[...] Monti chiarisce solo di far «affidamento sul senso di responsabilità delle forze politiche». Responsabilità necessaria per varare un decreto legge che a conti fatti, sottolinea il vice ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, vale circa «venti miliardi» (30 al lordo) e rispecchia «in toto le richieste della Commissione europea» [...]
Monti: ecco il decreto salva-Italia
Consiglio dei ministri di 3 ore, ok alla manovra da 30 miliardi lordi. Appello del premier agli italiani
di PAOLO FESTUCCIA *
ROMA Tre ore di consiglio dei ministri. E il decreto «salva Italia», come lo definisce il capo del governo Mario Monti, è pronto: approvato e scodellato alla stampa. Sul primo atto cala il sipario, di domenica, ora la scena è tutta per l’aula. Alle Camere, dove oggi stesso si recherà il capo del governo per illustrare le misure, senza escludere né confermare l’ipotesi della fiducia. Monti chiarisce solo di far «affidamento sul senso di responsabilità delle forze politiche». Responsabilità necessaria per varare un decreto legge che a conti fatti, sottolinea il vice ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, vale circa «venti miliardi» (30 al lordo) e rispecchia «in toto le richieste della Commissione europea».
Prima novità, rispetto alla vigilia: resta invariata l’Irpef. Ma si tagliano i costi della politica, e si tassano i capitali rientrati con lo scudo fiscale. Certo c’è l’Ici sulla prima casa e ci sono tagli pesanti per gli enti locali: la sanità e il trasporto. Ma tutto si è reso necessario, spiega Mario Monti agli italiani, per fronteggiare una «crisi gravissima», che per «colpa del debito pubblico rischia di compromettere quanto costruito in 60 anni di sacrifici da quattro generazioni almeno di italiani». Sacrifici, dunque, rigore, ma nel segno dell’equità e dello sviluppo. Lo spiega da giorni Monti, lo ribadisce pure il ministro Passera, ma quando tocca al ministro Elsa Fornero la commozione è totale. Si strugge pensando alle retribuzioni delle pensioni minime. E già, le pensioni, ma la stretta assicura Monti non si abbatterà sulle «minime e il loro doppio», mentre i tagli prenderanno di petto ministri, governo e sottosegretari.
Un passaggio questo necessario per spiegare che nel quadro della trasparenza «tutti noi - spiega il premier - presenteremo le dichiarazioni patrimoniali, dichiarando per interi i nostri possedimenti anche in fondi d’investimento, azioni e obbligazioni». Poi, l’annuncio, tanto inatteso quanto apprezzato: «Abbiamo stabilito che il presidente del Consiglio, i ministri e i sottosegretari non parlamentari che siano dipendenti pubblici - spiega Monti - non conservino l’intera retribuzione in godimento ma il solo trattamento fondamentale, fatti salvi i diritti previdenziali. Chiediamo sacrifici ai cittadini, e da parte mia mi è sembrato doveroso, come atto di sensibilità individuale, rinunciare al compenso da presidente del Consiglio e come ministro dell’Economia». La cura Monti, insomma, si lascia intuire parte dal Capo. Poi, altro capitolo chiave: la lotta all’evasione.
«Il governo - chiarisce Monti - ha preso misure significative, e vedrete che i nostri provvedimenti sono piuttosto incisivi». Il presupposto?. «Escludere la possibilità stessa di evadere». E allo stesso modo, sottolinea, «è esclusa ogni possibilità di ricorrere a condoni».
Poi, uno dei temi più attesi e controversi: quello della patrimoniale. Altro nodo caldo non contemplato, però, nel decreto legge anti-crisi varato dal governo. Monti spiega così: «Ciò che abbiamo potuto prendere in considerazione lo abbiamo preso in considerazione. Avremo potuto dire: diciamo, per fare bella figura, che abbiamo messo in piedi un meccanismo nuovo per avere informazioni e un’imposta sulle grandi fortune. Avremo ottenuto forse tra due anni un po’ di gettito, ma oggi un po’ di fuga».
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Manovra da trenta miliardi di euro
Tutti i provvedimenti punto per punto
Dall’Iva all’imposta prima casa
fino alla stretta sulle pensioni
Cosa contiene il decreto Monti *
ROMA Arriva la manovra firmata Mario Monti. Il cdm l’ha approvata al termine di una lunga giornata di incontri con le parti sociali e i rappresentanti delle autonomie locali. Vale 24 mld, 20 al netto della delega fiscale, con una correzione lorda di 30 mld, considerando gli interventi di spesa a favore della crescita, del sistema produttivo e del lavoro per oltre 10 miliardi. Il provvedimento prevede un nutrito pacchetto fiscale, la stretta sulle pensioni, i tagli alla spesa, con 5 mld di sacrifici chiesti agli enti locali. Ma anche il taglio all’irap sul costo del lavoro per le imprese. Ecco le principali novità.
