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L’arena della democrazia
di Derrick De Kerckhove (Avvenire, 06.01.2008)*
Oggi il rapporto tra natura e artificio è inverso: la natura diviene dipendente dall’artificio, mentre prima l’artificio era dipendente dalla natura. La scoperta del genoma è il momento metaforico, simbolico del rovesciamento del potere della natura sulla cultura: adesso la cultura regna sulla natura.
Oggi, con la fisica dei quanti, stiamo passando dal solido al liquido e quindi all’incerto, al precario, fino alla definizione della fisica come una disciplina non più basata sull’atomo e sulla gravità - la fisica di Newton - ma sul quantum, che è solido e liquido insieme, materia e movimento. In questa era l’informazione diviene la definizione della natura: non c’è più la terra, ma l’informazione sulla terra.
L’informazione diviene la base di tutto. Noi stiamo riversando la nostra conoscenza nella Rete, stiamo scambiando con lo schermo i nostri processi cognitivi. Assistiamo così alla trasmutazione della materia in qualcosa di immateriale, di digitale.
Nell’era del quantum l’osservato muta sotto l’effetto dell’osservatore. Così nel nostro futuro la storia cambia sotto la pressione dell’osservazione, del pensiero: se prima eravamo vittime della storia, oggi siamo capaci di fare storia. Sul piano dell’etico dobbiamo allora sapere che mondo vogliamo creare. L’etica allora si configura come un’etica del sentimento, delle attitudini, del pensiero e del cuore.
L’attitudine è un’energia creativa che cambia il mondo. A questo proposito ho creato un concetto nuovo: quello del santo elettronico, colui che ha l’aura elettronica, costituita da tutte le connessioni comunicative che collegano la persona al mondo e ad altre persone. La storia dell’aura è molto interessante, perché l’aura consiste nel suo progressivo sparire: prima circonda l’intero corpo, poi solo la testa, infine si sposta sopra la testa, per poi sparire. L’aura costituiva la dimensione di santità intorno alla persona santa e aveva un valore terapeutico: il contatto con il santo conferiva salute. L’aura è la dimensione tattile che sta fra la persona e il mondo, e oggi è così forte che crea una situazione nuova: la possibilità di essere tracciati e rintracciabili.
Siamo immersi in un ambiente di dati e informazioni. Le antiche teorie dei maghi sull’aura parlano di fili che possono essere rintracciati e tirati, esattamente come avviene oggi con l’aura elettronica nell’era di Internet.
Da Einstein in poi, spazio e tempo sono in relazione. A questo proposito mi rifaccio a Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione: nel mondo del quantum, nella meccanica quantistica, le cose non sono, ma tendono ad essere, diceva il fisico Erwin Schrödinger. Nella nostra concezione del tempo lineare o testuale il tempo è irreversibile e diviso in tre parti ben definite: passato, presente e futuro.
L’invenzione del passato e del futuro avviene con la scrittura alfabetica greca. Prometeo che porta il pensiero avanti ed Epimeteo che porta il pensiero indietro sono la rappresentazione della storia e della prospettiva. Nel mondo delle nuove tecnologie, che danno accesso istantaneo a tutta la conoscenza possibile tutti i tempi sono now, sono presente. Siamo nella fase dello spazio virtuale e del tempo reale. Siamo di fronte alla possibilità di duplicare la nostra vita.
Pensiamo a Second Life, un sito Internet che ci offre la possibilità di avere una seconda vita, oppure alla possibilità di essere interconnessi, che ci permette di moltiplicare il nostro tempo. Così non esiste più uno spazio unico, ma una simultaneità di spazi diversi, così come avviene, per esempio, in Windows, che ci dà la possibilità di aprire diverse finestre sullo schermo del nostro computer, su cui è possibile lavorare simultaneamente. La globalizzazione viene intesa di solito come un fenomeno economico. Ma io penso che non sia così: penso che fondamentalmente la globalizzazione sia prima di tutto un fenomeno psicologico. Per capirlo, dobbiamo rifarci al termine civismo, inteso nel senso della civis. Nella civis romana l’uomo ha responsabilità e privilegi, e appartiene così alla legge della città.
