Intervista allo stilista Stefano Gabbana: "Sì ai Pacs, no ai matrimoni gay"
Il racconto della vita con Domenico Dolce, i suoi sogni, il dolore di credente
"Un amore lungo venti anni ecco la mia storia fuorilegge"
di LAURA LAURENZI *
"Vivi per vent’anni con una persona: sempre insieme, ogni giorno e ogni notte, lavoro, vacanze, ogni pensiero, ogni minuto, ogni gesto, tutto. Che cos’è, se non un matrimonio?". Stefano Gabbana parla della sua lunghissima storia d’amore con il suo socio, il suo amico, il suo ex compagno, il suo ex "marito" Domenico Dolce ed esulta per l’approvazione dei Pacs dietro l’angolo. "Non ne faccio una questione di omosessualità ma di coppie di fatto, indipendentemente dal sesso di chi le compone. Sono in ballo i diritti umani ed è una vergogna che l’Italia sia uno degli ultimi paesi in Europa a legiferare in questo campo".
La sua è una testimonianza travagliata e a tratti contraddittoria, fatta a cuore aperto, con picchi d’angoscia e pause di felicità. Stefano Gabbana è a Londra per il ponte dell’Immacolata. Quattro giorni di vacanza con il suo nuovo compagno con il quale progetta di stringere un Pacs, non appena la nuova legge entrerà in vigore. Quattro giorni di relax, di shopping, di visite a gallerie d’arte, mercatini come Portobello, negozietti a Notting Hill, un salto al Covent Garden, lunghe passeggiate, l’acquisto di nuove palle di Natale di cui fa voracemente collezione. Una vita di privilegio la sua, sulle ali del successo, del talento, della notorietà, confortato da un fatturato aziendale che supera i 700 milioni di euro l’anno.
"Vivere in coppia con un altro uomo senza subire discriminazioni è stato possibile solo da quando sono diventato famoso. Certo se lavorassi alla Breda, se facessi il cassiere al supermercato, o il tranviere chissà quante mortificazioni avrei dovuto sopportare. Se invece vengo accettato lo devo per l’ottanta per cento alla mia notorietà". E per il restante venti per cento? "Al rispetto umano che certa gente sa dimostrare. Non tutti pensano che gli omosessuali siano anormali, non tutti necessariamente li disprezzano".
Com’è cambiata la sua vita da quando ha deciso, da un giorno all’altro, di fare coming out dalle colonne di un settimanale? "Tutti lo sapevano ma nessuno osava dirlo. Quello che la gente ha apprezzato, per lo meno credo, è che Domenico ed io abbiamo raccontato una grande storia d’amore, non una storia a sfondo sessuale. Amore, capisce? Io credo che già nelle scuole elementari dovrebbero insegnare che la diversità sessuale non è un peccato. Si è omosessuali come si è biondi o bruni o con la pelle nera o con la pelle bianca. Siamo tutti uguali: questo andrebbe insegnato. E invece c’è ancora tanto razzismo in giro".
Non solo edonismo per Stefano Gabbana a Londra: "Oggi ho cercato una chiesa cattolica dove potere accendere un cero alla Madonna. Lo faccio spesso. Lo faccio per ringraziare di tutto quello che ho. Io sono credente e praticante ma non è facile, essendo anche omosessuale. Per questo non faccio la comunione. Non posso farla. Amare una persona del mio stesso sesso è peccato. Amare un uomo, desiderarlo, fare l’amore con lui è peccato. Dovrei confessarmi, dovrei continuare a pentirmi e poi peccherei ancora e dovrei confessarmi di nuovo. Eppure non ho trovato in nessun passo del Vangelo una parola contro gli omosessuali. Mi sembra che Gesù Cristo non si sia mai pronunciato sul tema, non abbia mai condannato l’omosessualità. E io non mi sento così lontano da Dio".
Ammettere pubblicamente di essere gay gli ha provocato un terremoto in famiglia: "La sciocchezza che ho fatto è stata di non avvisare i miei genitori, i miei fratelli, i miei parenti. E così mio padre e mia madre lo hanno saputo dal telegiornale. Soprattutto mia madre l’ha presa malissimo. Poi alla fine mi ha detto: ok, posso anche accettarlo, ma mi vergogno, che cosa gli dico ai vicini di casa? Ho dovuto spiegarle tutto, calmarla. Le ho detto: guarda, mamma, che io non sono un assassino, io non faccio del male a nessuno. Invece di amare una donna amo un uomo. Ma è sempre amore".
