le Scienze")
di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 02.10.2011)
L’annuncio del Cern della velocità superluminale dei neutrini ha scatenato accese discussioni sulle possibili conseguenze epistemologiche dell’ormai famoso esperimento. In particolare, si è ripetuto fino alla noia che, se il risultato venisse confermato, ci troveremmo di fronte alla necessità di un "cambio di paradigma": un’espressione riempie la bocca e che allude alle opinioni filosofiche espresse da Thomas Kuhn cinquant’anni fa, nel suo libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche. In due parole, l’idea di Kuhn è che una teoria scientifica costituisca un paradigma, appunto, che stabilisce le regole del gioco temporaneamente condivise dalla comunità scientifica.
Queste regole sono accettate fino a quando qualcosa di gravemente anomalo, come appunto potrebbe essere l’esperimento del Cern, interviene a mettere in dubbio la visione del mondo proposta dal paradigma. Se l’anomalia non rientra nei ranghi, finisce per provocare una rivoluzione che abbatte l’ancient régime e instaura un nuovo ordine, nella forma di un nuovo paradigma.
L’idea di Kuhn è diventata a sua volta un paradigma filosofico, e ai postmoderni non è parso vero di potersene appropriare per proporre una visione relativistica della scienza. Le verità scientifiche, essi sostengono, non sarebbero altro che "costrutti sociali" relativi a un determinato paradigma, buoni fin tanto che questo rimane in vigore, ma da buttare e sostituire con altri allo scoppio della prossima rivoluzione.
Ma le "rivoluzioni" riguardano soprattutto le conseguenze filosofiche e culturali delle grandi scoperte scientifiche, assai più della scienza in sé, che procede piuttosto per accumulazione. Prendiamo ad esempio la teoria di Aristotele del moto, da cui Kuhn era partito per costruire il suo modello. Secondo la sua visione, il nuovo paradigma instaurato da Galileo ne avrebbe fatto piazza pulita, e oggi la leggi aristoteliche non sarebbe altro che reperti archeologici.
In realtà, Aristotele e Galileo descrivevano semplicemente situazioni diverse: il moto nell’atmosfera il primo, e nel vuoto il secondo. E’ ovvio, dunque, che trovassero risultati diversi. Ma se si aggiunge l’attrito dell’aria nelle formule di Galileo, si ritrovano esattamente le formule di Aristotele! Chi fosse interessato può vedere i dettagli nel libro di Andrea Frova e Mariapiera Maranzana Parola di Galileo.
L’altro esempio canonico di supposto cambiamento di paradigma è quello al quale Kuhn dedicò il suo primo libro, La rivoluzione copernicana. Come non pensare, a prima vista, che il sistema geocentrico di Tolomeo fosse da buttare, una volta che Copernico aveva riscoperto quello eliocentrico anticipato da Aristarco? Ma, ancora una volta, i due scienziati descrivevano situazioni diverse: il moto dei pianeti osservato dalla Terra il primo, e dal Sole il secondo.
E, se si vuole descrivere nel sistema di Copernico il moto dei pianeti osservato dalla Terra, si riottene il sistema di Tolomeo. Anzi, basta leggere Copernico per accorgersi che egli ricavò appunto il proprio sistema da quello, scoprendone la vera essenza: che metà del sistema tolemaico descriveva semplicemente il moto dei pianeti attorno al Sole, e l’altra metà proiettava il moto della Terra attorno al Sole. Ma certo la scoperta che la terra (e dunque l’uomo) non fossero più al centro dell’universo e l’idea galileiana che "il libro della natura" fosse scritto nella lingua della matematica ebbero conseguenze così radicali per le concezioni filosofiche, culturali, e anche religiose dell’epoca, da provocare, come si sa, la condanna di quelle teorie da parte della Chiesa di Roma. Chi fosse interessato, può vedere i dettagli nel mio libro Hai vinto Galileo!
Nel Novecento, l’esempio più tipico di supposto cambiamento di paradigma è stato il passaggio dalla meccanica classica di Newton a quella relativistica di Einstein, che ha modificato, se non proprio rivoluzionato, la visione tradizionale del rapporto fra lo spazio e il tempo. Inutile ripetere, a questo punto, che di nuovo si tratta di descrizioni di situazioni diverse: moti a velocità trascurabile rispetto a quella della luce in un caso, e a velocità paragonabili ad essa nell’altro. E, di nuovo, le formule di Einstein si riducono a quelle di Newton, quando si tenga conto di questo.
D’altronde, se non fosse così, non si continuerebbe a insegnare Newton nei dipartimenti di fisica e ingegneria, e lo si relegherebbe in quelli di storia. Per lo stesso motivo, si continua a insegnare Pitagora ed Euclide nei corsi di matematica, anche dopo Cartesio e Hilbert. O Aristotele nei corsi di logica, anche dopo Boole. Dunque, non aspettiamoci che i neutrini pensionino Einstein: se non sono una bufala, getteranno paradossalmente una "luce" nuova sui suoi risultati, e forse cambieranno, ancora una volta, il nostro modo di vedere il mondo.
Filosofia minima
Zichicche più veloci della luce
di Armando Massarenti (il Sole 24 Ore, 25.09.2011)
Dunque se i conti si riveleranno corretti, e il margine di errore ragionevole, i neutrini sono più veloci della luce. Con l’esperimento Opera del Cern, partendo da Ginevra, i neutrini arrivano al laboratorio sotterraneo del Gran Sasso con un piccolissimo anticipo (sessanta miliardesimi di secondo) rispetto al previsto. La notizia era sui giornali di giovedì. Ma Antonino Zichichi ha cercato di essere più veloce dei neutrini. Prima ancora del comunicato ufficiale del Cern, ha telefonato a «Il Giornale» per anticipare la notizia: «Qui gira voce di una scoperta straordinaria».
Con il senso della misura che lo contraddistingue, ci ha regalato una delle sue deliziose Zichicche (così le aveva battezzate Piergiorgio Odifreddi in un libro esilarante di alcuni anni fa). Zichichi ha pensato bene di seminare il panico epistemologico, sostenendo che la scoperta «farebbe saltare uno dei pilastri fondamentali della nostra fisica, il principio di causalità». In altri termini, gli effetti potrebbero in qualche circostanza precedere le cause - un’eventualità piuttosto sgradevole, e non solo per la fisica -.