Il globalismo è l’estensione di tutto ciò alla dimensione del pianeta. Con l’avvento di Internet abbiamo una nuova forma di libertà, però questa nuova forma di libertà è minacciata. Ci sono infatti molti nemici della libertà di Internet: i virus, lo Stato, l’impresa. Si può sentire facilmente l’importanza capitale di Internet, che ha creato una speranza di libertà. Questa libertà è minacciata, ma non perduta.
Internet ha stimolato un desiderio di libertà e una conoscenza della libertà che non potrà mai cadere nell’oblio. La natura stessa di Internet è di essere libero, e fa parte della responsabilità dell’uomo moderno di lasciarlo libero. L’etica, nel senso di responsabilità a livello globale, può fondarsi sullo stesso principio che anima l’intelligenza connettiva, «una collaborazione che parte dal basso». È lo stesso principio che anima la rete. In questo momento ci sono tendenze di collaborazione in atto come Opensource oppure Wikipedia, che mettono in crisi, ad esempio, il controllo dell’industria classica. Potremmo tentare un rimando alla nozione di «pensiero debole» di Vattimo, che ritengo in questo momento molto interessante. Oggi si parla molto di «e-democracy», che comprende l’«e-government» e l’«e-consulting ». La democrazia partecipativa si esprime con la società civile. Penso che questo concetto hegeliano diviene sempre più pertinente oggi perché si tratta veramente di una dimensione globale.
Ad esempio il problema del surriscaldamento del pianeta è un problema di «e-democracy», non più nazionale, ma transnazionale e transculturale, è globale e glocale. L’«e-democracy» oggi non ha più una dimensione nazionale, ma si allarga al pianeta intero.
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«Etica del virtuale»: confronto a più voci
Sta per uscire in libreria il numero 4 dell’Annuario di etica, dedicato stavolta all’«Etica del virtuale» (edizioni Vita e pensiero) e curato da Adriano Fabris. Dall’Annuario anticipiamo alcuni brani dell’intervento del massmediologo canadese Derrick De Kerckhove, allievo di Marshall McLuhan, intitolato «Dal ’brainframe’ visivo al santo elettronico». Nel volume (pagine 200, euro 18) altri interventi di Adriano Fabris, Giovanni Ventimiglia, Klaus Müller, Ubaldo Fadini, Francesco Totaro, Edoardo Datteri, Roberto Diodato, Gianluca Nicoletti.
Sul tema del "santo elettronico", si cfr.:
il lavoro di GAETANO MIRABELLA,
DIECI PASSI PRIMA DELL’ETERNITA’(2004 - Scheda editoriale)
Sull’intera questione, dall’interno dell’orizzonte filosofico critico, si cfr.:
Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Roma, Antonio Pellicani editore, 1991,
in particolare il cap. Terzo della Terza parte - Le "regole del gioco" dell’Occidente e il divenire accogliente della mente:
[...] Senza equivoci: non siamo più né nelle taverne di Bacco e di Arianna, né nelle caverne a luci rosse. Siamo all’aria aperta: "io amo perfino le chiese e i sepolcri degli dèi, ma quando, con l’occhio suo puro, il cielo penetra dai loro soffitti in rovina: volentieri sto a sedere, come erba e rosso papavero, su chiese in rovina"(Nietzsche). Se volete, siamo a Nea-polis ... si sta suonando e cantando insieme a tanta bella gente,al sole e in mezzo al verde, When the Saints Go Marching In di Louis Armstrong.
