04.11.2007
To Iranian President,
Mr. Mahmud Ahmadinejad
Dear President of a great nation,
please do not send Makwan Moloudzadeh to his death, do not soil your hands with his innocent blood. Your God is not evil. You are not evil. Homosexuality is not a crime. Please remember you are the leader of one of the most ancient and civilized countries in the World: what you did for millennia was an important source of civilization for so many other countries. Love is a quest for tenderness and loyalty between souls: and souls have no sex and no gender... There is one woman and one man in everyone of us, we can choose to be alone, we can love a woman, we can love a man. This choice depends on whether or not we meet a beloved soul in a female body, a beloved soul in a male body or no beloved soul at all. I read you accept trans-sexuality: but is the form of the body really so important? Everybody is going to die, but their souls return to God: how is the sex of a soul recognised in Heaven? How can you have good citizens for your country if you don’t appreciate their love? I believe you want them to love Iran, so it’s strange you don’t appreciate their capacity to love. I am what is known as a “heterosexual” and I’m not Iranian, but I have many friends who are what is known as “homosexual” and I love your country very much. I would like to visit it one day without the risk of being put to death because I have talked about an innocent - a “homosexual” person like Mr. Makwan Moloudzadeh. Would I be in danger if I visited your beautiful Country? I hope not. I believe you love your country and you love all the citizens of Iran, because you are their President.
So please, Mr. President Mahmud Ahmadinejad, do not put Makwan Moloudzadeh to death, do not soil your hands with his innocent blood.
Dott. Salvatore Conte
(Rome - Italy, 04.11.2007).
PETITIONONLINE. Stop the execution of the young Iranian gay Makwan Moloudzadeh - campaign against death penalty in Iran
Sul tema, nel sito, si cfr.:
COSTITUZIONE E ORIENTAMENTO SESSUALE
UNA LEZIONE - UN TESTAMENTO DI MASSIMO CONSOLI
L’URLO di una mamma dell’AGEDO di Palermo.
RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO SULL’OMOFOBIA.
STOP DISCRIMINATION. L’ODIO VERSO I GAY E’ RAZZISMO.
L’avvocato e i familiari: ’’L’abbiamo saputo a sentenza eseguita e nemmeno per vie ufficiali"
Iran, ragazzo gay impiccato in segreto dopo confessione estorta
E’ accaduto ieri nel carcere di Kermanshah. Il giovane, che non aveva ancora compiuto 20 anni, era accusato di avere avuto un rapporto omosessuale all’età di 13 anni. Secondo il suo avvocato, nel corso del processo aveva detto chiaramente che la confessione era stata estorta con la violenza
Teheran, 6 dic. (Aki/Ign) - Makwan Moloudzadeh non aveva ancora compiuto 20 anni: è stato impiccato ieri nel carcere di Kermanshah, nell’Iran occidentale, dopo una condanna a morte per un rapporto omosessuale avuto quando aveva appena 13 anni. Eppure, spiega in un’intervista ad AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL Saiid Eghbal, avvocato di Makwan, il capo dell’Autorità Giudiziaria, l’ayatollah Mahmoud Shahroudi, "aveva assicurato che avrebbe chiesto la revisione del processo, che anche secondo lui non si era svolto regolarmente". Eghbal dice di non essere stato nemmeno avvisato dell’imminente esecuzione. "Ho saputo dell’impiccagione - spiega - a sentenza eseguita e nemmeno per vie ufficiali. Lo stesso vale per i familiari del giovane".
"Il mio assistito - dice - nel corso del processo aveva detto chiaramente che la confessione rilasciata durante il dibattimento era stata estorta con la violenza". Secondo l’accusa, all’età di 13 anni Makwan avrebbe stuprato tre suoi coetanei, mentre lui sosteneva di aver avuto rapporti sessuali con uno di loro e senza alcuna forma di violenza. Nella Repubblica Islamica i rapporti omosessuali non sono ammessi e sono puniti con la pena di morte. "Le tre persone che in un primo momento avevano presentato denuncia contro Makwan - sottolinea l’avvocato Eghbal - hanno in seguito ritirato la denuncia, ma nemmeno di questo il tribunale ha tenuto conto".