Per esempio, mentre mi accingo a scrivere queste righe, l’effetto (cioè questo stesso scritto) potrebbe aver preceduto la causa (l’atto di battere i tasti della tastiera), e io arriverei dopo, magari ritrovandomi stampate frasi che non condivido o errori madornali. Qualcosa del genere potrebbe essere successo al ministro Gelmini che ha diramato un comunicato, divenuto subito di culto nel popolo del web, in cui si legge che «alla costruzione del tunnel tra il Cern e i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro». Che siano inesistenti, oltre che il tunnel, anche i finanziamenti? Per fortuna, le cose non stanno così.
Come spiega ogni buon libro di relatività, il principio di causalità richiede unicamente l’esistenza di una velocità limite universale, cioè di una velocità che nessun corpo e nessun segnale possono superare. Basta questo a garantire che la successione temporale tra due eventi connessi causalmente non si inverta se cambia il sistema di riferimento. L’esperimento del Cern non mostra che una velocità limite non esiste, ma solo che potrebbe non essere uguale a quella della luce, come previsto dalla relatività einsteiniana. Se i risultati di Opera saranno confermati, alcune idee sullo spazio-tempo dovranno essere riviste, ma, con buona pace di Zichichi, continuerete sempre a leggere queste righe (oltre che gli strafalcioni del ministro) solo dopo che le avrò scritte.
Un neutrino tira l’altro. Ora misure con metodi diversi
L’esperimento del Cern ha prodotto un risultato memorabile, un brivido da Superenalotto
Ma gli scienziati non possono sedersi a festeggiare. Perché se scoprire è bene, verificare è meglio
di Carlo Bernardini (l’Unità, 27.09.2011)
L’’esperimento Opera di cui tanto si parla in questi giorni nei media italiani, è senza dubbio il risultato di uno sforzo eccezionale di ricerca di base di un gruppo numeroso anche di nostri fisici al Cern di Ginevra; meriterebbe perciò un risultato memorabile come quello di cui si parla. Ma proprio per questo motivo la prudenza è d’obbligo. Un sorgente di neutrini del tipo «mu», cioè prodotti dai mesoni detti mu nel loro decadimento in volo, è generata a seguito delle collisioni dei protoni energici del Super Proton Sincrotrone contro un bersaglio materiale all’imbocco del canale detto Cngs (Cern Neutrino verso il Gran Sasso) che punta verso il Laboratorio dell’Infn sotto la montagna abruzzese (Lngs).
I neutrini di decadimento, dopo avere attraversato circa 730 km di sottosuolo terrestre, possono arrivare sull’apparato che sta nel Lngs e hanno una piccola probabilità di essere identificati. Ma, dai e dai, in 3 anni di raccolta gli «arrivi» registrati sono circa 15.000. Quanto basta per fare una buona «distribuzione» dei tempi di arrivo. Questa distribuzione è confrontata con quella dei mesoni mu possibili genitori di quei neutrini, senza però che si possa sapere chi è il padre di chi: si può solo dire che la distribuzione dei padri si allarga rispetto a un istante centrale che, confrontato con la distribuzione in tempo degli eventi generati dai figli, corrisponde a una velocità di circa 6 km/s superiore a quella della luce.
Apriti cielo! E come la mettiamo con la relatività speciale di Einstein che, come verificato in un numero incredibile di esperimenti con particelle subnucleari di ogni tipo eccetto i neutrini, sembrava fondarsi sul fatto che la velocità della luce fosse un limite invalicabile dai corpi con una massa, cioè dello spostamento di materia nello spazio? Quei neutrini già sono stravaganti per i fatti loro: perché ne esistono di tre tipi, il tipo «e» associato ai decadimenti con elettroni (per esempio dei neutroni nella radioattività beta), il tipo «mu» come abbiamo già detto e il tipo «tau» associato a certi «superelettroni» detti tau, di recente scoperta; ma il bello è che un neutrino che viaggia ha la straordinaria proprietà di oscillare tra le tre possibilità e, nato mu, può morire tau, come nel caso del Gran Sasso. Questo permette la teoria quantistica e questo succede.
Già visto, anche da altri (giapponesi, americani). Ma che, oscillando, superino la velocità della luce, è nuova. Vi ho detto come: lo si vede confrontando le distribuzioni di partenza e di arrivo, 730 km dopo. Sarà vero? Sperarlo è bene, verificarlo è meglio. L’errore statistico (dalle distribuzioni) è confrontabile con l’errore sistematico (la distanza dal Cern è proprio 730 km con 10 cm di errore? La misura dei tempi quanto è precisa? Ecc.).
Finora, sembra che l’errore statistico e quello sistematico siano confrontabili e che la velocità della luce non sia in contraddizione con le distribuzioni ma solo piuttosto improbabile. Un brivido da Superenalotto. Che fa un vero fisico, in questa situazione? Aspetta una nuova misura, possibilmente con un metodo diverso. La pazienza non manca, intanto possiamo ridere degli sfondoni ministeriali e non, per far passare il tempo con mesta allegria.
Tutti in fibrillazione dopo il clamoroso e discusso esperimento al Gran Sasso sulle particelle più veloci della luce
“Un indizio per 43 dimensioni”
“Se ci sono i super-neutrini, l’idea di Universo potrebbe cambiare”
di Barbara Gallavotti (La Stampa/TuttoScienze, 28.09.2011)
La notizia che i neutrini potrebbero essere più veloci della luce è arrivata come un filo d’acqua che si insinua nella crepa di una diga: un sussurro, seguito da un fragore assordante. Il sussurro ha causato non poche polemiche ed è venuto dalla voce di Antonino Zichichi, il padre dei Laboratori del Gran Sasso dove si è svolto l’esperimento Opera.
Professore, come mai ha deciso di parlare con i giornali prima che gli autori rendessero noto il loro risultato?
«Vorrei chiarire che non ho affatto rotto la riservatezza che circondava lo studio, perché non ho accennato né agli aspetti tecnici né ai famosi 60 nanosecondi. Ho detto che al Cern girava voce di una scoperta straordinaria, e questo lo sapevano tutti: quella mattina di mercoledì 21 ho ricevuto telefonate di 3 giornalisti italiani e 2 stranieri che mi ponevano domande sui risultati. Domande alle quali non ho risposto. Dopo 5 telefonate ho chiamato un giornalista che stimo, dicendogli che il venerdì 23 ci sarebbe stato al Cern un seminario sulle proprietà dei neutrini».
Alcuni colleghi però non l’hanno presa benissimo.
«La polemica è pretestuosa: il risultato di una ricerca deve essere tenuto riservato fino all’ annuncio ufficiale degli autori. Cosa che ho fatto. L’annuncio di un seminario e il tema che sarà discusso nel seminario sono "rivelazioni"?».
