Il ritorno del Cavaliere
di Barbara Spinelli (La Stampa, 22.10.2006)
SE un forestiero visitasse oggi l’Italia sarebbe alquanto stupefatto. Come prima cosa constaterebbe una grandissima confusione: non capirebbe chi ha vinto e chi perso, nelle elezioni di aprile. Tutti gli parlerebbero di insopportabili bufere, che stanno per trascinare Prodi negli abissi, mentre lui avrebbe l’impressione che sì, Prodi beccheggia pericolosamente ma in assenza di autentica bufera. C’è qualcos’altro, che somiglia a un gran cambiamento che Prodi potrebbe rappresentare ma che segretamente è ostacolato.
Lo stupore del forestiero nascerebbe da qui, dalla strana reazione a questo possibile cambiamento. Sono passati solo cinque mesi da quando Berlusconi è stato sconfitto, e ancora il Paese sembra nelle sue mani: è come se controllasse non solo le proprie televisioni ma quasi tutte le televisioni, non solo i propri giornali ma surrettiziamente altri giornali. La sua persona non è palesemente invocata, ma di sicuro la sua anomalia è banalizzata, al punto che Berlusconi ha alcune buone ragioni di sperare in un suo niente affatto remoto e quasi irresistibile ritorno.
E questo non perché l’opposizione sia brava, ma perché l’attuale maggioranza fa parecchio per aiutarlo, quasi avesse nostalgia di colui che ha appena mandato a casa e non sapesse bene chi e che cosa ha mandato a casa. Lo stesso gran parlare di bufera va in questo senso. Gli italiani sono molto cosmopoliti, ma il senso delle proporzioni che infonde il cosmopolitismo manca loro in maniera crudele. La legge finanziaria proposta alcune settimane orsono fa male a molti, certo, ma come non ricordare quel che accadeva in Francia nel 1976, quando governava Raymond Barre? o nella stessa Francia, quando il premier Alain Juppé propose il suo piano di rigore, nel memorabile inverno 1995? Barre fu per anni l’uomo nero dei sondaggi e delle manifestazioni, e Juppé si trovò di fronte, per quasi cinque settimane, una nazione paralizzata dagli scioperi.
In Italia niente scioperi, niente popolo in armi, almeno per ora, ma una sorta di brusio ininterrotto nelle stanze del potere. E per stanze s’intendono tutti quelli che ascoltano e diffondono questi tipi di brusio scambiandoli e spacciandoli per voce del popolo: ministri, parlamentari, giornalisti, industriali scontenti.
Il forestiero cercherebbe di rammentare a se stesso Berlusconi: chi era costui? Era quell’industriale ricchissimo che possedeva praticamente l’intera gamma di Tv private, e giornali e case editrici (divenendo Premier si appropriò anche della Rai). Senza abbandonare queste attività era divenuto due volte presidente del Consiglio, cosa che in Occidente solitamente non accade: così come hanno separato la Chiesa dalla politica, così gli occidentali usano, almeno pro forma, separare gli interessi economici particolari da quelli generali. Dopo cinque anni gli elettori italiani decisero che questa storia doveva finire. Ma appunto, solo cinque mesi son trascorsi e Berlusconi riaffiora come immacolato, rivalutato, nonostante il declino di Forza Italia. Prodi è giudicato con lo stesso metro con cui si giudicava lui, e precisamente così si banalizza l’anomalia berlusconiana.
In realtà è come se Prodi non avesse vinto, a giudicare dai tanti annunci che già oggi danno per scontato il suo fallimento. Berlusconi sembra esercitare sulle classi dirigenti un fascino immutato, e l’amnesia che circonda sia la sua persona sia i disastri non solo economici da lui causati è impressionante.
È come se ci si dimenticasse l’essenziale che separa i due personaggi: Berlusconi aveva un enorme conflitto d’interessi e Prodi no; Berlusconi aveva un rapporto costantemente teso con la legalità e Prodi no; Berlusconi vedeva in ogni magistrato un congiurato (o un malato mentale) e Prodi no; Berlusconi possedeva quasi tutte le leve dell’informazione e Prodi no; Berlusconi giudicava moralmente giustificato evadere le tasse e Prodi no; Berlusconi aveva smisurate ricchezze la cui origine è in gran parte ignota e Prodi no. Ci sono insomma differenze esorbitanti fra loro, oggi obnubilate. Perché? Perché tutti dicono che a Prodi manca la Vera Missione? È uno dei tanti misteri d’Italia, che varrebbe la pena esplorare.
