Alla vigilia dell’anniversario della Liberazione, Giorgio Napolitano ha ricordato che lo spirito della Resistenza vive nella nostra Costituzione, nei valori universali di libertà che esprime e ciò spiega perchè la ricorrenza del 25 aprile è una festa che tutti gli italiani devono celebrare con spirito di unità. La lotta di liberazione, ha aggiunto il capo dello Stato, fu vissuta con lo stesso animo con cui oggi partecipiamo alle missioni internazionali di pace, missioni che dobbiamo continuare a svolgere nonostante le ristrettezze di bilancio.
«Il messaggio, l’eredità spirituale e morale della Resistenza, della lotta per la liberazione d’Italia - ha detto il presidente della Repubblica - vive nella Costituzione, Carta fondante della Repubblica, pietra angolare del nostro agire comune e della nostra rinnovata identità nazionale. In essa possono ben riconoscersi anche quanti vissero diversamente gli anni 1943-45, quanti ne hanno una diversa memoria per esperienza personale o per giudizi acquisiti». Alla cerimonia solenne al Quirinale hanno preso parte i ministri dell’Interno, Roberto Maroni, e della Difesa, Ignazio La Russa, e le rappresentanze delle Associazioni Combattentistiche, d’arma e partigiane.
Ieri in Val Sangone Napolitano aveva riaffermato il ruolo «determinante» delle formazioni partigiane, che non si può disconoscere. Oggi ha messo l’accento sulle altre componenti fondamentali: quella popolare e soprattutto quella militare. È doveroso dire che «anche i militari» dopo l’8 settembre 1943 diedero un «apporto essenziale» alla liberazione dell’Italia, combattendo contro gli occupanti tedeschi o unendosi ai partigiani. Il capo dello Stato ha citato l’odissea, per molti senza ritorno, di centinaia di migliaia di militari italiani deportati e internati nei lager nazisti, e l’impegno d’onore di altre migliaia di militari che subito dopo l’armistizio confluirono nelle rinate Forze Armate per liberare l’Italia dall’occupazione militare tedesca.
Domattina Napolitano renderà omaggio proprio a questi ultimi, recandosi in un luogo simbolo: Mignano Monte Lungo, nell’alto Casertano, dove il 27 settembre 1943 nacque il Primo Raggruppamento Motorizzato dell’Esercito italiano (poi confluito nel Corpo Italiano di Liberazione) al comando del generale Umberto Utili. Ne fecero parte militari di tutta Italia. Al comando del generale Vincenzo Dapino, il Raggruppamento combatté contro i tedeschi coordinandosi con le truppe Alleate guidate dal generale americano Geoffrey Keyes, per sfondare la Linea Gustav nella zona strategica di Cassino. Napolitano renderà onore ai caduti di quelle battaglie.
Oltre a ricordare i caduti e i fatti, ha detto Napolitano, occorre «riflettere sull’insegnamento fondamentale e ricorrente» di quegli anni, che è ancora attuale, e che consiste nel «rifiuto di ogni forma di sopraffazione e di violenza e di conseguenza il ripudio dell’indifferenza e dell’ignavia di fronte all’offesa recata alla dignità dei popoli, ovunque e comunque si compia». Un ripudio decretato di fronte «alle conseguenze che l’arbitrio e l’oppressione, come facemmo esperienza negli anni della dittatura fascista e dell’occupazione nazista, producono ineluttabilmente: sofferenza, sottosviluppo, distruzione guerra...».
Nel corso della cerimonia sono state conferite Medaglie d’Oro al Merito Civile alle Province di Genova e di Forlì-Cesena. «È un doveroso riconoscimento - ha detto Napolitano - a popolazioni che reagirono con fermezza ad angherie, deportazioni, stragi infami e distruzioni.». La lotta di Liberazione, ha concluso Napolitano, fu fatta con enormi sacrifici e oggi «il nostro ricordo e il nostro omaggio si unisce all’impegno a non ripetere gli errori del passato».
Che sia una festa condivisa da tutti è anche l’auspicio di molti esponenti politici. Anche di destra. «Un’Italia normale? Forse è arrivato il momento se, anche da destra, soprattutto da destra, si comincia a pensare, con convinzione, senza infingimenti, che i partigiani sono stati buoni italiani. Che la resistenza è stata roba di patrioti. E non di traditori». Così Ffwebmagazine, periodico online della Fondazione Farefuturo presieduta da Gianfranco Fini, motiva la decisione di dedicare un’edizione speciale al 25 aprile.
A spegnere le polemiche dei giorni scorsi contribuisce lo stesso Ignazio La Russa, ministro della Difesa, che oggi ha sottolineato il «significato unitario particolare della cerimonia di oggi, che contribuisce a fare della data del 25 aprile una ricorrenza da tutti condivisa. Condivido e siceramente apprezzo quanto detto da Napolitano». Sulla stessa linea il leghista Roberto Maroni: «Il 25 aprile non può essere cancellato» perchè «stabilì dei valori comuni che ancora oggi condividiamo». Ragione per cui «bisogna onorare quegli uomini e quelle donne che a prezzo della loro vita ci hanno consegnato un’Italia libera e democratica».