Un portavoce del tribunale di Kermanshah ha dichiarato che "il giovane delinquente è stato condannato in base alle leggi in vigore per il reato di lavat (omosessualità, ndr) e non per violenza carnale, che ha bisogno della parte civile". L’esecuzione di Makwan ha scatenato una nuova ondata di proteste nel mondo, trattandosi dell’impiccagione di un giovane che al momento del reato attribuitogli aveva solo 13 anni. In Iran altri 12 ragazzi che hanno commesso reati quando erano minorenni sono in attesa nel braccio della morte. Dall’inizio dell’anno nel paese sono state eseguite condanne a morte contro oltre 210 persone.
Ucciso perché gay, è stato giustiziato Makwan
All’età di 13 anni aveva avuto un rapporto con un coetaneo. Vana ogni richiesta di clemenza *
Appelli, mobilitazioni, è stato tutto inutile. Quella di Makwan Moloudzadeh, 21 anni nemmeno compiuti, avvenuta ieri nella prigione di Kermanshah, è stata la sesta esecuzione di un minorenne al momento del reato dall’inizio dell’anno in Iran. E’ Amnesty ad annunciare il mancato lieto fine dell’ennesima mobilitazione internazionale contro la pena capitale. Denunciando, ha detto il presidente della sezione italiana, Paolo Pobbiati, che «L’uso della pena di morte in Iran ha raggiunto livelli aberranti: tra le persone già messe a morte o a rischio di esecuzione quest’anno vi sono omosessuali, adulteri, prigionieri di coscienza, giornalisti. L’Iran è il Paese che dal 1990 ha assassinato il maggior numero di minorenni all’epoca del reato, 28 in totale, in violazione del diritto internazionale che impedisce queste esecuzioni».
Un vero assassino, condotto a termine a dispetto degli appelli e delle promesse di revisione di un processo quanto mai sommario, in condizioni di semiclandestinità, ieri, alle 5 del mattino, nel più totale silenzio di stampa, istituzioni e associazioni. Nemmeno l’avvocato, il padre e lo zio di Makwan sono stati informati.
E’ già un’icona per gli attivisti dei diritti umani Makwan Moloudzadeh che il 7 luglio era stato condannato a morte semplicemente per la sua omosessualità. L’accusa era, inizialmente, quella di aver stuprato un suo coetano nel 1999, all’età di tredici anni. Ma in seguito la presunta vittima aveva ritrattato e l’accusa era diventata solo quella di «lavat», di sodomia, passibile tuttavia di morte. Moloudzadeh, che era stato arrestato il 1° ottobre 2006 a Paveh, nella provincia di Kermanshah, in carcere era stato maltrattato e forse torturato. Ora ci si aggrappa ai cavilli: la legge iraniana prevede che gli atti omosessuali commessi dai minori di 14 anni e mezzo debbano essere puniti «solo» con la fustigazione. E’ stato il giudice, esercitando il proprio potere discrezionale, a stabilire che Moloudzadeh, che aveva raggiunto la pubertà all’epoca del reato, poteva essere trattato come un adulto. Tanto che pochi giorni fa il ministro della Giustizia iraniano, l’Ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi, aveva sospeso la condanna manifestando l’intenzione di concedere la grazia.
Ora l’esecuzione, che pone la parola fine a ogni speranza. Il Gruppo EveryOne, che per primo si è battuto per denunciare il caso, ricorderà Makwan e il suo martirio con un premio annuale che verrà assegnato a chi si distinguerà nella lotta a favore dei diritti umani e contro l’omofobia. L’edizione di quest’anno è già andata a un’altra esponente dell’Iran, Paese che rischia di fornire molti martiri ed eroi in futuro: è stata premiata Glenys Robinson, cittadina del Regno Unito che vive in Italia e che «ha dimostrato particolari sensibilità e coraggio e ha cooperato in modo determinante per la liberazione di Pegah Emambakhsh, donna iraniana fuggita per evitare la lapidazione». Pegah, come si ricorderà, ce l’ha fatta. Makwan, no.