Siamo semplicemte contenti: gli astronauti americani Armstrong, Aldrin e Collins (di origini italiane, così le cronache) ... ci hanno inviato la cartolina del pianeta. E la cosa è molto bella e importante. Addirittura anche Mr. Konner lo riconosce: "Se il programma spaziale non avesse dato alcun frutto (e spesso io faccio molta fatica a discernere che cosa ci abbia dato), gli dobbiamo essere grati per aver prodotto tale fotografia". Anch’egli guarda e sorride, guarda e sorride.... Nea-polis ... gli Azzurri [...] (pp. 188-189).
Federico La Sala, La Fenomenologia dello Spirito... dei “Due Soli”. Ipotesi di rilettura della “Divina Commedia”..
iCloud
Ci stiamo smaterializzando
Da Baudrillard a Vattimo a Virilio, ma il vero profeta è stato Lyotard negli Anni 80
di Marco Belpoliti (La Stampa, 09.06.2011)
“Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria», ha scritto Karl Marx e, come si sa, stava parlando dei movimenti rivoluzionari nati dalla borghesia a metà dell’Ottocento. Una previsione in anticipo sui tempi, senza dubbio, ma che coglie perfettamente il senso del cloud computing , la nuvola dove si addenseranno nel prossimo futuro le parole, le idee, i pensieri che produciamo ogni giorno attraverso le nostre tecnologie informatiche.
La tecnologia cloud in realtà è la realizzazione di un’altra previsione, quella di Jean Baudrillard che negli Anni Settanta aveva previsto l’evoluzione del capitalismo industriale dalla produzione di oggetti e merci alla produzione d’immagini, segni, in particolare sistemi di segni, perché tali sono gli smartphone che possediamo, affollati di icone o, come oggi si dice, di application . Paul Virilio in Estetica della sparizione (1980) aveva attribuito alle nuove tecnologie, allora ai primi passi, la smaterializzazione in corso del mondo e soprattutto la derealizzazione dell’esperienza. Anche Gianni Vattimo alla fine di quel decennio, segnato dal crollo del Muro, aveva celebrato in La società trasparente il dissolversi della pesantezza del mondo e la sua transizione in un universo alleggerito che oggi possiamo sintetizzare nell’immagine della nuvola gassosa gonfia d’informazioni e bit che galleggerà in modo virtuale sulle nostre teste.
Ma il vero profeta dell’universo informatico che abitiamo ogni giorno il nostro Paradiso e insieme l’Inferno del presente è Jean-François Lyotard che nel 1985 organizza al Beaubourg la mostra «Les Immatériaux»: un allestimento di reti metalliche, trasparenze leggerissime, tutto in grigio, in cui viene mostrata la fine della distinzione tradizionale tra materia ed energia, entità che si possono continuamente scambiare tra loro. Il denaro, non più ancorato all’oro da molti decenni, sta già migrando anche lui verso l’immaterialità pura, divenendo, sotto forma d’impulsi, parte sostanziosa del cloud ; la comunicazione è la parte centrale della blogosfera, come viene chiamata, sempre più simile alla nuvola di cui lo storico dell’arte Hubert Damisch ha dato una descrizione in Teoria della nuvola .
Di più: ciascuno di noi è oggi una entità evanescente, dai profili cangianti, a tratti grigia a tratti rosseggiante, o azzurra, che si collega con tutti gli altri senza più transitare per lo stato solido, il contatto fisico face to face . Dal solido al gassoso, come diceva Marx, passando per quello liquido, descritto da Zygmunt Bauman. A questi stati dobbiamo aggiungerne un altro, il plasma, possibile nuova metafora della ionizzazione dell’universo stesso.
La nuvola sostituisce perciò la metafora della «piattaforma», dominante fino a che la tecnologia ha avuto ancora bisogno di forme lamellari per rendere ragione della propria forma. Si può ben immaginare che questa entità gassosa, fusa o in stato continuo di sublimazione, ondeggi nell’aria creando un doppio del nostro mondo, un suo riflesso, un Alien, che farà di noi delle creature virtuali, copie di copie che fluttuano nell’Ultra-Web come tanti Truman Burbank che, invece di sbattere contro il fondale di cartone dello show in onda, lievitano alla ricerca della propria identità personale restituita, se tutto va bene, in tempo reale da un aggregato di bit.
