DEMOCRAZIA IN AMERICA...

TED KENNEDY, IL LEONE DEI DEMOCRATICI U.S.A. Edward Kennedy, fratello di John Fitzgerald e Bob, è morto all’età di 77 anni. Una conversazione con Furio Colombo del 20 novembre 2008 - a cura di Federico La Sala

Quando a Barack Obama, impegnato nelle primarie, arrivò l’endorsement di Kennedy, tutti capirono la svolta simbolica ...
mercoledì 26 agosto 2009.
 

[...] Dopo l’assassinio dei fratelli, Ted aveva preso in mano il timone della famiglia simbolo della politica americana. Liberale, abilissimo nella gestione delle dinamiche congressuali, era uno dei più influenti e longevi politici della storia Usa.

Il "Leone del Senato", come anche gli avversari lo chiamavano con rispetto, ha rappresentato in Congresso lo stato del Massachusetts ininterrottamente dal 1962 firmando una mole di leggi che hanno ridisegnato l’America contemporanea [...]

U.S.A.: ELEZIONI (di mezzo termine). VITTORIA DEI DEMOCRATICI. Ha detto Edward Kennedy: «Ha perso George Bush perché non perda l’America». Il commento di Furio COLOMBO, e l’ "analisi" di Barbara SPINELLI.

«Con Obama l’America è cambiata per sempre» di Furio Colombo


-  Il senatore del Massachusetts, 77 anni, era da tempo malato di tumore
-  Dopo l’assassinio dei fratelli aveva preso in mano le redini della famiglia

-  Addio a Edward Kennedy
-  patriarca della politica Usa
*

WASHINGTON - E’ morto all’età di 77 anni Edward Kennedy, fratello di John Fitzgerald e Bob. Il senatore del Massachusetts era da tempo malato. Nel maggio del 2008 gli era stato diagnosticato un tumore al cervello, a giugno era stato operato. Era poi tornato alla vita politica partecipando in agosto alla convention democratica.

Da giorni si rincorrevano voci circa un drastico peggioramento delle sue condizioni, alimentate anche dalla sua assenza al funerale della sorella Eunice Shriver Kennedy, celebrato due settimane fa. Kennedy aveva inoltre scritto una disperata lettera ai vertici del Massachusetts chiedendo di essere sostituito nel suo ruolo di senatore il prima possibile, senza aspettare l’elezione suppletiva necessaria per legge. Il senatore, infaticabile sostenitore di Barack Obama, temeva infatti che la sua assenza nuocesse al partito al momento di votare la tanto discussa riforma sanitaria.

Ad annunciare la sua morte è stata la famiglia con un comunicato diffuso nella tarda serata di ieri, ora americana. "Edward M. Kennedy, il marito, il padre, il nonno e lo zio che abbiamo amato così profondamente, è morto ieri sera nella casa di Hyannis Port - si legge nel comunicato - Abbiamo perso il centro insostituibile della nostra famiglia e la luce gioiosa delle nostre vite, ma l’ispirazione della sua fede, l’ottimismo e la perseveranza vivranno per sempre nei nostri cuori". La famiglia "ringrazia tutti quelli che lo hanno curato e sostenuto in quest’ultimo anno e tutti quelli che sono stati al suo fianco per così tanti anni nella sua instancabile marcia verso la giustizia, l’equità e le opportunità per tutti". "Ha amato il suo Paese - conclude il comunicato - e ha dedicato la sua vita a servirlo. Ha sempre creduto che i nostri giorni migliori sono quelli davanti a noi, ma è difficile immaginarne senza di lui".

Dopo l’assassinio dei fratelli, Ted aveva preso in mano il timone della famiglia simbolo della politica americana. Liberale, abilissimo nella gestione delle dinamiche congressuali, era uno dei più influenti e longevi politici della storia Usa.

Il "Leone del Senato", come anche gli avversari lo chiamavano con rispetto, ha rappresentato in Congresso lo stato del Massachusetts ininterrottamente dal 1962 firmando una mole di leggi che hanno ridisegnato l’America contemporanea. Dopo l’uscita di scena violenta dei fratelli, ha tentato una sola volta il balzo verso la Casa Bianca. La sua sfida nel 1980 al presidente in carica Jimmy Carter, per la nomination dei democratici, fu però un insuccesso. A frenarlo i guai che lui stesso per anni si era inflitto.

Un incidente nel 1969 rimase una macchia indelebile: la sua auto finì in mare a Chappaquiddick, un’isoletta a fianco dell’esclusiva isola Marthàs Vineyard e l’assistente di Kennedy, Mary Jo Kopechne, morì affogata. Il senatore era alla guida, ma lasciò la scena dell’incidente e non avvertì le autorità fino al giorno dopo. Disse sempre di aver cercato di salvare la ragazza ma un tribunale lo condannò a due mesi di carcere, con sentenza sospesa, per omissione di soccorso.