Manovra da 20 miliardi netti - La manovra è di 20 miliardi al netto e di 30 al lordo . Lo ha detto il viceministro Vittorio Grilli, aggiungendo che tale entità risponde in pieno alle richieste della Ue: "Se prendiamo un anno medio di dati - ha detto Grilli - di riduzione di spesa, ci sono circa 12-13 miliardi di riduzione di spese e il resto fino ad arrivare a 30 miliardi di aumento delle entrate".
Irpef, non cambiano aliquote - A sorpresa, è stato escluso l’intervento sull’Irpef. Nelle prime bozze c’erano un ritocco dell’aliquota al 41% per i redditi superiori ai 55mila euro, poi tramontato; e uno di 3 punti per i redditi superiori ai 75mila euro: dal 43% al 46%. Anche questo è stato accantonato nella bozza finale. La rinuncia al ritocco è compensata con un leggero aumento dell’addizionale Irpef (con corrispondente diminuzione dei trasferimenti alle regioni). Secondo fonti delle Regioni, l’addizionale verrebbe ritoccata dello 0,33%, dallo 0,9 all’1,23%.
Tassa per scudo fiscale - E’ previsto un "bollo" una tantum dell’1,5% sui capitali rientrati tramite l’ultimo scudo fiscale. Le somme, ha detto il premier Mario Monti, serviranno a coprire l’inflazione per le pensioni fino a 960 euro.
Casa - L’imposta municipale unica sostituisce la vecchia Ici e si pagherà anche sulla prima casa con un’aliquota dello 0,4% rispetto allo 0,76% dell’aliquota ordinaria. E’ prevista anche la rivalutazione del 5% degli estimi.
Nuove pensioni- Estensione del metodo contributivo per tutti. Sarà flessibile la scelta delle pensioni nel settore privato da un’età minima di 62 anni a 70 calibrata su incentivi per chi resta e disincentivi per chi va via prima. Per le donne la fascia andrà da 62 a 70 anni, per gli uomini da 66 a 70. Le fasce entrano in vigore nel 2012 ed è prevista la convergenza tra l’età di uomini e donne nel 2018, a 66 anni. Saranno abolite le finestre di uscita. Inoltre è previsto l’aumento delle aliquote dei lavoratori autonomi ed un contributo di solidarietà per regimi speciali. Iva - E’ previsto un aumento dell’imposta sul valore aggiunto: sarà del 2% (dal 21 al 23%) dal primo settembre 2012. Sarà a copertura della clausola di salvaguardia e da attuare "solo nel caso in cui sia necessario". L’aumento è a copertura della delega fiscale del precedente governo che ha previsto risparmi di 4 miliardi nel 2012 tagliando sgravi e agevolazioni. Le somme recuperate, ha detto il sottosegretario Giarda, andranno "a favore delle famiglie, delle famiglie giovani e delle donne".
Enti previdenziali - La manovra prevede la soppressione degli enti previdenziali Inpdad ed Enpals, le cui funzioni saranno passate all’Inps.
Limiti al contante - La soglia della tracciabilità viene abbassata a mille euro. Al di sopra di questo tetto non saranno possibili operazioni in contanti. La soglia è abbassata a 500 euro per i pagamenti effettuati da pubbliche amministrazioni per stipendi e prestazioni d’opera.
Autorities ridotte o sopresse - Il governo prevede la riduzione dei componenti delle varie Authority operanti in Italia, dalla Consob al Garante per la concorrenza ecc. ecc. E’ prevista inoltre la soppressione dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, dell’agenzia per il terzo settore, dell’agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, dell’ente nazionale per il microcredito e dell’autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.
Fondo garanzia per imprese - La manovra prevede un potenziamento del fondo di Garanzia con almeno 20 miliardi di credito a disposizione delle piccole e medie imprese, ma anche la ricostituzione dell’Istituto per il commercio estero e la creazione di un’autorità nei trasporti per accompagnare il processo di liberalizzazioni.
Irap - Le imprese potranno dedurre dall’Ires e dall’Irpef la quota di Irap "relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato". L’Irap alle imprese "verrà sgravata" anche "per chi prevede" l’assunzione di "donne e giovani". La misura in questione "va a ridurre il gettito dell’Irap per le Regioni e sarà perciò compensato con un aumento dei trasferimenti statali".