Omosessuale giustiziato in Iran *
Mentre si allenta la tensione sul nucleare, nella Repubblica islamica i falchi cantano vittoria e a farne le spese è un omosessuale di vent’anni, accusato di avere stuprato tre ragazzi quando di anni ne aveva solo tredici. Le presunte vittime hanno ritirato le accuse ma Makwan Moloudzade è stato giustiziato nella prigione di Kermanshah anche se la Convenzione per i diritti del fanciullo, ratificata dall’Iran, vieta l’esecuzione di coloro che commettono reati da minorenni. Il 7 giugno scorso il giudice della prima camera del tribunale penale di Kermanshah aveva definito la sua colpa “una violazione dei precetti islamici e delle leggi morali terrene” e lo aveva condannato a morte.
La sentenza era stata confermata il 1° agosto e poi sospesa il 15 novembre dal capo della magistratura Shahrudi dopo la campagna “Fiori per la vita in Iran” organizzata dal Gruppo EveryOne, lo stesso che ha salvato la lesbica Pegah dalla deportazione dal Regno Unito, dove aveva chiesto asilo, a Teheran. Le centinaia di rose bianche e rosse inviate al presidente Ahmadinejad e la mobilitazione del mondo islamico liberale e progressista non hanno avuto successo e sembrano avere addirittura sortito l’effetto opposto: di fronte alla minaccia di ulteriori pressioni- questa volta non per un programma nucleare militare inesistente ma per violazioni dei diritti umani ben documentate - i falchi hanno giustiziato subito il condannato. “Le organizzazioni internazionali per i diritti umani avevano diminuito la pressione sull’Iran dopo le dichiarazioni del capo della magistratura”, osserva l’esule iraniano Ahmad Rafat, vice direttore di Adn Kronos International. “L’ayatollah Shahrudi aveva promesso di rivedere il processo e persino di emendare alcune norme del codice penale.
Attenuata la pressione internazionale, i falchi hanno invece messo a morte il giovane omosessuale e la stessa sorte potrebbe toccare ai due giornalisti curdi in cella da mesi”. Sostenuti dai pasdaran e finanziati dal petrolio alle stelle, i falchi preferiscono la tensione al dialogo. È infatti la tensione a permettere di punire i dissidenti col pretesto che minacciano la sicurezza nazionale. Scampato il pericolo del bombardamento e sfumato il timore di ulteriori sanzioni economiche da parte del Consiglio di Sicurezza (che incontrerebbero l’opposizione della Cina e della Russia) torna il momento di firmare contratti con Teheran. Ma non bisognerebbe dimenticare il rispetto dei diritti umani. In Iran ma anche in Arabia Saudita, l’altro Paese islamico dove gli omosessuali finiscono sul patibolo ma si fa finta di non sapere a causa dei tanti interessi in gioco.
* La Stampa - ISLAM E DEMOCRAZIA. Blog di Farian Sabahi, 7/12/2007
IRAN, AHMADINEJAD E GIUDICI IRANIANI GRAZIANO GIOVANE GAY MAKVAN MOULOODZADEH
DOPO CAMPAGNA EVERYONE "FIORI PER LA VITA IN IRAN"
CENTINAIA DI ROSE BIANCHE E ROSSE E LA MOBILITAZIONE DEL MONDO ISLAMICO LIBERALE E PROGRESSISTA HANNO SALVATO LA VITA AL RAGAZZO
La Petizione per la vita di Makvan e la "Campagna dei Fiori per la Vita in Iran" - promosse dal Gruppo EveryOne (www.everyonegroup.com ) e sostenute dall’IRQO (Iranian Queer Organization), dalla Commissione Internazionale per i Diritti GLBT e da Amnesty International - hanno ottenuto uno risultato storico .
"Una sensazionale vittoria per i Diritti Umani," commentano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau (i leader del Gruppo EveryOne) e Paula Ettelbrick della Commissione Internazionale per i Diritti GLBT. Il giudice iraniano che ha annullato la condanna al patibolo ha definito la precedente sentenza "una violazione dei precetti islamici e delle leggi morali terrene ".