Il primo intervento al termine del seminario in cui si annunciava la misura della velocità dei neutrini è stato del Nobel Samuel Ting, il quale l’ha ringraziata per aver concepito i Laboratori del Gran Sasso e aver avuto l’idea di studiare neutrini prodotti al Cern e osservati al Gran Sasso: pensa che oggi sarebbe possibile costruire qualcosa come il Gran Sasso?
«Per costruire un’infrastruttura ai vertici della ricerca ci vuole una grande idea. Nel caso del Gran Sasso era quella di studiare i fenomeni rari e i neutrini generati al Cern. Per questo le sale sperimentali sono state orientate in modo opportuno. Le caratteristiche dei laboratori sono state studiate con estrema attenzione. Una montagna "a piramide" come il Cervino non avrebbe offerto la giusta protezione dai raggi cosmici. E se le rocce non fossero state fra le meno radioattive al mondo, addio "silenzio cosmico". Infine, se non fossero stati in corso i lavori del traforo, il progetto avrebbe avuto costi proibitivi».
Si parla della SuperB, un’infrastruttura proposta dall’ Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e divenuta un progetto bandiera del Miur. Che ne pensa?
«L’Italia ha i numeri per impegnarsi in grandi progetti, ma la SuperB è una cosa che non farei mai. Credo che occorra impegnare energie e risorse per ottenere risultati che portino a scoprire qualcosa di davvero nuovo. La SuperB, al contrario, è pensata per fare misure di alta precisione che poco aggiungerebbero a ciò che sappiamo. Ritengo che ci siano strade più innovative da percorrere».
I costi sono un problema?
«I costi della ricerca sono poca cosa nel bilancio di uno Stato, irrisori ad esempio rispetto a quelli della missione in Libia. E divengono ancora più piccoli se si pensa che le infrastrutture di ricerca sono finanziate da collaborazioni internazionali».
Ma, insomma, lei ai neutrini superveloci ci crede o no?
«È essenziale che la misura venga ripetuta e verificata. Il mio gruppo è impegnato a ottenere una precisione di misura del tempo di volo delle particelle subnucleari di 15 millesimi di miliardesimo di secondo. Ma come fisico mi piacerebbe che si trattasse del primo indizio di un Universo a 43 dimensioni, come vuole l’idea del supermondo. Se la struttura dello spazio-tempo fosse con 43 dimensioni, i neutrini potrebbero andare più veloci di quanto faccia la luce nell’Universo con 4 dimensioni senza violare il principio di causalità, secondo cui le cause devono precedere le conseguenze, e a cui non vorrei assolutamente rinunciare».
Ma ora c’è chi cerca un “baco” nel test
La misurazione dei 60 miliardesimi di secondo potrebbe essere non corretta
di B. Gal. (La Stampa/TuttoScienze, 28.09.2011(
Più veloce della luce, anzi dei neutrini, tra i fisici è iniziata la caccia all’errore che potrebbe far franare il risultato del test Opera. Dopo il seminario al Cern e quello che si è svolto lunedì al Gran Sasso, un punto su cui accostare la lente di ingrandimento si è trovato, e riguarda il momento della partenza dei neutrini.
Come ha spiegato a «La Stampa» Antonio Ereditato, ciò che i ricercatori misurano non è direttamente la partenza dei neutrini, ma il momento della produzione di protoni che poi, urtando contro un bersaglio, daranno origine ai neutrini. Da questa informazione si dovrebbe poter ricavare esattamente l’istante di inizio del viaggio dei neutrini. Tuttavia i protoni urtano il bersaglio in lasso di tempo pari a 10 milionesimi di secondo, mentre il presunto vantaggio dei neutrini è inferiore, circa 60 miliardesimi di secondo: proprio qui potrebbe nascondersi il «baco». Immaginiamo i protoni come una fila di auto, i neutrini come passeggeri e il bersaglio come un traguardo: man mano che le auto arrivano al traguardo, i passeggeri scendono e iniziano a correre verso il Gran Sasso. Ovviamente i corridori arriveranno a destinazione prima o dopo a seconda della vettura da cui provengono. Se tutte le auto hanno lo stesso numero di passeggeri, questo non è un problema, perché ciò che conta è la media. Ma supponiamo che, all’insaputa di tutti, i passeggeri siano concentrati nelle auto di testa, allora la misura risulterà falsata: gli ultimi arrivati giungeranno con anticipo semplicemente perché saranno partiti prima del previsto. Ora, dunque, si dovrà verificare se la produzione di neutrini è omogenea come ipotizzato. Non c’è in realtà un motivo noto per cui non dovrebbe esserlo, ma è più facile pensare a un convoglio un po’ anarchico che a un universo sottosopra.
Dobbiamo riscrivere la fisica?
La Relatività sa aspettare
Solo i futuri test sveleranno se i neutrini “veloci” esistono
Il dubbio.
L’ipotesi di Einstein è alla base della fisica moderna, che ha dato innumerevoli predizioni verificate
Se i neutrini fossero più veloci della luce dovremmo capire come tutto possa aver funzionato così bene partendo da un’ipotesi errata e riscrivere i libri di fisica
di Carlo Rovelli, Università di Marsiglia (La Stampa/TuttoScienze, 28.09.2011)
Ha fatto clamore la notizia di una misura che indicherebbe che i neutrini vanno più veloci della luce. Cosa c’è di vero? I fatti sono questi. Nei laboratori del CERN di Ginevra viene prodotto un fascio di neutrini, particelle subatomiche come elettroni e protoni, ma più leggere e senza carica elettrica (da cui il nome). Il fascio è indirizzato verso l’Italia e osservato da grandi rilevatori nei laboratori del Gran Sasso, vicino all’Aquila. Un neutrino interagisce pochissimo con la materia e attraversa in linea retta il sottosuolo, «tagliando» la curvatura della Terra. Oggi è possibile misurare la distanza Ginevra-L’Aquila con precisione di pochi centimetri, e il tempo di volo del fascio con precisione di qualche miliardesimo di secondo. Dividendo distanza per tempo, si ha la velocità dei neutrini. A conti fatti, l’équipe che conduce l’esperimento si è trovata tra le mani un risultato sconcertante: i neutrini sarebbero poco più veloci della luce: 60 miliardesimi di secondo in meno della luce per compiere il tragitto.
Perché sconcertante? Non perché la misura contraddice quello che ha detto Einstein, come hanno riportato molti giornali. Einstein è all’origine dell’ipotesi ben nota che niente vada più veloce della luce. Ma Einstein è stato contraddetto molte volte, e diverse sue idee si sono rivelate sbagliate.
