[...] «Quando il governo decide di fare una legge, questa prima deve passare» dal Quirinale e deve passare il vaglio «di tutto l’enorme staff che circonda» il Capo dello Stato, staff che «interviene puntigliosamente su tutto», ha spiegato il presidente del Consiglio. E ancora. «Se al Capo dello Stato e al suo staff la legge non piace, questa torna in Parlamento. E se non piace ai giudici la impugnano e la portano alla Corte Costituzionale che la abroga» [...]
IL CASO
Berlusconi, attacco al Quirinale
"Lo staff del Colle interviene su tutto"
Il premier: troppi lacci al governo
«Patto tra Fini e la magistratura
per fermare la nostra riforma» *
MILANO. Silvio Berlusconi all’attacco a tutto campo. Nella sua giornata milanese, il premier ha parlato di numerosi freni all’attività legislativa e di governo, sia per i lacci imposti dalla Costituzione sia per interventi esterni che non nasconde di considerare a volte indebiti.
«Quando il governo decide di fare una legge, questa prima deve passare» dal Quirinale e deve passare il vaglio «di tutto l’enorme staff che circonda» il Capo dello Stato, staff che «interviene puntigliosamente su tutto», ha spiegato il presidente del Consiglio. E ancora. «Se al Capo dello Stato e al suo staff la legge non piace, questa torna in Parlamento. E se non piace ai giudici la impugnano e la portano alla Corte Costituzionale che la abroga».
Il premier è poi tornato a puntare il dito contro il presidente della Camera Gianfranco Fini e contro i giudici. «C’era un patto di Fini con i magistrati e l’Anm, e tutte le cose che non andavano bene ai magistrati venivano stoppate», ha detto. Ci sono «i giudici che dicono la loro e altre autorità che intervengono anche se non dovrebbero farlo». «Il presidente del Consiglio è imbrigliato e può solo suggerire» e per questo, ha insistito il premier, «serve una riforma» costituzionale che finora «non siamo riusciti a fare perchè nemmeno all’interno della nostra maggioranza eravamo riusciti a trovare l’accordo».
Berlusconi ha indugiato a lungo sulla riforma della giustizia. Per esempio servirebbe il processo breve, o meglio «in tempi ragionevoli così come chiesto anche dall’Ue». Ma «poichè ci sono 103 procedimenti avviati su di me, la sinistra dice che non si fa, perchè serve a Berlusconi». Dunque «se c’è di mezzo Berlusconi non si può fare una legge giusta». Berlusconi ha parlato anche di intercettazioni, confermando la necessità di accelerare l’iter del disegno di legge alla Camera. Poi ha rivelato di non usare più il cellulare. «Il presidente del Consiglio ha deciso di non avere un telefonino, non perchè non se lo possa consentire, ma perchè è esposto a qualsiasi intercettazione».
Il premier ha ricordato le sue vicende giudiziarie, per cui ha assicurato di avere già speso «facendo il calcolo in lire, 600 miliardi». Ora «in 11 giorni ho già 5 udienze», ha detto. Non è mancata una stoccata all’opposizione. «Abbiamo ancora i vecchi comunisti - ha detto - noi diciamo bianco e loro dicono nero. Da loro arrivano solo insulti a valanga. Bersani apre la bocca e vedete cosa esce».
Nonostante «l’odio con cui veniamo trattati dai media», per Euromedia research, il Pdl è al «30,6%», ha riferito. E per «quel 51% degli italiani» che «mi stimano resterò a far politica», ha spiegato. Eppure, «ne ho piene le scatole e sogno a occhi aperti di tornare a fare il cittadino privato».
* La Stampa, 28/02/2011
La battaglia finale contro la Costituzione
di Domenico Gallo (il manifesto, 1 marzo 2011)
Nel programma di guerra di Berlusconi alle istituzioni dello Stato di diritto, al primo posto c’è il regolamento dei conti con l’indipendenza della giurisdizione. Le aggressioni (e le intimidazioni) di Berlusconi contro i magistrati, che per la natura della loro funzione devono esercitare il fastidioso compito di controllare il rispetto delle regole da parte di tutti, sono una costante da 17 anni, da quando l’eroe è «sceso in campo» per liberare l’Italia dal giogo dei comunisti. Poiché nel nostro ordinamento esiste anche un giudice delle leggi, neppure la Corte Costituzionale è stata risparmiata da aggressioni furiose che l’hanno additata al disprezzo dell’opinione pubblica, persino nell’ambito di consessi internazionali, nei quali il nostro uomo non ha avuto vergogna di attaccare a testa bassa tutte le istituzioni di garanzia del Paese da lui rappresentato.