«Questo 25 aprile deve essere di svolta, la Liberazione deve essere un valore condiviso» ha invece commentato il sindaco di Roma Gianni Alemanno. «Il dato di fondo - ha spiegato Alemanno - è che la Liberazione è un valore condiviso proprio perché i combattenti furono persone di sinistra, comunisti, ma anche di destra e di centro, liberali e monarchici, ed è giusto che venga rivendicato. Lo stesso Berlusconi - ha proseguito - ha detto che domani deve essere la festa di tutti».
Di questo avviso anche l’esponente del Pd Massimo D’Alema che ha giudicato «giusto» che il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi abbia deciso di partecipare alle celebrazioni del 25 aprile. «L’anomalia era che non vi avesse mai partecipato da presidente del Consiglio», ha detto. «Non può che essere considerato un fatto positivo che finalmente vi partecipi». Tuttavia, ha tenuto a sottolineare, dietro la festa per la Liberazione c’è un «sistema di valori che è a fondamento della nostra democrazia e che è scritto nella prima parte della Costituzione». E «sul fatto che Berlusconi sia coerente con questi valori ho molti dubbi», ha aggiunto, «spesso non lo è nel suo comportamento e nelle sue scelte politiche».
Se, con un certo ritardo, anche la destra decide di partecipare al giorno della Liberazione, c’è ancora una frangia estrema che non si identifica in quei valori. In alcuni quartieri di Roma, alla vigilia del 25 aprile, sono apparsi alcuni manifesti a firma Militia (formazione di estrema destra) sui quali compare la scritta «Oltre il fascismo non c’è nulla». Su altri manifesti, sempre a firma Militia, si legge: «Foibe, via Rasella, Triangolo Rosso, questa è la vostra Resistenza. Onore ai Camerati del Rsi». I manifesti, che il sindaco ha promesso di rimuovere, sono apparsi al quartiere Appio, nella zona di Piazza Bologna ed anche nei pressi di via Tasso dove sorge il Museo della Liberazione.
Per l’associazione “Veneto Fronte Skinheads”, il 25 aprile «non è e non sarà mai la giornata di tutti gli italiani». Il movimento di estrema destra - in una lettera aperta - critica le dichiarazioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e definisce il 25 aprile «la festa di infami e traditori». «Nei giorni immediatamente prossimi a quell’infausta data, molti piangono i propri cari caduti per mano partigiana», si legge nella nota degli skinheads veneti, secondo i quali «solo la mistificazione storica accecata dall’ideologia politica può presentare certe infami gesta come azioni valorose». Il Fronte Veneto skinheads annuncia poi che come ogni 25 aprile si recherà sulla foiba di Basovizza «a commemorare gli italiani uccisi dalla liberazione».
* l’Unità, 24 aprile 2009
Ansa» 2009-04-25 11:03
25 APRILE: BERLUSCONI, PIETA’ ANCHE PER REPUBBLICHINI
ROMA - Sessantaquattro anni dopo, l’Italia celebra la Liberazione, quel 25 aprile del 1945 che segnò la fine dell’occupazione nazista. Una festa segnata quest’anno dalla tragedia del terremoto che il 6 aprile scorso ha sconvolto l’Abruzzo, provocando quasi trecento morti. Ed è proprio per questo che si svolgerà ad Onna - il paese simbolo del sisma, con 40 morti su 250 abitanti - una delle celebrazioni più significative alla presenza sia del premier Berlusconi sia dei leader dell’opposizione Franceschini e Casini. Ecco nel dettaglio le principali manifestazioni.
ROMA: Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accompagnato dalle più alte cariche dello Stato (il presidente del Senato Renato Schifani, quello della Camera Gianfranco Fini, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi) ha reso omaggio al Milite Ignoto, deponendo una corona di fiori all’Altare della Patria in occasione delle celebrazioni del 25 aprile. Nella capitale è in programma anche la tradizionale manifestazione organizzata da Anpi e studenti che partirà da Porta San Paolo e si concluderà a piazza Vittorio. Non ci sarà il capo dello Stato che, subito dopo l’omaggio al Milite Ignoto, si recherà al Sacrario militare di Monte Lungo, dove sono raccolte le salme di 974 caduti tra il 1943 e il 1945 provenienti dai vari cimiteri di guerra, per rendere omaggio simbolicamente al sacrificio di tutti coloro che sono morti per la Liberazione.
ALEMANNO, RINUNCIO A PORTA SAN PAOLO - "Purtroppo la Questura mi ha comunicato ufficialmente che i centri sociali hanno fatto una mobilitazione a Porta San Paolo contro la mia presenza, organizzandosi anche con forme di protesta e di contestazione molto violente. Come atto di responsabilità rinuncio ad andare a Porta San Paolo", ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno all’Altare della Patria.
BERLUSCONI, PIETA’ ANCHE PER REPUBBLICHINI - Fra partigiani e sostenitori della Repubblica di Salò "ci sono state differenze anche se la pietà deve andare a coloro che credendosi nel giusto hanno combattuto per una causa che era una causa persa". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi all’altare della Patria, rispondendo ad una domanda sulla proposta di legge per equiparare repubblichini e partigiani e su cui il presidente del Consiglio ha sottolineato di non aver opinioni in merito "in quanto - ha detto - non ci ho ancora messo la testa". "E’ un tema su cui non ho avuto modo di riflettere", ma è un argomento su cui "rifletteremo".