Edward M. Kennedy, conosciuto fin da bambino come ’Ted’, era nato il 22 febbraio 1932 a Boston, la città in cui la dinastia irlandese e cattolica dei Kennedy si era insediata alla metà del XIX secolo. Era l’ultimo dei nove figli di Joe Kennedy e Rose Fitzgerald. Andò ad Harvard da cui fu espulso per aver copiato un compito. Dopo un periodo nell’esercito ritornò nelle stesse aule e si laureò.

La morte dei fratelli lo rese il custode dei loro 13 figli, che andarono ad aggiungersi ai tre avuti dalla moglie Joan, dei quali uno, Patrick, ha intrapreso la carriera di deputato. Il matrimonio finì in divorzio nel 1982 e Kennedy si risposò con Victoria ’Vicky’ Reggie, adottando i suoi due figli.

Erede e portabandiera delle politiche progressiste radicate nel partito democratico fin dall’epoca del New Deal di Roosevelt, Ted Kennedy è stato in prima linea per decenni sul fronte della lotta per i diritti civili e delle politiche di sostegno alle classi deboli. Nei primi anni ’70 guidò i democratici nel duro confronto con la Casa Bianca di Richard Nixon per ottenere la fine dell’avventura militare in Vietnam. Gli anni Ottanta, quelli della presidenza Reagan, furono i più duri per Kennedy, che per due volte (1984 e 1988) rinunciò a candidarsi per la Casa Bianca. Alla fallita corsa presidenziale del 1980 seguirono vari fallimenti personali, compreso quello del matrimonio con Joan.

Nel 1991, al minimo della popolarità, Ted Kennedy presentò scuse pubbliche al paese "per i miei difetti". Fu un momento di sostanziale rinascita politica e personale, seguito dalle seconde nozze e dall’emergere di Ted come guida e decano dei democratici.

La sua voce crebbe in autorevolezza: negli ultimi 15 anni era diventato il punto di riferimento di tutte le più importanti iniziative di legge. Molte anche bipartisan. John McCain, candidato repubblicano alla Casa Bianca, è stato più volte al suo fianco nel promuovere iniziative legislative e Ted Kennedy è stato anche l’alleato decisivo nella riforma scolastica del presidente George W.Bush.

Era comunque l’anima più progressista dei democratici sui temi dell’immigrazione, del controllo delle armi, dei matrimoni omosessuali, e del salario minimo ai meno abbienti. Sull’aborto, invece, ha manifestato una sostanziale opposizione alla sua legalizzazione pur dicendosi comprensivo delle ragioni di chi abortisce.

Quando a Barack Obama, impegnato nelle primarie, arrivò l’endorsement di Kennedy, tutti capirono la svolta simbolica imposta alla corsa tra il senatore nero e Hillary Clinton per la nomination democratica. Su Obama si era stesa l’ala protettiva della leggendaria famiglia americana.

* la Repubblica, 26 agosto 2009


Sul tema, nel sito, si cfr.:

U.S.A.: ELEZIONI (di mezzo termine). VITTORIA DEI DEMOCRATICI. Ha detto Edward Kennedy: «Ha perso George Bush perché non perda l’America». Il commento di Furio COLOMBO, e l’ "analisi" di Barbara SPINELLI.

"CHANGE WE NEED". BARACK OBAMA, SULLE ALI DELLO SPIRITO DI FILADELFIA E DI GIOACCHINO DA FIORE, HA GIA’ PORTATO GLI U.S.A. FUORI DAL PANTANO.


«Con Obama l’America è cambiata per sempre» di Furio Colombo

Ripubblichiamo la conversazione di Furio Colombo con Ted Kennedy del 20 novembre scorso *

Il telefono squilla alle sette di sera. Riconosco subito la voce di Katie Kruse: «Posso passarle il Senatore?». Era una consuetudine la conversazione tonante del senatore Ted Kennedy, da Washington, più o meno una volta al mese, la sua irruenza appassionata contro la visione politica di George W. Bush, la teologia neo-con della potenza solitaria che guida senza voltarsi indietro, dà ordini ma non chiede consigli, divide il mondo in volonterosi che si accodano per compiacere e senza fare domande, e tutti gli altri, confondendo il pericolo dei nemici con la lealtà dei dissenzienti.

Ma questa è la prima telefonata dopo il dramma del malore improvviso e dell’intervento chirurgico d’urgenza e del suo ostinato tornare al lavoro. Un giorno di settembre è andato a votare in Senato con la testa fasciata e contro il parere dei medici. È anche la prima volta che la conversazione con l’ultimo dei Kennedy riprende dopo l’evento più straordinario della vita americana, ma anche del mondo: Barack Obama, di origine africana, di padre keniota, diventato presidente degli Stati Uniti in una sola generazione.

Ted Kennedy è considerato da tutti, amici e nemici negli Usa, l’uomo politico che ha contato di più in questa elezione che ha colto di sorpresa (nonostante l’attesa) l’America e il mondo. Quando le primarie lunghe e difficili con un avversario di talento come Hillary Clinton sembravano non finire mai e aprire spazio al candidato repubblicano, l’anziano senatore (78 anni) e la figlia del presidente Kennedy, Caroline, hanno portato tutto il peso di un immenso prestigio.

