[...] ho riletto di recente quei passi della Monarchia di Dante, in cui viene prospettato come grande momento nella storia dell’umanità la fondazione delle prime città. Semiramide sarà stata pure colei che «libito fe’ licito in sua legge» (Inferno V, 56), ma è anche colei che pose o custodì le mura delle grandi città assire di cui era sovrana [...]
[...] La libertà, nell’amore come nella scienza, chiede di essere sempre accompagnata alla responsabilità. Il gesuita Bernard Lonergan, pensatore tra i più originali del Novecento seppure non adeguatamente conosciuto, coniuga oggettività della conoscenza e soggettività umana proprio attraverso la responsabilità, nella quale deve necessariamente confluire il processo conoscitivo [...]
Il confronto. Giorello e Martini si misurano sui temi più attuali
Il pericolo. La ricerca scientifica non deve nuocere alla dignità umana
La molteplicità di fedi e culture può provocare gravi inconvenienti.
Ma va considerata una ricchezza
Libertà e dialogo per una «nuova città»
di Giulio Giorello e Carlo Maria Martini
Da oggi è in libreria “Ricerca e carità”, un dialogo tra il cardinale Carlo Maria Martini e Giulio
Giorello, un confronto su scienza e solidarietà, ed. San Raffaele, curato da Damiano Modena.
Anticipiamo due estratti tratti dai capitoli “La città dell’uomo” e “Intelligenza e amore”
Corriere della Sera, 09.12.2010
GIULIO GIORELLO - Eminenza, può godere di quella «potenza trasformante» dei Vangeli anche chi ritiene che essi siano non la «buona novella», ma una tra le tante buone novelle che dal passato ci arrivano «come la luce di stelle che non ci sono più» (rubo quest’espressione a Luca Ronconi)? Tale luce a noi serve ancora, rischiara la nostra notte.
Dobbiamo riprendere tutte le buone novelle, anche quelle redatte dai miscredenti, come «l’ateo Spinoza» (così lo chiamavano i bigotti nella sua Amsterdam). Ritengo che questa sia una via praticabile per ridare senso alle parole, come lei stesso desidera. Un esempio: ho riletto di recente quei passi della Monarchia di Dante, in cui viene prospettato come grande momento nella storia dell’umanità la fondazione delle prime città. Semiramide sarà stata pure colei che «libito fe’ licito in sua legge» (Inferno V, 56), ma è anche colei che pose o custodì le mura delle grandi città assire di cui era sovrana.
Ecco cos’è una città: un elemento al tempo stesso di inclusione ed esclusione, che configura il modo in cui si costituisce l’umanità; l’uomo riconosce alcuni come compagni nella propria avventura, cioè con-cittadini ed esclude altri come estranei, se non nemici. Questo movimento di inclusione ed esclusione è sostanzialmente il processo fondativo della città, le cui mura non sono soltanto segno ostile verso il nemico; sono anche, e non a caso, l’elemento che marca il carattere di quella comunità.
La città rappresenta, allora, una mediazione tra natura e cultura; e di conseguenza l’esperienza della cittadinanza si ritrova alla base della nostra stessa modernità. In che modo, allora, un essere umano si realizza nella città? E vi può essere una città globale? Ovvero, possiamo pensare al mondo come un’unica grande città?
La città di oggi conosce, per altro, una drammatica esperienza della diversità, quella che indichiamo con vari termini (non sempre esattamente equivalenti), come multiculturalismo, multietnicità, pluralismo.
È solo un ricordo del passato il modello di convivenza e integrazione della Cordova dell’età d’oro dei musulmani in Andalusia, quando a poca distanza coesistevano la moschea, la sinagoga e la chiesa? Quale delicato equilibrio può proporsi oggi? Gli stessi mutamenti prodotti da scienza e tecnica non potrebbero essere quelli che porteranno prima o poi alla disgregazione della città armoniosa in cui diverse fedi, etnie, forme di vita potrebbero prosperare insieme? E soprattutto, si può andare oltre la mera coesistenza? (...)
Come ci dovremmo regolare con il ruolo politico delle altre religioni? Nel Corano si legge che è volontà di Dio che il Califfo intervenga quando i propri magistrati sono corrotti: questa linea è idealmente migliore del «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio»?
CARLO MARIA MARTINI - Come lei sa, nei miei ventidue anni di servizio episcopale a Milano ho posto la città come uno dei cardini riflessivi. Non era un vezzo, ma la coscienza che sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento la città, con le sue dinamiche e le sue contraddizioni, è il luogo dove Dio dialoga con l’uomo. Gerusalemme, addirittura, è il luogo dove Dio prende dimora.