Dal momento che 17 anni di mezzucci, di leggi ad personam, di riforme volte a paralizzare la giustizia e ad allargare le maglie del controllo penale non sono serviti a niente, soprattutto per interventi correttivi della Corte Costituzionale, alla fine tutti i nodi sono venuti al pettine. Il prigioniero politico Berlusconi sa di essere arrivato allo scontro finale: o riuscirà a sbarazzarsi del controllo di legalità esercitato nei suoi confronti e in quelli dei suoi sodali (vedi i casi Previti e Dell’Utri), o il suo potere rimarrà travolto.
Il nemico è sempre lo stesso, non i giudici, ma la Costituzione, che distribuisce ed equilibra tutti i poteri impedendo ogni forma di dittatura della maggioranza, ovvero di onnipotenza da parte di coloro che esercitano i poteri politici. Proprio perchè il nemico è la Costituzione, al vertice dei «nemici politici» di Berlusconi non ci sono i pm di Milano ma la Corte Costituzionale, organo che i padri costituenti hanno voluto indipendente, con l’incarico di reprimere gli abusi dalle contingenti maggioranze politiche, a garanzia della rigidità della Costituzione. Insomma, la Carta non si può cambiare a colpi di maggioranze parlamentari, neanche se lo si fa a fin di bene, vale a dire al fine di assicurare quell’immunità al Capo politico Silvio Berlusconi, che il nostro ordinamento si ostina a riconoscere soltanto al Papa. Se esiste ancora in Italia l’indipendenza della giurisdizione (ed i pm possono ancora esercitare l’azione penale nei confronti di Berlusconi e dei suoi sodali quando violano le leggi penali), ciò è dovuto al fatto che la maggioranza politica non può cambiare la Costituzione a suo piacimento, perché le leggi possono essere giudicate e cancellate dall’ordinamento - se incostituzionali - dal giudice della leggi.
Se la Costituzione di Arcore, che considera la persona di Berlusconi sacra ed inviolabile come lo Statuto Albertino considerava la persona del Re d’Italia, non è ancora entrata in vigore, non lo si deve all’ostinazione dei giudici ordinari, ma alla resistenza dei giudici della Corte Costituzionale che continuano a svolgere il loro compito di «Guardiani della Costituzione». Berlusconi ha capito benissimo che, per regolare i suoi conti con il potere giudiziario, l’ostacolo vero di cui deve sbarazzarsi è rappresentato dalla Consulta. Non c’è più tempo da perdere. Per questo ha promesso che il suo governo farà approvare - a tambur battente - dalla sua maggioranza parlamentare una riforma complessiva del sistema giustizia, mettendo al primo posto una riforma che serve a porre fuori gioco la Corte Costituzionale.
Si tratta di una vecchia idea inserita nel progetto di riforma Calderoli, accantonato prima ancora di essere presentato. I propositi sono stati espressi in modo chiarissimo: l’obiettivo principale è abbattere il controllo di legalità costituzionale esercitato dalla Corte Costituzionale. La Corte non verrebbe cancellata, rimarrebbe in funzione come un’istituzione decorativa, senza nessuna possibilità di interferire con gli abusi di potere del Capo e della sua maggioranza parlamentare che potranno fare strame della Costituzione e dei suoi principi di giustizia, libertà ed eguaglianza, senza tema di essere sconfessati. Si tratta di un obiettivo talmente importante che Berlusconi è disposto a correre il rischio del referendum che pende su tutte le riforme costituzionali approvate a maggioranza.