ONNA: Nel paese simbolo del terremoto alle porte dell’Aquila e che l’11 giugno del 1944 fu teatro di una strage nazista in cui furono uccise 17 persone, ci saranno in mattinata, tra gli altri, il premier Silvio Berlusconi, il segretario del Pd Dario Franceschini e quello dell’Udc Pier Ferdinando Casini. Prevista anche la partecipazione di alcuni funzionari dell’ambasciata tedesca: la Germania si è infatti offerta di ricostruire il paese.
FRANCESCHINI, NON EQUIPAPARE PARTIGIANI- REPUBBLICHINI - "Un conto è il rispetto umano ma non si può equiparare chi combatté dalla parte giusta e chi invece lottò per una causa tragicamente sbagliata". Il segretario del Pd, Dario Franceschini, in visita ad Onna, non condivide le parole di Berlusconi. "Lo dico anche per ragioni familiari - aggiunge -: mio padre partigiano ha sposato la figlia di un repubblichino. Un conto è la comprensione, altro è l’equiparazione, che non va fatta".
MILANO: Nel capoluogo lombardo è in programma la grande manifestazione nazionale, con un corteo che partirà alle 14,45 dai bastioni di Porta Venezia per concludersi in piazza Duomo. Già annunciate le presenze di Dario Franceschini, Niky Vendola e Roberto Formigoni. Dal palco parleranno invece il segretario della Cgil Guglielmo Epifani e il presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Non è escluso che alla manifestazione possa partecipare anche qualche esponente della maggioranza, oltre al presidente della Regione.
EMILIA ROMAGNA: Due le manifestazioni più importanti: a Marzabotto, teatro di un’altra strage nazista, dove ci sarà Pierluigi Bersani, e quella a Gattatico, in provincia di Reggio Emilia, dove c’é la casa dei fratelli Cervi. Per il Pd ci sarà Anna Finocchiaro.
LONDRA: La Liberazione si festeggerà anche all’estero. A Londra il neonato circolo dell’Anpi organizza nella sede dell’Inca-Cgil la proiezione del film "Senza Tregua".
Liberazione libertà e l’Italia di oggi
di Tobia Zevi (l’Unità, 29 aprile 2010)
Festa della «Libertà» e festa della «riunificazione». Con questi due termini il Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica hanno rispettivamente definito il 25 aprile appena trascorso, introducendo un punto di vista innovativo nelle celebrazioni. Ciò potrebbe di per sé essere considerato positivo: il rischio di queste manifestazioni, infatti, è soprattutto quello di trasformarle in rituali ripetitivi, stanchi, poco sentiti dalle persone. Le due parole introducono concetti diversi, che meritano una riflessione.
Perché «libertà» e non «liberazione»? Come è già stato notato da alcuni osservatori l’idea della liberazione implica una transizione, un movimento, una contraddizione. Ci si libera da qualcuno. Esattamente ciò che è avvenuto in Italia tra 1943 e 1945: una guerra civile, una lotta per il riscatto nazionale, molto sangue versato anche da chi aveva ragione, cioè i partigiani liberatori d’Italia insieme agli Alleati. Perdere questa dimensione storica, temporale, sofferta della nostra uscita dal nazi-fascismo significa rinunciare a comprendere davvero il senso di ciò che accadde, sia per esaltarne le pagine eroiche sia per ricordare gli errori che furono commessi.
Quanto all’idea della riunificazione, mi pare che oggi sia questa la chiave che restituisce il senso profondo della giornata. «Riunificare l’Italia» non vuol dire solamente accorciare la distanza scandalosa tra Nord e Sud, né soltanto individuare una «memoria condivisa» quando si discute della storia italiana. «Riunificare l’Italia», oggi, significa ricomporre i pezzi di un puzzle che rischia una disgregazione irrimediabile. Come? Integrando in maniera seria, lungimirante e umana donne e uomini che ogni giorno arrivano nel nostro paesi spinti dalla povertà o dalla guerra.
Provando a garantire a tutti i medesimi diritti e le stesse tutele, riducendo le moltissime ingiustizie cui si assiste quotidianamente.
Evitando che lungo tutta la penisola proliferino localismi ed egoismi di ogni genere, tanto che tutti sono d’accordo nel costruire parcheggi, ferrovie e centrali elettriche, purché non lo si faccia nella propria provincia. Ricucendo il solco che si è creato tra le persone comuni, le istituzioni e la politica, che rende il nostro paese ostaggio di una sfiducia endemica. In quest’ottica l’idea della riunificazione può davvero essere una chiave moderna e attuale per celebrare la Liberazione.
Perché occorre continuare a ricordare e a studiare un momento fondamentale della nostra storia, ma farlo impegnandosi a migliorare l’aspetto dell’Italia di oggi. Per impedire ai soliti quattro scalmanati col fischietto di essere, loro, i protagonisti di una festa di tutti.
25 APRILE
"Festa della riunificazione d’Italia"
Napolitano celebra la Liberazione
Il discorso del presidente della Repubblica alla Scala di Milano: parallelo tra Resistenza e Risorgimento. Commozione nel ricordo di Sandro Pertini. E cita Berlusconi un anno fa a Onna *
MILANO - "Il 25 aprile è non solo festa della Liberazione: è festa della riunificazione d’Italia". Nel 65° anniversario della Liberazione, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano traccia un’ideale linea di collegamento tra Risorgimento e Resistenza e liquida come "sghangherate battute" le polemiche sull’anniversario, il prossimo anno, dell’Unità d’Italia. "Quella unità", sottolinea il capo dello Stato nel suo discorso al teatro alla Scala di Milano, "rappresenta oggi, guardando al futuro, una conquista e un ancoraggio irrinunciabili".
