La politica del pancione
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 7/9/2008)
D’un tratto in politica s’accampa un Nuovo che scompiglia ogni cosa, che promette addirittura di ricominciare il mondo. Il Nuovo è il corpo del candidato, e non del solito candidato ma del candidato-donna. E neppure di una donna che ha speciali esperienze: quando i giornali americani scrivono che con Sarah Palin «è nata una stella» alludono a un candidato forte perché enormemente simile a tutte le donne e alla loro vita quotidiana, fatta di tanti bambini, tante famiglie accidentate. È la prima volta e questa formula («È la prima volta») ha le virtù d’un mantra: è un cumulo di sillabe che protegge con magica efficacia.
Tutto sembra tramutarsi in mantra, non appena sul palcoscenico fa irruzione la biologia femminile: non intercambiabile con quella dell’uomo, perciò primeva, inaugurale. Nel rifare il mondo, la donna può anche ricorrere all’arma suprema, all’atomica che dissuade l’avversario azzittendolo. Mette in mostra, modernamente disinibita, quel che ancor ieri era intimo: la pancia incinta, dunque il rapporto primordiale con la vita e la morte. Giacché questa è la politica al grado zero: vita o morte, pace o guerra, tutto o nulla. Nella favola di Esopo erano le membra del corpo che si ribellavano alla pancia oziosa. Adesso fa secessione la pancia, reclama il primato assoluto.
C’erano una volta due corpi del Re - accadeva nelle monarchie medievali descritte da Kantorowicz negli Anni 50: il corpo mortale e quello eterno, santo, che raffigura l’istituzione e la Corona e s’incarna in questo o quel re. Ora s’aggiunge un terzo corpo: la pancia incinta che la donna politica, non senza cinismo, eleva come trofeo. La pancia della diciassettenne Bristol, figlia della candidata alla vice presidenza. O la pancia del ministro della giustizia Rachida Dati, in Francia. Un mistero circonda quasi sempre il Terzo Corpo. Il padre è figura secondaria: trascurabile nel caso di Bristol Palin, incerta per Rachida Dati. Il Mondo Nuovo non appartiene ai padri. In questi giorni in America è nata una santa, oltre che stella: il ventre immemorialmente è benedetto. Il corpo politico, chiamato per secoli body politic perché paragonato all’organismo umano, diventa body e null’altro, senza più i parafernali della politica.
In realtà quest’irrompere del corpo non è nuovo. Accadde all’inizio del ’900, quando si cominciò a paragonare le virtù dello sportivo con quelle dell’intelligenza o dello spirito. Robert Musil costruisce un romanzo su questa scoperta: improvvisamente l’Uomo Senza Qualità s’accorge che lo spirito del tempo (lo spirito della comunità) esalta il corpo come la cosa più autentica dell’uomo. Ulrich lo annuncia a Diotima, la cugina borghese che di autenticità è insaziabilmente affamata: «Dio, per ragioni che non ci sono ancora note, sembra aver inaugurato un’epoca della cultura del corpo; perché l’unica cosa che in qualche modo sostiene le idee è il corpo, cui esse appartengono». Aprendo il giornale, un mattino, Ulrich s’imbatte sulla vittoria di un «geniale cavallo da corsa». Il corpo (animale o femminile) ha occupato l’intera scena, divorando la genialità letteraria o politica: è diventato totem, simbolo soprannaturale in cui il clan si identifica. Basta dire corpo di donna ed è Mondo Nuovo, Moderno. Non importa quel che la donna fa: conta l’apparire corporeo, con cui il suo essere coincide perfettamente specie quando la pancia ne è sintesi e apoteosi.
