E’ la più lunga guerra che conosco. Il dominio maschile non tollera la disobbedienza
Troppo odio verso le donne - Basta silenzio su Paola e le altre
di Titti De Simone (Liberazione, 03 settembre 2006)
[a seguire il testo dell’Interrogazione parlamentare di
On. Titti De Simone, On. Franco Grillini, On. Wladimir Luxuria]
Spero che Paola senta in queste ore tutta la solidarietà e l’affetto delle persone che le stanno vicino e che insieme a lei vogliono costruire una risposta politica e culturale alla violenza contro i nostri corpi, la nostra autonomia, la nostra libertà, perché hanno voluto colpire questo di Paola. Ciò che detestano è proprio la nostra forza, il nostro desiderio di sottrarci al loro dominio.
E’ la più lunga guerra che conosco. Ha prodotto solo in Italia più di centomila vittime in tre anni. Uomini che uccidono le donne, o le feriscono, fisicamente e psicologicamente. Cosa odiano delle donne? La nostra disobbedienza innanzitutto, alla tradizione, all’ordine maschile, alla norma che imprigiona e fonda il dominio degli uomini nel mondo. Ma la libertà sessuale e l’autonomia riproduttiva, sono un vero film dell’orrore per il dominio maschile, che si manifesta in varie morbose forme.
Ma perché, chiedo, tutto questo silenzio? Perché questi numeri non si leggono da nessuna parte, non si raccontano? Perché dell’entità di questa violenza non si parla? Forse, perché l’80 per cento di questi stupri avviene all’interno delle mura domestiche, in famiglia, da parte di padri, figli, fratelli. Ed è quasi un tabù in un paese come il nostro, far emergere anche questa realtà, quella della famiglia che spesso diviene un luogo di violenza. E di odio, di odio verso le donne.
Tante lesbiche sono state picchiate, violentate, a volte persino segregate dai maschi della famiglia. Quello che hanno fatto a Paola è un atto di odio doppio. E’ stata una vera spedizione punitiva, a due passi dalla discoteca e dai locali di riferimento per la comunità glbtq. Gli stessi che da mesi sono finiti nel mirino di Forza Nuova, che ha messo in piedi una vera e propria campagna di intimidazione.
C’è un legame fra questo clima e i vari episodi di violenza che si sono succeduti in queste settimane a Torre del Lago: l’aggressione un mese fa al cuoco di un ristorante gay, un tentato stupro e la violenza a Paola dell’altra notte. Rompere il silenzio ieri è stata la prima risposta. Denunciare, portare fuori, per dire che non sarà la paura né la loro violenza a fermare la nostra visibilità, né la nostra libertà.
Ma poi, quando i riflettori si spegneranno che succederà? Non possiamo non dare alcune risposte politiche, e neanche rinchiuderci nella solita retorica della sicurezza. Politiche sociali e culturali vanno portate avanti, oltre a reprimere, occorre prevenire, educare, mettere in moto gli antidoti culturali che servono. E anche in questo caso se le leggi sono utili che si facciano. Ad esempio, si estenda la legge Mancino ai reati di odio omofobico.
Anche in questo caso guardiamo alla Spagna, che ha da pochi mesi approvato una legge contro la violenza domestica sulle donne, prevedendo, fra l’altro, campagne in tutto il paese e nelle scuole e aiuti concreti ai centri antiviolenza delle donne. Gli stessi centri che, in Italia, vivono sul solo volontariato e sono spesso senza fondi. Mi auguro che la signora Ministra Pollastrini ascolti queste esperienze e che la prossima Finanziaria le sostenga.
Se è vero che ai maschi spetta di fare una rivoluzione copernicana e di destrutturare la propria idea di dominio sulle donne (temo che ci voglia troppo tempo), tocca alle donne qui e ora prendere in mano la situazione. Mi fido di più.
Titti De Simone
Interrogazione parlamentare
Al Ministro degli Interni
Premesso che:
dal 1998 il comune di Viareggio (LU) e la sua frazione Torre del Lago Puccini sono stati presi dalla comunità gay e lesbica italiana ed internazionale come punto di riferimento per le proprie vacanze estive, grazie anche al progetto denominato "Friendly Versilia" e realizzato dagli imprenditori gay e gay-friendly del luogo volto a dare visibilità e dignità, per l’appunto, alla presenza turistica omosessuale;
In questi anni lungo la Marina di Torre del Lago Puccini sono nati alcuni servizi prevalentemente indirizzati ad un pubblico omosessuale, tra cui discoteche, bar, ristoranti e spiagge attrezzate, e ciò ha ulteriormente attirato pubblico gay e lesbico, specie durante i fine settimana estivi e soprattutto durante il mese di agosto, creando una sorta di "villaggio gay" caratterizzato da una forte e positiva integrazione con le comunità locali che, specie negli ultimi anni, hanno dimostrato un buon senso dell’accoglienza;
Nel giugno scorso , un cuoco di uno dei locali gay della Marina di Torre del Lago è stato picchiato da un ragazzo pisano, in seguito identificato dalle Autorità di Pubblica Sicurezza, con modalità tali da dare alla vicenda una netta caratterizzazione anti-gay e qualificarlo come un cosiddetto "hate-crime", crimine d’odio derivante, in tal caso, da omofobia: la gang di picchiatori, infatti, uno dei quali aveva come suoneria "Faccetta Nera", aveva atteso la chiusura del locale per prima deridere e offendere avventori e personale e poi picchiare il cuoco; Il 18 agosto 2006 una ragazza lesbica ha subito violenza carnale perpretrata da due sconosciuti, probabilmente del posto, dal momento che si erano appostati su un vialetto interno alla pineta, sconosciuto ai più; anche questo delitto, che è stato prontamente denunciato alle Autorità di Pubblica Sicurezza, per le caratteristiche di come è avvenuto si presenta come un "hate-crime";
C’è stato segnalato che due settimane prima era avvenuto un episodio analogo, attuato con le stesse identiche modalità, anche se non portato a termine perchè la ragazza in questo caso era riuscita a sfuggire ai violentatori;
Durante tutta la stagione estiva sono stati numerosi e molti dei quali non denunciati, i casi di furto e rapina nei confronti di singoli o coppie che si appartavano di notte, specie sulla spiaggia;
Durante tutta la stagione estiva, la sezione locale di Forza Nuova ha dato vita ad una campagna di odio omofobico, volantinando ripetutamente a Viareggio e Torre del Lago, invitando i cittadini a sbarazzarsi della presenza turistica gay e lesbica, convocando addirittura per agosto una contromanifestazione rispetto al cosiddetto "Gay Pride" estivo che la comunità gay e lesbica organizza intorno a ferragosto, contromanifestazione che il Questore di Lucca ha poi prontamente vietato;
considerando che
La Marina di Torre del Lago Puccini (LU) presenta ormai alcune caratteristiche tipiche dei quartieri gay delle grandi città europee e nordamericane: grande visibilità della comunità gay e lesbica, concentrazione di locali dedicati prevalentemente a questo pubblico, grande afflusso di persone, tutti elementi che possono di tanto in tanto scatenare reazioni criminose in chi già ha interiorizzata una forte omofobia , come se il rovescio della medaglia della visibilità fosse necessariamente l’emergere di una maggiore ostilità, anche se limitata a pochi soggetti;
In tali quartieri e più in generale a difesa della comunità gay e lesbica, le Polizie dei paesi europei e nordamericani hanno sviluppato iniziative e sezioni di polizia dedicate, volte sia a prevenire il fenomeno, con attività più tradizionali di prevenzione e di messa in allerta della comunità gay locale con piccole campagne di comunicazione realizzate insieme all’associazionismo omosessuale, sia a farlo emergere nella sua interezza, con inviti a denunciare i delitti commessi attraverso linee dedicate e campagne di comunicazione che sottolineano il carattere gay-friendly delle forze di polizia, sia a reprimerlo, con attività investigative nelle quali è spesso coinvolto personale di polizia che abbia un orientamento sessuale di tipo gay e lesbico;
Gli imprenditori del luogo, riuniti nel Consorzio d’imprese "Friendly Versilia", hanno da tempo un positivo e proficuo rapporto con le Forze dell’Ordine, che in particolare quest’anno si sono maggiormente attivato per reprimere episodi di microcriminalità comune sulla Marina di Torre del Lago, quali, in particolare, furti, borseggi e spaccio di sostanze stupefacenti;
si chiede:
quali sono le iniziative che il Ministro intende assumere per evitare che simili crimini dettati dall’odio omofobico vengano perpretrati;
se il Ministero intenda attivare uno specifico monitoraggio dei crimini d’odio e in particolare di quelli dettati dall’odio omofobico, come avviene in molti paesi esteri (vedasi tra tutti l’esempio della F.B.I. statunitense); se il Ministero intende assumere iniziative anche sperimentali come quelle sopra illustrate, anche dopo averne verificato l’efficacia nell’ambito delle relazioni che il Ministero normalmente tesse con le polizie estere; se il Ministro non intenda farsi promotore di una modifica legislativa che estende anche ai crimini omofobici le tutele previste dalla Legge 205/93 (cosiddetta Legge Mancino) ai crimini dettati da motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
On. Titti De Simone, On. Franco Grillini, On. Wladimir Luxuria
UNA CATTOLICA, UNIVERSALE, ALLEANZA "EDIPICA"!!! IL MAGGIORASCATO: L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE, L’ALLEANZA DELLA MADRE CON IL FIGLIO, REGNA ANCORA COME IN TERRA COSI’ IN CIELO ... *
Una guerra contro le donne
di Tamar Pitch (Il Mulino, 18 settembre 2017)
Chi stupra è sempre l’Altro: i neri per i bianchi, i poveri per i ricchi, gli stranieri per gli autoctoni, e viceversa. Lo stupro è ciò che distingue “il noi”, gli uomini che sposiamo, da “gli altri”, gli uomini che stuprano. Lo stupro, nonché l’accusa di stupro, segna un confine. Un confine, tuttavia, tra gli uomini: noi e loro si riferisce infatti al modo prevalente, sia nell’immaginario sia nelle pratiche e nelle norme, con cui lo stupro è visto e vissuto dagli uomini. E da alcune donne, certo, visto che partecipiamo di questa cultura. Da cui si evince che misoginia e sessismo sono sempre intrecciate a razzismo e xenofobia.