Al suo arrivo, il presidente della Repubblica è stato accolto da una standing ovation di tutti i presenti, compreso il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Qualche fischio in platea alla stretta di mano tra i due.
A vent’anni dalla scomparsa, Napolitano ha dedicato un passaggio significativo del suo intervento a Sandro Pertini. "E’ stato un onore per l’Italia, un onore per la Repubblica, averlo tra i suoi presidenti", ha detto Napolitano, con la voce brevemente rotta per l’emozione. Il capo dello Stato ha esortato le istituzioni politiche ed educative "a far conoscere e meditare vicende collettive ed esempi personali che danno senso e dignità al nostro essere italiani" come appunto quello di Pertini. "Un impegno siffatto è mancato, o è sempre rimasto molto al di sotto del necessario", ha detto.
Dal presidente della Repubblica, anche una risposta indiretta alle polemiche sul ruolo dei combattenti italiani nella guerra di Liberazione: "Grande sollievo per la Liberazione ad opera di patrioti e partigiani", dice Napolitano citando il diario di Benedetto Croce. "Chi può negare che l’apporto delle forze angloamericane fu decisivo per schiacciare la macchina militare tedesca, per scacciarne le truppe dal territorio italiano che occupavano e opprimevano?", chiede il capo dello Stato. "Certamente nessuno, ma è egualmente indubbio che il generoso contributo italiano, contro ogni comodo e calcolato attendismo, ci procurò un prezioso riconoscimento e rispetto". Una replica anche al presidente della provincia di Salerno, Edmondo Cirielli 1, secondo il quale l’Italia fu liberata e salvata da un’altra dittatura, quella comunista, solo grazie agli americani. Celebrare la resistenza, ha chiarito il capo dello Stato, non significa tacerne "i limiti e le ombre".
Napolitano ha citato anche il discorso tenuto da Berlusconi un anno fa ad Onna, in Abruzzo. "Il nostro paese ha un debito inestinguibile verso quei tanti giovani che sacrificarono la vita per riscattare l’onore della patria ricordando con rispetto tutti i caduti senza che ’questo significhi neutralità o indifferenza. Si tratta in effetti", ha ribadito il presidente della Repubblica, "di celebrare il 25 aprile nel suo profondo significato nazionale. E’ così che si stabilisce un ponte ideale con il prossimo centocinquantenario della nascita dello Stato unitario".
Infine, l’ennesimo appello a "una comune assunzione di responsabilità" tra le forze politiche per superare i problemi che si sono venuti accumulando nei decenni dell’Italia repubblicana, talvolta per eredità di un più lontano passato. Occorre", ha concluso, "uscire dalla spirale di contrapposizioni indiscriminate".
* la Repubblica, 24 aprile 2010
COSTITUZIONE, LINGUA, E PAROLA ...
di Gustavo Zagrebelsky ( la Repubblica, 25.04.2010)
Le lettere dei condannati a morte della Resistenza non sono state scritte per venire in mano a noi che le leggiamo. Sono state concepite in un momento della vita che solo a pochi è dato di vivere.
Quel momento terribile e solenne della contemplazione attuale della propria morte, quando in lucidità e coscienza si è faccia a faccia con se stessi, spogliati di tutto ciò che non è essenziale. Esse sono indirizzate alla cerchia delle persone più vicine e care, in cui sono riposti gli affetti e da cui nascono e si alimentano le energie vitali che ci conducono ad agire nel mondo. Questi testi sconvolgenti parlano della morte freddamente disposta da esseri umani nei confronti di altri esseri umani e questi ultimi colgono negli ultimi istanti della loro vita, nell’attesa consapevole della fine. Ogni facoltà spirituale deve essere stata provocata fino all’estremo. La psiche non può essere sollecitata più di così, dicono coloro i quali, per un motivo inaspettato, sono scampati alla morte e hanno potuto rendere testimonianza. Le parole scritte in quelle circostanze, soprattutto quelle svuotate dall’uso quotidiano - amore, affetto, perdono, casa, papà e mamma - , dalla retorica politica - patria, onore, umanità, pace, fedeltà al giuramento - o dall’estraneità alla nostra diretta esperienza - torturare, fucilare, impiccare, tradire - tornano d’un colpo a riempirsi di forza e significato essenziali. Sono parole ultime, destinate a restare chiuse entro cerchie affettive limitate. Ma chiunque sia disposto a liberarsi per un momento dall’abitudine della mediocrità che tutto livella, smussa e ottunde, può meditarle in sé, senza intermediari.
Se affrontiamo questa lettura emotivamente gravosa, facciamolo col pudore di chi sa di accingersi a qualcosa simile a una profanazione, in colloquio diretto e silenzioso, da coscienza a coscienza. Soprattutto, leggiamo col pudore di chi sa guardarsi dalla presunzione del voler giudicare. Queste lettere chiedono di comprendere, non di giudicare. Nessuno di noi - intendo: nessuno di coloro che non appartengono alla generazione di allora - può pretendere l’autorità del giudice. Se è vero che ci si conosce soltanto nel momento decisivo della scelta esistenziale e che solo lì ciò che di profondo è latente in noi viene a galla, noi non ci conosciamo. Non siamo stati messi alla prova. È facile, ma futile, profferire giudizi e perfino esprimere adesione ideale, ammirazione per gli uni e sdegno o condanne per gli altri. Dovremmo sempre chiederci chi siamo noi, per voler giudicare.