Il risultato è sconcertante perché è un secolo che misuriamo velocità alte, per esempio negli acceleratori di particelle, nei raggi cosmici o in fenomeni astrofisici, ma sempre, anche per i neutrini, inferiori (magari di pochissimo) a quella della luce. La nuova misura contraddice quanto osservato finora. Ma c’è di più: l’ipotesi di Einstein è alla base di tutta la teoria fisica moderna, che ha dato innumerevoli predizioni verificate. Se i neutrini fossero più veloci della luce, dovremmo capire come tutto possa aver funzionato così bene partendo da un’ipotesi errata, e riscrivere i libri di fisica.
La reazione comune degli scienziati è sospettare che ci sia un errore annidato nei delicati dettagli tecnici dell’esperimento. Questa è stata anche la reazione dell’équipe che ha compiuto la misura, che è di altissima qualità scientifica. Per mesi, l’équipe ha cercato l’errore. Non trovandolo, non ha potuto che rendere pubblica l’anomalia, e chiedere che la misura sia ripetuta da altri. Lo stesso comunicato ufficiale del CERN chiarisce che una violazione dell’ipotesi di Einstein appare per ora «poco plausibile».
Nella maggior parte delle attività umane un risultato in contraddizione flagrante con tutto quanto si sa viene generalmente ignorato. Non così nella scienza migliore. La consapevolezza che, nonostante il successo, ci possano essere errori anche nel cuore del nostro sapere è proprio ciò che distingue la scienza da altre ambizioni di sapere. Per questo il mondo scientifico ha prestato immediata attenzione. Potrebbe anche essere vero. Questa apertura, io credo, è ciò che fa bella la scienza. Se il risultato fosse confermato, si aprirebbe una di quelle fasi di «rivoluzione» a cui tutti gli scienziati sognano di poter partecipare. Quindi grande cautela, ma anche emozionata speranza. L’esito considerato più probabile è che si scovi un dettaglio trascurato: falsi allarmi sono comuni. Ma l’esito che tutti sperano è che il risultato sia confermato. Laboratori capaci di ripetere la misura, come il Fermilab di Chicago, si stanno già muovendo e potrebbero esserci risultati già fra alcuni mesi. Restiamo in attesa.
In Italia la reazione alla notizia è stata un po’ scomposta. Diversi titoli hanno annunciato la rivoluzione come cosa già certa. Il prof. Zichichi ha trasmesso la notizia al «Giornale» prima dell’annuncio ufficiale, contro le buone regole della comunità. Il ministro Gelmini ha emesso un comunicato in tono trionfale, poco opportuno per un ministro della ricerca, che dovrebbe comprendere come funziona la scienza. Per peggiorare le cose, il comunicato parla di un «tunnel da Ginevra al Gran Sasso», svista forse scusabile per la fretta; ma quando l’assurdità di un tale tunnel è stata fatta notare, invece di un semplice «ci spiace, è un errore», che avrebbe meritato rispetto, il ministro ha emesso una nota infastidita, rifiutandosi di ammettere il refuso.
Al vertice dell’équipe che ha compiuto la misura ci sono scienziati italiani. La loro competenza e serietà è stata sottolineata da tutta la comunità internazionale. E’ stato Dario Autiero, livornese che lavora in Francia, a presentare sabato la misura davanti a una sala del CERN piena, dove scetticismo e fascinazione erano entrambi palpabili. Il misurato, ma lungo applauso finale conferma il grande rispetto nel mondo per gli scienziati del nostro Paese. Come tutti i colleghi, spero in una conferma, che li indirizzi verso il Nobel. Ma se non arrivasse, saranno i primi, loro, a dire semplicemente «ci spiace, c’era un errore». Non per questo li ammireremmo meno.
LA GAFFE
Gelmini, che gioia per i neutrini
"Quel tunnel tra Svizzera e Abruzzo"
Il ministro dell’Istruzione Università e ricerca si lancia in un comunicato entusiastico per la scoperta sui neutrini. E scivola paurosamente in un tunnel lungo dalla Svizzera all’Italia. "Per realizzarlo l’Italia ha partecipato con ben 45 milioni di euro". Le reazioni di Pd e ricercatori. La replica: "Polemica ridicola" *
ROMA - Il troppo entusiasmo e la fretta sono un mix a volte terribile. Ne ha fatto le spese il ministero dell’Istruzione che ha dato alle stampe un comunicato dai toni enfatici dopo la sensazionale scoperta scientifica fatta nei giorni scorsi fatta al Cern di Ginevra 1. Ma in tanta enfasi si è infilata in paradossi ed errori clamorosi. Così scopriamo che tra il Cern di Ginevra e il Gran Sasso è stato addirittura scavato un tunnel alla cui realizzazione il governo italiano ha partecipato con ben 45 milioni di euro (circa, non sono ben sicuri). Ma d’altra parte il ministero sembra ben lontano dalla misurata soddisfazione di tutti coloro che considerano la scienza come di una faticosa conquista quotidiana: noi invece abbiamo partecipato a una "vittoria epocale". E la ministra finisce sulla graticola, in Rete, a tempo di record.
"Un tunnel che parte dal Gran Sasso e arriva a Ginevra? Costo 45 milioni di euro, grande sponsor o forse finanziatore Maria Stella Gelmini, ministro dell’Istruzione che evidentemente digiuna di fisica, si fida di collaboratori che le mettono in bocca dichiarazioni che scatenano l’ilarità del globo. Siccome non c’è naturalmente nessun tunnel fra l’Infn ad Assergi, sotto quattro chilometri di dura roccia del Gran Sasso e l’Lhc di Ginevra che fine avrebbero fatto quei soldi? O forse questa è una delle grandi opere che questo governo di pressappochisti e venditori di illusioni vuole lanciare?” ironizza Manuela Ghizzoni, capogruppo PD commissione Cultura Camera dei deputati.
Polemica anche la Rete 29 Aprile ("Ricercatori per una università pubblica, libera e aperta"): "Nessun tunnel ma un fascio di neutrini che è stato ’sparato’ dal Cern di Ginevra per un viaggio sotterraneo che dura 2,4 millisecondi, raggiunge la profondità massima di tre chilometri per effetto della curvatura terrestre e termina al Gran Sasso, dove il fascio è ’fotografato’ da un rilevatore e ne viene misurata la velocità. Quindi tranquilli, soprattutto i cittadini di Firenze che si trovano sulla traiettoria: il viaggio delle particelle, perfettamente rettilineo, non impegna nessuna struttura costruita dall’uomo; e nessuno potrà usare tale esperimento per giustificare una nuova TAV sotto il Trasimeno". Per il segretario della Flc Cgil Mimmo Pantaleo "un ministro convinto che esista un vero tunnel tra il gran sasso e il Cern deve andare a casa al più presto assieme ai suoi degni colleghi del governo".