L’ormai enorme letteratura femminista ha messo in luce, tra le altre cose, l’identificazione delle donne, dei loro corpi, della loro capacità riproduttiva con la “comunità”, il “territorio”, la tradizione, l’identità (etnica, nazionale) e dunque il futuro. Di qui l’esigenza di dominare e controllare le “nostre” donne, nonché lo sconcerto e il disagio maschili di fronte alla libertà rivendicata e agita dalle donne.
Stupri e femminicidi vengono così raccontati diversamente a seconda di chi sono gli autori e le loro vittime. Orrore e scandalo quando una di “noi” (ossia una che è ritenuta appartenere al gruppo dei maschi autoctoni, o comunque di quelli cui la “comunità” si riferisce) è violentata o uccisa da uno di “loro”. Perplessità e incredulità quando è uno di “noi” a stuprare e uccidere. In ambedue i casi, il vissuto e la soggettività delle donne sono ignorate. O ci si erge a protettori e vendicatori di chi ha osato mettere le mani su una “cosa” nostra (e dunque in qualche modo le vere “vittime” non sono le donne, ma questi “noi”) oppure “quella se l’è cercata”, ci ha “sfidato”, e in fondo dunque si merita quello che le è capitato. È singolare come questo tipo di narrazione sia ancora così presente, nei nostri media, tradizionali e nuovi, quando invece la vita, l’esperienza e la soggettività femminili sono tanto mutate. Ciò che infatti manca a questa narrazione sono precisamente le voci delle donne, che, interrogate, racconterebbero, tutte, l’onnipresenza della violenza maschile: per strada, al lavoro, ma ancor di più dentro le sicure mura di casa. Se c’è un confine che lo stupro traccia, è quello tra gli uomini e le donne (o chi è “ridotto” nella posizione femminile). Non tutti gli uomini sono stupratori, ma tutti gli stupratori sono uomini, diceva già trent’anni fa Ida Dominjanni.
Stupri e femminicidi avvengono ovunque nel mondo, e nella maggior parte dei casi ad opera di uomini che le donne conoscono bene, mariti fidanzati padri fratelli amici e così via. Poi ci sono gli stupri invisibili, quelli di cui poco o niente si sa e si dice, quelli che non vengono riconosciuti come tali, a danno delle sex workers o, ancor peggio, delle ragazzine prostituite sulle nostre strade, da parte dei suddetti mariti e padri (di altre). Nonché degli uomini delle forze dell’ordine (su cui c’è un’ampia letteratura) che si avvalgono del loro potere di ricatto e dell’omertà diffusa. Perché le sex workers non sono per definizione proprietà di alcun uomo ( a parte il loro eventuale protettore, ma di questo parlo più avanti) e sono quindi di tutti: loro sì, se vengono violentate o uccise, “se la sono cercata”. E gli integerrimi italiani che vanno con le ragazzine, sempre più spesso minorenni, vittime di tratta, non sono forse, per le nostre stesse leggi, violentatori seriali?
Una vittima, per essere riconosciuta tale, deve avere caratteristiche e comportamenti che rispondono allo stereotipo della donna o ragazza “perbene”, ma deve anche essere violentata, meglio in strada e di giorno, da uno (se di più, meglio) sconosciuto, meglio se povero e scuro di pelle. E meglio ancora se questa vittima urla o viene visibilmente ferita. Sembra incredibile quanto questo sia vero, per i media, a quasi quarant’anni dal documentario Processo per stupro e dopo le mille battaglie femministe e la nuova ondata rappresentata dal movimento Nonunadimeno, che riprende l’analogo movimento nato in Argentina e poi diffusosi in tutta l’America Latina.
Insomma, le donne si muovono ormai a livello globale contro violenze e sopraffazioni di uomini singoli o in gruppo e contro le istituzioni che fanno poco per contrastare queste violenze o addirittura le legittimano. I contesti sociali, culturali, politici sono diversi e questa diversità va presa in considerazione per capire le differenze quantitative e qualitative della violenza maschile contro le donne, ma sempre di patriarcato si dovrebbe parlare: ossia di un sistema complesso di potere e dominio maschili onnipervasivi, per battere il quale non bastano certo parità e pari opportunità (negli anni Settanta dicevamo che no, non era metà della torta che volevamo, ma una torta del tutto diversa). Questo sistema è in crisi per via del fatto che sempre più donne gli negano consenso e complicità, cosa che in certi casi può esacerbare violenza e ferocia.
Si ha l’impressione che sia in corso una guerra contro le donne, e tra uomini, per il controllo delle donne e dei loro corpi. È una guerra combattuta con le armi e con gli stupri e, oggi, anche con e su i social media. Difficile, se non impossibile, sconfiggere il patriarcato (soltanto) con il diritto penale. Del quale ci si può e ci si deve servire, naturalmente, ma sempre sapendo che la giustizia penale, a sua volta, è connotata da sessismo, razzismo e classismo. I decreti sicurezza (da ultimo quello firmato Minniti) parlano appunto questa lingua: non sono solo razzisti e classisti, sono anche sessisti, laddove è del tutto ovvio che il soggetto standard di questi decreti è maschio, adulto, non troppo povero. Berlusconi proponeva di mettere un poliziotto a fianco di ogni bella donna (le brutte si arrangiassero). Magari meglio una poliziotta...
Le politiche e le retoriche della sicurezza tendono a una specie di sterilizzazione del territorio urbano, mirano a rendere invisibili povertà e disagio, a recintare più o meno simbolicamente lo spazio dei perbene a difesa dai permale. Ma, benché esse si avvalgano spesso dell’evocazione del femminile (bisogna proteggere donne, vecchi, bambini: i cosiddetti soggetti vulnerabili), sono del tutto cieche e inutili, se non controproducenti, rispetto al contrasto delle violenze contro le donne. Le quali, come dicevo, non avvengono solo e nemmeno soprattutto negli angoli bui delle vie cittadine. Ho detto e scritto più volte che, se seguissimo fino in fondo la logica delle politiche di sicurezza, allora, per proteggere le donne, dovremmo cacciare tutti gli uomini da ogni casa, città, Paese, continente, universo mondo.
Una città, un Paese, un continente sono “sicuri” per tutti se le donne, tutte le donne, possono attraversarli liberamente, di giorno, di notte, vestite come vogliono, ubriache o sobrie. La libertà, per le donne, è un esercizio ancora difficile e contrastato, praticamente ovunque. Ci muoviamo, più o meno consapevolmente, con prudenza, ci neghiamo, più o meno consapevolmente, molte delle libertà di cui gli uomini godono senza rendersene conto. Gesti, atteggiamenti, parole, comportamenti maschili ci ricordano tutti i giorni che dobbiamo stare attente (non serve proprio che ce lo ribadiscano sindaci, ministri, poliziotti), l’aggressione e la violenza sono sempre in agguato. Però, è esattamente il contrario che serve: ai tempi si diceva “riprendiamoci la notte”, e anche adesso andiamo per le strade per dire che vogliamo andare e fare ciò che più ci piace, senza protettori.
Già, il termine protettore. In italiano ha un’ambivalenza significativa: il protettore delle donne che si prostituiscono è precisamente la figura simbolo della protezione maschile, una protezione che implica soggezione e acquiescenza, pena non solo l’abbandono ma la punizione. Sottrarsi alla protezione, sia reale sia introiettata, è invece un passo necessario per affermare la propria libertà. Ed è ciò che le donne, singolarmente e collettivamente, stanno facendo.
*
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
L’EREDE: IL PESO DEI PADRI (ATEI E DEVOTI). UN’EREDITA’ ANCORA PENSATA ALL’OMBRA DELL’"UOMO SUPREMO" E DEL "MAGGIORASCATO".
LO SPIRITO CRITICO E L’AMORE CONOSCITIVO. LA LEZIONE DEL ’68 (E DELL ’89).
PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!
FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO.
Federico La Sala
“Non chiedete a noi la soluzione”
di Nadia Somma (il Fatto, 18.01.2013)
Le donne sono l’anello debole di una società in cui è parzialmente ancora inculcata l’assurda mentalità della femmina come oggetto del possesso. Lo dico con tutto il rammarico, ma sarebbe bene che di sera non uscissero da sole”, così Francesco Dettori, procuratore capo del Tribunale di Bergamo, ha commentato i tre stupri avvenuti in pochi giorni tra Milano e Bergamo.
Eppure anche le sue parole rivelano quel senso di possesso della donna come oggetto, qualcosa che deve essere tutelato e difeso. La tutela della donna, una soluzione antica per una violenza altrettanto antica. Antica quanto inutile. Dopo i tanti vademecum antistupro, i consigli su come vestirsi, atteggiarsi e camminare, i collari antiaggressione, ecco il consiglio di non uscire di casa o di farlo ma accompagnate (da un fidanzato, fratello, marito, padre?).
Chi ci protegge dai protettori?
Ma lo stupro, come la violenza sulle donne, non è un problema di comportamenti femminili e tantomeno di sicurezza. La brutale aggressione avvenuta a l’Aquila che ridusse in fin di vita una studentessa avvenne ad opera di un militare che era in missione proprio per la sicurezza della città. “Chi ci protegge dai protettori? ” domandava un antico slogan femminista. È sempre fuorviante e sbagliato ricercare le cause in comportamenti delle vittime: gli inutili consigli sull’abbigliamento e gli inviti a non essere “provocanti sessualmente” sono solo giustificati dai pregiudizi sullo stupro che colpevolizzano la donna o la responsabilizzano. La violenza sessuale non scaturisce dall’eros perché è legata alla volontà di denigrare, umiliare la vittima e annichilirla. È una metafora della morte ed è piuttosto affine a thanatos.
Cambiare subito l’obbiettivo degli appelli
Testimonianze di stupratori confermano che la scelta della vittima è fatta a prescindere dall’età, dall’aspetto fisico, o dal comportamento. Quanto a non uscire di casa che cosa si dovrebbe consigliare alle donne che con gli autori delle violenze convivono?
