[...] Un titolo a caratteri cubitali recita: "Hanno ammazzato Saviano". Una piccola didascalia spiega: "Lo vorrebbero così senza vita, ridotto al silenzio. Ha molti nemici: i camorristi, Berlusconi, Fede, Borriello, Daniele Sepe... Ma la sua vita è già una condanna... La sua libertà e la nostra sono le sue parole" [...]
Quella foto shock non aiuta Saviano
di BENEDETTA TOBAGI *
IL PROSSIMO numero di Max pubblica in apertura una grande immagine di Roberto Saviano cadavere, steso su una barella da obitorio, con tanto di cartellino di identificazione legato all’alluce, ripreso di scorcio dai piedi. La figura evoca il Cristo morto del Mantegna e il celebre scatto sul Che Guevara ucciso.
Un titolo a caratteri cubitali recita: "Hanno ammazzato Saviano". Una piccola didascalia spiega: "Lo vorrebbero così senza vita, ridotto al silenzio. Ha molti nemici: i camorristi, Berlusconi, Fede, Borriello, Daniele Sepe... Ma la sua vita è già una condanna... La sua libertà e la nostra sono le sue parole".
Ma è un’immagine che non avrei voluto vedere. Osceno è, letteralmente, ciò che è, e deve rimanere, fuori scena, lontano dallo sguardo. Come i corpi dei morti, appunto: pietosamente coperti da lenzuoli, quando morti violente occorrono nella pubblica via. Conflitti drammatici intorno alla possibilità di dare una degna sepoltura ai corpi hanno animato tra le pagine più sublimi della letteratura greca: dall’Antigone di Sofocle, al supplice Priamo che si reca da Achille a reclamare il corpo dell’amato figlio Ettore. Il fatto che sempre più i media usino e abusino di immagini violente, non deve farci perdere di vista quello che dovrebbe ancora essere il senso comune della pietas.
Tutto questo, sulla pelle di un vivo.
Max rappresenta Roberto Saviano - un uomo di trent’anni, vivo, ma che da quattro vive penosamente sotto scorta, dunque assillato e accompagnato da un’ombra di morte - come se fosse già cadavere.
E qui, davvero, ogni limite, non solo di pietas, ma anche di buonsenso, è andato in pezzi. Questa provocazione diventa un termometro per misurare la febbre dei tempi. Mi vengono in mente le immagini scioccanti di uno dei film più ferocemente provocatòri sui mostri generati dalla società dello spettacolo: il musical All that jazz. Il protagonista, artista celebratissimo - alter ego del regista, Bob Fosse - è in punto di morte, steso sul lettino della camera operatoria mentre cercano di salvargli la vita con un’operazione a cuore aperto, e in montaggio parallelo scorrono le immagini di una asettica riunione di pescecani della produzione teatrale, che calcolano quanto potrebbero guadagnare se la superstar morisse... It’s showtime folks! È la sinistra battuta con cui il protagonista, sempre più estenuato, si dà il buongiorno allo specchio.
"L’abbiamo fatto per Roberto", dicono. Per rispondere a chi cerca visibilità attaccandolo, a chi lo delegittima accusandolo di diffamare il Paese. Per ricordare che è prima di tutto un uomo sotto scorta. Minacciato. Privato della libertà e della serenità. Che meriterebbe rispetto. È una provocazione a fin di bene. Per ricordare che si tratta di un uomo in pericolo, ogni giorno.
Ma non basta vedere lo sciame di carabinieri che circonda Saviano ad ogni passo? Le lunghe e complesse operazioni di controllo e bonifica dei teatri, degli auditorium, delle piazze dove può incontrare il pubblico dei suoi lettori? Non bastano le dichiarazioni che Saviano stesso ha consegnato a numerosi articoli, interviste, da ultimo, a un documentario confessione? No, non basta. Il Moloch della comunicazione si abitua a tutto, anche alle reiterate minacce di morte: allora chi è più spregiudicato gioca al rialzo.