Il fatto è che proprio questa differenza fra i due personaggi, essendo parte tutt’altro che irrilevante della Missione, crea un certo diffuso, inconfessato malessere. Prodi l’ha spiegato con chiarezza in un’intervista al quotidiano spagnolo El País, il 15 ottobre. Ha detto che gli italiani dovevano finalmente scegliere: o l’abitudine alla legalità o l’abitudine alla frode, «o la cultura della legge o la cultura della disobbedienza e dell’anarchia». Ha anche detto che il suo più potente avversario è questa cultura della frode, assai difficile da smantellare e su cui vorrebbe concentrarsi. Le sue non felici allusioni alla stampa ostile sono meno importanti di questa denuncia. Quest’ultima mette spavento, ma è uno spavento che vien nascosto dietro altri più confessabili timori.
Che l’opposizione si ribelli è normale, tanto più che Berlusconi ancora la domina. Chi non cerca di destabilizzare l’avversario, in democrazia? Quel che lascia allibiti è il comportamento della maggioranza. È una maggioranza non solo insicura di sé, ma quantomeno contraddittoria. Ha paura di quel che aveva promesso (abolizione delle leggi ad personam, riconoscimento giuridico delle Unioni civili, codice che escluda dalle alte cariche chi possiede aziende, specie nel campo della comunicazione). E ha paura di quel che fa, al punto che quasi sempre smonta quel che ha costruito la vigilia.
Subito dopo aver approvato la legge di bilancio, i ministri hanno presentato al Parlamento ben 254 emendamenti. Il ministro Mussi ieri ha minacciato le dimissioni. Insomma, quel che promettono non mantengono, quel che fanno non lo difendono con compattezza e senso di missione pedagogica, come farebbe qualsiasi governo, soprattutto alle prese con maggioranze esili. Gran parte di questi critici sostengono che senza l’accordo dell’opposizione non si può governare, visto che in Italia c’è una cosiddetta «emergenza maggioranza». A questo scopo fanno tavoli dei volenterosi, e son pronti a pagare prezzi alti pur di includere Berlusconi.
Ma chi ha detto che abbiano ragione? Potrebbero anche far quadrato, «stringere le file e andare al voto parlamentare senza compromessi, confidando nel senso di responsabilità e pertanto nella presenza e nel voto di tutti i senatori o deputati della coalizione». Lo ha scritto su questo giornale Carlo Federico Grosso, il 17 ottobre. Possono anche ricorrere alla fiducia: meno forte politicamente, certo, ma preferibile a compromessi che distruggono invece di costruire.
Attratta da questo genere di compromessi la coalizione ha già inciampato alcune volte: s’è guardata dall’abolire le leggi ad personam di Berlusconi, e gli ha addirittura regalato un indulto che restituisce impunità a corruttori e corrotti (in Italia si adorano i diminutivi, come in tutte le nazioni feroci: dunque si parla di furbetti dei quartierini). C’è un deputato, Previti, che non solo s’avvantaggia dell’indulto ma sulla base di stravaganti legalismi continua a disporre del suo seggio nonostante l’interdizione dai pubblici uffici - contenuta nella sentenza definitiva di condanna - sia immediatamente esecutiva. La cultura della legge ancora non ha la meglio.
Molti parlano di un complotto contro Prodi, anche se forse complotto non c’è. Però non son tutte stupidaggini, le illazioni in proposito, e Gianfranco Pasquino non ha torto quando parla di una campagna di delegittimazione condivisa da parte della maggioranza. Prodi rischia di restar volontariamente impigliato in ragnatele partitiche, ma l’essenziale non è questo: l’essenziale è che quasi ogni giorno gli manca l’elementare sostegno che una coalizione governante deve al premier. C’è un esponente della maggioranza, il leader dei radicali Capezzone, che ogni sera in Tv critica con parole molto dure le scelte del proprio governo. Perché? Da che parte sta? Dove vuole andare? Mistero.
I politici e i giornalisti italiani danno un’immensa importanza ai sondaggi, cioè alla politica della folla. Non sono i soli nel mondo, ma da anni vivono solo di questo. E i sondaggi dicono che Prodi sta divenendo impopolare. Ma chi ha detto che la popolarità sia così legata alla fiducia? La società può aver fiducia nella parola di ministri impopolari, quando giudica tale parola non menzognera: il caso Barre insegna proprio questo. La politica della folla sta diventando per molti politici europei l’ossigeno stesso del governare, e non uno dei suoi ingredienti. A tutti costoro Berlusconi ha insegnato l’arte di tenersi a galla su di essa, rinunciando al dispositivo centrale della politica democratica che è la pedagogia.