Addio lire - La bozza prevede anche la prescrizione anticipata delle lire in circolazione. Le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell’Erario con decorrenza immediata per essere riassegnate al Fondo ammortamento dei titoli di Stato.
Tagli a enti locali - Per le Regioni si prevedono ulteriori tagli per 3,1 miliardi a decorrere dal 2012. Le Regioni a statuto ordinario concorrono per per 2,1 miliardi, mentre le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano per 1,035 miliardi. Per i Comuni oltre i 5mila abitanti previsti tagli per 1,450 miliardi nel 2012; della stessa entità, ma dal 2013, i tagli ai Comuni con popolazione superiore ai 1.000 abitanti. Per le Province, la riduzione dei trasferimenti sarà di 415 milioni a partire dal 2012.
Farmaci liberalizzati - Via libera alla liberalizzazione dei farmaci di fascia c, quelli a pagamento, che potranno essere venduti anche nelle parafarmacie, ma "nell’ambito di un apposito reparto delimitato, rispetto al resto dell’area commerciale, da strutture in grado di garantire l’inaccessibilità ai farmaci da parte del pubblico e del personale non addetto, negli orari sia di apertura al pubblico che di chiusura".
Tassa su elicotteri e aerei privati - La bozza prevede un’imposta erariale annuale sugli aeromobili privati immatricolati nel registro aeronautico nazionale. La tassa è calcolata in base al peso ed è raddoppiata per gli elicotteri privati.
Tassa su auto di lusso - La tassa sul lusso è prevista anche per le auto più potenti: "A decorrere dai pagamenti dovuti dal 1° gennaio 2012 - si legge nella bozza - per le autovetture è dovuta un’addizionale erariale della tassa automobilistica, pari a 20 euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 170 chilowatt (231 hp), da versare alle entrate del bilancio dello Stato".
Aumento su accise - La bozza di manovra prevede un aumento delle accise sui carburanti a partire dal primo gennaio 2012. La misura dovrebbe assicurare nuovi introiti per un miliardo di euro che potrebbe essere reinvestito nel trasporto locale.
E viva Monti
di Rossana Rossanda (il manifesto, 20.01.2012)
Dev’essere «il vecchio che è in noi», in questo caso in me, a farmi sussultare alla lettura dell’articolo del mio assai stimato amico Alberto Asor Rosa sul manifesto di ieri. Egli vede nel formarsi extra o postparlamentare del governo Monti, voluto dal Presidente della Repubblica e accettato più o meno obtorto collo dalle intere Camere, esclusa la Lega, un passaggio salvifico che ci ha estratti dalla palude del berlusconismo. E in questa ammirazione non è certo il solo. Ma, rispetto agli altri estimatori, sottolinea nell’emergere di Monti una superiore saggezza e oggettività, le cui radici attribuisce all’Europa di Bruxelles, esclusion fatta degli ineleganti Sarkozy e Merkel, augurabilmente sulla via d’uscita. Qui la sua argomentazione fa un salto, perché è impervio trovare nelle misure prese da Monti farina diversa da quella che sta nel sacco franco-tedesco. Ma Asor Rosa ne vede la necessità anche nella mancanza di alternative. Chiunque ne voglia avanzare deve godere di altrettanta saggezza e consenso, nonché del rispettoso silenzio dei partiti in deliquescenza e di una opinione sfatta sulla quale galleggiano pochi residui di classe.
Di tanta saggezza non mi sento, ahimé, portatrice. Ma di consensi ne ho conosciuti troppi perché mi persuadano. Nulla di quanto è avvenuto in Italia mi piace. Non la lunga berlusconata, assai consensuale, seguita allo spegnersi del partito comunista più grosso e intelligente del continente. Non la linea di un governo la cui «tecnica» sta nel seguire fedelmente le direttive europee. Non l’improvviso decisionismo del Presidente della Repubblica, che la stampa vorrebbe già fornito dei poteri relativi e dunque di una costituzione presidenziale che con le inedite attuali convergenze non sarebbe inattuabile. Non la decisione del suddetto Presidente di non chiedere una destituzione del precedente Premier per recidivo assalto alle istituzioni repubblicane, anziché lasciarlo con la sua maggioranza alle Camere, da dove potrebbe riemergere fra un anno e, unendo il suo populismo a quello della Lega, attrarre chissamai di nuovo le masse disorientate e afflitte dalle misure di rigore.