Ma in questo gioco - perverso - non si rende affatto un servizio a Roberto Saviano, uomo e scrittore. Si contribuisce infatti a schiacciarlo in un’immagine bidimensionale, un simbolo, un’icona. Si collude con chi lo tratta come un oggetto di marketing o di chiacchiere da salotto. Con chi snatura il senso del suo impegno cercando di trascinarlo nel ruolo di leader in pectore di una sinistra in crisi, a dispetto delle sue reiterate dichiarazioni. Lo si riduce a un ricettacolo di proiezioni, insomma - da adorare, o da abbattere, a seconda. Così, oltre che della libertà, Roberto Saviano viene privato della sua umanità e normalità, un pezzetto per volta. L’immagine, che simula la morte, consuma l’ultimo oltraggio, perché svuota la carne della carne. Lo svuotamento del simulacro è completo. Voilà, il martire è servito.
È un pessimo scherzo all’autore che si muove con fatica per un sentiero sottile e impervio: cercare di utilizzare la sua enorme popolarità e il suo indubbio carisma, per veicolare i contenuti di Gomorra e dei suoi contributi successivi. Iniziare il grande pubblico agli spietati meccanismi di dominio economico della criminalità organizzata, renderlo avvertito sui limiti di un contrasto solo militare alle mafie, o portare in prima pagina la vergogna del voto di scambio nelle regioni del sud, temi d’emergenza, solo per far qualche esempio.
L’immagine del giovane scrittore morto toglierà spazio a ciò che Saviano dice, scrive, ripete, a quelle parole pericolose a cui ha già sacrificato moltissimo. Sarebbe il caso di non renderglielo ancora più difficile.
* la Repubblica, 23 giugno 2010
Sul tema, nel sito, si cfr.:
METTERSI IN GIOCO, CORAGGIOSAMENTE. PIER ALDO ROVATTI INCONTRA ELVIO FACHINELLI.
Laicità in croce
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2010)
Da Bagnasco a Berlusconi, da Bertone a Napolitano: in attesa della sentenza definitiva della Corte europea sul crocifisso si moltiplicano gli interventi. Sorge artificialmente lo spettro di giudici decisi a conculcare il sentimento religioso italiano. Ha detto il capo dello Stato che le sentenze europee “devono essere comunque accettate”. Ma ha soggiunto che la “laicità dell’Europa non può essere concepita e vissuta in termini tali da ferire sentimenti popolari e profondi”. In realtà la Corte di Strasburgo, a novembre scorso, ha sancito un principio pacifico in tanti altri Paesi: l’esposizione nelle aule scolastiche del simbolo religioso (per di più unico simbolo esposto) rappresenta una “violazione della libertà dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni”.
Da allora sono partite pressioni molteplici perché il secondo grado della Corte di Strasburgo sconfessi la prima sentenza. Si è mobilitata la Cei, si è mosso il governo, si sono allertato l’associazionismo cattolico, facendo un gran parlare di identità, tradizioni, libertà. Berlusconi proclama che la decisione “inaccettabile per la stragrande maggiorana degli italiani”, il cardinal Bagnasco chiede il “rispetto della libertà religiosa”, il cardinale Bertone definisce la croce “espressione identitaria, strettamente connessa con la storia e la tradizione dell’Italia come pure dei popoli europei”. In realtà non un solo argomento, portato in campo in questi mesi per difendere la presenza obbligatoria del crocifisso nelle aule e nei tribunali, ha un fondamento. L’Unione europea tranne la pattuglia isolata di Polonia, Irlanda, Italia e Malta - respinse a schiacciante maggioranza dei suoi 27 stati la menzione delle “radici cristiane” nella propria costituzione. Non fu negazione del ruolo del cristianesimo nella storia europea, bensì rifiuto che da un generico richiamo costituzionale potessero scaturire, direttamente o indirettamente, situazioni di privilegio per una religione.
Che l’Europa sovranazionale sia laicista o antireligiosa è falso: infatti il trattato costituzionale prevede un “dialogo permanente” con le varie Chiese. Falso è anche dire che la sentenza respingerebbe la fede nell’ambito angusto del “recinto privato”. Il cristianesimo, come ogni altra fede, è totalmente libero di esprimersi collettivamente e visibilmente nello spazio pubblico e sociale dei paesi Ue. Parlare in Italia di un cristianesimo che rischia di essere conculcato, è una gag.