«È Obama il nostro candidato », ha detto Ted Kennedy. «Mi ricorda mio padre», ha detto insieme a lui Caroline. Adesso, dopo questa incredibile vittoria, le sue parole sono queste: «Ogni volta un risultato elettorale porta cose nuove e diverse, questa è la grandezza della democrazia, persino quando non ti piace e non sei d’accordo. Ma adesso l’America è cambiata per sempre. Il Paese, tutto il Paese, anche coloro che non hanno votato Obama, si è spostato in avanti, in un altro spazio della storia. La lunga marcia di Martin Luther King è arrivata al sommo della collina. Molte cose possono accadere. Ma non si disfa più un evento come questo. Adesso l’America è davvero se stessa. E lo è per sempre».

Ci sono dei colpi di tosse. Incrinano un poco la voce di Kennedy che non è mai invecchiata. È rimasta quella, irruente e appassionata di tanti giorni di campagne elettorali vissute insieme. È la voce di un leader che non ha mai smesso di guidare e non ha mai smesso di cercare, e che ha dominato il Senato americano anche nel lungo periodo senza potere. «Voglio dire una cosa. Sono felice di essere qui, in questa America, in questo momento».

Dice e ripete: «Ogni elezione è una buona elezione. Ma questa ci ha cambiato per sempre». Che significa: «Nel segreto elettorale, gli americani hanno deciso di fare il salto definitivo di là dall’oscuro e insepolto spettro del razzismo». Lo riassume così: «Gli americani hanno votato per se stessi. Non per ciò che siamo già adesso. Ma per quel che saremo, da questo momento in avanti».

Ted Kennedy è un politico e uno stratega di lungo corso. E così come, durante la campagna elettorale, ti spiegava il vantaggio e il rischio di ogni decisione e di ogni parola, adesso osserva con occhio attentissimo la scena entusiasmante del presidente Barack Obama che, con una decisione al giorno, forma il governo, e lo fa con la partecipazione e con l’ansia del più grande, del più competente, del più vicino spettatore americano. Vicino - Kennedy spiega - non significa né presenza né influenza. Significa attesa.

L’attesa la racconta così: «Il nuovo presidente ha tracciato un percorso nitido per il suo lavoro. Lo ha presentato agli americani che gli hanno detto sì. Adesso quel percorso diventano persone, ciascuno con la sua immagine, la sua cultura, le sue aspettative, il suo passato. Il momento della scelta, per un governo che non sia fatto di manichini, di vice, di sottoposti, è di identificare donne e uomini che portano una vita piena e accettano non tanto il titolo quanto il ruolo, la parte del grande impegno che viene loro assegnato. Persone che non saranno niente di meno di ciò che portano come contributo e niente di diverso dal disegno comune a cui adesso partecipano. Ogni nuovo governo è soggetto a qualche sbandata. Noi (dice “noi” al modo in cui si usa spesso il plurale nelle vita politica americana, non per dire “noi, il governo”, ndr) non ce lo dobbiamo permettere».

Ma c’è una seconda affermazione che gli preme fare, in questa conversazione amichevole e inaspettata, e forse gli importa anche di più perché sta parlando con uno dei tanti amici dell’America che, in tanti Paesi del mondo, hanno aspettato con vera speranza e vera tensione questo momento. Dice: «Una cosa mi auguro: che non si crei, nella ragionevole felicità di questo momento, una “over expectation”, una attesa di prodigi e miracoli. Inizia un’epoca di politica completamente nuova e inizia su un piano più alto. Ma uno come me, dopo quattro decenni in questo Senato, può dire che la politica è sempre difficile e non è mai miracolosa. La vera promessa con cui ci confrontiamo è di rendere più morale, non più magica e miracolistica, la nostra vita comune. Ciò che ci lega adesso, noi come popolo e noi con il mondo, è il rispetto di una moralità ritrovata. Il vero miracolo è questo, ed è già cominciato col voto. Il resto è lavoro, rischio e fatica, in uno dei momenti più pericolosi di tutte le nostre vite».

Della sua salute, l’ultimo dei Kennedy dice soltanto: «Noi intanto lavoriamo e siamo in Senato. Andiamo a Cape Cod (la casa di famiglia, ndr) solo per il Thanksgiving (il giorno del Ringraziamento) e a Natale. E poi vediamo». Qui il “noi” si sdoppia. Nella prima parte della frase significa la politica. Nella seconda vuol dire la moglie Vicky (Victoria), non meno combattiva di Ted. Vuol dire figli e nipoti, figli di John e figli di Robert e delle sorelle Jean ed Eunice, e dei figli dei figli. Il clan dei Kennedy, che ha portato l’America fin qui, non finisce.

* l’Unità, 26 agosto 2009


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