Sappiamo che le violenze sulle donne da parte di estranei sono solo la più piccola percentuale delle violenze che colpiscono le donne perché nel 75% dei casi, secondo i dati dei centri antiviolenza, sono attuate dal partner.
I messaggi o i consigli rivolti alle donne per evitare lo stupro servono solo ad alimentare e mantenere in vita un retaggio culturale che vorremmo lasciarci alle spalle e che continuano a esporre le donne alla stigmatizzazione sociale quando sono aggredite e non agevolano lo svelamento della violenza per permettere loro di elaborarla e chiedere aiuto. Il piano del problema resta di cultura e di civiltà.
Ci piacerebbe una volta tanto che i messaggi sullo stupro fossero rivolti agli aggressori, e che non si possa più chiedere alle donne di scegliere tra autodeterminazione e incolumità fisica o sessuale, tra la loro libertà e la loro vita.
Donne e violenza problema politico
di Sergio Givone (Il Messaggero, 6 marzo 2012)
Come ci ricordano i più recenti fatti di cronaca, non solo il mondo dell’economia, ma anche il mondo dell’etica, il mondo dove leggi non scritte regolano i rapporti tra gli uomini, ha il suo sommerso. La violenza sulle donne serpeggia tra di noi, nelle famiglie, nella società civile, ma viene tenuta nascosta, taciuta, come cosa di cui non si vorrebbe né parlare né sentire. Eppure è sempre lì, non meno presente che in epoche in cui il diritto ben poco diceva in proposito. Nel frattempo la famiglia si è profondamente trasformata. La sua legislazione si è uniformata a costumi più civili e più consoni alla dignità di questa fondamentale istituzione. Vedi ad esempio la legge sullo stalking: che è una buona legge, a protezione di chi prima neppure si immaginava dovesse essere difeso dall’ira o dalla furia del proprio coniuge o dei propri familiari.
Ma è rimasta come una zona d’ombra, un lato oscuro, dove si susseguono gli episodi di una saga dell’orrore. L’altro ieri a Brescia, ieri a Verona. I comportamenti di tanta brava gente «normale» sembrano governati da una sorda e cupa irrazionalità, da un folle impulso distruttivo, da una sete di vendetta e di sangue. Di fronte alla separazione, c’è chi letteralmente impazzisce. E anziché trovare un compromesso e costruire un nuovo ponte verso la vita che continua (quando un legame si spezza, resta sempre qualcosa, a volte qualcosa di molto importante e prezioso), preferisce annientare la vita altrui e la propria.
Che dire? Evidentemente quel rapporto non era un rapporto tra due persone, ma una forma di possesso e di dominio dell’una sull’altra. Da una parte il padrone, dall’altra una sua proprietà inalienabile, un oggetto, una cosa, che non appena rivendica la sua autonomia, viene ridotta a nulla, poiché agli occhi del padrone non è più nulla. Lui stesso a quel punto non sa più chi è. E si ammazza o tenta di farlo. Accecato dalla gelosia, si dice. Spinto a un gesto insano dal proprio demone e cioè dal bisogno di affermazione, dalla prepotenza, dall’egotismo. Tutto ciò - si aggiunge - sarebbe in fondo una caratteristica di un popolo come il nostro, popolo passionale, votato al melodramma, e comunque poco propenso all’autocontrollo e all’esercizio delle virtù civili.
Spiegazione, questa, che in realtà non spiega niente. Perché qui non si tratta di melodramma o non melodramma. Si tratta di sapere o non saper gestire una situazione autenticamente drammatica come per l’appunto una separazione (che è sempre tale, anche quando si vorrebbe bastasse il buon senso e una stretta di mano), dal momento che niente è così difficile come essere all’altezza del dramma che la vita prima o poi ci costringe a recitare.
E chissà se anche oggi gli uomini politici si fanno domande di questo genere. In agenda le questioni economiche e finanziarie prevalgono sulle altre, ma sempre lì si va a parare. Prendiamo l’evasione fiscale. Sarà pure una tendenza incoercibile degli italiani. Ciò non toglie che il sommerso possa essere portato alla luce e sanzionato di conseguenza. Magari nella prospettiva di una educazione al bene comune.
Lo stesso vale per la violenza sulle donne. È anch’esso un mondo del sommerso, mondo dove ciò che non si vede e non si sa prevale di gran lunga su ciò che è noto. Ma perché non esplorare questo mondo sciagurato e maledetto con tutti i mezzi di cui si dispone? Perché non approntare una legislazione che faccia giustizia, per quanto è possibile, di un crimine tanto odioso?
GIORNATA ONU
Violenza contro le donne, è pandemia
In Italia 651 omicidi in cinque anni
Sei donne su dieci, in tutto il mondo, hanno subito aggressione sessuale nel corso della loro vita, quasi sempre ad opera di mariti e familiari. La violenza domestica è una realtà quotidiana per oltre seicento milioni di donne. Domani la giornata internazionale contro la violenza fissata dall’Onu
di EMANUELA STELLA *
Sebbene in 125 paesi esistano leggi che penalizzano la violenza domestica, e l’uguaglianza tra uomini e donne sia garantita in 139, sei donne su dieci, in tutto il mondo, hanno subito violenza fisica e sessuale nel corso della loro vita, quasi sempre a opera di mariti e familiari. Lo ha sottolineato Michelle Bachelet, direttore di UN Women, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che si celebra in tutto il mondo il 25 novembre.
"La violenza contro le donne ha la portata di una pandemia - sottolinea nel suo messaggio l’ex presidente cileno, che chiede ai governi di intervenire in modo deciso. - Oggi due paesi su tre hanno leggi specifiche che puniscono la violenza domestica, e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite indica nella violenza sessuale una tattica deliberata di guerra, eppure le donne continuano ancora a essere vittime di abusi. E questo non per mancanza di consapevolezza, ma perché manca la volontà politica di venire incontro ai bisogni delle donne e di tutelare i loro diritti fondamentali".
"Quando ero ragazzina in Cile c’era un detto, quien te quiere te aporrea, chi ti vuole bene ti picchia. E’ sempre stato così, sospiravano le donne; ma oggi questa violenza non può più essere considerata inevitabile e va identificata per quello che è, una violazione dei diritti umani, una minaccia alla democrazia, alla pace e alla sicurezza, un pesante fardello per le economie nazionali. E invece è uno dei crimini meno perseguiti nel mondo".
Seicentotre milioni di donne vivono in paesi nei quali la violenza domestica è considerata un fatto strettamente privato. Oltre 60 milioni di bambine vengono costrette a sposarsi, e sono tra i 100 e i 140 milioni le donne che hanno subito mutilazioni genitali; mancano all’appello, in tutto il mondo, 100 milioni di bambine che non sono venute al mondo perché vittime della pratica dell’aborto selettivo; almeno 600mila donne ogni anno sono vittime della tratta a sfondo sessuale. Tutto questo in un mondo in cui due su tre adulti analfabeti sono donne, in cui ogni 90 secondi, ogni giorno, una donna muore durante la gravidanza o per complicazioni legate al parto, nonostante esistano conoscenze e risorse per rendere il parto sicuro.
E da noi? E’ di pochi mesi fa la sentenza di un tribunale italiano che riconosce le attenuanti a un uomo che aveva stuprato una ragazza minacciandola con un’ascia, in quanto la vittima "sapeva che l’uomo aveva un debole per lei". Ed è di questi giorni la notizia dell’assalto al tribunale di Velletri messo a segno da parenti e amici di tre ventenni, tutti italiani, condannati a 8 anni e sei mesi per lo stupro di una ragazza minorenne. Tutto questo in un paese in cui i femminicidi accertati sono stati negli ultimi cinque anni 651 (92 nei primi nove mesi di quest’anno).
In occasione della mobilitazione internazionale, AIDOS, Associazione italiana donne per lo sviluppo, si unisce alla richiesta di Amnesty International, che esorta l’Unione Europea e tutti i membri del Consiglio d’Europa a firmare e ratificare la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica del Consiglio d’Europa. La Convenzione, adottata dalla Commissione dei Ministri del Consiglio d’Europa a Istanbul nel maggio 2011, è un trattato internazionale giuridicamente vincolante che contiene norme per la protezione delle vittime e il preseguimento dei colpevoli. La Convenzione, aperta agli stati membri del Consiglio d’Europa, all’Unione Europea e a qualunque paese la voglia adottare, entrerà in vigore con il deposito della decima ratifica. Fino ad ora la Convenzione ha ricevuto la firma solo di 17 paesi e dell’Unione Europea, e nessuna ratifica.
"Affinché le donne si possano sentire sicure per strada, in ufficio e nelle loro case, Stati e Unione Europea devono potenziare tutte le misure per eliminare la violenza contro le donne, inclusa la prevenzione, la protezione, il procedimento giudiziario e il risarcimento. Il primo passo è aderire alla Convenzione, mettendo in primo piano il problema della violenza contro le donne", dice Nicolas Beger, Direttore dell’ufficio istituzioni europee di Amnesty International.
"È inaccettabile- sottolinea Daniela Colombo, Presidente di AIDOS - che ogni giorno in Europa 5 donne subiscano tuttora violenza. È prioritario che gli Stati del Consiglio d’Europa e l’Unione Europea ratifichino al più presto la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e pongano in atto misure per eliminare la violenza tra le mura domestiche, che costituisce la parte più consistente di tutte le violenze ai danni delle donne".
Molte le iniziative indette per celebrare la dodicesima edizione della Giornata internazionale. Il Nobel per la pace Shirin Ebadì, a Roma per la presentazione del libro "Tre donne una sfida. Da Kabul a Khartoum, la rivoluzione rosa di Shirin Ebadì, Fatima Ahmed, Malalai Joya", della giornalista Marisa Paolucci, patrocinato da Telefono Rosa, incontrerà gli studenti delle scuole romane al Teatro Quirino (un recente sondaggio ha rivelato che il 65 per cento dei ragazzi delle scuole superiori ignora il significato del termine stalking).
* la Repubblica, 24 novembre 2011
100 donne ammazzate ogni anno da fidanzati mariti o ex
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità la violenza contro le donne rappresenta la prima causa di morte per il sesso femminile fra i 25 e i 44 anni. E a leggere i dati Istat del 2007 emerge che in Italia il 14,3% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza dal partner o dall’ ex e che ogni anno vengono uccise di media 100 donne dal marito, dal fidanzato o da un ex. Una mattanza che non conosce confini geografici, culturali o sociali.