INTERVISTA
de Kerckhove: Così Chesterton «convertì» McLuhan
di Lorenzo Fazzini (Avvenire, 7 giugno 2011)
«McLuhan? All’inizio l’hanno snobbato in tanti, mentre è fortissima la sua componente cattolica. Quest’anno, per il suo centenario, nel mondo si celebrano oltre 250 convegni a lui dedicati, pure in Cina e Corea. Il web? Va regolamentato ma, come dimostrano le rivolte arabe, la Rete è via di libertà, come lo fu la stampa nel Rinascimento». Derrick de Kerckhove, uno dei massimi massmediologi al mondo, spazia tra Onda verde, Chesterton e Facebook. Intervenuto ieri al Festival della comunicazione di Padova con una lectio su "Il volto e la maschera: potere e sapere nella società in rete", il docente dell’Università di Toronto promuove l’atteggiamento della Chiesa verso i nuovi media.
Un secolo fa nasceva il suo maestro Marshall McLuhan. Il suo pensiero è stato interpretato in maniera contraddittoria: "un antimoderno" e un guru dei nuovi media. Quale il "vero" McLuhan?
«Entrambi. Lui era completamente contrario ai cambiamenti operati dai mezzi di comunicazione. Da vero letterato, vedeva il diavolo dentro i media, li considerava la causa di un’imminente perdita dell’identità privata dell’individuo (io non ero sempre d’accordo con lui...). Egli però era soprattutto un osservatore. Solo dopo l’uscita de <+corsivo_bandiera>La sposa meccanica<+tondo_bandiera> il suo è diventato un giudizio morale. All’inizio aveva solo la volontà di capire. Certo, ad un punto in lui è prevalso il sentimento sintetizzabile nello slogan "Fermate il mondo, voglio scendere". Ma in realtà McLuhan voleva osservare e farlo con ironia, alla maniera di Nietzsche».
In quali aspetti la fede cattolica di McLuhan ha inciso nel suo pensiero?
«Un giorno un giornalista lo ha intervistato nel suo studio all’Università di Toronto. E a ad un certo punto gli ha chiesto cosa fosse quella cosa sul muro. "Un crocifisso" fu la risposta. E il reporter: "Ma lei non sarà cattolico?". E lui: "Della peggior specie, un convertito". Proveniva dall’anglicanesimo. Tutto risaliva al suo incontro con Chesterton: un giorno, con il suo amico Tom Easterbrook (in futuro un noto economista) entrarono in un negozio di libri usati. Dopo un’ora ne uscirono con un volume ciascuno: McLuhan aveva in mano un saggio sul distribuzionismo, Easterbrook invece Ciò che non va nel mondo del grande scrittore inglese. Se li scambiarono. E quello scambio determinò le carriere di entrambi. McLuhan era convinto che non sono le teorie e i concetti che cambiano la mente delle persone, bensì la percezione. Diceva: "Nella Chiesa non si entra con dei pensieri in testa, ma in ginocchio". Su questo era un vero artista, che puntava sull’importanza delle percezioni piuttosto che sul primato dei concetti».
Lei è considerato uno dei grandi interpreti del mondo digitale. Questo 2011 è segnato dalla Primavera araba che ha avuto come "ingrediente" decisivo l’uso della Rete. Internet come esperienza che fa democrazia reale?