Il 2 novembre 2007 il Gruppo EveryOne aveva dato il via, promuovendola in tutto il mondo, attraverso siti internet, network e organi di stampa, alla campagna "Flowers For Life in Iran ": http://www.petitiononline.com/everymak/ . Si tratta di una petizione per la vita del 21enne gay iraniano Makvan Mouloodzadeh, accusato del reato definito "Lavat", sodomia, dal codice penale islamico, e condannato a morte . Il ragazzo avrebbe commesso il "crimine" quando aveva solo 13 anni. Con la collaborazione di Arsham Parsi - membro sia del Gruppo EveryOne che dell’associazione IRQO, per i diritti GLBT in Iran - gli attivisti del Gruppo EveryOne Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau, Glenys Robinson e Ahmad Rafat hanno redatto un dossier sul caso del giovane condannato e hanno avviato un’azione per la vita di Makvan e contro le esecuzioni in Iran di nuova concezione, già sperimentata con successo durante la campagna contro la deportazione in Iran della donna lesbica Pegah Emambakhsh, rifugiatasi nel Regno Unito.
La campagna infatti invita cittadini di tutte le nazioni a sottoscrivere una petizione e contemporaneamente a inviare al Presidente Ahmadinejad, attraverso i servizi di spedizioni floreali internazionali, una rosa bianca e una rossa, con un messaggio : "La rosa bianca per il rispetto dei Diritti Umani del giovane omosessuale Makvan e di tutti i dissidenti, delle donne, dei liberi pensatori, degli omosessuali condannati come ’nemici di Allah’; quella rossa per dire no al sangue di vittime innocenti, versato sui patiboli approntati per le condanne capitali".
La Campagna dei Fiori ha riscosso subito un notevolissimo riscontro in tutti i Paesi del mondo libero. "Le due petizioni hanno ottenuto più di mille firme in pochi giorni," commentano i leader del Gruppo EveryOne "e centinaia di rose hanno raggiunto il palazzo del presidente Ahmadinejad, in Pasteur Avenue, a Teheran. A ogni gruppo di due fiori era unito un invito: sì alla clemenza, no alla pena di morte ".
Nei giorni successivi la parte liberale e progressista del mondo islamico ha raccolto l’invito del Gruppo EveryOne e ha fatto propria l’azione pacifista; decine di attivisti e personalità politiche di Turchia, Arabia Saudita e altri Paesi arabi hanno inviato e stanno tuttora inviando e-mail, lettere e fiori al Presidente e ai giudici dell’Iran.
L’attivista turco per i diritti GLBT Hakan Yildrim definisce così la campagna: "E’ un’azione pacifica per la vita di persone innocenti, nel rispetto del Corano. Un’idea geniale". Numerosi parlamentari svedesi di diversi partiti - Liberali, Verdi, Radicali - hanno inviato fiori e richieste di grazia a Teheran: Gunilla Wahlen, Mats Pertoft, Camilla Lindberg.
Il 5 novembre The International Gay and Lesbian Human Rights Commission ha affiancato il Gruppo EveryOne e l’Irqo raccogliendo altre adesioni e inviando una lettera al governo della Repubblica Islamica. Il giorno successivo ha aderito alla campagna Amnesty International, amplificando l’eco della petizione per la vita di Makvan. Pochi giorni dopo il capo del Dipartimento di giustizia iraniano, Ayatollah Seyed Mahmoud Hashemi Shahrudi, ha annullato la condanna a morte di Makvan Mouloodzadeh , definendola "una violazione degli insegnamenti islamici, del codice Sciita e delle leggi morali terrene".
"Questa è una sensazionale vittoria per i Diritti Umani e una riprova del potere della protesta globale" ha detto Paula Ettelbrick, direttrice esecutiva del gruppo IGLHRC, al fianco del Gruppo EveryOne, del’Irqo, di Amnesty International e di altre organizzazioni di attivisti nella Campagna dei Fiori.
"E’ una vittoria di tutti," commentano i leader di EveryOne, "dei movimenti per la vita e per la pace, ma anche dell’Islam, perché il giudice iraniano ha mostrato più attenzione verso le petizioni umanitarie di quanto non mostrino solitamente gli stessi governi dei Paesi democratici. L’effetto della mobilitazione internazionale è stato più importante della vuota retorica dei potenti organismi internazionali," continuano Malini, Pegoraro e Picciau "che faticano a superare interessi e burocrazia, lasciando inattuate le basilari disposizioni riguardanti la tutela delle minoranze deboli, del diritto di asilo e delle urgenze umanitarie. EveryOne è stata il motore di un nuovo impegno per i Diritti Umani, un impegno che si sta trasformando in un grande movimento internazionale per la vita e contro i pregiudizi. Si rende ora necessario" concludono "che i potenti non perdano questa opportunità di cambiamento e inizino a dialogare con il movimento, alla ricerca di soluzioni indispensabili per garantire un futuro di pace e convivenza al Pianeta, sempre più vicino a catastrofi umane e ambientali di proporzioni inimmaginabili".