Poiché Berlusconi ha trasformato la maggioranza parlamentare in un bivacco di manipoli, l’ultima parola sulle modifiche della Costituzione spetterà al popolo. Siamo pronti a ripetere la mobilitazione del 2006 che ha consentito di affossare il primo tentativo organico di Berlusconi di sbarazzarsi della Costituzione nata dalla resistenza?
di MASSIMO GIANNINI *
Dichiarato ufficialmente "contumace" alla ripresa del processo Mediaset, il presidente del Consiglio si lancia nel suo Vietnam giudiziario con una dissennata dichiarazione di guerra. E seleziona con precisione chirurgica i suoi "nemici": il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Sono loro, le due massime istituzioni di garanzia, che gli impediscono di governare. Se "non gli piacciono" le leggi varate dal Consiglio dei ministri, Giorgio Napolitano le rinvia alle Camere, gli "ermellini rossi" le respingono.
Si avvera dunque la facile profezia che avevamo formulato solo una settimana fa. Altro che senso dello Stato, altro che tregua istituzionale: Silvio Berlusconi si prepara a consumare quel che resta della legislatura all’insegna del conflitto permanente. C’è da chiedersi perché lo fa. C’è da chiedersi quale vantaggio possa trarre lui stesso, da un’aggressione sistematica che destabilizza gli equilibri costituzionali e avvelena le relazioni istituzionali. Le sue parole, da questo punto di vista, si prestano a un doppio livello di analisi possibile.
In primo luogo c’è la strategia politica. Risolto con una scandalosa compravendita il duello contro Gianfranco Fini, rinsaldata a suon di prebende un’esangue maggioranza aritmetica, neutralizzato momentaneamente l’assedio dell’opposizione parlamentare, il premier ha ora un bisogno disperato di trovare altri "contro-poteri" e di additarli all’opinione pubblica come ostacoli insormontabili sul cammino della "modernizzazione".
Sa che non potrà fare le "grandi riforme" promesse in campagna elettorale. Non potrà varare la storica "rivoluzione fiscale" che consentirà ai contribuenti di pagare meno tasse, perché non ha il coraggio di stanare l’evasione. Non potrà varare un serio pacchetto di "scossa" all’economia, perché non sa trovare le risorse necessarie. Non potrà varare un vero riordino della giustizia nell’interesse di tutti i cittadini, perché la sua unica ossessione è un "ordinamento ad personam" che consenta solo a lui di salvarsi dai suoi processi.
Il suo carniere è vuoto. E resterà vuoto di qui alla fine della legislatura, anticipata o naturale che sia. Per questo deve trovare un capro espiatorio, sul quale scaricare i suoi fallimenti e travestirli da "impedimenti". Il Quirinale e la Consulta sono due bersagli ottimali. Con il suo attacco frontale, il Cavaliere sta dicendo agli italiani: sappiate che se non sono riuscito a risolvere i vostri problemi la colpa non è mia, ma di chi ha demolito le mie leggi. Quello di Berlusconi è solo un gigantesco alibi, che nasconde una colossale bugia. Ma solo di questo, oggi, può vivere il suo sfibrato governo e la sua disastrata coalizione: alibi e bugie, su cui galleggiare fino al 2013, per poi tentare il grande salto sul Colle più alto. A dispetto degli scandali privati di cui è stato protagonista e dei disastri pubblici di cui è stato artefice.
In secondo luogo c’è la "filosofia" politica. E qui, purtroppo, il presidente del Consiglio non fa altro che confermare la natura tecnicamente eversiva del suo modo di intendere il governo e la dialettica tra i poteri, la Carta costituzionale e lo Stato di diritto. In una parola, la democrazia. È tecnicamente eversiva l’idea che il presidente della Repubblica o la Consulta possano rinviare o bocciare una legge "perché non gli piace": non lo sfiora nemmeno il dubbio che l’uno o l’altra, nel giudicare sulla legittimità di una norma, agiscano semplicemente in base alle prerogative fissate dalla Costituzione agli articoli 74, 87 e 134. È tecnicamente eversiva l’idea che in Parlamento "lavorano al massimo 50 persone, mentre tutti gli altri stanno lì a fare pettegolezzo": non lo sfiora nemmeno il sospetto che la trasfigurazione delle Camere in volgare "votificio" sia esattamente il risultato della torsione delle regole che lui stesso ha voluto e causato, con decreti omnibus piovuti sulle assemblee legislative e imposti a colpi di fiducia.