Circa il 10% degli omicidi avvenuti in Italia dal 2002 al 2008 secondo Massimo Lattanzi, fondatore dell’Osservatorio nazionale sullo stalking ha avuto come prologo atti di stalking, l’80% delle vittime è di sesso femminile e la durata media delle molestie è di circa un anno e mezzo. Una fotografia del fenomeno l’ha fornita ieri, nel corso di un convegno, anche il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Casellati: a tutt’oggi 5 milioni di donne hanno subito violenze sessuali, ma le denunce sono soltanto il 7,3%.
*l’Unità, 12.07.2010
INIZIATIVE
IL 22 NOVEMBRE A ROMA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
di ELENA BIAGINI *
[Dal sito della Libera universita’ delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "Liberazione" del 23 ottobre 2008 col titolo "Manifestazione contro la violenza sulle donne a Roma il 22 novembre 2008"]
Il 24 novembre del 2007 la grandissima manifestazione femminista e lesbica contro la violenza maschile sulle donne ha sconvolto l’asfissia della politica italiana, anche di movimento, con forza, radicalita’ ed autonomia. 150.000 donne in corteo a Roma con parole d’ordine chiare e assolutamente fuori dal coro: la violenza sulle donne ha un sesso non una nazionalita’, sono i maschi a commetterla e, per questo, qualunque politica xenofoba e securitaria non puo’ usare a pretesto questo tema; al contrario, la violenza contro le donne e’ commessa principalmente in famiglia. Per qualche giorno lo scorso anno i media sono stati costretti a rendere pubblici i dati su femminicidi e violenze di ogni genere, i dati sconvolgenti di una guerra in atto in tutto il mondo contro le donne, una guerra che inchioda come responsabile il sesso maschile e mostra che, nella maggior parte dei casi, sono proprio i maschi all’interno della famiglia, di qualunque grado di parentela, a uccidere, brutalizzare, stuprare le donne.
Il "sommovimento" del 24 novembre scorso non si e’ spento e per tutto l’anno ha portato le femministe e le lesbiche piu’ volte in piazza, in presidi e cortei spontanei lo scorso 14 febbraio quando la polizia irruppe nelle corsie del Policlinico di Napoli a violare la degenza di una donna che aveva interrotto la propria gravidanza, in un 8 marzo organizzato in tantissime citta’ diverse con lo slogan "Tra la festa il rito e il silenzio scegliamo la lotta" e poi in presidi davanti a tribunali dove si celebravano processi per stupro e femminicidio, in cortei volti a rompere l’omerta’ degli stupratori, in iniziative antirazziste. Quel sommovimento dello scorso anno e’ divenuto una rete che ha trovato tempo, modalita’ e desiderio di approfondimento e confronto attraverso due edizioni di "Flat - Femministe e lesbiche ai tavoli", lavori tematici di centinaia di femministe e lesbiche che hanno prodotto saperi, pratiche, percorsi su violenza maschile, sessismo, autodeterminazione, fascismo, razzismo, lavoro e precarieta’, comunicazione.
Anche quest’anno le femministe e lesbiche "sommosse", in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, lanciano un appello a tutte le donne per tornare in piazza: sabato scorso, in un’affollata assemblea che si e’ tenuta presso la Casa Internazionale delle Donne, e’ stato infatti deciso di organizzare un corteo che sabato 22 novembre, come lo scorso anno, partira’ da piazza Esedra per raggiungere piazza Navona.
E come lo scorso anno la manifestazione sara’ autonoma e autorganizzata: non saranno partiti o sindacati a costruirla ma collettivi, gruppi, associazioni, assemblee di femministe e lesbiche sparsi sul territorio nazionale. Gia’ all’assemblea nazionale di sabato, oltre alle romane, hanno partecipato donne da molte citta’ fra cui Bologna, Milano, Palermo, Bari, Trieste, Firenze, Perugia, Napoli, femministe e lesbiche di tutte le generazioni.
E se anche quest’anno la manifestazione - antisessista, antirazzista e antifascista - avra’ come motore la denuncia della violenza maschile su donne e lesbiche, togliendo il velo ideologico che spesso copre la famiglia come teatro di violenza, e la rivendicazione di autodeterminazione per tutte, molti sono i temi che l’attualita’ politica ha imposto: anzitutto la violenza istituzionale attuata attraverso il ddl Carfagna che criminalizza le prostitute e con loro tutte le donne (sabato infatti era presente anche il Comitato per i diritti civili delle prostitute), ma anche attraverso lo smantellamento dello stato sociale, la precarizzazione e i decreti Brunetta e Gelmini che colpiscono scuola e universita’ e quindi migliaia e migliaia di donne non solo lavoratrici e studenti.
Poi, accanto alla violenza contro donne e lesbiche, e’ stata sottolineata la violenza transfobica che ha prodotto momenti efferati, tra cui in piu’ interventi e’ stata ricordata la caccia alle trans al Prenestino, quartiere della periferia romana.
Ma anche l’opposizione alla guerra, come massima espressione di violenza maschile subita prioritariamente dalle donne, e al militarismo, saranno portate in corteo in un momento politico in cui sembrano ormai fenomeni endemici.
Le parole chiave intorno a cui si e’ dipanato il ragionamento dell’assemblea femminista e lesbica sono "condotta", "decoro" e "controllo", i pilastri di un regime autoritario ormai imposto nel paese che trova in una violenta riaffermazione machista e patriarcale la sua piu’ forte definizione. Il decoro che, sbandierato dalle amministrazioni locali e dai decreti governativi, vuole imporsi come norma e controllo delle donne, delle lesbiche, di tutte le soggettivita’ eccentriche, deve essere smascherato come grimaldello per imporre limiti all’autodeterminazione delle donne, delle lesbiche, di tutte e di tutti. Il corteo sara’ anche quest’anno una manifestazione di donne per le donne, definizione molto discussa in assemblea per il rischio che possa essere letta come essenzialista, ma che in realta’ vuole ribadire l’autonomia di femministe e lesbiche, le protagoniste di questa lotta, mentre altre soggettivita’ che vorranno partecipare troveranno la loro collocazione nella parte finale del corteo.
Per approfondimenti e aggiornamenti: flat.noblogs.org
Tratto da
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
Supplemento settimanale del giovedi’ de
La nonviolenza è in cammino
Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Arretrati in:
http://lists.peacelink.it/
Numero 220 del 20 novembre 2008
Il Rapporto dell’Istat sulla violenza e i maltrattamenti contro la donna
Commissionato dal ministero delle Pari opportunità, è il primo di questo genere
Tre donne su 10 hanno subito violenza
Il 33 per cento sceglie di non denunciare
La ricerca è stata fatta nel 2006 su un campione di 25 mila donne tra i 16 e i 70 anni
Dallo stupro ai capelli tirati, dallo stalking alle intimidazioni. Il più violento è sempre il partner
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - In Italia il 31, 9 per cento delle donne tra i sedici e i settanta anni hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita. Per la precisione, cinque milioni di donne hanno subìto violenza sessuale, che s’intende stupro, tentato stupro ma anche rapporti sessuali "non desiderati e subìti per paura delle conseguenze" e "attività sessuali degradanti e umilianti". Il 18, 8 per cento è stato più "fortunato" e ha sopportato "solo" violenze fisiche, dalla minaccia più lieve a quella con le armi, dagli schiaffi al tentativo di strangolamento.
I numeri possono essere mostruosi perché riescono a semplificare e a ridurre in segni le situazioni più drammatiche. Riescono a far diventare statistica il dolore, l’umiliazione, la disperazione. Se si riescono ad attraversare le 43 pagine del rapporto su "La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia" andando dietro i numeri e cercando di immaginare i volti e le storie delle migliaia di donne intervistate, avremo uno spaccato dell’Italia che nessuno conosce perché è difficile immaginarlo, perché è più comodo non vederlo.
La ricerca presentata ieri a San Rossore, la ex tenuta presidenziale sul litorale pisano, dall’istituto spagnolo Santa Sofia racconta che nel mondo muore una donna ogni otto minuti e che l’Italia è al 34esimo posto (su 40) di questa speciale classifica. C’è in Europa, chi sta molto peggio di noi, il Belgio, ad esempio. La ricerca realizzata dall’Istat su input del ministero delle Pari Opportunità, la prima di questo genere, specifica sui maltrattamenti - senza spingersi all’omicidio - ci mette sotto gli occhi una situazione drammatica anche perché silenziosa e taciuta. Qualcosa contro cui, ad esempio, non risultano iniziative di tipo legislativo o altro. E’ una fotografia circoscritta da numeri. Su ogni cifra, per trovare le parole necessarie, occorre fermarsi e riflettere.
Tre tipi di violenza. L’indagine (il campione comprende 25 mila donne tra i 16 e i 70 anni intervistate su tutto il territorio nazionale dal gennaio all’ottobre 2006) misura tre diversi tipi di violenza: quella fisica, quella sessuale e quella psicologica che comprende le denigrazioni, il controllo dei comportamenti, le strategie di isolamento, le intimidazioni e tutto ciò che può "armare" l’ossessione di un partner, di un ex amante o anche solo di una persona conosciuta e creduta amica.
La violenza del partner. Il 21 per cento delle vittime ha subìto violenza sia in famiglia che fuori, il 22,6% solo dal partner, il 54,6% da altri uomini non partner. I mariti, o conviventi, o fidanzati sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica (67,1%) e di alcuni tipi di violenza sessuale come lo stupro o i rapporti sessuali non desiderati ma subìti per paura di conseguenze. Il 69, 7% degli stupri, infatti, è opera di partner, il 17,4% di un conoscente. Solo il 6,2% è opera di estranei. Violenza genera violenza e in genere è violento chi ha visto o subìto violenza. Tra i partner violenti, il 30 per cento ha vissuto e visto la violenza nella propria famiglia di origine; il 34,8% ha avuto un padre violento e il 42,4% la mamma.