Replica il ministero: "Polemica destituita di fondamento è assolutamente ridicola. E’ ovvio che il tunnel è quello nel quale circolano i protoni dalle cui collisioni ha origine il fascio di neutrini che attraversando la terra raggiunge il Gran Sasso".
FISICA
Neutrini più veloci della luce
c’è la conferma ufficiale
Nel percorrere i 730 km che separano il Cern dal Gran Sasso ci hanno messo 60 nanosecondi meno del previsto, rivela l’analisi dei dati sull’esperimento. Oggi i dettagli
ROMA - C’è la conferma ufficiale: la velocità della luce è stata superata. I neutrini sono più veloci della luce di circa 60 nanosecondi. Il risultato è ottenuto dall’esperimento Cng 1s (Cern Neutrino to Gran Sasso), nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern verso i Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Il risultato si deve alla collaborazione internazionale Opera, che con i rivelatori che si trovano nei Laboratori del Gran Sasso ha analizzato oltre 15.000 neutrini tra quelli che, una volta prodotti dall’acceleratore del Cern Super Proton Synchrotron, percorrono i 730 chilometri che separano il Cern dal Gran Sasso. I dati dimostrano che i neutrini impiegano 2,4 millisecondi per coprire la distanza, con un anticipo di 60 miliardesimi di secondo rispetto alla velocità attesa. L’analisi dei dati, raccolti negli ultimi tre anni, dimostra che i neutrini battono di circa 20 parti per milione i 300.000 chilometri al secondo ai quali viaggia la luce. Un comunicato del centro ginevrino annuncia che i risultati saranno presentati oggi a Ginevra in un seminario alle 16, ritrasmesso via web all’indirizzo http://webcast.cern.ch 2.
"Il neutrino ci sorprende ancora". "Questo risultato è una completa sorpresa", ha osservato il responsabile del rivelatore Opera, il fisico italiano Antonio Ereditato dell’università di Berna, commentando i dati che dimostrano che è stata superata la velocità della luce. "Dopo molti mesi di studi e di controlli incrociati - ha detto - non abbiamo trovato nessun effetto dovuto alla strumentazione in grado di spiegare il risultato della misura. Continueremo i nostri studi e attendiamo misure indipendenti per valutare pienamente la natura di queste osservazioni". Secondo Ereditato "il potenziale impatto sulla scienza è troppo grande per trarre conclusioni immediate o tentare interpretazioni. La mia prima reazione - ha aggiunto - è che il neutrino ci sorprende ancora una volta con i suoi misteri". Per questo motivo i dati saranno presentati ufficialmente oggi pomeriggio al Cern di Ginevra, in un seminario. L’obiettivo, ha spiegato il ricercatore, "è sottoporre a esame i risultati da parte della più ampia comunità della fisica delle particelle".
"Lavoro di gruppo". Con Ereditato lui lavorano circa 160 ricercatori di 30 istituzioni e 11 Paesi. "Sono molto contento e ho la fortuna di condividere questo risultato con tanti colleghi validissimi e non mi sento di dire che si tratta di un mio risultato: è un risultato del mio gruppo. E’ il frutto di un lavoro complesso e gratificante". Come avete accolto i dati? "Siamo molto meno eccitati dei media. Certamente ci rendiamo conto che questa scoperta colpisce l’immaginario collettivo, ma per noi è stata una misura di precisione lungo un percorso alla fine del quale eravamo convinti di trovare un risultato negativo. Scoprire che non era così è stata una grossa sorpresa". Napoletano, 56 anni, Ereditato ha studiato a Napoli e poi ha lavorato in molti centri di ricerca all’estero. Da cinque anni dirige l’Istituto di Fisica delle particelle dell’università svizzera di Berna. E’ coordinatore della collaborazione internazionale Opera, nell’ambito dell’esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso), nato dalla collaborazione fra il Cern di Ginevra e i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). "Grazie a questa opportunità sono in contatto costante con l’Italia", ha detto il ricercatore, che lunedì parteciperà al seminario sui risultati dell’ esperimento organizzato nei Laboratori del Gran Sasso.
"Una nuova costante dell’universo". "La percezione, ha detto il presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) Roberto Petronzio, è che "si possa cominciare a ragionare su una nuova scala e che si entri in un territorio sconosciuto della fisica, nel quale si potrebbero incontrare, per esempio nuove dimensioni o addirittura una nuova costante fondamentale dell’universo". Con la possibilità di superare la velocità della luce entrerebbe in crisi uno dei punti di riferimento della fisica contemporanea. Le costanti dell’universo hanno infatti un valore universale e indipendente, veri e propri capisaldi che modellano la visione dell’universo. "E’ possibile - ha rilevato Petronzio - che i nuovi dati sulla velocità della luce possano essere la spia dell’esistenza di una nuova costante. E’ stata infatti osservata una deviazione rispetto a una scala. Per esempio, la famosa particella di Dio, ossia il bosone di Higgs per il quale esiste la massa, dovrebbe essere rilevabile all’interno di una scala di energia e, se i dati raccolti dal Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra dovessero dimostrare che non si trovi lì si aprirebbe una nuova pagina per la fisica. "Nel caso della velocità della luce, l’anomalia osservata e presentata oggi sarebbe ancora più importante rispetto alla scoperta o meno del bosone di Higgs in quanto - ha concluso - riguarderebbe le proprietà generali dello spazio-tempo".
* la Repubblica, 23 settembre 2011
Un balzo enorme del sapere umano si potrà scardinare il concetto di tempo
Siamo entrati in una nuova era. Eppure tanti colleghi dicevano l’esperimento non sarebbe servito a nulla
Talvolta, il progresso della scienza avviene a scossoni, balzi in avanti che si sprigionano da un’idea o da un risultato inattesi. -Non saprei come meglio definire il risultato annunciato dai Laboratori dell’Infn del Gran Sasso e dal Cern.
di Luciano Maiani (la Repubblica, 24.09.2011)
L’annuncio di un piccolo eccesso di velocità dei neutrini rispetto alla luce, circa 2 parti su 100mila, proviene da una collaborazione di provata capacità, da laboratori internazionali di tutto rispetto, con l’impiego delle tecnologie più avanzate per la misura di distanze e tempi. La portata del risultato è tale, tuttavia, da consigliare prudenza. Non possiamo ancora dire se si tratta di un falso allarme o di uno scossone capace di modificare la visione di spazio e tempo sviluppata da Einstein e consolidata in più di cento anni di esperimenti. Esperimenti effettuati su particelle elettricamente cariche che siamo capaci di accelerare e misurare nei laboratori (quindi non sui neutrini, privi di carica elettrica).