Ma qui sta davvero l’essenza del berlusconismo. Cioè quell’impasto deforme di plebiscitarismo e populismo, di violenza anti-politica e onnipotenza carismatica. Da questa miscela esplosiva, con tutta evidenza, nasce l’Anti-Stato che ormai il Cavaliere incarna, in tutte le sue forme più esasperate e conflittuali. In questa dimensione distruttiva, la stessa democrazia, con i suoi canoni e i suoi precetti, non è più il "luogo" nel quale ci si deve confrontare, ma diventa la "gabbia" dalla quale ci si deve liberare. Contro il popolo, in nome del popolo. "Dispotismo democratico", l’aveva definito Alexis de Tocqueville. Scriveva dall’America, due secoli fa. È una formula perfetta per l’Italia di oggi.
* la Repubblica, 01 marzo 2011
Crescono i rischi di un conflitto con Napolitano
di Massimo Franco (Corriere della Sera, 01.03.2011)
Registrare l’attacco di Silvio Berlusconi allo «staff troppo puntiglioso» del Quirinale, e vedere che Giorgio Napolitano ora viene difeso perfino dall’Idv, fa un certo effetto. Dimostra quanto si siano sfilacciati e capovolti i rapporti fra presidente della Repubblica e Pdl, e quanto Palazzo Chigi soffra il controllo di legittimità sulle leggi, che spetta al capo dello Stato. Ma soprattutto, lascia intravedere una tensione latente sul modo in cui Napolitano e Berlusconi interpretano questa fase della legislatura e i suoi sviluppi.
L’impressione è che al Quirinale non basti la blindatura numerica della maggioranza: è garanzia non di stabilità, ma di sopravvivenza del premier. Per questo, il capo del governo mal sopporta i rilievi nei confronti di misure come il cosiddetto «Milleproroghe» . In un momento normale, avrebbe accolto i suggerimenti e magari ringraziato; sentendosi in bilico, dice «sì» , ma poi dà sfogo alla frustrazione. Il Berlusconi che lamenta impotenza decisionale, mancanza di potere, e una sorta di «laccio» istituzionale teso a frenare la sua azione, scarica sull’esterno le difficoltà del centrodestra. Rievoca lo «spirito e la passione del ’ 94» , quando la sua maggioranza vinse per la prima volta le elezioni; e la nostalgia gli fa dimenticare che allora durò appena nove mesi. Il centrodestra si ruppe per la defezione della Lega, e lui si ritrovò all’opposizione.
Oggi la situazione appare diversa. Napolitano è sempre stato considerato un interprete rispettoso del voto popolare e delle sue implicazioni. E dopo la rottura tra Berlusconi e il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha evitato di parteggiare per l’uno o per l’altro: con irritazione mal celata del Pdl, furioso per il modo in cui Fini interpreta il ruolo di terza carica dello Stato e per il suo rifiuto di dimettersi. Ma il viavai di parlamentari seguito alla spaccatura nel centrodestra è un fenomeno a dir poco ambiguo. Permette a Berlusconi di andare avanti, forte del patto con una Lega che concede il via libera «finché ci sono i numeri» : quindi non escludendo elezioni, che il premier però vede come una iattura con la crisi in atto nel Maghreb. Eppure manca un’agenda chiara per il resto della legislatura. L’ennesimo annuncio di una riforma istituzionale che prende di mira le prerogative degli altri poteri, solleva perplessità. Il Pd vede nella polemica «un attacco preventivo» .
E Pier Ferdinando Casini dell’Udc ironizza su un Berlusconi «inseguito dai suoi processi» , che «se la prende con i magistrati e Napolitano» . È vero che il premier si definisce «disperato» . Ma continua a sospettare che esista «un patto fra Anm e Fini» per far naufragare la riforma della Giustizia. «Risibile» , reagisce il leader di Fli.
Il Quirinale, invece, risponde alle accuse berlusconiane con un silenzio gelido e un «grazie» ufficioso: sentirsi dare dei puntigliosi nello sbandamento generale, viene percepito quasi come un complimento. Eppure, la distanza fra capo dello Stato e del governo è pericolosa: tanto più se diventa conflitto.