Ciò che indica la prima sentenza della Corte europea è, correttamente, l’impossibilità che in uno spazio istituzionale come la scuola (o i tribunali) vi sia un simbolo religioso che visivamente rappresenti il supremo principio ispiratore dell’educazione (o della giustizia). Non ci può essere nella società pluralistica contemporanea il dito indice di una sola religione, che all’interno di un’istituzione segni la via da seguire. Perché non è vero che il crocifisso sia nelle aule o nei tribunali “per tradizione”. La croce nei luoghi istituzionali è il retaggio dei secoli in cui il cattolicesimo era religione di stato. E il tentativo di imporne la presenza, anche oggi che la Costituzione e il Concordato hanno eliminato qualsiasi riferimento ad una religione di stato, non ha più nessuna base giuridica. Meno che mai è giustificato il tentativo surrettizio delle gerarchie ecclesiastiche di creare e crearsi uno status privilegiato di “religione di maggioranza”. Peraltro i giovani italiani, come dimostra l’ultima indagine Iard riportata dall’Avvenire, si sentono “cattolici” soltanto al 52 per cento.
Neanche è vero che il cattolicesimo sia un tratto universale dell’identità italiana. Ogni cittadino ha la sua storia, la sua cultura, le sue credenze. Sul piano istituzionale è certo che un solo simbolo, il Tricolore, rappresenta tutti (con buona pace di Bossi) e una sola immagine rappresenta nei luoghi pubblici l’unità della nazione, quella del presidente della Repubblica (Berlusconi se ne faccia una ragione). Da questo punto di vista rimane insuperabile la chiarezza del principio costituzionale americano (nazione assai religiosa e spesso citata da Benedetto XVI come esempio di laicità positiva), secondo cui lo Stato non può “né favorire né contrastare una religione”. Nelle scuole americane c’è la bandiera a stelle e strisce, non il crocifisso.
C’è un accenno interessante nel recente intervento di Napolitano. Il richiamo ad una una laicità “inclusiva”, disponibile ad accogliere ed amalgamare le “tradizioni più diverse”. Se è così, si abbia il coraggio di lasciare scegliere gli alunni se nella propria classe vogliono una parete neutrale oppure tale da accogliere la pluralità dei simboli religiosi e filosofici, che ciascuno sente consono.
O si rispetta la libertà di coscienza come astensione volontaria da qualsiasi marchio o si lascia libera l’espressione di tutti. Decidere, invece, di imporre un simbolo dichiarato unilateralmente valido per tutti è totalitarismo mascherato.
IL CASO
Saviano e la foto all’obitorio
"Speculazione di cattivo gusto"
Su Max in edicola venerdì una immagine che ritrare lo scrittore sul tavolo mortuario.
"Si specula cinicamente sulla condizione di chi vive protetto" *
ROMA - "Trovo il fotomontaggio che mi rappresenta morto in obitorio di cattivo gusto". Così lo scrittore Roberto Saviano commenta la fotografia 1 che apparirà nel prossimo numero del mensile Max e che ritrae lo scrittore steso su una barella da obitorio con tanto di cartellino di identificazione legato all’alluce, ripreso di scorcio dai piedi.
Una postura - accompagnata dalla scritta ’Hanno ammazzato Saviano’ - che riprende il Cristo di Mantegna e la famosa foto di Che Guevara morto.
"Un’immagine - commenta Saviano - utilizzata per speculare cinicamente sulla condizione di chi come me in Italia e all’estero vive protetto. Un’immagine profondamente irrispettosa per tutti coloro che per diversi motivi, spesso lontano dai riflettori, rischiano la vita. Tutta questa pressione sulla mia morte, poi, lascia sgomento me e la mia famiglia. Ad ogni modo rassicuro tutti: non ho alcuna intenzione di morire".