Per il Gruppo EveryOne, Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau, Arsham Parsi, Ahmad Rafat, Glenys Robinson, Salvatore Conte, Irene Campari, Steed Gamero, Fabio Patronelli, Laura Todisco, Loredana Marano, Aisha Ayari, Alessandro Matta, Saimir Mile, Stellian Covaciu, Christos Papaioannou, Udila Ciurar, Lilì, Jasmine.
E’ facile cambiare sesso a Teheran *
La clinica Mirdamad del professor Bahram Mirjalali a Teheran è un indirizzo prezioso. Per gli iraniani, ma anche per gli stranieri che vogliono cambiare sesso: molti arabi che vanno in Iran perché lì è permesso, qualche italiano, alcuni svedesi e inglesi. Il viaggio merita, i prezzi sono contenuti: diventare donna costa 3.500 dollari (ai quali vanno aggiunte le cure ormonali e la plastica al seno) e l’operazione inversa 3.000 dollari. Un costo cui va sottratto, per gli iraniani, il 25 per cento di sovvenzioni statali erogate dal sistema sanitario pubblico.
Ma, soprattutto, l’operazione è perfettamente lecita, non viola nessun precetto: la legge in vigore nella Repubblica islamica permette ai transessuali di sottoporsi alle operazioni chirurgiche necessarie a cambiare sesso e consente anche di ottenere una nuova identità sui documenti. Lo ha spiegato ieri a Torino l’hojatolleslam Mohammad Mehdi Kariminiya, nella conferenza «Cambiare sesso a Teheran», organizzata nell’ambito della manifestazione «Torino Spiritualità».
Kariminiya ha un portamento austero e dimostra un po’ più dei suoi 42 anni: ha la barba sale e pepe corta, come usa tra i membri riformatori del clero sciita, e vive nella città santa di Qum dove insegna diritto di famiglia. Si è presentato al pubblico con il turbante bianco, l’abito dei religiosi color panna e il mantello marrone di tessuto leggero e ha spiegato che per il clero sciita il cambio di sesso è lecito anche se si tratta di intervenire, chirurgicamente, su una creazione di Dio.
«Dopotutto, trasformare è nella natura umana - ha detto -. Ariamo i campi e seminiamo il grano, lo coltiviamo e maciniamo per ottenere la farina e poi, mescolandola all’acqua, facciamo il pane». Alla base delle affermazioni di Kariminiya c’è una fatwa (decreto religioso) emanata dall’ayatollah Khomeini nel 1964, quando lo scià Muhammad Reza Pahlavi lo manda in esilio a Bursa, in Turchia. Durante l’anno trascorso all’estero Khomeini scrive un trattato di giurisprudenza in cui esamina il problema del cambio di sesso che «non è da considerare reato e, in presenza di una dichiarazione medica credibile, non presenta alcun problema». In un primo momento questa affermazione non ha risonanza e ci si accorge della sua portata solo in seguito alla vittoria rivoluzionaria sulla monarchia del 1979. «Un giorno - ha raccontato Kariminiya a una folla attenta e curiosa - un uomo di nome Fereydun si presenta disperato al grande ayatollah mostrandogli il petto prosperoso e sottoponendogli il suo problema: si sente imprigionato in un corpo maschile che non percepisce te come suo e vuole assolutamente diventare donna. L’Imam Khomeini acconsente e Fereydun, dopo essersi sottoposto all’intervento chirurgico, assume il nome di Mariam».
L’opinione di Khomeini a favore del cambio di sesso è condivisa da buona parte del clero sciita, tra cui l’iracheno al-Sistani. Ma non dai religiosi sunniti, per i quali è assolutamente vietato. Per questo molti arabi vanno segretamente alla clinica Mirdamad. Come mai i religiosi sciiti permettono il cambio di sesso mentre i sunniti lo vietano? Perché, ha spiegato Kariminiya, per vietare qualcosa è necessario che sia scritto nel Corano, come accade per l’ubriachezza e l’omosessualità: «Per noi sciiti tutto quanto non è citato dal Corano è soggetto all’interpretazione dei giuristi ed è quindi potenzialmente lecito».