Ovunque ci sono politici che dicono: io farò quel che piacerà alla folla. Segolène Royal, candidata alle primarie socialiste per la Presidenza della repubblica in Francia, ha detto qualche giorno fa sull’ingresso della Turchia nell’Unione europea: «La mia opinione sarà quella del popolo». La politica della folla dice menzogne quando il popolo chiede menzogne, e non è raro che il popolo le chieda. Se solo Prodi avesse inventato orizzonti rosei per l’economia italiana... Dir la verità gli costa caro già oggi.
Infine, il capitolo informazione. C’è un giornalista che suscita sdegno quasi ovunque, nei palazzi del potere. Si chiama Marco Travaglio, e ha caratteristiche che rendono il suo lavoro simile a quello svolto (non sulla corruzione ma sulla politica estera) dall’americano Seymour Hersch: raccoglie dati, studia attentamente le ordinanze dei giudici per le indagini preliminari, legge le sentenze dei Tribunali, della Consulta. Ha un debole per il potere giudiziario, è vero, e non usa criticarlo. Ma questo non spiega la sfilza di epiteti che gli vengono riservati, anche sull’Unità dove scrive: «squadrista», «capo delle guardie rosso-brune, «Beria-travaglio», «acido estremista», persona che «succhia il chiodo di un inutile livore». Perché? Altro mistero: probabilmente perché dice che Berlusconi non è finito. Che resta un inventario da fare, su quel che è accaduto in Italia nell’ultimo decennio.
Quest’inventario son pochissimi a volerlo fare, e questi pochi son considerati sconvenienti se non pericolosi. Si vuol chiudere un’epoca senza analizzarla, come gli italiani hanno già fatto col fascismo, quando Croce consigliò di ricominciare i discorsi di ieri come se nulla fosse accaduto. Così a forza di non fare inventari si ricade nel passato, come intossicati dall’antipolitica e dall’abitudine all’illegalità che fece nascere il fenomeno berlusconiano. Magari il ritorno non ci sarà, ma la coalizione di governo sta facendo poco per evitarlo. Sta facendo di tutto per dire, pervertendo la poesia di Kavafis Aspettando i Barbari: Perché ci siamo liberati di Berlusconi? Sta’ a vedere che magari non torna più. Eppure non era così male, come soluzione.
Berlusconi e il suo popolo
di Furio Colombo *
Sabato mattina, nel corso del programma Omnibus, un collega che partecipava con me al dibattito sulla nuova legge Gentiloni mi ha detto, con comprensibile esasperazione: forse dovremo cominciare a ragionare al netto di Berlusconi, vedere i problemi del Paese (delle televisioni) così come sono, senza cominciare e finire sempre con lui. Gli ho detto, come dico adesso su questa pagina, che sarei felice di farlo, sarebbe l’inizio di una vera vacanza.
Purtroppo non si può. Berlusconi è di nuovo in piazza. Ne ha diritto, naturalmente.
Il fatto è che Berlusconi non solo è in grado di potersi pagare (attraverso legami e joint venture con costellazioni di imprenditori che hanno convenienza d’affari a comparire accanto a lui) spostamenti di folle. Lo è nel senso di essere in grado di comandare alle notizie di comparire nel modo, nella sequenza e con titoli e spazi ed enfasi che lui desidera. Perché da dieci anni ormai ogni carriera italiana nel campo delle comunicazioni dipende dalla simpatia o antipatia di Berlusconi in persona.
Per esempio, durante il passato regime, ogni volta che un titolo dell’Unità accennava a una delle tante malefatte del governo che ha stroncato l’economia del Paese e indicava non solo il gesto legislativo ma anche l’autore, Berlusconi, circondato da tutti i sub-appaltatori politici di Casa delle Libertà (detti altrimenti "i partiti della coalizione") gridava che la nostra denuncia era un attentato alla sua vita, che stavamo dando nomi e indirizzi ai nostri amici terroristi.
Ma ora che Vicenza è stata teatro di una manifestazione schiettamente cilena, in cui si sono sentite frasi come «Se Prodi oggi lo incontrano gli italiani, non lo fanno tornare a Palazzo Chigi» non troverete neppure una riga sul rischio della vita che, con una simile barriera di violenza verbale, di scatenamento della folla, di accuse che hanno coinvolto il presidente della Repubblica, del Senato e della Camera, e la ripetuta accusa di «governo ladro!», viene creata intorno a chi sta dalla parte del governo, e, più ancora, ha la responsabilità di rappresentare le istituzioni.
