Editoriale

Calabria, San Giovanni in Fiore (Cosenza). Tra locale e affermazione. Confidenze d’una voce nel deserto. Aveva ragione Saviano?

mercoledì 24 giugno 2009.
 

Spesso mi è stato rimproverato di sciuparmi in "beghe locali", di occuparmi troppo di San Giovanni in Fiore (Cosenza), paesone del Sud di cui sono originario, logorato da emigrazione e sfiducia, tra gaudio e indifferenza collettivi.

Giornalisti e amici m’hanno spinto a seguire "questioni di più ampio respiro". Fra questi Roberto Saviano, che di recente ha pubblicato per Mondadori "La bellezza e l’inferno".

Mesi fa, incoraggiandomi dopo le querele ricevute, Roberto mi propose di realizzare delle inchieste sulla ’ndrangheta, anche per lettori stranieri. Fu molto onesto nei miei confronti: mi esortò a non cadere nello sconforto, a resistere, a usare la scrittura come l’arma più potente per l’emancipazione della Calabria.

Io l’ho sempre stimato, e nel mio piccolo ho replicato a colleghi che, per invidia, lo hanno considerato una specie di abile venditore.

Roberto ha saputo creare aggregazione e movimento sulla lotta alle mafie, semplicemente con la parola. Il che non è da tutti. Ci sono tanti buoni cronisti e pochi scrittori di valore. I risultati di "Gomorra" sono evidenti, straordinari, innegabili, e certamente Saviano è un modello, un riferimento, una bandiera.

Non ha senso, come usa qualcuno, orbo e incosciente, porsi in competizione. Piuttosto, lo raccomanda sempre il fraterno Antonio Nicaso, è bene sostenersi a vicenda, farsi forza, rimanere uniti. Di là, ci sono uomini che non perdonano, pronti ad approfittare d’ogni nostra debolezza per colpirci e finirci. Non (sol)tanto fisicamente.

Oggi, passati tempo e fatti, mi chiedo se certi consigli di Roberto non fossero per caso da prendere alla lettera. Avrei potuto parlare d’altro, rinunciando alla battaglia perpetua contro "piccole" spartizioni e clientele a San Giovanni in Fiore. Lì si vive in massa di favori, concessioni, grazie dall’alto; una realtà diffusa nel Mezzogiorno, incapace di autonomia.

Avrei potuto scegliere un percorso più gratificante, allontanandomi dalle vicende spicciole del mio comune, dove non cambia nulla e la denuncia irrobustisce i prepotenti. Ricordo, in proposito, il restauro dell’antica abbazia di Gioacchino da Fiore, assieme di violazioni e irresponsabilità politica, ormai dimenticato dagli stessi abitanti del luogo. Se cascasse il monumento, in tanti brinderebbero felici.

Mi interrogo, consapevole che nel cosentino oggi (e domani) si vota per eleggere il presidente della provincia, circostanza che ha scaldato gli animi e acceso tensioni anche su queste pagine elettroniche. Lo faccio aprendomi per l’ennesima volta, rendendo pubblico uno storico dilemma, con l’umiltà di chi ha sperimentato la propria impotenza fra corsie e silenzi d’ospedale.

Chi ama per davvero la propria terra, colui che da fuori ne racconta gli orrori o quel residente che, esaltandolo, mantiene l’ordine delle cose?

Ai lettori di "la Voce di Fiore" non sfuggirà che negli ultimi giorni siamo stati riempiti di insulti e appelli elettorali. Solo perché abbiamo osato dissentire, criticando l’operato politico d’un personaggio temuto quanto sconosciuto fuori del territorio.

Specie in Calabria, a ogni elezione le parti si ricompattano: si continua a votare per parenti, amici e creditori, senza badare a priorità, programmi, progetti, biografie dei candidati. Questo copione, più che dall’assenza di memoria è determinato dalla viltà e dal bisogno di permanere in una schiavitù vantaggiosa e indispensabile.

Giusto ieri, ho lanciato l’invito al confronto in questo sito, utile strumento di democrazia partecipata, su un movimento culturale e politico per la Calabria e San Giovanni in Fiore.

Ciononostante, nelle ore successive sono pervenuti ulteriori messaggi di propaganda elettorale a favore d’un candidato alla guida della Provincia di Cosenza. Questo a riprova che il sistema calabrese è spaventato a morte dalla resistenza, dalle reazioni dal basso, dalla coesione libera e disinteressata, dallo scontro democratico alla pari.

In questa regione di "bellezza e inferno", le vittorie elettorali dipendono spesso da promesse e ricatti, dall’imposizione d’un terrore reale e difficilmente dimostrabile. Tante volte si afferma chi impedisce che circolino informazioni e opinioni; chi fa militi piuttosto che fanatici in attesa della manna.

Per entrare a palazzo, occorre confinare, isolare ogni forma d’opposizione, soprattutto quella indipendente. Con la menzogna e l’aggressione, proiettando all’avversario le dimensioni dell’esercito del potere.

Forse mi sciupo in "beghe locali" perché non sopporto più queste porcherie calabresi, perché mi indigna vedere la sanità depredata, l’agricoltura tradita, l’ambiente devastato, l’imprenditoria perduta, la gente vinta e il malaffare puntualmente al governo.

Forse continuo, magari a mio discapito, perché non tollero l’ipocrisia di chi straparla di riforme e cambiamento, pronto a votare i soliti noti, dimentico della sovranità popolare e delle meravigliose risorse della Calabria: natura, storia, arte, giovani.

Non mi importa di stare in cima alla scala sociale italiana. Qual è, poi, oggi? Leggo don Paolo Farinella e convengo: abbiamo toccato il fondo da tempo, contenti di sguazzarci. Siamo come delle scimmie: imitiamo il capo sognandone i vizi.

Piuttosto, mi interessa il riscatto della mia terra, dimenticata da troppi suoi figli, complici finché non subiscono i danni dell’inefficienza pubblica, squallidamente alimentata per espellere gli onesti, che ragionano e non si vendono.

A Saviano devo molto. Mi perdonerai, Roberto, se testardamente e in preda a "eroici furori", non ho ascoltato i tuoi premurosi suggerimenti. Sinceri.

Sappi, però, che il mio contributo alla causa non mancherà. A presto, frate’.

21 giugno 2009

Emiliano Morrone


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