Con il fascio di neutrini dal Cern al Gran Sasso per la prima volta riusciamo a controllare la partenza e l’arrivo di particelle elettricamente neutre su distanze tali da permettere la misura con una precisione mai raggiunta prima. Neutrini raggiungono la Terra anche dal Sole e dalle grandi stelle che esplodono, le supernove. Nel primo caso, vediamo l’arrivo ma non sappiamo quando è avvenuta la partenza. Delle supernove, conosciamo solo un esempio (del 1987) in cui l’arrivo dei neutrini è avvenuto senza anomalie. Ma anche in questo caso la sorgente era fuori del nostro controllo e i neutrini così pochi da non permettere un test stringente.
La possibilità di inviare al Gran Sasso un fascio di neutrini di alta energia è stata considerata negli anni ’80, quando Antonino Zichichi promosse la costruzione dei laboratori sotto il Gran Sasso, e infatti le sale dei laboratori vennero orientate in direzione del Cern. Solo alla fine del secolo, tuttavia, il progetto venne concretizzato e sostenuto da una collaborazione internazionale che vedeva come protagonisti il Cern, allora sotto la mia direzione, e l’Infn, diretto da Enzo Iarocci. Cosa cambierebbe se Opera avesse ragione? Secondo Einstein, il tempo che passa tra la partenza e l’arrivo di un segnale dipende dal sistema di riferimento da cui guardiamo i due eventi. Se il segnale viaggia a velocità superiore alla luce, cambiando riferimento, ad esempio guardando da un’astronave a grandissima velocità, potremmo vedere un tempo zero - partenza e arrivo simultanei - o addirittura un tempo negativo - il segnale arriva prima di partire! In entrambi i casi, si perderebbe la relazione causa-effetto tra invio e ricezione del segnale. Per questo, nella teoria della relatività i segnali "superluminali" sono proibiti. È troppo presto per dire come queste idee dovranno essere modificate e quali concetti dovremo abbandonare per rispondere a un eventuale comportamento anomalo dei neutrini (aspettiamo la conferma dai fasci di Stati Uniti e in Giappone). Certo, non sarà cosa dappoco.
Troppo presto per archiviare Einstein nella fisica le rivoluzioni sono rarissime
Ma se il dato fosse vero bisognerebbe ripensare tutto e capire dove abbiamo sbagliato fino a oggi
di Carlo Rovelli (la Repubblica, 24.09.2011)
La cautela è d’obbligo. Una misura deve essere ripetuta prima di diventare credibile, e sviscerata a fondo prima di trarne conclusioni, a maggior ragione se sembra contraddire tutto quello che misuriamo da un secolo. Altri annunci di clamorose scoperte non hanno poi resistito a una analisi serrata. Ne sono consapevoli gli autori della bellissima misura della velocità dei neutrini, che concludono il loro articolo sobriamente ("riteniamo opportuno continuare questa ricerca per studiare possibili effetti sistematici non conosciuti che potrebbero spiegare l’anomalia osservata") e ne è consapevole il cautissimo comunicato del Cern ("interpretare i risultati di questa nuova misura come indicazioni di una modifica della teoria di Einstein è poco plausibile"). È un po’ come se qualcuno dicesse di aver visto di notte un pinguino in piazza di Spagna: prendiamolo sul serio e cerchiamo il pinguino, magari c’è davvero. Ma non saltiamo subito alla conclusione che di certo ci sono pinguini in giro per Roma. Se dovesse essere confermato, il risultato sarebbe eccezionale. Non tanto perché contraddica il senso comune: non stupisce nessuno che qualcosa si possa muovere molto veloce; è la teoria di Einstein, dove la velocità della luce è un limite invalicabile, ad essere controintuitiva. Il motivo dell’eccezionalità, piuttosto, è che se il risultato fosse confermato sarebbe necessario rivedere praticamente tutta la fisica moderna. La fisica delle particelle, la fisica gravitazionale, l’astrofisica, la cosmologia, e perfino l’elettromagnetismo, implicano tutte l’esistenza di questa velocità massima. Ci sono innumerevoli previsioni, confermate, che seguono da teorie che includono questa assunzione. Se questa assunzione fosse violata, bisognerebbe ripensare tutto, e capire come abbiamo fatto a fare predizioni corrette basate su un’assunzione sbagliata.
Sarebbe splendido. Saremmo sbalzati dalla situazione comoda ma un po’ noiosa in cui siamo oggi, in cui le teorie esistenti sono estremamente potenti e non abbiamo quasi esperimenti che le contraddicano, in una situazione in cui c’è tutto da rifare. Sarebbe il sogno dei fisici teorici, che smetterebbero di sentirsi un po’ inutili a pensare a mondi paralleli. La tentazione di prendere subito sul serio queste misure è forte, e certo usciranno presto decine di ipotesi di spiegazione.
Speriamo che sia vero, anche perché il team internazionale che ha fatto la misura è di altissimo livello, e il loro lavoro è di grande qualità. Hanno misurato la distanza fra il Cern e i laboratori all’Aquila con una precisione di qualche centimetro, e il tempo volo dei neutrini con una precisione di dieci miliardesimi di secondo. Meriterebbe che la Natura dicesse sì. Ma teniamo presente che scoperte così clamorose, che contraddicono tutto quanto ci si aspetta, sono rarissime, se non inesistenti, nella storia della fisica. In generale, i segnali del nuovo iniziano lenti e confusi. Perfino le sorprendenti osservazioni di Galileo si inquadravano in fondo bene nel modello di Copernico, scritto un secolo prima. Stiamo a vedere.
ALLA VELOCITA’ DEL NEUTRINO
di Piergiorgio Odifreddi *
“Non vedi quanto più veloci e lontano devono andare, e percorrere una maggiore distesa di spazio, nello stesso tempo che i raggi del Sole riempiono il cielo?”. A parlare è Lucrezio, nel suo capolavoro La natura delle cose, riferendosi ai simulacri che fluiscono di continuo e in ogni direzione sulla superficie delle cose, e producono le impressioni visive negli occhi degli osservatori. Ma a parlare potrebbe anche essere il portavoce del Cern, che oggi ha annunciato che alcuni esperimenti mostrerebbero che i neutrini possono andare a velocità superiore a quella della luce, appunto.