S’intende che non è vero. Le manifestazioni politiche non creano pericoli fisici agli avversari.S’intende che si tratta di una trovata per mettere museruole alla democrazia (come vedete anticipo la appassionata difesa che di quelle parole e di quella manifestazione farà Sandro Bondi se ancora gli rimangono forze dal suo sciopero della fame contro la Finanziaria). Ma ho ripetuto la grottesca accusa per far capire di che cosa è fatta la "politica" di Berlusconi: bugie, accuse immense, incitamento ai peggiori sentimenti del suo popolo, una sfacciataggine senza limiti. Ha fatto approvare tutte le sue finanziarie con il voto di fiducia ma se lo facesse Prodi metterebbe a rischio la libertà degli italiani. Lo fa perché ha la forza economica e il controllo mediatico che gli consentono di non risponderne.
Nel Tg1 di venerdì scorso, un giornalista è riuscito ad agganciare il combattivo leader della opposizione basata sul controllo dei media, e ha ottenuto, per Prodi, la definizione di "emergenza democratica" se chiederà il voto di fiducia per la Finanziaria.
Certo è che neppure adesso, neppure nel nuovo e ben diverso Tg1, il nostro collega ha trovato l’occasione per la seconda domanda: «Scusi Presidente, ma lei ha sempre usato il voto di fiducia, pur avendo grandi maggioranze sia alla Camera che al Senato. Come lo spiega?»
Pensateci bene: chi vorrebbe impigliarsi nella memoria notoriamente vendicativa di Berlusconi con una simile frase di normale giornalismo? S’intende che più avanti nel corso del Tg abbiamo rivisto la storia della sequenza dei voti di fiducia costantemente imposti da Berlusconi quasi solo per impedire ai suoi, più ancora che alla opposizione, di discutere o di cambiare anche una piccola parte delle sue leggi indecenti.
Ma vorrei segnalare altri due eventi della memorabile giornata di Vicenza. Il primo: è stato fischiato sei volte l’Inno di Mameli. È stato fischiato fino a quando "i possenti altoparlanti della piazza" (nella Casa delle Libertà non si bada a spese) hanno trasmesso Va pensiero, la bella musica verdiana dedicata alla sofferenza del popolo ebraico che, purtroppo, è stata scelta come identificazione (unica che non sia volgare e imbarazzante) dei leghisti.
Ma attenzione. Dovete essere un lettore accanito di agenzie di stampa per ricostruire attraverso dispacci separati e titoli riduttivi la portata dell’evento. La pagina che ho stampato dalla Rete comincia con «Qualche fischio all’Inno di Mameli» (Agi); «Per sei volte durante la manifestazione di Vicenza è stato suonato l’Inno di Mameli e per sei volte il popolo della Lega presente ha fischiato» (Adn Kronos) . Poi l’Ansa: «Nella piazza di Vicenza una parte di sostenitori ha fischiato sei volte l’Inno nazionale diffuso dagli organizzatori in attesa dei leader della Casa delle Libertà». Ma segue subito, in tutte le agenzie, un unico commento, quello del leghista Luca Zai, che spiega: «È la delusione del popolo dei leghisti per il fatto che non sia stato trasmesso prima Va pensiero». Vi immaginate lo scandalo, la denuncia di legami con il peggior terrorismo del mondo, l’insulto ai nostri soldati impegnati nelle missioni di pace, se il più piccolo e periferico gruppetto di qualche sinistra ignota avesse dato luogo, anche solo con cinquanta persone, e magari al chiuso, a un evento di questo genere, fischiare Mameli?
Vi immaginate la raffica di telefonate e richieste di interviste che tutti gli opinion leader della sinistra italiana, da Giampaolo Pansa in giù, avrebbero ricevuto per commentare il gesto ignobile, del resto tipica rivelazione dell’odio per la Patria da parte della sinistra, che fin dalla Liberazione, voleva costruire un’Italia sovietica?
Ecco, questo è il controllo delle comunicazioni.
Data un’occhiata in giro, ai giornali di oggi, e vedrete che, sulla questione dell’Inno di Mameli non si va al di là della folklorica esuberanza leghista, e della vivacità di popolo.