Ad avvicinare l’Iran sciita alla modernità è dunque «la possibilità di interpretare le fonti attraverso l’ijtihad (ragionamento), che per noi sciiti ha un’importanza maggiore, al punto che possiamo autorizzare l’affitto dell’utero e l’inseminazione artificiale». Il riferimento non è azzardato: «Dopo aver cambiato sesso, moltissimi vogliono sposarsi e avere figli. Un medico ha tentato tre volte l’innesto dell’utero su tre diversi pazienti. In un caso l’intervento è riuscito ma, dopo l’iniziale concepimento, è seguito un aborto spontaneo. Nel caso del transessuale diventato donna e regolarmente sposato con un uomo, il marito può contrarre un matrimonio temporaneo con un’altra donna, accordandosi sul fatto che il neonato andrà subito con il padre e sua moglie, con i quali crescerà. Il transessuale che è diventato femmina deve però essere consapevole che non sarà mai una vera madre, anche se crescerà quel bambino con amore».
Non è nemmeno necessario, ha detto ancora Kariminiya, che il marito abbia un rapporto sessuale e firmi un contato di matrimonio perché si può prendere l’ovulo di una donatrice, fecondarlo in vitro e installarlo in un utero in affitto. Questa soluzione, permessa dall’Islam, non è riservata ai transessuali ma pure alle coppie in cui la donna fatica a concludere la gravidanza. Pur dimostrando una maggiore apertura rispetto ai giuristi sunniti, è però evidente che per il clero sciita i transessuali non sono persone normali ma «malati che possono essere guariti».
E in una società tradizionale come quella iraniana, cambiare sesso resta ovviamente un tabù e le persone che scelgono di farlo continuano a essere sottoposte a molte pressioni. «Ma questo - ha concluso l’hojatoleslam - succede a ogni latitudine».
* ISLAM E DEMOCRAZIA. Blog di Farian Sabahi, 24/9/2007
Il dilemma "islam e democrazia" e la laicità delle istituzioni *
L’Islam è compatibile con la democrazia? Questo è il dilemma dei nostri tempi, a cui non possiamo dare risposta negativa altrimenti facciamo il gioco degli integralisti. Gli ostacoli sono nei testi sacri che, presi letteralmente, non garantiscono uguali diritti alle donne e alle minoranze.
La compatibilità tra Islam e democrazia, e di conseguenza tra Islam e modernità, è un tema su cui ragioniamo in tanti. La soluzione è la storicizzazione delle Scritture: se anche il Corano obbliga le musulmane a coprire le parti belle vi sono religiosi come l’iraniano Youssef Eshkevari che sostiene come oggi siano le leggi a proteggere le donne meglio del velo anche, se molte decidono di metterlo come atto di fede.
Le iraniane hanno un tasso di alfabetizzazione che sfiora l’80 percento, rappresentano il 63 percento delle matricole universitarie, hanno un ruolo determinante nell’economia e nella società civile. Ma nella Repubblica islamica la testimonianza di una donna vale la metà rispetto a quella di un uomo, in caso di morte violenta la famiglia riceve un risarcimento pari al 50 percento, le sorelle ereditano la metà dei maschi, ottenere il divorzio è tutt’altro che automatico e la custodia per i figli è una battaglia impegnativa. Per questo le iraniane lottano per l’equiparazione legale.
Le questioni aperte sono tante e tra le più importante c’è la pena di morte inflitta anche ai minorenni, in violazione delle convenzioni internazionali, agli intellettuali che si macchiano di reati d’opinione e agli omosessuali. Ma l’Iran è un paese dalle molte contraddizioni. Se da una parte essere colti nell’atto di amare una persona dello stesso sesso può costare la condanna capitale, dall’altra se ci si dichiara omosessuali si ottiene l’esenzione dal servizio militare (a patto di avere la firma dei genitori, un fatto che scoraggia molti). E i transessuali possono sottoporsi legalmente alle operazioni chirurgiche per cambiare sesso in una clinica di Teheran, per poi passare in anagrafe, registrarsi con altro nome e convolare a nozze. [...]
* ISLAM E DEMOCRAzia, Blog di Farian Sabahi, , 17/10/2007 - ripresa parziale.