Prima di Lucrezio, la teoria di Epicuro assegnava ai simulacri una velocità ovviamente inferiore a quella della luce. Analogamente, prima dell’annuncio di oggi, facevano i fisici con i neutrini: particelle che, in qualche modo, sono sempre state collegate alle ricerche italiane. Infatti, alcune delle intuizioni più profonde al loro riguardo erano state fatte da Bruno Pontecorvo, fratello del regista. Intuizioni che, opportunamente sviluppate e confermate, portarono molti scienziati al premio Nobel(nel 1988, 1995 e 2002). Ma il premio non andò mai a Pontecorvo, che fu punito per essere scappato nella direzione sbagliata (in Unione Sovietica) dopo la guerra.
Se le osservazioni effettuate dal team di Antonio Ereditato fossero confermate, la memoria di Pontecorvo sarebbe finalmente vendicata da un italiano. Il condizionale, però, è d’obbligo. Già altre volte, infatti, i neutrini hanno riservato sorprese. Ad esempio, a lungo si pensava che non avessero massa, e andassero alla velocità della luce. Poi si scoprì che una massa ce l’avevano, e che dunque dovevano andare un po’ più lenti. Oggi, ci dicono che invece vanno un po’ più veloci. Certamente una delle tre alternative è quella giusta, ma quale? E, se fosse quella annunciata oggi, che succederebbe?
Sgombriamo subito il campo da un’interpretazione sensazionalistica, che è circolata ad arte insieme alla notizia dell’esperimento. La relatività di Einstein non prevede affatto che la velocità della luce non possa essere superata! Lo si dice continuamente, ma questo non significa che sia vero. Ciò che la relatività prevede, è soltanto che ci debba essere una velocità limite che non può essere superata. Gli esperimenti finora sembravano indicare che questa velocità insuperabile fosse quella della luce nel vuoto, e forse dovremo cambiare espressione: invece di dire che non si può superare la velocità della luce, magari un giorno diremo che non si può superare quella dei neutrini.
Una possibile riformulazione dell’annuncio, dunque, è semplicemente che la velocità massima prevista da Einstein non è quella della luce, bensì qualcosa di molto prossimo ad essa: la differenza sembra essere di 60 nanosecondi sul tempo di percorrenza della distanza di 730 chilometri tra il Gran Sasso e il Cern, tra i quali si è fatto l’esperimento. E questa differenza infinitesimale sarebbe appunto sfuggita negli esperimenti fatti finora sulla luce: un fatto sperimentale interessante,ma certo non una tragedia teorica.
Coloro che preferiscono le rivoluzioni, si chiederanno se l’errore non stia invece, più che nelle misure sulla luce, nella relatività stessa. Tentare di buttare giù dal piedestallo Einstein, come lui aveva fatto con Newton, è una tentazione troppo grande per resisterle. Purtroppo per i giovani turchi della fisica, la relatività è confermata da miliardi di esperimenti, e non ne basterà uno solo a scalzarla. D’altronde, era Einstein stesso a dire che “la scienza non è una repubblica delle banane, dove le rivoluzioni succedono ogni giorno”: ovvero, ribellarsi è giusto, ma il successo non è garantito.
* BLOG - IL NON SENSO DELLA VITA, 22 SET 2011:
http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/22/alla-velocita-del-neutrino/?ref=HRER1-1
“I neutrini superveloci smentiscono Einstein”
“Sembrano più rapidi della luce”. Oggi l’annuncio del test italiano al Gran Sasso
di Valentina Arcovio (La Stampa, 23.09.2011)
I neutrini sono più veloci della luce, almeno secondo i dati dell’esperimento italiano «Opera», nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern di Ginevra e raggiunge, dopo 730 km, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Questa è la notizia che da giorni circolava nella comunità scientifica. Poi, ieri, Antonino Zichichi, rompendo a sorpresa il rigoroso embargo imposto alla comunità scientifica internazionale, ne ha dato conferma, anticipando lo scienziato che è il portavoce del team internazionale che ha effettuato l’osservazione. Si tratta di Antonio Ereditato, un cervello italiano che lavora all’Università di Berna. Il fisico ha ammesso che i neutrini, nel corso di 3 diverse misurazioni, sono arrivati sull’obiettivo con un anticipo di 60 nanosecondi rispetto a quanto avrebbero fatto, se avessero viaggiato alla velocità della luce.
L’Infn e il Cern, però, rispondono con un secco «no comment». Senza un «paper» ufficiale i due enti di ricerca optano per un prudente silenzio. I dati dovrebbero essere diffusi dal sito www.arxiv. org, ma, più importante, oggi è previsto un seminario al Cern di Ginevra, in cui gli scienziati autori della scoperta presenteranno i loro dati, confrontandosi con la comunità scientifica internazionale. La posta in gioco, infatti, è troppo alta per permettersi falsi passi: questa scoperta farebbe crollare uno dei pezzi più importanti della fisica attuale. Lo stesso Albert Einstein verrebbe messo in discussione. Se i neutrini sono per davvero più veloci della luce, la teoria della Relatività speciale subirebbe un duro colpo. Nella concezione relativistica lo spazio ed il tempo formano un’unica entità, il «continuo spazio-tempo», con quattro dimensioni: tre dimensioni spaziali ed una temporale.Se gli scienziati dovessero confermare l’osservazione, questo «continuo» non esisterebbe, così come il «principio di casualità», e si aprirebbero scenari inediti.
Fino ad oggi si riteneva impossibile che i neutrini, particelle con una massa infinitesimale, potessero viaggiare più veloci dei fotoni, particelle senza massa che raggiungono una velocità di circa un miliardo di chilometri l’ora. Adesso - ci si chiede - tutta la fisica moderna è destinata a cambiare? E con questa anche il lavoro, presente e futuro, dei laboratori di ricerca di tutto il mondo?
Ora, comunque, la palla passa alla comunità scientifica che, con i dati alla mano, dovrà capire se confermare o smentire l’osservazione. E’ inevitabile che a questo esperimento, destinato a far discutere, dovrannoseguirne molti altri prima di arrivare a una risposta che si possa definire certa. «Siamo piuttosto sicuri dei nostri risultati - ha detto, laconico, Ereditato -. Ma abbiamo bisogno che altri colleghi li confermino».