Non saprei bene come un individuo si realizzi nella città. In generale, un essere umano si realizza quando scopre in sé delle potenzialità e può esprimerle contestualizzandole in un determinato ambiente, senza contrastare l’impegno dell’altro, la sua identità, la sua libertà, la sua responsabilità. Tuttavia, il mondo intero ha in sé le stesse dinamiche positive e gli stessi peccati di una città, sicché può essere considerato come un’unica grande città.
Ma lei sottolinea il carattere drammatico della diversità all’interno della città. A me, invece, pare che ciò non sia così drammatico. La diversità è una ricchezza. Modelli nuovi di convivenza pacifica potranno essere raggiunti; anzi, sono già in atto in ogni parte del mondo, a cominciare dalla città che mi è più cara. Pochi sanno, infatti, del movimento che a Gerusalemme unisce i familiari delle vittime della guerra israelo-palestinese in momenti di dialogo e di preghiera comune molto belli e intensi. La diversità è una ricchezza non sempre compresa come tale. E la sofferenza è uguale per tutte le madri, per tutti i figli, di qualsiasi cultura, religione o Stato. Ecco quel superamento della semplice coesistenza cui lei fa riferimento! Condividere il dolore, soprattutto il dolore innocente, subito, costruisce relazioni ben più profonde dell’essere coinquilini della stessa terra. «Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, patì fuori della porta della città» (Eb 13, 12). L’immagine di Gesù crocefisso fuori dalle mura di Gerusalemme ci ricorda quali dolorose conseguenze possa avere l’esclusione di ciò che scandalizza, il rifiuto di chi è diverso.
Lei solleva non pochi cruciali problemi. Allora, le rispondo pensando anzitutto che cos’è una città unita: essa è un luogo dove le differenze dialogano per il bene comune, dove si cede alle convinzioni altrui se rappresentano realmente un bene maggiore per tutti. Un luogo dove la Chiesa, per ciò che le compete, e l’Autorità, per ciò che le compete, offrono ai più deboli un sostegno immediato e uno a lungo termine. Anche se non ha il compito di interferire direttamente nella vita politica, la Chiesa senza dubbio ne condiziona lo svolgimento con i suoi interventi, seppure in seconda battuta. La sua sola missione è quella di annunciare Gesù, e questi crocefisso. Non credo, tuttavia, che la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio sia così individualista come sembrano suggerire le sue riflessioni. Sarebbe giusto, se la coscienza fosse egualmente matura in tutti. Ma sappiamo che per alcune coscienze tutto è di Cesare e per certe altre tutto è di Dio. Io penso che sia di Cesare tutto ciò che riguarda il potere, il ben-essere, il ben-avere, il volere; e siano invece di Dio il servizio, l’umiltà, la povertà, l’essere, il dono, la carità. (...)
GIULIO GIORELLO - Credo che la ricerca abbia bisogno di idee, capaci di far parlare i fatti; altrimenti, come ebbe bene a dire un mio maestro, il matematico René Thom, «quel che minaccia la verità non è la falsità, ma l’insignificante». Non basta una miriade di numeri, misurazioni dopo misurazioni, dati e ancora dati: occorre un’idea che ci permetta di rendere comprensibili intellettualmente i fatti più diversi. Non è stato così, per esempio, con l’intuizione di Galileo del pendolo o con la celebre «mela di Newton» che ha mostrato come la forza che fa sì che quel pomo cada è la stessa che fa sì che la Luna non cada sulla Terra? O con la concezione evoluzionistica di Darwin, o con l’idea di Einstein della «relatività del moto»? O con la congettura di Dirac a proposito dell’antimateria?
Servendoci di un’etimologia magari fantasiosa, diciamo che intelligenza risponda a inter legere ovverossia «a scegliere fra»: alla capacità di selezionare ciò che è rilevante da ciò che è insignificante. Per questo la ricerca ha bisogno di intelligenza. Ma essa non è nemmeno distinta dalla passione. Talvolta pensiamo ai ricercatori scientifici come a persone asettiche, che si lasciano alle spalle qualsiasi riferimento al mondo della vita appena entrano in laboratorio o si siedono al computer. Non credo che questa sia una caratterizzazione completa dell’impresa scientifica; un’impresa scientifica che non portasse seco la passione del conoscere sarebbe un’impresa di scarso respiro... Ancora una volta vorrei citare un passo di Zadig riguardo alle passioni: «"Ah, quanto sono funeste", diceva Zadig. "Sono i venti che gonfiano le vele e il vascello", ribatté l’eremita, "qualche volta lo fanno affondare; ma senza di loro non potrebbe navigare. La bile rende collerici e malati; ma senza la bile l’uomo non potrebbe vivere. Tutto è pericoloso in questo mondo, e tutto è altrettanto necessario"».