«Nel Rinascimento la diffusione di scrittura e stampa favorì la separazione del potere temporale da quello spirituale. Quel fenomeno durò duecento anni (con relative guerre di religione ...), il tempo in cui la gente che sapeva scrivere, leggere la Bibbia e interpretarla iniziò a decidere del proprio futuro. Oggi, per la prima volta, proprio tramite la Rete, la gente può intervenire in tempo reale su quello che succede. Finora questo avveniva solo in modo mediato attraverso la politica. Tutto questo ha un peso decisivo nel contesto islamico, visto che la scrittura araba (come quella ebraica) è un tutt’uno con il suo messaggio: nel caso dell’arabo ci deve essere una persona per completare oralmente lo scritto. Dunque, se nella scrittura alfabetica esiste uno stacco tra chi scrive e il messaggio del testo, in arabo questo non avviene. Con la Rete le popolazioni arabe, e in particolare i giovani, si sono ripresi per la prima volta il potere della parola».
Quando va segnato questo punto di svolta?
«Decisivo è quanto accaduto con l’Onda verde in Iran nel 2009. In quell’occasione la società araba si è resa conto che qualcosa andava cambiato: perché - si chiedevano i giovani - bisogna studiare all’università per poi finire a guidare i taxi?».
Il filosofo Roger Scruton critica chi accusa Facebook di "manipolare i giovani". Lei come la vede?
«Io odio Facebook. Perché ha la pretesa di essere padrone delle mie immagini, delle mie informazioni e della mia e-mail. Esso causa la perdita dell’autonomia personale. Ora in Italia e in Francia, finalmente, si discute della sua regolamentazione, così come, a mio giudizio, vanno riviste i parametri di Google. In particolare va salvaguardato il diritto all’oblio dell’individuo».
Di recente il Vaticano ha organizzato un incontro con centocinquanta blogger di tutto il mondo. Quell’evento, in poco tempo, ha generato quattoridici milioni di pagine web. Come giudica il rapporto tra nuovi media e la Chiesa?
«Giovanni Paolo II è stato il pontefice della televisione: ha capito l’importanza del rapporto con il mezzo tv. Benedetto XVI, se all’inizio dava l’idea di essere molto conservatore, si è dimostrato - anche grazie a bravi consiglieri - molto avanzato: è andato fino su YouTube! Posso confidarle un sogno? La santità di domani, a mio giudizio, avrà molto a che fare con la trasparenza. Immagino una webcam che segua il Papa in tutta la sua giornata: lui potrebbe farlo perché è una persona davvero notevole!».
Lorenzo Fazzini
Cause dei santi, più rigore nella fase diocesana Nuova «Istruzione» dalla Congregazione vaticana
S’intitola «Sanctorum Mater» il documento che vuole salvaguardare la serietà delle inchieste nelle Chiese locali
di GIANNI CARDINALE (Avvenire, 10.01.2008)
Si intitola Sanctorum Mater (Madre dei Santi) la nuova «Istruzione per lo svolgimento delle inchieste diocesane e eparchiali nelle cause dei santi». Si tratta di un documento di 46 pagine pubblicato all’interno del terz’ultimo fascicolo del bollettino ufficiale della Santa Sede, gli Acta Apostolicae Sedis, diffuso prima di Natale con la data 1° giugno 2007 (pp. 465-510). L’Istruzione, emanata dalla Congregazione delle cause dei santi e firmata dal cardinale prefetto José Saraiva Martins e dell’arcivescovo segretario Michele Di Ruberto, è stata approvata da Benedetto XVI il 22 febbraio 2007 e porta la data del 17 maggio successivo.
Il documento, pubblicato in lingua italiana, si sviluppa in una Introduzione seguita da 150 paragrafi e da un appendice di altri 15 articoli dedicati alla «Ricognizione canonica delle spoglie mortali di un servo di Dio» (dove tra l’altro si descrivono le procedure da seguire per il trasferimento delle reliquie).