Il sogno della sua vita, oggi a 44 anni, è quello di avere finalmente un figlio: "Non un bambino da adottare, non mi sento all’altezza, non sono abbastanza forte. Vorrei un figlio mio, un figlio biologico, frutto del mio seme, da concepire con la fecondazione assistita, perché non avrebbe senso che io facessi l’amore con una donna visto che non la amo, e che chi amo, oggi, è il mio compagno. Cerco una donna civile e perbene che condivida un certo tipo di percorso". Una donna che faccia la madre a tempo pieno abitando a un passo, come capita a volte nelle coppie separate. Progetto di non semplice realizzazione.
"Proprio una settimana fa all’improvviso ho chiesto a una mia cara amica, che ha dodici anni meno di me: vorresti essere la madre di mio figlio? È rimasta sconcertata. Il giorno dopo mi ha telefonato e mi ha detto: sono ancora sotto shock, però sarebbe una cosa stupenda. Vede, io sono contrario al fatto che un bambino cresca con due genitori gay. Un bambino ha bisogno di un padre e di una madre. Io non posso pensare alla mia infanzia senza mia madre. E ritengo che sia crudele togliere a una madre il proprio bambino".
C’è stato un momento in cui Stefano Gabbana, attorno ai vent’anni, è stato sul punto di sposarsi: "Ho avuto anche tante ragazze, nella mia vita, quando ero giovanissimo. E per questa avevo preso proprio una brutta scuffia. L’ho completamente persa di vista. So che si è sposata e ha dei figli, sono contento per lei".
Racconta che l’anno più duro della sua vita è stato quando la sua storia d’amore con Domenico Dolce è andata a monte. Fu il partner a tradirlo: "Ho preso una sbandata, è stato un incidente di percorso", confessò Dolce. E Gabbana lo lasciò. Vent’anni o quasi sempre insieme; all’inizio vivevano in un monolocale in piazza Cinque Giornate a Milano, un unico tavolo su cui disegnare, li chiamavano "i barboni", nessuno avrebbe scommesso due lire su di loro. Sfondarono "grazie alla testardaggine e all’amore - dissero - il nostro e quello per il nostro lavoro". Lasciarsi non ha significato cadere in disgrazia. "Mi stupisco come siamo riusciti a superare il momento traumatico della rottura, quei casini terribili che esplodono in ogni coppia che va in frantumi, etero o omo che sia, i litigi, questo è mio questo è tuo, le ripicche, la guerra dei Roses. E invece eccoci qua. Siamo ancora legatissimi e sa perché? Perché la nostra è stata e rimane una grandissima storia d’amore. Io ho una relazione con un’altra persona ma il mio legame con Domenico rimarrà il rapporto più importante della mia vita. Siamo riusciti a restare, intelligentemente, buoni amici e grandi complici. Invece di mandare a carte quarantotto l’azienda abbiamo lavorato, lavoriamo e continueremo a lavorare insieme, ogni giorno nella stessa stanza. È stato difficile ma ci siamo riusciti".
I giornali hanno scritto: separati in casa. "In realtà non è così, ognuno ha la sua vita però siamo ancora legatissimi. Vacanze insieme, viaggi insieme, molti weekend insieme. Ci telefoniamo molte volte al giorno, l’ultima volta Domenico mi ha chiamato un’ora fa e abbiamo parlato dei regali di Natale. A Milano abitiamo nello stesso palazzo, io al sesto piano e lui al quinto. Abbiamo vite separate e indipendenti ma siamo rimasti molto molto amici. Direi che fra noi è cambiato il tipo di amore: quello di oggi è un amore ancora più profondo". Quando stavano insieme si definivano complementari in tutto: nel lavoro, nel tempo libero, nei progetti. Dove non arriva l’uno arriva l’altro, siamo come Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, ripetevano ridendo. Chi è, o chi era Sandra, e chi Raimondo? "Tutti e due, a turno. Gliel’ho detto: eravamo intercambiabili, anche in questo".