Perché la passione è così importante? La passione è qualcosa che ti prende, ti rapisce, ti trascina, può essere anche un’esperienza dolorosa, il pericolo di cui parla l’eremita a Zadig, ma nello stesso tempo è qualcosa che dà colore a quanto altrimenti sarebbe un’ontologia grigia rivelata dalla scienza. Certo, occorre passione; ma passione qui vuol dire un profondo rapporto con le cose che vengono indagate. Dobbiamo amare il cielo se vogliamo esplorarlo; sentirci rapiti dalle «infinite forme bellissime» (la citazione è da Darwin) del vivente se vogliano studiarne genesi ed evoluzione. La costruzione delle teorie scientifiche, le rielaborazioni che spiegano i fatti, l’applicazione delle idee ai nostri macchinari sono tutte prove di amore per il mondo, un interesse specifico per le singole cose, collegate in un intellegere che è colligere.
CARLO MARIA MARTINI - Rispetto agli scienziati che lei cita, ci sono da fare alcune distinzioni importanti. Mentre Galileo con il pendolo o Newton con la sua leggendaria mela hanno fatto delle sperimentazioni sulla gravità e hanno mostrato appunto che c’è una forza che attrae i corpi verso il centro della Terra, le intuizioni di Darwin o quelle inerenti l’antimateria sono solo delle teorie. Altro è l’esperimento che dimostra un’intuizione teorica, altro l’intuizione non sperimentata né sperimentabile. Ancora, altro è scoprire la composizione dell’acqua, altro comporre l’acqua da un atomo di ossigeno e due di idrogeno. Uno scienziato potrebbe spiegarne bene la differenza. Ma sono d’accordo con lei che l’intelligenza non è solo leggere dentro, ma anche leggere «fra», cioè selezionare, discernere ciò che ha valore da ciò che non ne ha.
Siamo anche d’accordo sul fatto che sia necessaria una grande passione nell’ambito della ricerca. Ricordo gli anni dei miei studi sul Codice Vaticano (B) come anni di grande passione: tutte le scienze chiedono una grande passione. So di alcuni ricercatori che dimenticano di mangiare o di bere durante una fase piuttosto intensa del loro lavoro. Non c’è dubbio che lo scienziato sia tale anzitutto per l’amore appassionato verso ciò che fa e ciò che lo circonda, verso il mistero che avvolge anche le realtà quotidiane che l’uomo comune ritiene ovvie.
Davvero la conoscenza rende più ricco, vero e puro l’amore, e l’amore rende più profonda, paziente e tenera la conoscenza. E pur intuendo dove lei vuol condurmi, e cioè che un amore per essere autentico chiede di essere libero e, quindi, anche la scienza che scaturisce dall’amore per la natura chiede una libertà incondizionata, bisogna fare delle precisazioni.
La libertà, nell’amore come nella scienza, chiede di essere sempre accompagnata alla responsabilità. Il gesuita Bernard Lonergan, pensatore tra i più originali del Novecento seppure non adeguatamente conosciuto, coniuga oggettività della conoscenza e soggettività umana proprio attraverso la responsabilità, nella quale deve necessariamente confluire il processo conoscitivo. Il vincolo per la scienza è quindi che essa sia rispettosa della dignità umana e della libertà della persona. Ha idea di cosa potrebbe diventare la scienza senza nessun vincolo? Lei non crede che finirebbe con l’essere molto simile alle sperimentazioni «a fin di bene» praticate nei campi di concentramento durante la Seconda guerra mondiale? Che alcuni diventerebbero «null’altro che» delle cavie?
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Via libera al Cavaliere (almeno in Vaticano)
di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 10.12.2010)
Ha regalato ai novelli principi della Chiesa una preziosa croce pettorale promettendo che da un salesiano come lui non dovranno mai temere politiche o leggi ostili. Silvio Berlusconi ha garantito che il suo governo «mai agirà contro la Chiesa», si è detto «molto ottimista» sul «passaggio parlamentare» di martedì, ha rivendicato il proprio ruolo nell’avvicinare la Russia all’ Ue e gli ortodossi ai cattolici. Da parte sua il braccio destro del Papa, Tarcisio Bertone, ha ringraziato l’esecutivo per aver recepito le indicazioni della Santa Sede sui temi eticamente sensibili (vita, famiglia, istruzione) e ha definito eccellente lo stato delle relazioni tra le due sponde del Tevere. Un esplicito riconoscimento che, a pochi giorni dal «redde rationem» della fiducia, offre una rilevante sponda al presidente del Consiglio. Un chiaro segnale del favore con cui la Segreteria di Stato guarda all’esecutivo e diffida dei «salti nel buio».