Dovremmo temere che qualcuno ci dica: ti fai bello di ciò che è di altri; tu forse saresti stato dalla parte dei carnefici o saresti stato a guardare. E non sapremmo come rispondere. Conosciamo le condizioni del nostro Paese all’8 settembre del 1943 e immaginiamo quali poterono essere le molte ragioni, ideali e personali, influenti sulle scelte che allora a molti si imposero. Nessuno di noi può avere la certezza che, in quelle condizioni ed esposti alle stesse pressioni, saremmo stati dalla parte giusta e non saremmo stati portati dalle circostanze dalla parte dei criminali. Questo non significa affatto parificare le posizioni o giustificare i crimini. Significa cercare di capire, dicendo con franchezza a noi stessi: rendiamo grazie alla provvidenza o alla sorte perché ci è stato risparmiato di vivere in quel tempo.
La generazione che ha vissuto i fatti di cui parliamo non esiste più. Per le nuove generazioni e, soprattutto, per chi oggi è ragazzo, non si tratta di rivivere o rievocare vicende in cui vi sia stato un coinvolgimento anche soltanto indiretto, attraverso il ricordo di chi le visse. Inevitabilmente questi testi sono letti oggi con un’attutita percezione dell’originario significato politico e impatto emotivo, nel momento della lotta per la liberazione dall’incubo totalitario, dal nazismo e dal fascismo, nel momento in cui si coltivava l’aspirazione a un’Italia nuova, giusta, civile, pacificata. «Sappi che tuo figlio muore per un alto ideale, per l’ideale della Patria più libera e più bella», scrive un anonimo. Gli orientamenti politici erano diversi, ma comune era l’idea, anzi la certezza di un riscatto morale imminente, che avrebbe trasformato nel profondo, e in meglio, la società italiana. Le Lettere sono un’elevatissima testimonianza di questa tensione. In tutte si legge la consapevolezza di vivere un momento di svolta nella storia d’Italia. Il dopo non avrebbe dovuto, né potuto assomigliare al prima.
Ai figli piccoli, che non possono ancora comprendere, si dà l’appuntamento a quando, cresciuti, sarebbero stati in grado di capire per quale altra Italia i padri e le madri avevano combattuto ed erano morti. In momenti critici come quelli degli anni ’43-’45, non si poteva restare a guardare. Tutti dovevano contribuire. In molte lettere è testimoniata l’irresistibilità dell’appello a prendere posizione. «Nel mio cuore si è fatta l’idea (purtroppo non da troppi sentita) che tutti più o meno è doveroso dare il suo contributo», scrive una donna ai fratelli, per giustificare, anzi scusare la sua scelta. Molti sentono così di dover spiegare il perché del loro "aver preposto" l’Idea, la Patria o il dovere ai legami familiari e domandano perdono di questo.
Naturalmente, non tutti stavano dalla stessa parte. Nei confronti di chi stava dall’altra, la disposizione spirituale è molto varia. Alcuni chiedono vendetta. Ma altri parlano del nemico col rispetto dovuto a chi una scelta, sbagliata ma non necessariamente in malafede, ha pur fatto: «Negli uomini che mi hanno catturato ho trovato dei nemici leali in combattimento e degli uomini buoni durante la prigionia». Altri, ancora, si rimettono a una giustizia superiore, invitando chi resta a fare altrettanto: coloro che mi uccidono sono uomini e «tutti gli uomini sono soggetti a fallire e non hanno perciò diritto di giudicare poiché solo un Ente Superiore può giudicare tutti noi che non siamo altro che vermi di passaggio su questa terra». Altri ancora invitano al perdono: «Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia».
Il disprezzo, se mai, è verso gli inescusabili, coloro che non prendono posizione, coloro "che non furon ribelli né pur fedeli" (Inferno, III, 38-39), cioè gli ignavi, gli "attendisti". Su questo punto dobbiamo constatare una grande distanza tra noi e chi ha lasciato la vita per una ragione ideale sul fronte antifascista ma, allo stesso modo, anche chi ha combattuto sul fronte opposto. Si estende ogni giorno di più un giudizio che non solo assolve, ma addirittura valorizza l’atteggiamento di chi è stato a guardare, per poi eventualmente godere dei frutti di libertà ottenuti col sacrificio di altri. Nelle Lettere, leggiamo invece parole come queste: «Quando penso che siamo vicini molto vicini alla nostra ora, mi raccomando e son più che certo che tutti in quell’ora scatteranno in piedi, impugneranno qualsiasi arma e colui che non l’adopera sarà un vile e un codardo».