Il silenzio. Quelle delle donne che subiscono violenza sono grida silenziose, mute, spaventate. La parte sommersa del fenomeno è elevatissima: restano non denunciate il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle dal partner. La ricerca dell’Istat dice che il 91,6% degli stupri non viene denunciato. E che il 33% delle donne non parla con nessuno, nasconde per sempre quello di cui è stata vittima.
Più forme di violenza. Un terzo delle vittime subisce violenza sia fisica che sessuale. Tra le violenze fisiche le più frequenti (56, 7%) sono "spinte, strattonamenti, un braccio storto o i capelli tirati". Il 52% dei casi riguarda "la minaccia di essere colpita" e il 36,1% "schiaffi, calci, pugni o morsi". Se c’è di mezzo una pistola o un coltello la percentuale, per fortuna, crolla all’8,1%; il tentativo di strangolamento o soffocamento e ustione arriva al 5,3% dei casi. Tra tutte le forme di violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche come "l’essere toccata sessualmente contro la propria volontà" (79,5%), rapporti sessuali non voluti (19%), il tentato stupro (14%), lo stupro (9,6%) e i rapporti sessuali degradanti e umilianti (6%).
La violenza in casa? Non è un reato. C’è un dato nella ricerca - che geograficamente coinvolge in minima parte il sud del paese dove tutte le percentuali rilevate sono minime - che lascia perplessi e la dice lunga sulla scarsa educazione femminile al rispetto di sé. Solo il 18,2% delle donne considera reato la violenza subìta in casa e in famiglia. Per il 44% quello che è successo è stato "qualcosa di sbagliato", per il 36% "solo qualcosa che è accaduto". Anche lo stupro e il tentato stupro è diventato reato solo nel 26,5% dei casi.
La persecuzione dello stalking. Due milioni e 77 mila donne (18 %), hanno subìto comportamenti persecutori (stalking) da parte del partner al momento della separazione o dopo che si erano lasciati. La persecuzione più diffusa (68, 5%)è quando lui vuole a tutti i costi parlare con lei che invece non ne vuole sapere. Il 61, 6% ha chiesto ripetutamente appuntamenti per incontrarla; il 57% l’ha aspettata fuori casa, davanti a scuola o fuori dal lavoro; il 55,4% le ha inviato messaggi, telefonate, e mail, lettere o regali indesiderati; il 40,8% l’ha seguita o spiata. Un inferno, non c’è che dire.
Quando la violenza è psicologica. Le vittime, in questo caso, si contano in 7 milioni e 134 mila donne. A casa e al lavoro. Il 46,7% vengono isolate, su altre scatta il controllo (40%), la violenza economica (30,7%) e la svalorizzazione (23,8%) da cui derivano la perdita di autostima e gli esaurimenti nervosi. Metodi subdoli, con confini effimeri, facili da smentire e da non rilevare. Solo il 7,8% è vittima di vere e proprie intimidazioni.
Prima dei 16 anni. In Italia un milione e 400 mila donne hanno subìto violenza sessuale prima dei 16 anni e da parte di persone per lo più conosciute. Si tratta per lo più di conoscenti e parenti (25%), un amico di famiglia (9,7%) o un amico della ragazza (5,3%). La violenza avviene in casa e il 53% delle vittime decide di vivere col proprio segreto.
* la Repubblica, 21 luglio 2007
A Montalto di Castro, nel Viterbese, messi a disposizione 5mila euro a testa
I giovani sono accusati di violenza di gruppo contro una sedicenne
Il sindaco presta i soldi per la difesa
a otto stupratori minorenni: è polemica
MONTALTO DI CASTRO (Viterbo) - Il Comune presta dei soldi ad alcuni minorenni, accusati di stupro di gruppo nei confronti di una coetanea, per sostenere le spese legali. E a Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, scoppia la polemica.
La scelta del primo cittadino Salvatore Caria (Ds) solleva infatti un vespaio: al centro della controversia, ci sono cinquemila euro a testa che il Comune ha messo a disposizione di alcuni dei minorenni accusati di violenza di gruppo. Lo scorso maggio, infatti, otto ragazzi tra i 15 e i 17 anni erano stati arrestati con l’accusa di aver abusato a turno di una sedicenne di Tarquinia. La violenza del branco si sarebbe consumata tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile, e gli aguzzini avrebbero poi minacciato la giovane, intimandole di non rivelare quanto accaduto.
Ma proprio grazie alla denuncia della ragazza, gli otto erano stati fermati e messi agli arresti domiciliari. Adesso, il sindaco ha proposto di farsi carico della loro difesa con soldi pubblici. Si tratta di un prestito ("Gli interessati - spiega - hanno sottoscritto una garanzia attraverso al cessione degli stipendi) a sostegno dei minori che non sono in grado di provvedere da soli alle spese legali e non possono contare sull’aiuto delle famiglie.
"Lo abbiamo fatto - dice Caria - perché sono tutti minorenni e perché abbiamo applicato il principio di presunzione d’innocenza previsto dall’ordinamento. Inoltre, continua il primo cittadino, si tratta di un caso limite, reso tale dall’età dei presunti stupratori. "Anche se dovessero risultare colpevoli - conclude - le istituzioni avrebbero il dovere favorire il loro recupero e il loro reinserimento sociale".
Ma la scelta del sindaco solleva polemiche e questioni morali. Dalla segreteria provinciale della Cgil di Viterbo Miranda Perinelli parla di vergogna e scandalo. "Quei soldi pubblici - spiega - sono stati usati contro una sedicenne che ha avuto il coraggio di denunciare la violenza sessuale subita. E’ incredibile ma è così".
* la Repubblica, 18 luglio 2007
GIURISTI DEMOCRATICI
Al Sig. Sindaco di Montalto
Piazza Giacomo Matteotti n. 11
MONTALTO DI CASTRO
Ill.mo Sig. Sindaco,
L’Associazione Nazionale Giuristi Democratici esprime il proprio disappunto in merito alla Sua scelta di finanziare la difesa di ragazzi imputati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una giovane donna.
Non appare una scelta lecitamente giustificabile come “applicazione del principio di presunzione d’innocenza”, che dovrebbe portare allora il Comune ad intervenire in ogni processo che veda coinvolti suoi cittadini, (e che ne sarebbe, allora dei Suoi cittadini, persone offese dal reato?); né possono essere accampate ragioni di difesa dei non abbienti, qualora sussistenti, per le quali esiste l’istituto del patrocinio a spese dello Stato.
Riteniamo, inoltre, tale scelta, compiuta da chi è capo del Governo del Comune e lo rappresenta, profondamente lesiva non solo della dignità della vittima, ma di tutte le donne che, avendo subito violenza, trovano il coraggio di denunciarla: sono inaccettabili le Sue parole , laddove alla domanda se abbia compiuto qualche gesto di solidarietà anche verso la ragazza vittima di violenza, ha risposto, secondo quanto riferito dagli organi di comunicazione «Non la conosco, non l’ho mai vista in faccia. Non mi ha mai chiesto niente». Ma detta scelta offende, altresì, la sensibilità di ogni democratico che non può comprendere lo schierarsi di un’istituzione pubblica, in una situazione così delicata e drammatica.
Questa giovane, alla quale va la nostra più profonda e sentita solidarietà, è stata, a causa delle Sue parole, rivittimizzata per la terza volta: la prima, umiliata nel corpo e nella psiche da uno stupro multiplo e brutale e dalle minacce per indurla al silenzio; la seconda quando, avendo trovato il coraggio e la determinazione per la denuncia, il gruppo l’ha attaccata nuovamente, offendendo la sua dignità di donna, “Era un gioco, lei ci stava, era ubriaca fradicia, non è una santarellina. Aveva la minigonna nera e ci ha provocati”, confermando così che la violenza potrebbe essere, a giudizio di costoro, giustificata dall’espressione libera nel vestire di una ragazza come tante, che si fa bella per una festa, riaffermando con quelle parole i più biechi stereotipi maschilisti, giustificativi e discriminatori.
Ella, in quanto rappresentante della collettività, per primo avrebbe dovuto condannare quelle parole, che non esprimevano certamente dissenso e lontananza dal fatto commesso, esprimere solidarietà alla ragazza oggetto delle aggressioni, adoperarsi perché nel Suo paese non fossero socialmente accettate giustificazioni di carattere morale ad un atto di aggressione sessuale fatto su di un corpo considerato merce in esposizione, ed anzi in offerta, un abuso consumato su carne oggetto di piacere, conculcando le scelte e la personalità in costruzione di una giovane donna.
Se Ella in questo si fosse adoperato, se nel suo Comune, a seguito di tale episodio, avesse attivato campagne per combattere la discriminazione di genere nelle scuole, programmi di ascolto e di supporto psicologico e socioassistenziale per coadiuvare le donne che intendono uscire da situazioni di violenza domestica o denunciare episodi di stupro che hanno avuto conseguenze traumatiche sulla loro psiche o vita sessuale, forse avrebbe anche avuto un senso pensare alla futura riabilitazione relazionale e al reinserimento sociale degli imputati di stupro, una volta che la giustizia avesse fatto il suo corso; ma così, signor Sindaco, il Suo gesto appare parziale, ovvero di una parte, quella maschile, ennesima negazione del fatto che la violenza sulle donne sia un problema politico e non personale, di costume e non relazionale, di sesso e non di genere.
Per questo La invitiamo, qualora, come si auspica, la Sua Giunta revochi la decisione di stanziare denaro pubblico in favore dei ragazzi imputati di stupro, a destinare quel denaro alla promozione di politiche di sensibilizzazione sulle discriminazioni di genere nelle scuole ed a istituire programmi di supporto per le vittime di violenza, come risarcimento sociale per le donne che silenziosamente subiscono violenze e discriminazioni, dentro e fuori dalla famiglia, anche nella Sua comunità.
Avv. Roberto Lamacchia
Presidente
Associazione Giuristi Democratici
Verrà revocata la delibera per "motivi di opportunità"
Gli otto ragazzi sono indagati per stupro di gruppo
Montalto, il Comune fa dietrofront:
niente soldi ai minorenni accusati
MONTALTO DI CASTRO (Viterbo) - Il Comune di Montalto fa dietrofront. Non verranno prestati ai minorenni accusati di stupro i soldi per sostenere le spese della difesa. La delibera che aveva messo a disposizione di alcuni degli otto ragazzi indagati per aver violentato in gruppo una coetanea, verrà infatti revocata.