Alla colazione di lavoro all’ ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, il Segretario di Stato ha presentato al premier i dieci nuovi cardinali italiani festeggiando con loro Antonio Zanardi Landi, l’uomo-ponte tra Vaticano e governo, promosso a Mosca. Prendendo spunto dal trasferimento in Russia del suo mediatore nei Sacri Palazzi, Berlusconi ha illustrato al vertice della Curia Romana l’importanza geopolitica e anche interconfessionale del legame con «l’amico Putin», ha assicurato per il resto della legislatura «ancora maggiore attenzione» alla salvaguardia dei valori cattolici, poi ha lasciato ai più stretti collaboratori la spiegazione delle linee d’azione ai loro «omologhi» d’Oltretevere.
Al momento del caffé si è concesso una battuta: «Se non ottengo la fiducia, è la volta buona che finalmente potrò riposarmi un po’». Quindi, Letta ha evidenziato la positiva cooperazione tra Stato e Chiesa per il bene comune in un momento difficile di crisi economica mondiale, Tremonti si è soffermato sulle misure di sostegno ai nuclei familiari come strumento politico di gestione delle difficoltà finanziarie e strumento di progresso sociale, Frattini ha ricordato l’impegno italiano nelle sedi internazionali contro le persecuzioni dei cristiani, la Gelmini ha esposto le novità della riforma universitaria derubricando le manifestazioni studentesche a «protesta di fuori corso». Insomma, tutt’altro che un «clima di smobilitazione».
Berlusconi e Bertone si sono rassicurati a vicenda sulla governabilità, sulla solidità del dialogo tra la la Santa Sede e il governo e, «nell’ interesse dei cittadini», sulla tenuta del sistema Paese nel complesso quadro planetario. Assente («per impegni a Genova») Bagnasco, capo della Chiesa italiana e titolare delle relazioni con l’esecutivo.
Anche stavolta (come già al ricevimento in nunziatura) si è fatto sostituire dal segretario generale Crociata, segno di un approccio più defilato rispetto all’asse di ferro Bertone-Berlusconi. In Cei ritengono rischioso appiattirsi su un’unica leadership e non escludono, in caso di bisogno, la prospettiva di un governo d’emergenza guidato da una figura più tecnica e «super partes». Dalle gerarchie ecclesiastiche (concordano Segreteria di Stato e Conferenza episcopale) non arriverà alcun avallo al terzo polo . Un «non possumus» dovuto alle posizioni laiciste di Fini su testamento biologico, procreazione assistita e riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Al premier, però, viene richiesto uno sforzo supplementare per dare espressione alle istanze cattoliche attraverso l’introduzione del quoziente familiare, nuove politiche di accoglienza e di integrazione degli extracomunitari.
Al di là di qualche entusiasmo sopra le righe (come la speranza di agevolare lo storico incontro tra il Papa e il patriarca russo Kirill), il Berlusconi-pensiero ha fatto breccia tra i porporati. Dalla Curia non ci saranno appoggi all’intesa Udc-Fli, anzi si farà ulteriore pressing su Casini nell’eventualità di un Berlusconi bis o di una «fase due» del governo «più moderata» e depurata dagli slanci antiimmigrazione della Lega (ieri assente a Palazzo Borromeo).
Il Vaticano puntella B. Ma Casini resiste a Ruini
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 10.12.2010)
Berlusconi esibisce il puntello vaticano. E il Segretario di Stato, cardinale Bertone, partecipa volentieri. Il tradizionale ricevimento offerto ai dieci nuovi porporati italiani nell’ambasciata presso la Santa Sede, si è risolto in una rinnovata manovra per mostrare al pubblico che il sostegno vaticano al premier non è venuto meno. Due ore di pranzo, l’opportunità di una foto-spot, rinnovate garanzie al Vaticano. Il Cavaliere ha giocato le sue carte e Letta, che con vari ministri era presente al ricevimento, ha fatto la sua parte per convincere Bertone e il segretario della Cei mons. Crociata che l’unica soluzione è un rafforzamento dell’attuale compagine ministeriale, coinvolgendo anche l’Udc. Senza dimissioni, senza inoltrarsi nell’avventura di un reincarico.
Già dieci giorni fa, in occasione del vertice Osce nel Kazakhstan, Berlusconi aveva esibito l’immutato appoggio di Bertone (presente alla riunione internazionale) alla sua leadership. “Quando gli ho chiesto cosa ne pensasse del terzo polo, il cardinale mi ha risposto che non celebra matrimoni fra uomini, soprattutto se si tratta di Casini e di Fini”, ha riferito il Corriere della Sera.