Il neutrino che batte la luce e sfida Einstein
di Giovanni Bignami (La Stampa, 23.09.2011)
Chissà cosa è successo davvero tra Ginevra e il Gran Sasso. Certo i neutrini non si sono fermati a bere un caffè, anzi, sembra che, come nei fumetti, siano andati più veloce della luce. Ci vorrà un po’ di tempo per capire cosa è successo davvero. Perché, anche se piccola, i neutrini una massa ce l’hanno. Anzi, proprio questa è stata una scoperta recente, premiata con un Nobel nel 2002.
Ma Einstein ci ha insegnato che un corpo con massa non può andare al di là della velocità della luce, anzi neanche uguagliarla. E allora? Ai posteri l’ardua sentenza. Il risultato, se di risultato si tratta, si gioca sulla precisione della misurazione dei tempi di transito. E qui la fisica non perdona: la luce avanza a 300 mila km al secondo e, per decidere chi arriva prima tra fotoni e neutrini, bisogna avere un fotofinish di straordinaria precisione.
Per il momento, si tratta di un passa-parola tra fisici a metà tra lo scettico e l’entusiasta. Noi, però, non possiamo non notare l’importanza sempre maggiore dei neutrini per il futuro della comprensione dell’universo. Se i neutrini italo-svizzeri fossero davvero superluminali, cambierebbero non solo fondamentali paradigmi della fisica, ma forse anche alcune nostre idee sulla formazione e composizione dell’universo. Penso soprattutto alla materia oscura, il grandissimo problema della cosmologia moderna. Ma penso anche ai neutrini viaggiatori, portatori di messaggi ancora non letti dal cielo.
Finora abbiamo visto solo due sorgenti celesti di neutrini: il nostro Sole ed una Supernova nella Grande Nube di Magellano. Proprio dalle osservazioni del Sole abbiamo capito che i neutrini devono avere una massa e che perciò, fino a ieri, non potevano andare alla velocità della luce. Vien da pensare al risultato annunciato due giorni fa a Bradford, Inghilterra, da Carlos Frenk, grande cosmologo anglomessicano, che mette in dubbio le poche idee che ci eravamo fatti sulla natura delle particelle responsabili della materia oscura. Potrebbero non essere quello che pensavamo e potrebbero anche non essere alla portata del Cern. E allora? Non ho la minima idea se i due risultati siano connessi e comunque entrambi hanno bisogno di conferma. Certo, parlando dei neutrini e delle loro strane proprietà, viene voglia di spalancare il cielo ad una nuova astronomia, fatta appunto con i neutrini, dopo che da migliaia di anni ci accontentiamo dei messaggi portati dal fotone viaggiatore.
E’ la fine del monopolio dell’astronomia elettromagnetica, cioè quella fatta con i fotoni che anche i nostri occhi possono vedere? Sarebbe affascinante fare astronomia con i neutrini, perché intorno a noi c’è un universo dove vanno e vengono neutrini senza che riusciamo a cogliere il messaggio che portano. Se poi fossero più veloci della luce, sarebbe anche più divertente. Ma attenzione: tutte le volte che abbiamo messo seriamente alla prova la relatività generale di Einstein, il vecchio Albert è uscito vincitore.
Relatività in crisi? Così potrebbe cambiare la concezione del cosmo
Nuove dimensioni e strane curvature dello spazio-tempo
di Barbara Gallavotti (La Stampa, 23.09.2011)
Non sono giorni normali per i fisici. Da qualche tempo si sussurrava di risultati importanti ottenuti dall’esperimento «Opera». L’attesa per la presentazione ufficiale dei dati era palpabile, ma il sentimento predominante era una sorta di entusiastico scetticismo. Nessuno si lasciava andare ad analisi tecniche, perché la collaborazione «Opera» non aveva ancora terminato di analizzare i dati e la prima comunicazione ufficiale è prevista per oggi. Ciò nonostante, poteva capitare che qualcuno accettasse di immaginare cosa avverrebbe della nostra visione dell’Universo, se i risultati fossero confermati e, dunque, si scoprisse che i neutrini possono viaggiare più veloci della luce.
Ad essere in gioco è uno degli assunti fondamentali della Relatività, quello secondo il quale nulla può viaggiare più veloce della luce, perché, se così fosse, cambiando il sistema di riferimento dell’osservatore, potrebbe avvenire di vedere un fenomeno prima del verificarsi delle sue cause (il che è assurdo). I neutrini sono particelle speciali, le uniche nel mondo dell’infinitamente piccolo ad essere dotate di massa, seppur minuscola, ma prive di carica elettrica. Questa peculiarità non basta però a giustificare il risultato di «Opera» e dunque, se fosse confermato, bisognerebbeimmaginare delle drastiche correzioni alla Relatività (cancellarla sembra impossibile, perché sono troppe le prove a favore della sua validità). Si dovrebbe quindi pensare all’esistenza di nuove dimensioni o a strane curvature dello spaziotempo che permettano ai neutrini di prendere inedite scorciatoie. Un po’ come se, dovendo unire su un atlante L’Aquila e Ginevra, anziché tracciare una linea sulla carta si piegasse il foglio, portando le due città a coincidere, e poi le si congiungesse, forando il foglio con una matita.
Dopo la fuga di notizie, l’atmosfera fra i fisici è cambiata e ieri era praticamente impossibile trovare qualcuno che accettasse di toccare ufficialmente l’argomento della velocità dei neutrini prima del seminario di oggi. L’entusiasmo per una possibile scoperta che cambierebbe il volto della fisica è stato soverchiato dall’urgenza di non farsi travolgere dagli eventi e di procedere nel valutare con cura i dati. Del resto, anche se i fisici del Gran Sasso saranno convincenti, bisognerà attendere che altri analoghi esperimenti confermino l’esistenza del fenomeno. Negli Usa e in Giappone si stanno probabilmente attrezzando a ripetere la misura, ma occorrerà aspettare almeno un anno prima di sapere se l’Universo è tanto diverso da come pensavamo. La scienza ha tempi lunghi e anche a Stoccolma sono abituati ad attendere.
Cosa sono i neutrini? Lo spiega un cartoon
[Cliccare, sulla zona rossa] C’è qualcosa nell’universo che può andare più veloce della luce. La clamorosa scoperta del Cern di Ginevra è stata compiuta misurando la velocità dei neutrini nel percorrere il tragitto dal laboratorio svizzero ad un centro di ricerca situato sul Gran Sasso. Ma cosa sono i neutrini e come si è arrivati a stabilire che queste particelle possono superare un limite che pareva invalicabile? Un breve cartone animato, realizzato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, lo spiega in maniera semplice e comprensibile a tutti (la Repubblica, 23 settembre 2011)