La decisione del sindaco di Montalto di Castro, Salvatore Carai, aveva sollevato molte polemiche. Per questo, nel pomeriggio verrà ufficializzata la marcia indietro della giunta "per motivi di opportunità". Carai aveva deciso di prestare 5mila euro a testa ad alcuni dei minori, che hanno tra i 15 e i 17 anni, per affrontare il processo. Il gesto era stato letto da molti, tra cui la madre della ragazza, come un’ulteriore violenza nei confronti della quindicenne di Tarquinia che era stata vittima del branco tra la fine di marzo e l’inizio di aprile. Per la giovane, che aveva trovato la forza di denunciare lo stupro nonostante le minacce, la decisione del Comune era "una presa di posizione contro di me".
Sulla vicenda, il gruppo dell’Ulivo al Senato e il senatore di Forza Italia Giulio Marini avevano rivolto al ministro dell’Interno Giuliano Amato due interrogazioni parlamentari. Era intervenuta anche il ministro per le Pari opportunità, Barbara Pollastrini, che si era detta "esterrefatta" della scelta del Comune. In molti avevano chiesto che la delibera fosse revocata: tra questi, il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Altri, tra cui il Telefono Rosa, avevano domandato che il primo cittadino di Montalto si dimettesse.
Polemiche da destra e sinistra, dunque, così come pieno sostegno e solidarietà alla vittima della violenza. Alessandra Mussolini, segretario di Azione Sociale, le ha offerto di occuparsi delle spese legali: "Ho deciso - ha detto infatti - di offrire alla giovane l’assistenza legale del mio avvocato, Franco Cardiello, garantendo la gratuità delle sue prestazioni. Donerò, inoltre, alla giovane una somma tratta dal finanziamento pubblico che il mio partito riceve per garantire, seppur indirettamente, il supporto dello Stato a una vittima di violenza".
* la Repubblica, 20 luglio 2007
I risultati di una ricerca sulla violenza sulle donne diffusi al Meeting di San Rossore
In Italia un omicidio in famiglia ogni 2 giorni: in 7 casi su 10 vittima una donna
"Nel mondo viene uccisa
una donna ogni 8 minuti" *
SAN ROSSORE (PISA) - Nel mondo, ogni 8 minuti, viene uccisa una donna. Il dato è emerso da un’indagine relativa all’anno al 2003 presentata da Josè Sanmartin, direttore del centro spagnolo per lo studio della violenza Santa Sofia, oggi a San Rossore il cui tradizionale meeting quest’anno è dedicato a "I bambini, le donne".
"Nel 2000 - ha dichiarato Sanmartin - gli omicidi di donne erano uno ogni dieci minuti". dallo studio è nata una vera e propria classifica. Su 40 paesi esaminati quello che vanta il poco invidiabile primato è il Guatemala, con un’incidenza di 122,80 donne assassinate per ogni milione di donne abitanti. Al secondo posto della classifica la Colombia, con 70,20 omicidi per ogni milione. Al terzo El Salvador con 66,38.
Il primato in Europa tocca al Belgio all’ottavo posto nella graduatoria mondiale con un’incidenza di 29,30 donne uccise ogni milione. L’Italia è al 34esimo posto su 40, con 6,57 assassini per milione. I paesi dove più si contano assassini di donne sono latino americani (i primi dieci posti), con una media di 41,02 vittime ogni milione, contro 12,29 dell’Europa.
In Europa i delitti nei confronti delle donne all’interno della famiglia riguardano 5,84 donne su un milione; in Italia - riferisce la ricerca spagnola - si scende a 4,24. Il numero più alto si registra in Ungheria (16,15), seguita da Lussemburgo (13,16). Le donne uccise dal partner sono in Europa 5,78 per milione; il numero più elevato si riscontra nei paesi del Nord, soprattutto a causa dell’abuso di alcol durante i fine settimana.
La Regione Toscana, a sua volta, ha diffuso alcuni dati che si basano su parametri diversi ma che raccontano comunque di un fenomeno, quella della violenza in famiglia e nello specifico sulle donne, "drammaticamente in crescita". Nel 2005 si è registrato in Italia un omicidio in famiglia ogni 2 giorni: in 7 casi su 10 la vittima è una donna.
A livello mondiale, la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni. Uccide più il marito o il fidanzato o l’amante, a volte anche i figli, più del cancro, degli incidenti stradali e delle guerre.
* la Repubblica, 20 luglio 2007
L’accusa del Financial Times: "Dimenticato il femminismo"
Per il giornale sono trattate peggio solo a Cipro, Egitto e Corea
"L’Italia un paese di veline
le donne sono solo oggetti"
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI *
LONDRA - Fin dal titolo, è un’accusa senza mezzi termini: "La terra che ha dimenticato il femminismo", sovraimpresso sul noto cartellone pubblicitario di Telecom Italia in cui Elisabetta Canalis, seduta a gambe incrociate con un telefonino in mano, piega il busto in avanti, in una posizione non proprio comodissima, rivelando una generosa scollatura. E’ la copertina dell’inserto patinato del Financial Times di ieri, che in un articolo di quattro pagine denuncia severamente il trattamento riservato alle donne nel nostro paese: l’uso di vallette seminude in ogni genere di programma televisivo, gli spot pubblicitari dominati da allusioni sessuali, il prevalere della donna come oggetto, destinata a stuzzicare "i genitali dell’uomo, anziché il cervello". Non solo: secondo l’autore del servizio, Adrian Michaels, corrispondente da Milano dell’autorevole quotidiano finanziario, potrebbe esserci un legame fra l’onnipresenza di maggiorate in abiti discinti sui nostri mezzi di comunicazione e la scarsità di donne ai vertici della politica, del business, delle professioni in Italia.
Arrivato a Milano tre anni fa da New York insieme alla moglie, Michaels ammette di essere rimasto stupefatto dal modo in cui televisione e pubblicità dipingono le donne; e ancora più sorpreso dal fatto che apparentemente nessuno protesta o ci trova qualcosa di male. Come esempi del fenomeno, oltre al cartellone della Canalis per la Telecom, cita le vallette del gioco a quiz di Rai Uno L’eredità, la pubblicità dei videofonini della 3, le vallette di Striscia la notizia, l’abbigliamento della presentatrice sportiva Ilaria D’Amico di Sky Italia.
L’articolo considera quindi una serie di dati da cui risulta che le donne italiane sono fra le più sottorappresentate d’Europa nelle stanze dei bottoni: il numero delle parlamentari, 11 per cento, è lo stesso di trent’anni fa; nelle maggiori aziende italiane le donne rappresentano solo il 2 per cento dei consigli d’amministrazione (rispetto al 23 per cento nei paesi scandinavi e al 15 negli Stati Uniti); e un sondaggio internazionale rivela che la presenza di donne in politica, nella pubbica amministrazione e ai vertici del business è più bassa che in Italia soltanto a Cipro, in Egitto e in Corea del Sud. "La mia sensazione è che il femminismo, dopo importanti battaglie per il divorzio e l’aborto, da noi non esista più", gli dice il ministro Emma Bonino, interpellata sul tema.
Altri fattori aumentano le difficoltà delle donne ad avere una diversa posizione sociale, osserva il quotidiano londinese: il lavoro part-time è raro in Italia (15 per cento della forza lavoro rispetto al 21 in Germania e al 36 in Olanda), cosicché le donne che cercano di giostrarsi tra famiglia e carriera sono spesso costrette a scegliere l’una o l’altra. L’articolo ricorda un discorso del governatore della Banca d’Italia Draghi secondo cui il nostro è uno dei paesi europei in cui meno donne tornano all’occupazione dopo la maternità.
Un altro motivo è che gli orari dei negozi ("impossibile fare la spesa il lunedì mattina, il giovedì pomeriggio, la sera e la domenica") complicano la vita della donna che lavora, su cui continua comunque a pesare la responsabilità di casa. La lettera di Veronica Berlusconi pubblicata da Repubblica, in cui chiedeva le pubbliche scuse di Silvio per il suo comportamento con le donne, potrebbe segnalare l’inizio di un cambiamento, ipotizza Michaels. Ma uno dei pubblicitari da lui intervistati avverte: "L’Italia è indietro nel modo in cui sono trattate le donne rispetto ad altri paesi, ma abbiamo un metro per giudicare cos’è accettabile diverso dal vostro. Gli uomini e le donne italiani non saranno mai come gli uomini e le donne britannici".
* la Repubblica, 15 luglio 2007
18 APRILE 2004 - 18 AGOSTO 2006 di Cinzia Ricci (WWW.CINZIARICCI.IT)
18 APRILE 2004 - 18 AGOSTO 2006
A poco più di due anni dal nostro caso, ecco che un’altra ragazza lesbica ha dovuto subire uno stupro - politico. Non è senza nome, come le decine, le centinaia che non denunciano o non finiscono sui giornali - si chiama Paola. Ha trent’anni e frequenta Torre del Lago, il "Mama Mia" - l’Eldorado dei Gay e delle lesbiche nuovo millennio. Nei giorni scorsi mi ha scritto una donna che non conoscevo prima dell’Aprile 2004 - che fu talmente indignata dal silenzio o dagli insulti che dovemmo sopportare da contattarmi personalmente per chiedermene conto. Era sconvolta: «Cinzia, è terribile! Nessuno ricorda Sara...».
L’aggressione che abbiamo subito, non è mai esistita, amica mia. Soprattutto il movimento LGBT* (quello che popola ed anima il ghetto, quello dei leader che siedono in parlamento, vanno in TV, che si fanno interpreti dei nostri bisogni, delle nostre opinioni) ha finto che non sia mai avvenuta o, dopo qualche parola di circostanza, ha girato la testa da un’altra parte. Chi sapeva ha dimenticato in fretta perché non aveva nessun motivo personale per tenerlo a mente, o ne aveva molti per liberarsene. Sara non ha subito violenza nella pineta dietro al "Mama Mia". L’ha subita in una zona di campagna, nei pressi della mia abitazione, lontano dal palcoscenico, dal ghetto. Non abbiamo denunciato pubblicamente l’accaduto per farci pubblicità (???), come troppi hanno insinuato, ma perché dopo appena 50 giorni la magistratura stava tentando di archiviare la pratica! E non l’abbiamo denunciata subito perché furono i carabinieri a pregarci di non farlo per poter indagare senza avere i riflettori puntati addosso - se avessero saputo che a nessuno importava un fico secco, non si sarebbero dati tanta pena. Una violenza sessuale, contro una donna lesbica, in provincia di Lucca. Un agguato premeditato, dettato da lesbofobia. Due uomini, alti. Italiani. Le analogie finiscono qui.