BATTUTE A PARTE, resta la preferenza della Segreteria di Stato per l’uomo di Arcore. È questo il
nodo del ruolo negativo che la Chiesa-istituzione sta giocando nella più grave crisi attraversata dal
Paese negli ultimi decenni. Nulla smuove la gerarchia vaticana dalla sua posizione
filoberlusconiana perinde ac cadaver. Non basta che il premier per due anni abbia inchiodato il
Parlamento alla pasticciata elaborazione di leggi per evitare al Cavaliere i tribunali, dove è imputato
di reati gravi che nulla c’entrano con le sue visioni politiche. Non basta che il suo collaboratore più
stretto, Marcello Dell’Utri, sia stato riconosciuto colpevole - con sentenza di primo e secondo grado
di avere stretto accordi con la mafia a suo vantaggio. Non basta che non abbia fatto nulla per
sostenere le famiglie in gravi difficoltà, per rilanciare l’occupazione, per contrastare un precariato
esiziale per un’intera generazione di giovani. Non bastano il bunga-bunga, le serate affollate di
puttane pagate o fattesi pagare, le frequentazioni con minorenni.
I vertici ecclesiastici hanno deciso di volgere la faccia dall’altra parte. Non affrontando la questione morale, nel senso di etica istituzionale, costituita dai comportamenti del Caimano. Risale a quattordici mesi fa, settembre 2009, l’ultimo sussulto per chiamare direttamente alle sue responsabilità Silvio Berlusconi. Fu quando al Consiglio permanente della Cei il presidente cardinale Bagnasco dichiarò che “chiunque accetta di assumere un mandato politico sia consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda all’articolo 54”.
Da allora ci sono state solo critiche indirette, esclamazioni di allarme, manifestazioni di insoddisfazione per la mancanza di una seria politica sociale. Qualche protesta quando Berlusconi ha commesso l’imprudenza di raccontare barzellette-bestemmia. Ma mai la gerarchia ecclesiastica ha compiuto il gesto di ritirare apertamente il credito largamente concesso da decenni a Silvio Berlusconi. Nonostante il malessere di tanto mondo cattolico, nonostante le puntuali denunce di Famiglia Cristiana, nonostante l’aperta insofferenza dopo il caso Ruby di parecchi settimanali diocesani, nonostante il disagio crescente di molti vescovi.
Nei giorni passati le cronache hanno riferito di sotterranee pressioni del cardinale Ruini per convincere Casini a non tirare troppo la corda e trovare un accordo con Berlusconi. Per l’ex presidente della Cei - in sintonia con la Segreteria di Stato - conta solo la “ragion di Chiesa” della salvaguardia dei finanziamenti alle scuole confessionali (anche a scapito del 5 per mille provolontariato e di una scuola pubblica drammaticamente impoverita). Conta solo impedire che il “laicista” Fini - prontamente attaccato dall’Avvenire - possa osare di favorire nel nostro Paese l’introduzione di leggi normali come le unioni civili e il testamento biologico.
Un problema etico di Berlusconi-premier per Ruini non esiste. Basta leggere quanto dichiarato recentemente a Repubblica: “Quando si chiama in causa la morale non per scopi autenticamente morali ma per motivi diversi, ad esempio politici, si cade facilmente nel moralismo, che è a suavolta una forma di immoralità, negativa anzitutto per chi la pratica”. Un’affermazione gelida, che nella sua esposizione nega in radice qualsiasi dibattito sull’etica pubblica, che notoriamente - in tutto l’Occidente democratico - si svolge nelle sedi politiche e istituzionali, e non certo nei confessionali.
NON È UN CASO che in queste ore si stia consumando un silenzioso divorzio tra Casini e la linea Ruini. Da vecchio democristiano Casini ha intuito che nel profondo del Paese, Berlusconi ha perso l’alone del “salvatore” e perciò non ha più senso puntellare la sua anomalia. Se assieme a Fini riuscirà a reggere la strategia iniziata, il Vaticano resterà solo a puntellare il governo di un uomo definito dalla diplomazia americana “incapace, vanesio, inefficiente”.
Non è un caso nemmeno che “per impegni precedenti” il cardinale Bagnasco non sia venuto ieri da Genova a Roma per partecipare al pranzo-spot con Berlusconi. Non aveva problemi insormontabili. In mattinata una riunione con i vicari, in serata un appuntamento a Loreto. Il premier gli avrebbe certamente messo a disposizione un aereo.