Eventi simili non cadono dal cielo. Hanno antecedenti. In principio c’è un ammalarsi della politica, della democrazia, non per ultimo dei mezzi di comunicazione. Basta sfogliare i giornali, non solo in America, e si vedranno analoghe fatali attrazioni per ciò che è considerato autentico nell’uomo politico. In Italia non avremo forse l’infame curiosare su una diciassettenne incinta, ma lo spazio è egualmente invaso dal gossip, dalla cronaca rosa oltre che nera. Perfino la critica letteraria è spesso solo rosa. Attrae il privato dei politici, in particolare se donne. Si fruga nelle loro vite, nelle pance, come i rotocalchi che spiano divi e sportivi. Da tempo diminuiscono i giornalisti che indagano su altro che questo, con la stessa continuità. In Francia questa metamorfosi si chiama pipolisation: dai rotocalchi people emulati da giornali e tv. Il fenomeno concerne inizialmente sia uomini che donne. Sarkozy ha sfoggiato i propri matrimoni. Ancor prima s’è distinto Berlusconi: il corpo, i capelli, la prestanza fisica sono stati sue sciabole. I giornali si sono adattati al gusto del tempo, al finto realismo che inghiotte il reale.
La donna in politica tende a impigliarsi nella pipolisation: non fosse altro perché viene presentata come nuova e migliore in sé, a prescindere da quello che fa o pensa. Ségolène Royal era ineguagliabile in quanto donna, Hillary Clinton è caduta nella stessa trappola e ora si trova davanti la nemesi che è Sarah Palin. In Italia non è diverso. Di recente, Veltroni s’è augurato un direttore nuovo all’Unità. Non s’è soffermato sulla bravura o non-bravura del direttore Antonio Padellaro, sulla nuova linea che auspicava, sulla vecchia che esecrava. S’è limitato a proferire il mantra, lo scorso 25 maggio sul Corriere della Sera: «Ci vorrebbe una donna alla direzione dell’Unità». Senza spiegare in cosa consistesse l’ancien régime, disse che la rivoluzione era questa. Qualcuno ha commentato, con saggezza: Padellaro era un uomo, purtroppo.
McCain è tutt’altro che maldestro. Adopera la crisi della politica, della democrazia, dei media. Sa di poter contare sull’estensione del gossip, della cultura del corpo. La pancia della povera figlia di Sarah Palin e il corpo del neonato down ostentato nella campagna portano voti, perché riaccendono la guerra culturale che il populismo di destra conduce contro la presunta egemonia della sinistra. Gli studiosi George Lakoff e Thomas Frank denunciano da tempo, in libri e articoli, la fuga della destra nel falso realismo dell’autenticità e nel risentimento dei piccoli verso i forti. È una destra che s’è impossessata di molte bandiere di sinistra: la discriminazione delle piccole città, della povera gente, di chi «non è stato cooptato dall’élite cosmopolita», infine delle donne.
Obama è considerato elitario, cooptato: quindi cosmopolita, non genuinamente americano. Palin invece incarna il nuovo valore dell’Autenticità ed è contro tutte le élite, specie mediatiche. Alla convenzione repubblicana ha entusiasmato: «Ecco una notizia flash per tutti i reporter e commentatori - ha gridato -: vado a Washington non per strappare la loro buona opinione. Vado a Washington per servire il popolo di questo Paese. Non sono parte dell’establishment politico. In questi giorni ho presto imparato che se non sei parte dell’élite, alcuni media non ti considereranno il candidato qualificato». Il politico più seduttore oggi è un maverick: un cane sciolto, una personalità più che una persona. McCain è maverick e anche Sarah Palin perché - così pare - la donna in quanto tale ieri era mobile e oggi è maverick.