Se mai saranno identificati, mi chiedo se a qualcuno verrà in mente di far vedere le loro foto a Sara. Non credo - perché esistono stupri di serie "A" e stupri di serie "B". Stupri da commentare usando il condizionale e stupri garantiti. Stupri stupri e mezzi stupri. Stupri buoni per riempire una pagina di giornale, e stupri di cui non è opportuno interessarsi... Così, dopo la notizia della violenza sessuale inferta a Paola, mi sono sentita in colpa per aver avuto ragione, inferocita per non essere stata ascoltata. Ho pensato: se alla manifestazione di Lucca fossero venuti in diecimila invece di duecento (ma per la vetrina infranta alla Libreria Baroni furono duemila!), se la comunità LGBT*, le associazioni, gli inquirenti, i politici e i giornalisti avessero fatto il proprio lavoro, oggi, forse, lei e le altre starebbero a cena con le amiche, a ridere e scherzare, invece... Poi, il colpo di grazia alla mia (alla nostra) emotività già messa a dura prova.
Il 5 Settembre 2006, “La Nazione”, “Il Tirreno” e “Il Corriere di Lucca” pubblicano contemporaneamente la notiziona che l’aggressione avvenuta nel 2004, è stata... archiviata. Accidenti, che tempismo - solo un anno di ritardo! Gli articoli, a parte le solite fantasticherie riproposte sebbene pubblicamente smentite, forniscono particolari dettagliatissimi sull’indagine, prova che, questa volta, qualcosa a qualcuno l’hanno chiesta. Volevano far fare bella figura agli inquirenti e a loro stessi - gli ipocriti... L’avrebbero fatta se avessero onestamente scritto che l’inchiesta è stata archiviata a meno di dodici mesi dai fatti dopo ben tre tentativi andati a vuoto perché NOI ci siamo opposte (al quarto abbiamo desistito, ovviamente - potevamo aspettarci un miracolo)? Ragionevolmente: QUESTA, che razza d’indagine può mai essere stata? Tanta solerzia, tanto sospetto puntiglio, tanto manifesto paraculismo, avremmo voluto vederlo quando facevano a gara nell’insinuare il dubbio che cose del genere fossero avvenute! Quando, invece d’informare su quello che succede in questa città, in questo paese, tacevano, insabbiavano, minimizzavano, screditavano! Ed ora c’è persino chi finge di distrapparsi le vesti, grida allo scandalo, s’indigna. Troppo tardi - e troppo facile farlo a posteriori, quando non serve più.
Ad oggi, le uniche persone che posso ringraziare, sono alcune donne della Commissione Provinciale Pari Opportunità di Lucca e pochi altri che a titolo personale si sono esposti, ci sono stati vicino, annichiliti come noi di fronte alla cattiveria, al menefreghismo, all’opportunismo e all’ottusità dei nostri simili - uomini o donne, di sinistra o di destra, etero o omosessuali che fossero. Ogni santo giorno leggo storie di persone offese, abusate, aggredite. Conosco ogni loro pensiero, ogni loro emozione, so cosa significa sapersi vulnerabili, soli, ho visto e ogni giorno rivedo negli occhi della gente la stessa indifferenza, la stessa incredulità o malafede, lo stesso fastidio, sulle labbra quei sorrisetti che procurano più dolore di una coltellata, che levano il fiato - e non mi do pace. Come si fa a non capire? Come si fa a fregarsene? Come si può pensare che una persona meriti quel che ha subito, che se l’è cercato? Come si fa a lasciarla sola? Come ci si può credere persone dabbene sapendo di aver contribuito alla sua sofferenza, o di non aver fatto quello che era nelle nostre possibilità per alleviarla?
Per noi è stato un disastro - durante e dopo l’aggressione. Mi auguro che a Paola vada meglio, mi auguro ed auguro a tutte le Paola che verranno una legge antidiscriminatoria che finalmente definisca e punisca in modo specifico i reati dettati da omo, lesbo e transfobia, che i politici esigano l’applicazione di questa legge, che gli inquirenti la smettano di usare due pesi e due misure. Tuttavia, dobbiamo guardare in faccia la realtà: se alla vigilia dell’adozione da parte del Parlamento nigeriano di una legge che vieta i matrimoni tra persone dello stesso sesso punendoli con il carcere, ben 56 parlamentari italiani sottoscrivono e inviano a quel governo una lettera per scongiurarne l’approvazione, ma poi, di fronte a quello che succede in casa nostra, all’ennesimo caso di stupro politico ai danni di una lesbica), soltanto Franco Grillini, Titti De Simone e Vladimir Luxuria firmano un’interrogazione parlamentare e a tutti sembra che abbiano fatto chissà cosa, è evidente che non c’è alcun motivo per essere ottimisti o speranzosi, ma per essere incazzati e preoccupati sì, e molto anche - con ragione da vendere.
C. Ricci - Lucca, 6 Settembre 2006
...................................................................................
WWW.CINZIARICCI.IT
TORRE DEL LAGO - IO, LESBICA, STUPRATA VOGLIO GIUSTIZIA di Delia Vaccarello (L’Unità, 06.09.2006)
«Le donne della Versilia sono forti come il marmo. Ho cercato di essere forte quando a 13 anni mi piacevano le donne. Ero attratta da due professoresse, quella di ginnastica e la collega di religione. Avevano i capelli biondi e gli occhi azzurri. Ho capito che in famiglia dovevo tacere. Ho cercato di essere forte quando mi hanno stuprata dicendomi: “Brutta lesbica, ora tocca a te”. Avevo 16 anni quando, innamorata di una coetanea, ho deciso di rompere il silenzio e di parlare con i miei fratelli. Anche allora ho dovuto trovare dentro di me la tenacia della pietra. Due di loro mi hanno tolto il saluto, e una delle sorelle mi ha detto: “fai schifo”. Ho continuato a essere me stessa. Ora, dopo la violenza, voglio giustizia».
A parlare è Paola, occhi neri spaventati, sorriso aperto. È la donna lesbica che il diciotto agosto è stata violentata a Torre del Lago. La sua storia mostra che lo stupro è «solo» un anello, micidiale, della catena di aggressioni alimentata dal pregiudizio. «Ormai da tempo vivo da sola con mia madre ultraottantenne, e la accudisco. Sono rimasta l’unica, mentre tutti gli altri si sono sposati. E ho capito che questo marmo di cui siamo fatte è ricco di venature, di sfumature di sentimento, di cura. Per tre anni ho lavorato il marmo. In laboratorio arrivavano i blocchi grezzi e io li trasformavo in lastre levigate. Tornavo a casa e continuavo. Facevo i mosaici, inserivo nelle superfici una luna, un sole. La pietra diventava per quella sera il mio cielo. Imparavo l’arte della forza e del coraggio. In questi anni, ho levigato tante parti di me per evitare che i pregiudizi e i rifiuti mi indurissero. Sono stata fidanzata con un ragazzo, che non a caso era molto femminile. Si curava molto, andava spesso dall’estetista. Ho provato a vedere se funzionava, abbiamo vissuto insieme. Finita la storia ho mantenuto con lui rapporti sereni. Ho lottato sempre contro la violenza dei pregiudizi nel desiderio di vivere la vita piena che mi spetta. Quando mi hanno stuprata, in pineta a Torre del Lago, due settimane fa, sono ritornata un blocco grezzo di pietra, dura. Da lavorare di nuovo. Non immaginavo che i giovani potessero essere così violenti. Ora non posso più vedere i maschi etero. Mi fanno schifo. Le notti mi sveglio e sento le mani ruvide del violentatore afferrarmi da dietro. Torna la sua voce. L’offesa. Non so se riuscirò a cancellare questa impressione. Vorrei che la mia anima diventasse di nuovo liscia, pronta ad accogliere la luna e il sole. Voglio che i miei aggressori vengano arrestati».
I primi rifiuti sono arrivati presto. «Mia madre non è stata una donna affettuosa. È slava, abituata alla durezza. Poco espansiva fisicamente, come se non conoscesse il valore delle carezze. Mio padre ha fatto il carabiniere. In famiglia siamo tanti, tra fratelli e sorelle. Talmente tanti che la nostra educazione ai genitori deve essere un po’ sfuggita di mano. Io ho sempre sofferto del silenzio. Ma non ho scelto di nascondermi. Dai sedici ai venti anni ho amato la mia compagna di banco. Poi abbiamo preso due strade diverse, lei si è sposata e adesso è madre. Quando l’ho detto ai miei, mio padre ha risposto: “non cambia niente, sei mia figlia”. Mia madre voleva che mi sistemassi - marito, figli e così via -, ma quando ha capito che la mia felicità era con una donna è ritornata nel suo silenzio di sempre. Solo adesso, che viviamo insieme, si è lasciata sfuggire: “visto come sono gli uomini, preferisco che sei come sei”. Quando ho parlato di me sapevo che andavo incontro a possibili rotture. Ma la reazione dei miei fratelli mi ha fatto male lo stesso. Così le parole terribili di una sorella: “Sei malata. Non sei degna di far parte della famiglia. Fai schifo. Fai male a mamma”. Ho faticato tanto per digerirle. Il clima non è cambiato quando dai 20 ai 23 anni sono stata fidanzata con Giuseppe, compreso il periodo della nostra convivenza, durata dieci mesi. I miei fratelli hanno mantenuto le loro ostilità. A Giuseppe ho detto subito che avevo amato una donna. Se avesse mostrato di avere pregiudizi, lo avrei lasciato all’istante. Tra noi è finita perché non ho retto un suo tradimento. Ma finora eravamo rimasti in ottimi rapporti. Dopo di lui ho avuto una serie di storie con donne durate circa tre anni. Vengo sempre lasciata, forse perché sono fedele. Se mi piace qualcuna fuori dalla coppia, avverto. Non metto nessuna dinanzi al fatto compiuto. Le altre alla fine dicono che si annoiano. Frequento i locali della Marina, facendo amicizie o solo conoscenze. Sono posti tranquilli, risse non ne succedono. Conosci gente del luogo, ma anche di tante altre città. Devi soltanto stare attenta a mantenere la distanza quando incontri le coppie di donne. Altrimenti si sentono invase, oppure una delle due ci prova, e salta l’amicizia.