Non risulta che l’accanimento revisionistico di tutto ciò che ha a che fare con i fatti e gli atti della Resistenza sia arrivato direttamente ed esplicitamente alle Lettere, per sminuirne, relativizzarne, se non negarne l’alto valore civile. Può essere che si arrivi anche a questo. Il pericolo è rappresentato piuttosto da un oblio che si vorrebbe giustificato da un’interpretazione pacificatrice da stendere su quegli avvenimenti. Essi sarebbero il frutto di un’esasperazione incompatibile con l’autentico nostro carattere nazionale, un carattere rappresentato da quella parte maggioritaria del popolo italiano che ha assistito da estranea o con atteggiamenti di puro soccorso umanitario, nell’attesa dell’esito degli eventi. Secondo questa visione, i combattenti sui due fronti, fascista e antifascista, avrebbero rappresentato entrambi una deviazione estranea alla nostra tradizione: una tradizione moderata, ostile agli eccessi, aperta a ogni aggiustamento e a ogni compromesso, garantita da una presenza moderatrice e stabilizzatrice come quella della Chiesa cattolica.
Gli uni e gli altri, insieme alla lotta mortale che combatterono e alle ragioni etiche e politiche che li contrapposero, sarebbero così da condannare alla pubblica dimenticanza, come elementi accidentali e come fattori di perturbazione della storia che autenticamente appartiene al popolo italiano. In questo modo, fascismo e antifascismo sono prima accomunati in un medesimo giudizio di equivalenza, per poter poi essere congiuntamente messi ai margini della pubblica ricordanza. All’antifascismo, quale fattore costitutivo delle istituzioni repubblicane, verrebbe così a sostituirsi qualcosa come un "nonfascismo-nonantifascismo", conforme al genio, che si pretende propriamente italiano, di procedere diritto tra opposti eccessi. Questa tendenza è pienamente in atto nel senso comune, alimentata da una storiografia e da una memorialistica sorprendentemente sicura di sé nelle definizioni del carattere nazionale e nella qualificazione dell’attendismo come virtù di saggezza pratica, invece che come vizio di apatia: una storiografia che, quando si avventura su simili strade, è più ideologia che scienza.
Chi ha sacrificato la vita, non importa da che parte, trarrebbe motivo di sconforto e offesa da questo giudizio liquidatorio. Sarebbe forse portato a riportarsi a quanto stabilito da Solone, tra le cui leggi - riferisce Plutarco (Vita di Solone, 20,1) - ve n’era una, del tutto particolare e sorprendente, che privava dei diritti civili coloro i quali, durante una stasis (un conflitto tra i cittadini), non si fossero schierati con nessuna delle parti contendenti. Egli voleva, a quanto pare, che nessuno rimanesse indifferente e insensibile di fronte al bene comune, ponendo al sicuro i propri averi e facendosi bello col non partecipare ai dolori e ai mali della patria; ma voleva che ognuno, unendosi a coloro che agivano per la causa migliore e più giusta, si esponesse ai pericoli e portasse aiuto, piuttosto che attendere al sicuro di schierarsi dalla parte dei vincitori.
Una simile legge sembra dettata da indignazione morale e non da prudenza politica. L’idea di una guerra civile obbligatoria certo spaventa. Ma giustificare l’ignavia e l’opportunismo, farne anzi una virtù pubblica, è cosa diversa e incomprensibile, a meno che si abbia in mente un popolo prono e incapace perfino di avvertire d’esserlo. Ma, forse, Solone mirava a qualcosa di più profondo: non alla guerra civile obbligatoria per legge, ma alla prevenzione della guerra civile. Tutti devono sapere che, nel momento della crisi che precipita, nessuno sarà giustificato se avrà fatto solo da spettatore dei drammi e delle tragedie dei suoi concittadini, da estraneo. Tutti allora operino per evitare che quel momento arrivi; operino dunque preventivamente per la concordia, per la pace, per isolare fanatici, violenti e demagoghi.
Le Lettere contengono la voce d’un altro popolo, di uomini e donne, d’ogni età e classe sociale, consapevoli del dovere della libertà e del prezzo ch’essa, in momenti estremi, comporta. Chi le legge oggi vi trova un’Italia diversa dalla sua, cioè dalla nostra, dove non si esitava a correre pericoli estremi per parole che oggi non si pronunciano più o, se le si pronunciano, lo si fa con il ritegno di chi teme d’appartenere a una generazione di sopravvissuti. Sono quasi una sfida, un invito a misurarci rispetto a quel tempo, il tempo della libertà e della democrazia riconquistate; un invito a domandarci quale strada abbiamo percorso da allora.
Il testo è parte dell’intervento che sarà letto stasera alle 21 all’Auditorium di Roma in occasione del 25 aprile
1. FEDERICO LA SALA 25-04-2009 - 18:29:44 (l’Unità).
In nome dei MORTI si vogliono dominare i VIVI e SOFFOCARE LO SPIRITO DELLA LIBERAZIONE E DELLA COSTITUZIONE.
BASTA CON QUESTO "GIOCHINO", CON QUESTA VERGOGNA PLANETARIA - ANTICOSTITUZIONALE!!!
«Non si possono equiparare repubblichini e partigiani»
CERCHIAMO DI DI ESSERE ITALIANI E ITALIANE, DAVVERO. "Chi ha combattuto per regimi totalitari, in Italia come in Ungheria, in Argentina come in Cambogia, merita una riflessione, talvolta comprensione, ma non una postuma assoluzione" (come ha scritto Walter Barberis, sulla Stampa).
