Cultura e modernità

Promesse illuministiche e “fuga” dal carcere

venerdì 10 marzo 2006.
 

L’illuminismo, nel campo delle pene e del sistema punitivo, ha promesso molto. Anche se non tutto realizzato, si apprezza l’impegno del promettere ma si cerca di dire il modo e il perché dell’illusione, sulla base anche degli studi di penologia di Massimo Pavarini. Di là dalla novità rappresentata dalla pena statale e carceraria, vediamo le promesse.

Prima promessa: sostituire alla pluralità di pene prima esistenti (gogna, galera, linciaggio, flagellazione, rottura di ossa, pene pecuniarie) una sola pena: quella detentiva. Per affermare soprattutto il principio di uguaglianza dei cittadini, senza distinzione alcuna tra ricchi e poveri, laici e chierici, nobili e plebei. Ovvio che la carcerazione ha senso come pena quando la libertà diviene bene di tutti, passaggio inquadrabile storicamente coll’illuminismo. Promessa non mantenuta per l’intero, considerata la “disintegrazione” del sistema sanzionatorio e la “fuga” dalla sanzione detentiva. Da una parte l’introduzione di più pene: multe, ammende, pene accessorie; dall’altra pene sostitutive, misure alternative e benefici penitenziari.

Seconda promessa: sostituire alla sofferenza del corpo come conseguenza punitiva di un delitto, una sofferenza spirituale cagionata dalla privazione della libertà graduata nel tempo. Anche questa è un’illusione dei lumi, poiché i carcerati non soffrono solo - o tanto - la privazione della libertà ma le condizioni del carcere, dove si sta male e lo dimostrano le malattie infettive e i suicidi. Il carcere quindi diventa esso stesso pena corporale, il luogo della sua delegittimazione e “l’amministrazione pubblica della sofferenza corporale“.

Terza promessa: ridurre lo ius puniendi (potere punitivo), diffuso ed esercitato prima da più soggetti: popolo (linciaggio), Chiesa (rogo), privati (pene pecuniarie delle corporazioni medievali). Per concentrarlo nelle mani di uno solo: lo Stato. È stata questa una battaglia vinta? Si ma in parte. Rimangono spazi del potere punitivo che sfuggono al sistema penale in senso stretto. Si pensi alla penalità amministrativa, allo ius corrigendi esercitato da genitori ed insegnanti, al potere disciplinare della polizia che di fatto punisce. Ma questo è l’aspetto meno problematico e più speculativo.

Quarta promessa: tramutare la pena giusta in pena utile. Questo è avvenuto, con conseguenze diverse. A fronte di una pre-modernità in cui prevale il criterio della giustizia (mi riferisco all’occhio per occhio) fino alla sovrapposizione medievale tra reato e peccato con evidente ingerenza dell’autorità ecclesiastica, la modernità fa appello al criterio dell’utilità. Simile al diritto penale islamico che per il furto prevede il taglio della mano destra - cosa che corrisponde alla giustizia coranica -, nel diritto pre-moderno sono reati i peccati più gravi, che hanno ricadute nella società. La vita e l’“economia politica della sessualità” sono i suoi oggetti principali. Con l’illuminismo la pena giusta è una pena proporzionata e utile. Il punto è il seguente: qual è il criterio migliore di commisurazione. Se il diritto è creato da uno Stato che deriva dal contratto sociale, si deve garantire il sinallagma, cioè lo scambio. Il tentativo della modernità è stato quello di “pubblicizzare il contratto”. Il fatto di reato è la prestazione e la pena la contro-prestazione. Una retribuzione proporzionata slegata dall’etica che assume valore di garanzia. Alla domanda “perché lo Stato può o deve punire” tuttavia il principio di retribuzione non risponde. La legittimazione della modernità è la seguente: lo Stato punisce se e in quanto ci convince che è utile. Ecco l’utilità di cui parlavo che non è altro che la prevenzione. I parlamentari, di qualsiasi area, alla domanda “perché questo fatto deve essere punito”, rispondono in due modi possibili. O “per combattere la criminalità e difendere la società” o “per limitare la ricaduta del delinquente”. La prima è chiamata tecnicamente prevenzione generale, la seconda prevenzione speciale. Questo però è solo un criterio giustificativo e non descrittivo, ci dice del dover essere e non dell’essere che è molto lontano. Non dice che cosa è la penalità. Ecco la delegittimazione che la pena detentiva attraversa, anche a causa dalla presunzione tra gli scopi astratti di prevenzione che esprimono il dover essere e le funzioni che attengono all’essere. La prima domanda che occorre porsi è la seguente: i fini corrispondono alle funzioni? Punire svolge davvero nel caso specifico la funzione preventiva? La gente avverte la pena e il sistema come preventivo? Per dire abbiamo bisogno di prove empiriche, prescindendo dall’ideologico.

Quinta promessa: affermare la certezza della pena. Anche questa è un’ evidente promessa smentita. La pena detentiva è sommariamente incerta sul piano dell’essere. Perché? Solo una parte dei delitti è conosciuta dai pubblici ministeri. Di questa solo per un quinto dei delitti denunciati è esercitata azione penale perché gli altri quattro quinti sono compiuti da autori ignoti. Di questo quinto solo la metà giunge a condanna (un ottavo quindi). Di questi solo una parte dei rei fa la galera, per via della sospensione condizionale e della liberazione condizionale o di pene che non sono detentive (una parte quindi di un ottavo). Capiamo quindi che la penalità detentiva è una risorsa scarsissima di fronte alla criminalità. Anche se si aumentassero i magistrati e si moltiplicassero i poliziotti i miglioramenti sarebbero minimali, oltre al rischio di cadere in uno Stato di polizia. Anche quando la pena è definitiva, essa è flessibile. Provvedimenti di clemenza, indulto e amnistia sono stati utilizzati a man bassa. Si pensi che in alcuni periodi il Capo dello Stato ha concesso un migliaio di grazie all’anno, per non parlare dei provvedimenti di amnistia e indulto del parlamento, - uno ogni due anni e sei mesi - che hanno riguardato migliaia di persone. Flessibilità della pena anche in fase esecutiva, a causa dei benefici introdotti nel ‘75, della premialità ai pentiti. A ciò si aggiunga il patteggiamento. A fronte della certezza, si è affermato il concetto che la pena si può negoziare e che può diversamente servire.

Sesta promessa: garantire l’applicazione indistinta della pena. Altra illusione. Il diritto penale attacca il “nemico opportunista“, ieri ed oggi. Colpisce dove è più facile colpire. La penalità si scarica sui soggetti per lo più deboli che hanno meno risorse immunitarie. Basta fare un giro nelle carceri per accorgersi delle persone che le abitano: tossicodipendenti, ladruncoli di mezza tacca, piccoli truffatori e spacciatori, che, pur avendo delinquito e salvo errori giudiziari, non costituiscono la fetta più grave del crimine. E’ più facile comminare pene a chi non ha risorse finanziarie e conoscitive per difendersi. Questo comunque è fisiologico, è proprio sia di sistemi autoritari che liberali.

Questi spunti possono servire a farsi un’idea sulla complessità del fenomeno e soprattutto a stimolare la riflessione. Al fine di distinguere l’essere dal dover essere nella comprensione della realtà, che spesso si confonde.

Vincenzo Tiano


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