Come mai, anche nel suo campo, sono così timidi i coming out fra gli stilisti? "Sono cose molto personali. Dipende da che background hai, da che età hai, da come vivi il problema. Perché è un problema. Perché l’omosessualità ti fa sentire inferiore, ti fa sentire diverso, non accettato. Io sono stato cinque anni in analisi: dai 39 anni fino a pochi mesi fa. Non perché sono omosessuale, pensavo. In realtà ho scoperto che la maggior parte dei miei problemi nasceva proprio da quello. Quando tu, già da bambino, hai paura di essere rifiutato, quando non parli con nessuno nemmeno in famiglia, quando vivi tutta la tua vita con un senso di colpa, quasi disprezzando te stesso, come puoi crescere bene? È difficile parlare pubblicamente di questo, è difficile quando hai la consapevolezza di essere un problema, per la società, per la famiglia, per i genitori, per la chiesa. Ti senti di troppo, ti senti sbagliato, fai fatica tu per primo ad accettarti, figuriamoci a farti accettare dagli altri...".
È favorevole ai Pacs come forma di tutela ma non ai matrimoni gay, che liquida come "una pagliacciata". Spiega: "Io sono stato sposato per vent’anni e non ho mai firmato nessun contratto. Non occorre secondo me firmare un contratto per essere fedeli. Non occorre andare in comune, scambiarsi gli anelli. Sì, se ti piace fare una grande festa, falla, ma il matrimonio gay è una sorta di caricatura. E anche il matrimonio tradizionale, a ben vedere, è una caricatura. Per come la vedo io l’impegno dovrebbe essere per tutta la vita, ma poi non è mai o quasi mai così. Ci si lascia con una tale disinvoltura, con tanta di quella superficialità. Io ho di fronte ai miei occhi l’esempio dei miei genitori, che sono sposati da 55 anni. Hanno sicuramente attraversato dei momenti difficili, ma hanno resistito. Se la palestra di vita è la famiglia, il loro è stato un esempio fantastico...".
E a proposito di caricature, se c’è una cosa che odia è l’esibizionismo dei gay pride: "Divento omofobo anch’io. Non ho nulla contro i travestiti e le drag queen, ma la colpa è forse dei media che danno troppo spazio a certe manifestazioni folcloristiche che alla fine sono controproducenti. Per l’opinione pubblica l’omosessualità si riduce a quello. Io non mi riconosco in loro, io non sono così. Se tu mi fotografi in mezzo a cinquecento uomini, io sono come tutti gli altri. Mia madre per prima si stupisce, quando vede al telegiornale le immagini del gay pride; mi dice: tu non sei così! Io non sono così".
È tramontato ogni progetto di darsi alla politica. Di destra ma senza fanatismi, si definisce "troppo poco diplomatico". E spiega: "Io per carattere sono sempre molto diretto, irruente, per niente politico. Domenico in questo è molto più bravo di me". Ma non si era parlato di lei, l’anno scorso, come di ipotetico candidato sindaco a Milano? "Sì, è vero. Mi piacerebbe molto fare qualcosa per il sociale, e per la mia città. Ma non sono all’altezza. Non avrei la pazienza, tutte quelle riunioni, incontrare tanta gente, mediare. E poi so fare un altro mestiere, che mi piace molto".
Domattina sarà al lavoro, accanto al suo monumentale albero di Natale "che sembra quello di Moira Orfei". Ne ha due, giganti, gemelli: uno a casa e uno nell’ufficio in via San Damiano, arredato in tutto e per tutto come una casa. Torna da Dalì e da Lola, i suoi due amatissimi labrador: "Forse li amo così tanto perché non parlano. Certo gli faccio fare una gran bella vita, tutto tranne che una vita da cani. Li coccolo, li pettino, li vizio. Lola ormai ha undici anni ed ha un’artrite deformante, ha problemi alle zampe anteriori e la sto curando con l’omeopatia. Le faccio anche degli impacchi di Voltaren e dopo le metto delle speciali calzine. Tutto l’affetto che potrei dare a un figlio per ora lo riverso su di loro. Quello di cui hanno bisogno, senza chiedere nulla in cambio, è solamente amore".