USCIRE DALLO STATO DI MINORITA’: LA VITA E LA LIBERTA’ - NON LA MORTE E LA DITTATURA e la menzogna!!! .... RENDONO POSSIBILI LA STORIA DEL PRESENTE E LA STORIOGRAFIA DEL PASSATO !!!
VOGLIAMO ANDARE AVANTI, BENE - O NO?! CERCHIAMO DI ESSERE DEGNI DI NOI STESSI E DELLA LEGGE DEI NOSTRI "PADRI" E DELLE NOSTRE "MADRI" (21 DONNE) COSTITUENTI.
CERCHIAMO DI ESSERE FIERI DI ESSERE ITALIANI E ITALIANE, COME HA DETTO RITA LEVI MONTALCINI!!!
VIVA VIVA LA FESTA DI LIBERAZIONE, VIVA LA COSTITUZIONE!!!
VIVA VIVA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, VIVA VIVA L’ITALIA!!!
Federico La Sala
Diretta - CRONACA
25 aprile, Berlusconi: "Diventi festa libertà" Napolitano: "Rispetto e pietà per tutti" *
Ma per il premier "nessuna equidistanza". "Ricordare tutti i caduti, anche chi stava dalla parte sbagliata. Resistenza e Risorgimento valori fondanti". Franceschini: "Il nome ’Liberazione’ non si tocca, è stato scelto dai nostri padri". E chiede al premier di ritirare la proposta di legge per l’equiparazione degli ex combattenti della Rsi ai partigiani. La petizione contro la proposta firmata anche dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, costretto a rinunciare ad andare a Porta San Paolo
19:11 A Milano in corteo anche i rifugiati Tra i gruppi che hanno sfilato in occasione del corteo del 25 aprile anche i rifugiati africani che nei giorni scorsi avevano organizzato diverse iniziative di protesta chiedendo che il comune trovasse loro una sistemazione. I profughi provenienti dal Corno d’Africa hanno manifestato dietro il furgone del centro sociale ’Il cantiere’, preceduto dallo striscione antirazzista dedicato ad Abba, il giovane di origine africana assassinato l’anno scorso.
19:09 Bindi: "Cambiare nome festa Liberazione? Nomina consequentia rerum..." "Il 25 aprile è la festa della Liberazione, come il 2 giugno è la festa della Repubblica. Come il 25 dicembre è la festa del Natale. ’Nomina sunt consequentia rerum’. Qualcuno pensa di cambiare il nome della festa del 2 giugno o del 25 dicembre? No. E perchè si dovrebbe cambiare il nome alla festa del 25 aprile?". Così la vice presidente della Camera, Rosy Bindi, interviene sulle parole del premier Silvio Berlusconi, sul nome della festa della Liberazione.
18:54 La Russa: "Il 25 aprile è diventato la festa di tutti" "Credo che grazie al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, - dice il ministro della Difesa, Ignazio La Russa - e alla partecipazione di Silvio Berlusconi e ai loro discorsi, sia finalmente davvero finito un interminabile dopoguerra e che da oggi, il 25 aprile possa essere per tutti la festa di chi si ritrova nei valori di libertà, pluralismo e democrazia della nostra Costituzione".
18:28 Fumogeni e petardi contro gazebo Galli, giovane in ospedale Alcuni giovani dei centri sociali e dell’area antagonista hanno lanciato due fumogeni e due petardi contro un gazebo dei sostenitori del candidato a sindaco del Pdl Giovanni Galli in piazza Strozzi a Firenze, prima di rovesciare il tavolo su cui si trovavano volantini e altro materiale di propaganda. Una giovane di 23 anni, che era seduta al tavolo, è stata trasportata all’ospedale di Careggi per un controllo all’udito: uno dei petardi è esploso vicino a lei. E’ successo questo pomeriggio, intorno alle 16.30, quando un corteo organizzato per il 25 aprile, è passato da via Strozzi dove si trovavano alcuni sostenitori di Galli.
17:43 Osservatore Romano apprezza "messaggio unitario di pacificazione" "Dalle celebrazioni per l’anniversario del 25 aprile arriva finalmente un messaggio unitario di pacificazione". Lo scrive l’Osservatore Romano. "Con una rara sintonia bipartisan - si compiace il giornale del papa - anticipata e confermata dalla puntuale sintesi del capo dello Stato, i leader politici italiani hanno celebrato la ricorrenza rinunciando ai consueti toni polemici. Una giornata in questo senso inedita, con una convergenza che gli italiani sperano non sia occasionale"
17:30 Con l’intervento di Scalfaro si chiude manifestazione a Milano Con l’intervento dell’ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si è conclusa la manifestazione per l’anniversario del 25 aprile. L’ex presidente della Repubblica ha rivolto un monito ai giovani: "Attenzione giovani - ha detto più volte - la Costituzione è l’estremo baluardo per la difesa della nostra libertà e democrazia. E’ fatta per unire, mai per dividere. Usarla per dividere è un delitto contro la democrazia e la libertà". [...]
* la Repubblica, 25 aprile 2009 (ripresa parziale - per aggiornamenti, cliccare sul rosso).
