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LA NOTA DELLA CEI E I CATTOLICI ADULTI CHE SAPEVANO E SANNO ALZARSI IN PIEDI E DIRE NO!!! «Ho la sensazione - esclama Giovanni Franzoni - che i vescovi siano nel panico. La Chiesa ha paura. Ripenso a Giovanni XXIII, quando denunciava i "profeti di sventura", che vedono in ogni novità un’aggressione alla Chiesa». Un’"indagine" di Marco Politi - a cura di pfls

sabato 31 marzo 2007.
 
[...] E’ il clima difensivo, che regna tra le gerarchie ecclesiastiche, a disorientare la vecchia leva cattolica che sapeva alzarsi in piedi e dire il suo no sofferto ai vescovi. E’ un clima che descrivono improntato alla paura, al pessimismo sulla modernità, alla disciplina piuttosto che alla speranza. Alla fine, commentano, andrà come avvenne con il veto solenne ai contraccettivi: ci fu la diaspora silenziosa dei cattolici che regolavano in proprio (e continuano a farlo) le questioni sessuali [...]

L’amarezza dei cattolici del No. "Vince la Chiesa del silenzio"

Da Franzoni a Scoppola, i protagonisti del manifesto pro-divorzio giudicano la Nota della Cei L’ex abate di San Paolo: "Ripenso a Giovanni XXIII quando denunciava i profeti di sventura che vedono una aggressione in ogni novità"

di MARCO POLITI (la Repubblica, 30.03.2007)

ROMA - «Ho la sensazione - esclama Giovanni Franzoni - che i vescovi siano nel panico. La Chiesa ha paura. Ripenso a Giovanni XXIII, quando denunciava i "profeti di sventura", che vedono in ogni novità un’aggressione alla Chiesa».

Tra i veterani cattolici delle battaglie degli Anni Settanta per la libertà di voto e la laicità dello Stato (che allora si incarnava nella difesa della legge sul divorzio) regna un’atmosfera che è più di sconcerto che di indignazione. E’ l’atteggiamento di chi vede una macchina che sbanda e si chiede: «Ma dove stanno andando?». Perché una cosa hanno imparato i Cattolici del No. Veti, proclami, diktat pronunciati dalle autorità ecclesiastiche non hanno mai fermato l’evoluzione della società.

Franzoni, abate di San Paolo fuori le Mura, il 27 aprile del 1974 fu sospeso a divinis dal Vaticano perché perorava la causa della non abolizione della legge sul divorzio. «Non c’è solo - dice - la scorrettezza concordataria: i vescovi affermano di non fare politica e poi vogliono vincolare i parlamentari a respingere i Dico. Preoccupante è che da parte loro manchi una qualsiasi proposta in positivo». I ragazzi di oggi, spiega, scoprono l’eros a quattordici anni e si sposano dopo i trenta: «In mezzo che devono fare? Quale modello di relazionalità viene loro offerto dalla Chiesa? Si può continuare a predicare solo la castità?».

Pietro Scoppola, il professore dal temperamento così diverso dall’ex abate, faceva anche lui parte del cartello dei cattolici, che sfidarono la gerarchia ecclesiastica. «Il nostro No al referendum sul divorzio - racconta - aveva un senso preciso. Ritenemmo che il modello alto di matrimonio sacramentale non poteva venire imposto per legge ai non credenti. Sentivo rispetto per i cittadini che non condividevano le mie posizioni».

Oggi Scoppola scuote la testa. «E pensare - soggiunge - che per tanti anni i vescovi hanno condotto battaglie accanite contro il matrimonio civile e oggi se ne fanno difensori». Adesso ritiene che sia l’ora della riflessione. «C’è da capire dove si va con questi interventi? Sta maturando qualcosa di nuovo e bisogna meditare più che reagire emotivamente».

Chi come Ettore Masina è uno dei firmatari dell’appello-Alberigo (che supplicava la Cei di non diramare ordini) ed è stato al tempo stesso uno dei primi firmatari dell’appello dei Cattolici per il No negli anni Settanta, risponde lapidariamente: «Provo desolazione. Tutto si ripete. La Chiesa che negli anni Cinquanta condannava i lettori dell’Unità e dell’Avanti. Poi Gedda che epurava dall’Azione cattolica Carlo Carretto e Mario Rossi, accusandoli di essere eretici e comunisti. Poi l’opposizione alla legge sul divorzio». Ogni volta la stessa cosa. Un blocco dall’alto.

«Questa Nota - dichiara Masina - nega il valore supremo dell’uomo: la libertà di coscienza. Certo che deve essere rettamente formata, meditando sul magistero ecclesiale, ma non si può enunciare un obbligo di comportamento in parlamento». Non si accorgono i vescovi che così si va al muro contro muro? «Vogliono Termopili perenni con gli Spartani cattolici contro i Persiani laicisti?».

E’ il clima difensivo, che regna tra le gerarchie ecclesiastiche, a disorientare la vecchia leva cattolica che sapeva alzarsi in piedi e dire il suo no sofferto ai vescovi. E’ un clima che descrivono improntato alla paura, al pessimismo sulla modernità, alla disciplina piuttosto che alla speranza. Alla fine, commentano, andrà come avvenne con il veto solenne ai contraccettivi: ci fu la diaspora silenziosa dei cattolici che regolavano in proprio (e continuano a farlo) le questioni sessuali.

«Chi decide: la coscienza o il magistero?», chiese a bruciapelo il cardinale di Milano Giovanni Colombo all’allora presidente delle Acli Domenico Rosati, quando scoppiò lo «scandalo» degli indipendenti cattolici che si presentavano nelle liste del Pci.

Era l’anno 1976 e le Acli si erano espresse in congresso per la libertà di voto degli aderenti. «Decide il magistero, eccellenza - replicò Rosati - che però dice che nessuno può andare contro la propria coscienza». Anche in quella stagione la Cei provò a minacciare para-scomuniche. Disse che quanti si candidavano con il Pci si «autoescludevano» dalla comunità ecclesiale. Un po’ come Ratzinger con la tesi della «coerenza eucaristica». Passata la tempesta, non successe niente. «Pratesi prendeva tranquillamente la comunione», conclude l’ex presidente aclista.

E torna la richiesta di una Chiesa dove il laicato possa discutere dei nuovi problemi apertamente. «Almeno un tempo si discuteva, si polemizzava, si occupavano persino le cattedrali... Oggi siamo scivolati nella Chiesa del silenzio e della prudenza, sembra quasi che non valga la pena di impegnarsi per la fede», conclude Raniero La Valle. Il dopo-Ruini deve ancora cominciare.


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