* la Repubblica, 10 dicembre 2006.
E’ la pubblicità, bellezza
di Alessandro Robecchi (il manifesto, 25 febbraio 2007)
«Non siamo mica come Zapatero!», come tutti sapete, è lo slogan coniato dall’astuta sinistra italiana per dire che di noi ci si può fidare, mica siamo pericolosi estremisti. Basterebbe questa frase per farci guardare con attenzione alla Spagna, e infatti ecco che da laggiù giunge una voce di protesta. L’Istituto Donna (organismo del ministero del lavoro), i Verdi e alcune associazioni di consumatori hanno chiesto il ritiro di una pubblicità di Dolce&Gabbana. Nella foto, un uomo tiene una ragazza immobilizzata a terra per i polsi, e altri bellimbusti seminudi osservano la scena. Tutto un po’ ridicolo, se è permessa una notazione artistica. Ma di fatto anche piuttosto offensivo e violento, da cui l’incazzatura delle donne spagnole. Visto da qui sembra peccato veniale, ordinaria amministrazione. E quanto all’immagine mercificata e mortificata della donna, beh, «voi siete qui», cioè in un paese dove si usa un bel paio di tette anche per vendere il gorgonzola (claim: «Mai provato con le pere?»). Dunque diciamo così, che noi non siamo mica come Zapatero (che si va all’inferno), ma una cosa è certa: sull’argomento dignità e diritti in Spagna tengono la guardia più alta.
Del resto l’esperienza insegna che qui parlare liberamente delle opere e della vita dei santi (D&G) è pericoloso assai. Quando un inserto del Sole 24ore ha stroncato le cotolette del loro ristorante, i due sarti hanno ritirato pubblicità per centinaia di migliaia di euro, dato della «stronza» all’autrice dell’articolo in tivù, e poi ampiamente rivendicato il gesto. Qualche mugugno in sottofondo, ma non si sono sentiti né direttori né editori tuonare, dire che si tratta di una vera intimidazione e che così la libertà di scrivere (anche delle cotolette dei sarti) se ne va un pochino a puttane. Anzi. Poco tempo dopo il Sole 24ore ha mandato un altro recensore a mangiare dai due sarti pubblicando un’altra recensione, questa volta favorevole. Ora bisognerà spiegare agli spagnoli che qui non solo non ci indigniamo per una pubblicità volgare e violenta, che siamo abituati, ma abbiamo anche dei problemini di libertà. «E’ la stampa bellezza e tu non puoi farci niente», era una bella frase, ma non vale più. E’ l’inserzionista, bellezza, e tu non puoi farci niente. Ecco, così va meglio.
Pubblicità con stupro, la Cgil: boicottiamo D&G *
Un uomo a petto nudo (con occhiali scuri e jeans) è chinato su una ragazza e la tiene bloccata a terra, per i polsi, mentre lei tenta di divincolarsi. Altri quattro uomini, più o meno vestiti, assistono alla scena impassibili. Quest’immagine, una specie di foto-ricordo scattata pochi secondi prima di uno stupro di gruppo, è stata scelta dagli stilisti milanesi Dolce & Gabbana come icona per lanciare i loro prodotti alla moda: appunto jeans, occhiali, profumi, vestiti .
Così il 19 Febbraio scorso in Spagna l’Istituto de la Mujer, un ente che è parte del Ministero del Lavoro del governo spagnolo, insieme a varie associazioni femministe e gruppi dei consumatori, ha chiesto all’azienda di moda di ritirare questa pubblicità che incita alla violenza perché «se ne può dedurre che è ammissibile l’uso della forza come modo di imporsi alle donne» e «rafforza atteggiamenti che al giorno d’oggi sono un crimine, attentano contro i diritti delle donne e ne denigrano l’immagine». L’Istituto ha chiesto a tutti i mezzi di comunicazione, stampa, televisione, di non prestarsi alla diffusione di questa immagine.