La sera del diciotto, come ogni sera, ho cenato con mia madre. Ci dividiamo i compiti. A pranzo cucina lei, io preferisco restare leggera e quindi c’è meno da fare. Alla cena ci penso io. Intorno alle 22.30 l’ho salutata, le ho ricordato come sempre il numero del mio cellulare, per ogni evenienza. In venti minuti sono arrivata alla Marina. Al bar con un gruppo di amiche abbiamo preso il caffè. Poi siamo andate a ballare. Verso le due c’era il pienone. Gay, lesbiche, trans e qualche etero che viene per curiosità o, meglio, per fare qualche incontro. Ma sono incontri a cui le due parti acconsentono, per una sera. Niente a che vedere con quello che è successo a me. Dinanzi ai bagni c’era una fila di dieci metri. Ho scelto di andare in pineta, insieme ad altre. Tutto è successo in un attimo. Mi afferrano, mi tappano la bocca, uno mi violenta, «Brutta lesbica».
La vecchia ferita del rifiuto si riapre. Quando riesco a urlare scappano. Il mio grido mi fa toccare la realtà. Mi hanno violentata, non solo con le parole, e con l’ostilità, ma lacerando ciò che il mio corpo ha di più intimo. In quel momento sono saltati tutti i buoni rapporti con il maschile che ero riuscita a mantenere. Una settimana fa mi ha telefonato il mio ex fidanzato, Giuseppe. Per un prendere un gelato. Ho detto che non potevo: “ho l’esaurimento nervoso”. Non riesco a frequentare gli etero. Non per ora, almeno. In questi giorni ho pensato a tutti quelli che sostengo fisicamente. Dopo aver lavorato il marmo, sono diventata operatrice socio sanitaria. Ho il diploma. In famiglia ho voluto dimostrare che valgo. Aiuto i disabili, gli anziani. Con la delicatezza di un contatto empatico che da piccola non ho conosciuto e che ho imparato da grande. Con la morbidezza capace di alleviare le ferite delle menomazioni, della vecchiaia. Adesso sono io che ho bisogno di aiuto. Mi sento rigida. Di pietra, ma in un altro senso. Bloccata. Il ciclo mestruale ha avuto un forte ritardo. Succede, mi hanno detto. Finora ho pianto di rabbia. La rabbia di non aver risposto con un calcio. Vorrei piangere tutto il mio dolore. Liberarmi. Ritrovare la mia lucidità. Splendere di nuovo, come il marmo che rende forti le donne della Versilia.
Un crimine contro l’umanità. Una nota di commento di Alessandra Paganardi
L’allucinante episodio dello stupro di Torre del Lago, in questo triste dejà vu di orrori di mezza estate,ha aperto interrogativi inquietanti.
Lo stupro apre sempre interrogativi perturbanti, perchè è un delitto paradossale: esprime l’odio con le stesse modalità con cui si può esprimere l’amore. Rimaniamo sconvolti/e ad ogni notizia di stupro, perchè sentiamo che proprio lì bene e male possono pericolosamente toccarsi, fino a confondere i propri stessi confini, nel brutto marasma dell’irrazionale, dell’acting out . In questo senso lo stupro non è un reato come gli altri, ma apre falle emotive profonde, simili a quelle suscitate dalla notizia di una guerra.
Certamente non è un reato contro la morale, come vergognosamente recitava fino a non molto tempo fa il Codice Penale; ma non è neppure un semplice reato contro la persona, o in specifico contro la donna, come fin troppo spesso si dice oggi, da un’angolazione giusta ma parziale. E’ un reato contro la psiche e contro l’amore.
Questa volta qualunque segno è stato passato. Oltre alla persona, alla psiche e all’amore si è voluta punire quella che dovrebbe essere la compagna di strada di tutti i soggetti che ho nominato: la libertà.
Se ogni stupro è la figura di una guerra, lo stupro omofobo, per giunta contro un’inerme ragazza, è senza mezzi termini un atto di vile terrorismo: per la sua componente "razzista" (razzista in senso lato ma profondo, vorrei dire), ben identificata da questo documento, è anche un crimine contro l’umanità.
Spero che i miei figli, nell’evolversi così rapido del linguaggio e delle sue connotazioni, vedano un’epoca in cui gli aggettivi "omofobo" e "antisemita" susciteranno il medesimo, immediato e giusto disprezzo. Sarà forse il giorno in cui le vittime delle varie discriminazioni identificate dalla legge Mancino non giudicheranno più il proprio torto a senso unico, come forse a volte è umano troppo umano fare; dialogheranno finalmente fra loro, per farsi portavoce e figura della vera parte lesa universale: la libera umanità.
Alessandra Paganardi
(Milano, 05.09.2006)
VERITA, MEMORIA, E RICONCILIAZIONE !!!
Caro Biagi non partire all’attacco, come un crociato!!! Permettimelo: calma ... non ti buttare a mare o, che è lo stesso, non fare lo struzzo - con la testa sotto la sabbia: pur se lontano - credo - l’aria di San Giovanni in Fiore la senti ancora! Non dire cose vecchie e risapute e già ampiamente criticate!!! Se non vuoi rispondere sul "caso", e vuoi capire qualcosa leggi, sul sito, la RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO SULL’OMOFOBIA. Forse capisci di che cosa si sta parlando ... e di quale guerra qui si tratta. L’ordine simbolico di "mammasantissima" (e "grande fratello", al posto del padre-negato) di cui ti parlo non è né un ritornello né un giochino - è il motore nascosto di tutta la nostra cultura e se non facciamo i conti ( non solo con i nostri ’padri’ ma anche) con le nostre ’madri’ ... non solo non capiremo cosa significa essere uomini e donne, CITTADINI e CITTADINE nell’ottica della nostra COSTITUZIONE, ma nemmeno capiremo cosa significa essere FIGLI E FIGLIE di Dio (= Amore) secondo il messaggio eu-angèlico. Pensaci un po’...
M. saluti, Federico La Sala
Carto Federico, guarda che io ti capisco benissimo, sai ? Se fossi un ateo o un agnostico mi schiererei immediatamente dalla parte della tua barricata. Mi farei tatuare l’immagine del Che, e con tanto di basco e stella (simbolo della sinistra) griderei: el pueblo unido jamas sera vencido! Capisco ciò che ti anima. Probabilmente anima anche me. Però nella vita bisogna fare delle scelte. Io penso di avere fatto quella giusta nell’affidarmi alla Chiesa di Roma che mi ha trasmesso dei valori irrinunciabili per una esistenza serena e consapevole.
Non penso che tu ama o difenda la causa delle donne o degli omosessuali più del sottoscritto. Se accettiamo una società erotizzata come la nostra, allora non sorprendiamoci degli stupri o delle violenze sulle donne, quando la donna è rappresentata da tutti i media come "merce" per il nostro piacere. Vedi, ci sono troppe contraddizioni nella nostra società. Non basta una Risoluzione del Parlamento Europeo per risolvere il problema. Bisogna capire realmente cosa significhi essere FIGLI e FIGLIE di Dio. Bisogna capire che siamo stai plasmati a immagine e somiglianza di Dio. Omo, etero o transgender che siamo, siamo SACRI ! Basterebbe capire e credere solamente a tanto e le notre discordie sparirebbero d’incanto (scusa la rima).
Bellissima jurnata e sole. Biasi
Caro Biasi calma, calma .....il guaio è che tu vedi troppa televisione ... e poi cerchi di fare anche l’imitatore del "grande fratello"! Dopo aver risposto a Francesco Saverio Oliverio sulla frase di Sartre ("Che Guevara fa parte dei grandi miti di questo secolo: la sua vita è la storia dell’uomo più perfetto della nostra epoca") quello che hai scritto
(4 settembre 2006, di Biasi: Appunto un mito. In realtà era un rivoluzionario argentino che prestò servizio come tagliagole principale di Castro. Era particolarmente infame perché dirigeva le esecuzioni sommarie a La Cabãna, la fortezza che fungeva da mattatoio. Gli piaceva amministrare il colpo di grazia, il proiettile nella nuca. E amava far sfilare la gente sotto El Paredón, il muro rosso di sangue contro il quale furono uccisi tanti innocenti. Inoltre, istituì il sistema di campi di lavoro dove innumerevoli cittadini - dissidenti, democratici, artisti, omosessuali - soffrivano e morivano. Stiamo parlando del gulag cubano. Uno scrittore cubano-americano, Humberto Fontova, descrisse Guevara come «una combinazione fra Beria e Himmler». Antony Daniels, in vena di spiritosaggini, disse: «La differenza fra [Guevara] e Pol Pot era che [il primo] non aveva studiato a Parigi»),
ora salti dall’altra parte e ti metti pure a ’suonare la carica’! Bravo!!! Ma cerca di crescere... cerca di metterti un pò d’accordo con te stesso .... e vedi che strada vuoi prendere, con il tuo pastore tedesco: se quella della famiglia-presepe dell’ordine di "mammasantissima" (vedi sul sito relativamente al caso ’scoppiato’ in COLOMBIA e le posizioni del presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, il card. Truijllo) o - al di là del biologico e del razzistico - la famiglia-presepe di Francesco e Chiara d’Assisi, dei figli e delle figlie del "Padre nostro", dell’Amore di D(ue)io !!! Pensaci - e non mentire con te stesso: non è affatto poco la differenza... tra "van-gèlo" ed "eu-angèlo"!!! Torna, torna ... a San Giovanni in Fiore, torna in ITALIA - quante cose non hai capito del t-u-o paese e Paese!!! ... e possibilmente (on vedere tanta televisione!!!) ascolta di più il favoloso, mitico CAPAREZZA.
M. saluti, Federico La Sala