A proposito di popolo, sostate un istante a immaginare che Prodi esca allo scoperto per cercare sostegno popolare e trovi in piazza solo diecimila persone. Ci sarebbero beffa, irrisione, vignette e penosi corsivi sul fatto che «saranno stati quattro milioni e trecentomila coloro che hanno votato alle primarie, ma adesso quel popolo non c’è più».
A seguire una serie di aneddoti su come la gente fa in fretta a cambiare opinione.
Del resto avrete notato che da quattro giorni si discute del "crollo di Prodi". Eppure Prodi, al momento, al confronto con Bush, con Blair, con Chirac, è ancora il leader di governo più popolare in Occidente. Quando accadeva a Berlusconi, la disputa durava sì e no un giorno, perché lui faceva circolare immediatamente i suoi sondaggi che dicevano sempre (nel 2004, nel 2005 e anche adesso, alla fine del 2006) «Siamo avanti di sei punti». Lo diceva e lo faceva pubblicare.
Faccio un’altra scommessa sull’universo giornalistico che Berlusconi è in grado di controllare. Ci sarà almeno un titolo con la memorabile frase di Bossi: «Silvio, ce lo abbiamo duro ed è anche per questo che oggi è pieno di donne»? E poiché la frase è detta accanto a quest’altra: «Dobbiamo prepararci a marciare su Roma», la sana ispirazione fascista dovrebbe essere chiara e orientare il titolista. Ma non accadrà. Mi aspetto piuttosto: «La destra agguerrita torna in piazza», come se questa fosse la destra liberista, la destra di mercato, la destra delle imprese che con originalità e destrezza inventano prodotti e invadono i mercati. Al suo meglio, questa è la destra di Le Pen e di un fascismo rancido, un avanzo della storia.
Ma se controllate i media e tutte le carriere di tutti (o almeno molti) che lavorano nei giornali e nelle televisioni, ve lo potete permettere.
Del resto nessuno di noi, che dovremmo essere abituati alle domande intriganti e alle inchieste, si è chiesto: ma che razza di credenti saranno questi che prima e dopo essersi inginocchiati davanti al Papa (un Papa serio e risoluto, che non perde tempo negli aspetti della politica ornamentale e va dritto ai punti teologici che gli stanno a cuore e su cui chiede attenzione e obbedienza) fischiano con tutte le forze il cattolico Romano Prodi, presidente del Consiglio, e si spellano le mani per applaudire Silvio Berlusconi, forse per il fatto di avere fatto così tanto per le sue svariate famiglie? Saranno gli stessi credenti che si entusiasmano per le virili affermazioni di Bossi?
Ma Vicenza non è finita, c’è anche materiale per la Digos. Per esempio l’affermazione leghista «La piazza è determinante e la gente è istintiva e non vuole più il governo Prodi. Vuole che vada subito fuori dalle scatole». Come vedete non è esattamente una richiesta di nuove elezioni.
Ah, e non dimentichiamo che in piazza, accanto ai "duri" di Berlusconi e di Bossi, accanto alla grazia con cui Berlusconi si è espresso sulle istituzioni e sul Paese, c’era anche l’uomo fidato dell’Udc Giovanardi. Non dimentichiamo che, se ci fosse un sistema di media normale, il quadro apparirebbe comico: Giovanardi fa parte dei fischi all’Inno di Mameli. Il suo capo Casini li condanna a difendere Napolitano. Ma attenzione alla grandezza dei leader. Casini dice che «nella destra vi sono alcuni cretini» cioè poca roba.
E per difendere il presidente della Repubblica Napolitano, accusato da Berlusconi di essere "uno di loro" (come dire, dal Soviet al terrorismo) afferma che «Napolitano è un uomo che rappresenterà tutti noi». L’escamotage è parlare al futuro. Come dire: per adesso non so, ma mi immagino che nei giorni a venire starà attento al segnale ricevuto.
Brutta giornata dunque, quella di Vicenza. Ci dice che una destra alla Pinochet, che non ha niente della destra moderna e tutto del populismo volgare e para fascista, sta seminando di chiodi le strade e cerca sul serio di creare un invivibile disordine. Un simile progetto - del tutto separato dalla democrazia - ha due barriere: un serio e coraggioso mondo dei media disposto alla descrizione accurata di ciò che accade (se non al commento e alla interpretazione). E una maggioranza che si rende conto del pericolo e smetta il continuo logorio delle battaglie interne.
Quella per l’Italia è la sola che valga la pena di affrontare.
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www.unita.it, Pubblicato il: 22.10.06 Modificato il: 22.10.06 alle ore 13.58