L’idea che uno stupro collettivo possa convincere uomini donne a vestirsi Dolce & Gabbana, però, sembra piacere molto ai due stilisti milanesi che il il 23 Febbraio hanno semplicemente dichiarato che avrebbero ritirato la pubblicità dalla Spagna. Ma solo dalla Spagna da loro definito un paese «arretrato» e che quindi l’avrebbero mantenuta in tutti gli altri paesi del mondo dove smerciano i loro prodotti.
Italia compresa. Ed ovviamente non è passata inosservata. Secondo gli ultimi dati Istat la violenza sulle donne nel Belpaese è un fenomeno in crescita. Oltre 6 milioni di donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni (in percentuale il 31,9%) hanno subito nel corso della loro vita violenza fisica (ovvero: minacce o atti violenti dalle forme più lievi a quelle più gravi) o sessuale (ossia: costrizione a fare o subire contro la propria volontà atti sessuali che vanno dalla stupro alle molestie fisiche ). Quelle che hanno subito violenza negli ultimi 12 mesi sono esattamente 1 milione 150 mila. Il 23,7% ha subito violenze sessuali, il 18,8% violenze fisiche. Circa un milione sono stati gli stupri o i tentati stupri. Ma ovviamente va considerato che il 95% della violenza subita dalle donne non viene denunciato e che un terzo delle donne non ne ha parlato con nessuno.
Per questo, proprio mentre l’istantanea pre-stupro di Dolce & gabbana arriva sui nostri giornali, il Ministero per le pari opportunità sta diffondendo su tv e non solo la campagna contro la violenza sulle donne. Inevitabili quindi le immediate proteste contro i due stilisti milanesi, proteste che hanno visto scendere in campo non solo associazioni e politici ma anche i sindacati. «La moda è innanzitutto cultura, etica, e veicolo di trasmissione di valori, sogni emozioni. È vergognoso che Dolce & Gabbana veicolino un messaggio di violenza e sopraffazione nei confronti delle donne - sottolinea Valeria Fedeli , segretario generale della Filtea-Cgil (sindacato dei lavoratori tessili che ha un’altissima percentuale di donne) - Quel manifesto dovrebbe scomparire e gli stilisti devono chiedere scusa a tutte le donne. Se ciò non avverrà, l’8 marzo le donne proclameranno uno sciopero degli acquisti dei capi di Dolce & Gabbana».
Anche dalla Provincia di Milano arrivano critiche. Secondo Arianna Censi (Ds), consigliera alle Politiche di genere della Provincia, «è inammissibile che venga proposta a fini commerciali un’immagine che incita alla violenza contro le donne, riproponendo un’idea di sottomissione e prevaricazione che ancora una volta rischia di generare una cultura maschilista sbagliata e fondata sulla violenza». «È un messaggio maschilista e violento» aggiunte l’esponente della Quercia.
Ma anche Amnesty international, da anni impegnata nelle campagne di lotta alle violenze contro le donne in tutto il mondo, chiede che la pubblicità venga ritirata perché «rischia di rappresentare un’apologia dell’uso della violenza nei confronti delle donne ed è un contributo veramente inaccettabile dei due stilisti italiani alla vigilia della Giornata internazionale della donna». «Dal 2004 - spiega il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury - Amnesty International cerca di denunciare e fermare un fenomeno che colpisce, in molti paesi, due donne su tre e da cui l’Italia non è affatto immune, come denunciato dall’ultimo rapporto Istat. Il diritto delle donne a vivere libere dall’incubo della violenza ha bisogno di tutto, meno che di immagini come quelle di Dolce e Gabbana».
E poi 13 senatori, sia del centrodestra che del centrosinistra, chiedono che la pubblicità venga ritirata e che l’azienda sia richiamata al rispetto delle regole. Prima firmataria dell’appello Vittoria Franco, presidente della commissione Cultura e responsabile nazionale delle Donne Ds, che ha inviato la richiesta al Giurì per l’autodisciplina pubblicitaria, Umberto Loi.
Ma non solo politici e grandi associazioni internazionali si sono mobilitati contro questa pubblicità. Sono molti anche i semplici cittadini e cittadine che si sono attivati per chiederne il ritiro. L’Associazione di donne Orlando ha, ad esempio, avviato una vera e propria mobilitazione on line con raccolta di firme sul sito www.women.it che ha già raccolto l’adesione di centinaia di navigatori.