I contenuti dell’Istruzione riflettono quanto auspicato da Benedetto XVI nel suo Messaggio ai partecipanti alla Sessione plenaria della Congregazione che si era tenuta nell’aprile 2006 e che aveva come primo tema all’ordine del giorno proprio un documento che salvaguardasse una fedele applicazione delle Normae servandae in inquisitionibus ab Episcopis faciendis in Causis Sanctorum (Norme da seguire nell’inchiesta diocesana) emanate nel 1983 dal medesimo dicastero vaticano «al fine di salvaguardare la serietà delle investigazioni che si svolgono nelle inchieste diocesane sulle virtù dei Servi di Dio oppure sui casi di asserito martirio o sugli eventuali miracoli ».
«Le cause - ribadì nell’occasione Benedetto XVI - vanno istruite e studiate con somma cura, cercando diligentemente la verità storica, attraverso prove testimoniali e documentali omnino plenae (del tutto complete, ndr), poiché esse non hanno altra finalità che la gloria di Dio e il bene spirituale della Chiesa e di quanti sono alla ricerca della verità e della perfezione evangelica. I pastori diocesani, decidendo coram Deo (di fronte a Dio, ndr) quali siano le Cause meritevoli di essere iniziate, valuteranno anzitutto se i candidati agli onori degli altari godano realmente di una solida e diffusa fama di santità e di miracoli oppure di martirio». «Tale fama - continuava il pontefice - che il Codice di Diritto Canonico del 1917 voleva che fosse ’spontanea, non arte aut diligentia procurata, orta ab honestis et gravibus personis, continua, in dies aucta et vigens in praesenti apud maiorem partem populi’ (can. 2050, § 2), è un segno di Dio che indica alla Chiesa coloro che meritano di essere collocati sul candelabro per fare ’luce a tutti quelli che sono nella casa’ (Mt 5,15)». «È chiaro - concludeva papa Ratzinger - che non si potrà iniziare una Causa di beatificazione e canonizzazione se manca una comprovata fama di santità, anche se ci si trova in presenza di persone che si sono distinte per coerenza evangelica e per particolari benemerenze ecclesiali e sociali ».
Nell’Istruzione le autorevoli indicazioni pontificie sono state ovviamente puntualmente eseguite. Tanto che il citato canone del Codice pio-benedettino è diventato quasi alla lettera il comma 2 del paragrafo 7: «La fama (di santità o di martirio, ndr) deve essere spontanea e non artificiosamente procurata. Deve essere stabile, continua, diffusa tra persone degne di fede, vigente in una parte significativa del popolo di Dio». Il documento, diviso in sei parti, descrive minuziosamente tutti gli atti che le diocesi devono seguire per iniziare e portare a termine la fase diocesana del processo di beatificazione. Nella prima parte si ricorda, come già visto, la necessità dell’esistenza di una autentica fama di santità per iniziare il processo e si spiegano le figure dell’attore, del postulatore e del vescovo competente della causa. Nella seconda parte si descrive la fase preliminare della causa che arriva fino alla concessione del Nulla Osta della Congregazione vaticana. Nella terza si parla dell’Istruzione della causa. Nella quarta delle modalità da seguire nella raccolta delle prove documentali e nella quinta di quelle ’testificali’ (in questa sezione c’è anche un capitoletto dedicato all’«utilizzo del registratore e del computer»). Nella sesta infine si indicano le procedure per gli atti conclusivi dell’inchiesta diocesana.
Nell’Introduzione alla Sanctorum Mater si spiega che tra i fini dell’istruzione, oltre a quello di mettere a punto elementi procedurali riguardanti le inchieste sui miracoli che negli ultimi vent’anni si sono dimostrati «problematici nell’applicazione », c’è quello di salvaguardare la «serietà delle inchieste» diocesane in genere. Esigenza che è stata confermata dal cardinale Saraiva Martins nell’intervista concessa all’Osservatore romano di ieri laddove ha ribadito che nelle cause di beatificazione è «necessario procedere con ancor maggiore cautela e con più accuratezza». Intervista che è stata ben sintetizzata nel titolo: «Sarà chiesto più rigore nei processi diocesani di canonizzazione».
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