«Perché tanti giovani stanno con i Partigiani? Per fare vera politica»
Parla Chiara Gribaudo educatrice ventottenne di Borgo San Dalmazzo: «Con la Resistenza e la Costituzione si può ancora immaginare l’altra Italia»
Rifondare l’antifascismo «La nostra Carta è chiara: lì c’è il federalismo vero basato sulle autonomie comunali e c’è il ripudio della xenofobia attuale»
di Toni Jop (l’Unità, 24.04.2010)
Sanno che non si può dare niente per scontato, che c’è bisogno della loro energia, che la vitalità è contagiosa come il credere insieme ai valori dell’antifascismo e della democrazia. Sono i giovani che «stanno» con i Partigiani, ragazze e ragazzi che hanno raccolto il testimone mai come ora preziosissimo per motivi anagrafici e per problemi politici dagli italiani che possono raccontare quello che hanno visto e vissuto durante il fascismo, la guerra e la lotta partigiana. Sanno che sono liberi di pensare e di muoversi perché prima di loro si è mobilitata una moltitudine a combattere per questo. È soprattutto loro questo 25 aprile. Perché contrastano l’arroganza (e il fascismo non più «velato») di chi vorrebbe cancellare la Festa della Liberazione con il silenzio, con l’imperio o con la forza del mercato. Rispondono allestendo stupefacenti iniziative solari e coinvolgenti, e persino commoventi. Come quella della Liberi Nantes, che farà tornare in vita il campo di calcio «XXV Aprile», fino a ieri abbandonato e lasciato alle intemperie. Chi sta coi Partigiani sa che la democrazia e l’antifascismo hanno bisogno di cure.
Parlano di secessione ma a Roma ci stanno comodi, parlano di territorio e democrazia, ma per loro la soluzione è un nuovo statalismo centralista appeso a un leader che impone atti di fede e osservanza assoluta. Mistificano tutto, dalla storia al vocabolario. Sto nell’Anpi anche per trovare una casa che ospiti i valori su cui voglio fondare la mia esistenza». Chiara Gribaudo ha 28 anni, è nata, vive e lavora come educatrice precaria a Borgo San Dalmazzo, una decina di chilometri da Cuneo. Terra, a proposito, di buon vino e di partigiani.
Chiara, che senso ha iscriversi all’Anpi alla tua età?
«Tu chiamale, se vuoi, tradizioni. Ecco, vengo da una realtà che si è conquistata una medaglia d’oro per ciò che ha fatto per salvare dallo sterminio molti ebrei. A Borgo c’era un campo si smistamento. Sono figli di questa terra Duccio Galimberti, Nuto Revelli, Giacosa, Mauri, Barbato».
Mai militato nelle file di un partito di sinistra?
«Sì, ci ho provato. Sinistra giovanile, Ds, poi Pd. Ho fatto anche le primarie, ma mi sono sganciata. Mi ha respinto una fredda burocrazia, cercavo un caldo dibattito, ma non voglio sparare sulla sinistra, ha già abbastanza problemi per suo conto...»
Così, ti sei rifugiata nell’Anpi, delusa...
«Abbastanza. Nell’Associazione ho trovato quello che cercavo: lì sono custoditi tutti i valori in cui mi riconosco, dall’antifascismo alla Costituzione. È la Costituzione la cerniera che tiene assieme il nostro passato e il nostro presente. Attuare pienamente la Costituzione è già un grandioso programma politico, nella Carta ci sono tutte le risposte di cui la gente oggi ha bisogno. Non è un Vangelo, ma se si tocca lo si deve fare con immensa attenzione e sulla base di una coralità leale».
Questo vale anche per l’unità d’Italia?
«È stata la lotta partigiana che ha attualizzato il senso dell’unità del Paese. I partigiani combattevano contro fascisti, nazisti e invasori, sono morti per difendere l’integrità fisica e morale di un intero paese, né per il Nord, né per il Sud».
Cosa ti dice la parola «federalismo»?
«Penso faccia parte del mio bagaglio culturale se sta a indicare uno smistamento dei poteri verso il basso, in direzione di istituzioni molto rappresentative, come i comuni. Ma non credo che la Lega operi in questa direzione, le interessa rifondare il potere statuale su basi etniche, decisamente orribile e orribile la mistificazione cui fanno ricorso. Ma attenzione: non criminalizziamo tutti quelli che votano Lega. Non si identificano con Borghezio e nemmeno con la secessione. Il federalismo fiscale può essere utile se non è una mannaia contro i più deboli. L’Italia, ripeto, deve essere una comunità solidale stretta attorno alla Costituzione».
Speriamo. Ma oggi dobbiamo ben registrare una sorta di territorializzazione delle zolle politiche: a Nord la Lega, al centro il centrosinistra, a Sud...In mezzo c’è il presidente della Repubblica, delicato ago della bilancia...
«Sì, un ago che, lo ammetto, potrebbe fare qualcosa di più in questa direzione. Intanto, converrebbe rifondare l’antifascismo; diciamo che l’antifascismo è il pilastro su cui riorganizzare moralmente il paese, togliendo terreno ai riscrittori della storia, come Pansa e soci. Siamo stati troppo tolleranti nei confronti di chi, come il premier, ha inteso sottrarsi a un principio politico comune a tutti i paesi occidentali. Bisogna inserire nella scuola lo studio di pagine non lontane della nostra vicenda collettiva. Sai come mi sono avvicinata all’Anpi? Ascoltando, alle superiori, i racconti di ex partigiani...». Scommetti su una identità italiana? «Sì, a patto che accetti di essere un’identità sempre in costruzione, multipla, fondata anche sulla relazione con gli ultimi arrivati».