La vecchia guerra contro la sinistra dominatrice riprende, e permette a McCain di fingersi nuovo pur continuando Bush. Ma è guerra assai temibile, ricorda Lakoff su Huffington Post: i repubblicani la maneggiano perfettamente da quando Nixon, nel ’69, convocò la maggioranza silenziosa contro il Sessantotto. È guerra che seduce giornali e intellettuali; che ha fatto vincere Reagan e Bush jr. Viene rispolverata ogni volta che i repubblicani, pur di non evocare quel che hanno fatto, si gettano su valori che dividono la sinistra e la intimidiscono sino a incastrarla (famiglia, aborto). Anche l’uso delle donne serve a tale scopo. Se attacchi Sarah Palin sarai accusato di sessismo ed è massima ingiuria. Forse la candidata inciamperà; son numerose le sue azioni passate non pulite. Ma finché resta un totem è vincente, e inattaccabile.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
11 settembre , sette anni di paura 9/11
Sogni di coppia, l’Addormentata si risveglia
Dall’attentato alle Twin Towers gli Usa sono piombati in una mentalità in cui chiunque può diventare nemico. Ma le vittime più numerose sono sono state le libertà civili, le garanzie democratiche, la privacy. E la guerra in Iraq è stata rimossa
di Ida Dominijanni (il manifesto - 11 settembre 2008)
Che colori la bocca di un pitbull, come secondo Sarah Palin, o di un maiale, come secondo Obama (e Mac Cain, che aveva usato la stessa espressione all’indirizzo di Hillary Clinton un anno fa), il rossettosimbolo dell’ultima fase delle presidenziali americane ha una sua storia che risale al crollo delle Torri Gemelle.
Fu all’indomani dell’11 settembre, secondo Susan Faludi, che gli esperti di makeup proclamarono «il ritorno del rossetto rosso» come segno di femminilità e di vitalità, completando con questo sigillo il riassetto dei ruoli sessuali e del rapporto fra sfera pubblica e focolare domestico operato nell’immaginario americano da un’offensiva mediatica senza precedenti. Obiettivo, farla finita con il femminismo, reo di aver attaccato e delegittimato la virilità dura e pura; risvegliare dal sonno la Bella addormentata, ossia la femminilità tradizionale, in versione «security mom»; riabilitare il mito del cow boy in versione «eroe in guerra contro il terrore». L’impresa richiedeva molti mezzi e tutti sono stati impiegati: giornali, televisioni, sondaggi, copertine di settimanali, sceneggiature di film.
Ci volevano la penna, l’acume e l’ironia di Faludi - già sperimentati nei suoi precedenti libri sul Contrattacco degli anni 80 alla rivoluzione femminile dei 70 e sulla crisi della mascolinità americana negli anni 90 - per smascherare l’operazione smontandola pezzo per pezzo, ed è quello che l’autrice ha fatto in The terror Dream ( Il sesso del terrore, Isbn), aggiungendo alla letteratura sugli effetti dell’11 settembre un tassello cruciale e rimosso. La «guerra simbolica» ingaggiata all’interno degli Usa per ripristinare il mito dell’inviolabilità perduta con l’attacco alle Torri, sostiene Faludi, non poteva essere combattuta senza una controrivoluzione del rapporto fra i sessi, che rilanciasse «il vero uomo» al centro della scena pubblica e contemporaneamente rimettesse al suo posto, cioè a casa o comunque nel ruolo della vittima debole, bisognosa di protezione e generosa di nutrimento per l’eroe, la «vera donna». Fu del resto il modo stesso del crollo delle Torri, prima l’una poi l’altra, a suggerire fra le altre fantasie anche quella di un paradiso romantico perduto da ritrovare. In quel crollo, che in verità pareva alludere semmai a un crollo della fallicità, ci fu chi vide invece «la fine di una coppia sposata da molto tempo», che bisognava a tutti i costi rimettere in sesto.