Come diceva Coco Chanel «La moda riflette sempre i tempi in cui vive. Anche se, quando i tempi sono banali, preferiamo dimenticarlo».
* l’Unità, Pubblicato il: 02.03.07, Modificato il: 03.03.07 alle ore 15.30
Vendola, presidente della Puglia, credente e gay: più pericolosa per la famiglia l’onda liberista!
"INGIUSTA L’OMOFOBIA DELLE GERARCHIE"
di Giovanna Casadio (la Repubblica, 11/12/2006)
Roma - «Quando la Chiesa torna ossessivamente contro i diritti delle persone omosessuali, esprimendo un certo grado di omofobia, deve sapere non tanto che rischia le contestazioni che sono il sale e il pepe della democrazia, ma che rischia di ferire le persone e l’intenzione universalistica del proprio messaggio, Non drammatizzerei il volantinaggio del Manifesto contro il Papa: nell’epoca della spettacolarizzazione della politica, ciascuno sceglie i propri segnali di fumo». Nichi Vendola è appena tornato dal convegno delle Acli. Primo politico a ricevere Benedetto XVI appena diventato Papa («E mi ricordo ancora l’emozione»), il presidente della Regione Puglia è di Rifondazione comunista, cattolico e omosessuale. Dice di non volere polemizzare ma riflettere sulla famiglia e la laicità.
Vendola lei, omosessuale, sente l’urgenza e la necessità dei Pacs?
«Sento soprattutto la necessità di una riparazione simbolica e giuridica di un torto grave».
Anche se in Italia non ci saranno matrimoni gay e neppure si parla di Pacs ma di riconoscimento dei diritti individuali delle coppie di fatto, le va bene?
«La strada italiana, se riusciremo a partorire una legge che assume il richiamo della Consulta alla non discriminazione e promuove nuovi diritti di cittadinanza, va bene perché tiene conto delle diverse sensibilità sociali. Ma questa è una soglia minima di decenza».
La Chiesa ha alzato steccati. L’Osservatore Romano accusa la politica (della sinistra) di volere «sradicare la famiglia». Un’invasione di campo indebita?
«Il primo problema è l’impoverimento della politica. C’è un deficit progettuale per cui la Chiesa cattolica svolge quasi un ruolo di surroga essendo depositaria di un pensiero forte e di una grande narrazione sulla vita, sui valori, sulla società. La Chiesa occupa quasi naturalmente un vuoto e questo produce molti effetti negativi; la politica ha delegato alla Chiesa una sorta di monopolio sulle questioni legate alla dimensione etica dei problemi».
I teodem si sentono sotto assedio.
«La polemica di oggi mi sembra la polemica di ieri, come se davvero ci fossero guelfi e ghibellini. Mi fermerei a riflettere su un fatto quasi paradossale: la fine dell’unità politica dei cattolici nella Dc ha messo in discussione un confine più certo tra autonomia dello Stato e autonomia della Chiesa. È come se i cattolici in politica nell’epoca della diaspora si sentano meno vincolati dai principi della laicità dello Stato e della politica, come se la laicità fosse percepita come relativismo e laicismo, mentre uno dei fondamenti della laicità è nei Vangeli: "A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio". Poi c’è il cuore della questione».
E qual è?
«Le gerarchie ecclesiastiche sollevano il tema della famiglia, del suo confine, dei suoi valori. Ma cosa ha minato alle fondamenta la rete connettiva della istituzione-famiglia? È stato l’emergere di nuovi stili di vita, soggettività che fuoriuscivano dal ghetto e dalla clandestinità - gli omosessuali, le rivendicazioni femministe - oppure la lunga onda liberista che ha infierito sul welfare? Il nemico della famiglia è la libertà o la paura? Io penso la paura».
E intanto il braccio di ferro laici-cattolici continua?
«Dobbiamo dimostrare che sono in gioco temi che non vanno contrapposti. L’articolo 29 della Costituzione che scolpisce il valore fondativo della nostra società nella famiglia non esclude gli articoli 2 e 3 della Carta che prevedono l’universalismo dei diritti di cittadinanza e la tutela di quelle formazioni sociali che possono essere una cosa differente dalla famiglia».