* la Repubblica, 23 giugno 2010
Pornografia da photoshop
di CESARE MARTINETTI (La Stampa, 23/6/2010)
Sembra il Che Guevara nella morgue boliviana. Un eroe. Giovane, perché gli eroi sono giovani. Ma anche morto perché in questo nostro paese gli eroi prima si fabbricano e poi si uccidono. A fin di bene, naturalmente. Per poterli piangere in un limbo inattingibile perché non appaia troppo sproporzionato il loro essere «eroi» e il nostro essere «normali».
C’è qualcosa di ignobile e di pornografico in questa operazione della rivista Max, in genere più avvezza ai modelli di Dolce&Gabbana che agli eroi dell’Italia civile: l’ipocrisia sbattuta in prima pagina. Uccidere Saviano per denunciare chi lo minaccia? Ma va là: le immagini, come le parole, sono pallottole, il pallore cadaverico applicato con il trucco del photoshop sul volto dolente di quel ragazzo rappresentante dell’Italia perbene è una volgare messinscena finalizzata in fin dei conti non a discutere, ma a vendere copie. Pubblicità, sulla pelle di una persona che la pelle se la gioca davvero.
Ma Roberto Saviano è anche vittima di un paese che non sa fare i conti con la misura. Non è un santo, non è un profeta. È un ragazzo che ha appena 30 anni e ha scritto un libro che disvela la malattia italiana, a cominciare dall’idolatria per chi l’ha scritto. Ma non è il papa straniero che deve salvare l’Italia da Berlusconi. Forse non è neanche di sinistra, può apparire anche ambiguo e per questo infastidire, ma è vero. E soprattutto vivo.
Un giorno, un non vedente era seduto sul gradino di un marciapiede con un
cappello ai suoi piedi e un pezzo di cartone con su scritto:
«Sono cieco, aiutatemi per favore»
Un pubblicitario
che passava di lì si fermò e notò che vi erano solo alcuni
centesimi
nel cappello. Si chinò e versò della moneta, poi, senza chiedere il permesso
al cieco, prese il cartone, lo girò e vi scrisse sopra un’altra frase.
Al pomeriggio, il pubblicitario ripassò dal cieco e
notò che il suo cappello era pieno di monete e di banconote.
Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo e gli domandò se era stato
lui che
aveva scritto sul suo pezzo di cartone e soprattutto che cosa vi avesse
annotato.
Il pubblicitario rispose:
"Nulla che non sia vero, ho
solamente riscritto la tua frase in un altro modo".
Sorrise e se ne andò.
Il non vedente non seppe mai che sul suo pezzo di cartone vi
era scritto:
«Oggi è primavera e io non posso vederla».
Morale:
Cambia la tua strategia quando le cose non vanno molto bene e
vedrai che poi andrà meglio.
Se non inoltri questa mail non ti capiterà
nulla, ma inviala almeno a quelle persone che secondo te meritano
di vedere la primavera e a tutti quelli che tu vorresti vedere
sempre sorridere, perché il loro sorriso renda migliore questo mondo.
Se un giorno ti verrà rimproverato che il tuo lavoro non è stato fatto
con professionalità, rispondi che l’Arca di Noè è stata costruita da
dilettanti e il Titanic da professionisti....
Per scoprire il valore
di un anno,
chiedilo ad uno studente che è stato bocciato all’esame
finale.
Per scoprire il valore di un mese,
chiedilo ad una madre che
ha messo al mondo un bambino troppo presto.
Per scoprire il valore di
una settimana,
chiedilo all’editore di una rivista settimanale.
Per
scoprire il valore di un’ora,
chiedilo agli innamorati che stanno
aspettando di vedersi.
Per scoprire il valore di un minuto,
chiedilo a
qualcuno che ha appena perso il treno, il bus o l’aereo.
Per scoprire
il valore di un secondo,
chiedilo a qualcuno che è sopravvissuto a un
incidente.
Per scoprire il valore di un millisecondo,
chiedilo ad un
atleta che alle Olimpiadi ha vinto la medaglia d’argento.
Il tempo non
aspetta nessuno.
Raccogli ogni momento che ti rimane, perché ha un
grande valore.