Cominciarono le campagne sull’improvviso desiderio di sposarsi che prendeva i newyorkesi e contagiava gli head-liner di Hollywood, sulle single pentite, sulle gioie della famiglia e su un nuovo baby boom in arrivo. La Bella addormentata si risvegliava a poco a poco dal sonno in cui era precipitata negli anni 60-70: era ancora, anzi di nuovo, bella, accomodante, dipendente e col rossetto rosso. Per svegliarla del tutto, era necessario levarsi di torno chi l’aveva narcotizzata. Appena pochi giorni dopo l’attentato, «i media suonarono la campana a morte per il femminismo: alla luce della calamità nazionale, il movimento delle donne era diventato ’limitato’, ’frivolo’, ’un lusso che non ci si può permettere’, ed era ’giunto alla sua Waterloo"» (come del resto il post-modernismo, il sogno tecnologico e molte altre stregonerie dei decenni precedenti). Di più: era colpevole di avere «effeminato» l’America, dunque in sostanza di averla resa vulnerabile comportandosi come una quinta colonna. Dopo i morti del Wtc, era ora di tornare a «lottare per la vita», cioè contro l’aborto, e di somministrare una cura ricostuente alla virilità, usando all’uopo l’eroismo dei pompieri e dei marines, e infilando le donne nella parte delle «vedove dell’11 settembre» bisognose di sicurezza e di guardiani della sicurezza. «Quando un attacco causa un parossismo culturale che non ha niente a che fare con l’attacco stesso; quando reagiamo a minacce reali distraendoci con minacce immaginarie alla femminilità e alla famiglia; quando investiamo i nostri leader di una virilità da cartone animato, dovremmo sapere che stiamo mostrando i sintomi di una sofferenza culturale letale, sebbene curabile», conclude Faludi. Ma adesso è più chiaro quale sia la posta in gioco del confronto fra due figure femminili come Hillary Clinton e Sarah Palin che le presidenziali hanno messo in scena. Ed è anche più chiaro a quale nostalgia di coppia attinga il tandem Palin-Mac Cain.
Palin, quell’offesa al figlio down
di Ileana Argentin *
Che vergogna! La nuova lady di ferro al seguito di McCain, Sarah Palin, nella convention repubblicana di giovedì, pur di ottenere consenso ha "utilizzato" il proprio figlio down esibendolo alla folla.
Sono senza parole, per chi come me e tanti altri combatte ogni giorno per il riconoscimento dei diritti d’uguaglianza e le pari opportunità, nel vedere uno splendido bimbo down trasformato in un trofeo contro l’aborto in una carmesse politica.
L’America continua a far finta, da troppo tempo, che al suo interno non ci sono differenze, e che tutti gli uomini e le donne sono uguali, ma purtroppo così non è.
La civiltà di un popolo si misura, secondo me, dalla presa di coscienza e dall’accettazione delle differenze, riconoscendo a queste limiti e patrimoni. Il gesto della Palin è offensivo per milioni di madri che da sempre seguono i loro figli con handicap, con dignità e rispetto.
Amare un proprio figlio "per quello che è" diviene una ricchezza acquisita e non un sacrificio da mostrare.
L’aborto terapeutico è una grande conquista con il quale fanno i conti tutte quelle donne che non hanno salute, agiatezza economica né strumenti per fare la guerra al mondo. È inutile da parte della lady di ferro cercare di dimostrare che la vita è bella per forza...lo sappiamo.
Questa società, però, non è pronta ad accoglierci con grande entusiasmo, i servizi costano e così le pensioni d’invalidità, certo, chi se ne frega, noi le battaglie le continueremo a fare, ma da disabile,sia pur deputata, vorrei dire alla Palin: "ma come ti permetti!Lasciaci in pace, noi siamo sereni ma non scemi al punto di voler stare nelle mani di altri, soprattutto se queste sono le tue. Ed ancora, ti ribadisco che io sono felice e non vorrei cambiare la mia esistenza con la tua. Non voglio essere maestra di vita per nessuno, ma impara a riconoscere alle altre donne la libertà di scegliere e solo allora potrai pensare di essere un buon politico e una madre solidale. Grazie comunque per avermi dato un altro motivo per credere ancora di più nel Partito Democratico e in Obama".
* l’Unità, Pubblicato il: 07.09.08, Modificato il: 07.09.08 alle ore 8.28
Chi è per la vita e contro la cultura della morte non può che essere a favore di questa splendida donna !
La demonizzazione della governatrice dell’Alaska da parte dei media americani la conosciamo tutti, mentre dei legami di Obama con alcuni suoi amici molto discutibili non se ne parla proprio (o molto poco).
La verità è che in campo democratico si ha paura di questa donna, nella quale la maggior parte degli americani si rispecchia.
L’articolo dell’Argentin ne è una conferma e la sua faziosità, lampante !