Le quali non sono né oggettive né obbligate, affatto. Non mi richiamerò agli Stiglitz, Krugman, Mary Kaldor, Fitoussi eccetera, che lo predicano da testate più autorevoli della nostra, ma al lavoro svolto da noi e da "Sbilanciamoci" fin da quest’estate. Esso non lascia dubbi sulla natura di parte liberista di Monti e del suo governo, appoggiato senza sorprese dal moderatismo della Chiesa di Roma - mica siamo più all’irrequieto Vaticano II. La liberazione da ogni vincolo che esige la proprietà, a cominciare dai lacci e lacciuoli che si era conquistato il lavoro dipendente, non ha nulla di oggettivo. E all’opporle da parte della Cgil la difesa dell’art.18 si può applaudire, non senza ricordare che, rispetto al 1970, esso non è in grado di difendere la massa imponente degli occupati nelle piccole aziende, dei precari, dei disoccupati, ormai quasi pari a quella degli ex garantiti. Né vedo che cosa ci sia di necessitato nel dire no alla modesta TobinTax. È forse super partes la differenza scandalosa fra l’imposizione sul lavoro e quella sull’impresa? E l’attuale franchigia delle transazioni finanziarie per miliardi? E poi che c’è di oggettivo nell’azzerare i referendum per l’acqua pubblica? E nell’assegnare altri servizi pubblici ai privati?
Il governo Monti non è né tecnico né oggettivo, è onesto e di parte. Meglio di parte che corrotto? Sì, non fosse per il fatto che il sistema berlusconiano ha indotto gran parte dell’opinione già progressista a non distinguere più fra destra e sinistra, sfruttatori e sfruttati, fra chi ha e chi non ha, chi si è arricchito e chi si è impoverito da vent’anni a questa parte, rovesciando la proporzione prima consueta fra redditi da capitale e redditi da lavoro - concetti vecchi ma realtà corpose lussureggianti.
Meglio ricordare che siamo tutti di parte, anche davanti al debito pubblico e alla sua formazione, che è precedente al governo Berlusconi, né può essere attribuita alla multinazionale dei tassisti e dei notai. E d’altra parte, la mancanza di "oggettività" di Monti non si deve a una sua malvagità, sono certa che oltre che impeccabile sia caritatevole; viene dalla persuasione, non solo sua, che a tassare i grandi patrimoni o i grandi profitti o le finanze questi si butterebbero di colpo all’estero invece che far valere i propri talenti, materiali e immateriali, nella nostra Italia. Non è vero affatto, se no perché non hanno fatto altro che questo anche con il Cavaliere? Perché da trenta anni in qua ci siamo deindustrializzati e ha prevalso l’investimento sulle finanze, ormai superiore a ogni Pil in giro per il pianeta?
Basta scorrere i materiali e le statistiche, ormai trovabili dovunque, sulle fusioni, sulle delocalizzazioni, su come emergono gli emergenti, sul mutato rapporto tra regioni del mondo. Sarà un caso che nove paesi d’Europa siano più che mai nei guai e degradati tutti dalle agenzie di rating, salvo la Germania e, credo, la Finlandia? Sarà un caso che non c’è crescita da nessuna parte del continente? Sarà un caso che le agenzie suddette non si siano accorte che i subprimes erano una truffa e la Grecia lasciava montare da anni il suo debito? Sarà un caso che le grandi famiglie già industriali, vedi gli Agnelli, siano passati alle rendite? Che nel conflitto fra Marchionne e i lavoratori né l’Europa né Monti hanno niente da dire? Che la disoccupazione cresca, e anche la povertà? Perfino in Germania c’è chi è pagato un euro all’ora. E che tutti i paesi siano indebitati, perché alla crescita dei disoccupati consegue il calo delle entrate pubbliche? Le politiche di rigore sono non solo crudeli, sono inefficaci.
Così stanno le cose, e su questo rifiorisce la destra estrema. Vorrei che Asor Rosa mi smentisse sui fatti. Può solo obiettarmi: ma tu chi sei? Chi rappresenti? Se parli per il mondo del lavoro, com’è che questo non vi sta a sentire? Tu, voi, davanti alla splendida schiera degli onesti non siete niente. Sta’ zitta, insolente. Insolente forse sì, zitta no.
Una storia che ritorna
di Guido Crainz (la Repubblica, 08.12.2011)
"Oro per la patria" chiese il fascismo agli italiani per sostenere la guerra di aggressione all’Etiopia, e nella "giornata della fede" le donne furono chiamate a donare l’anello nuziale. Cominciò così il percorso che ci avrebbe portati alla tragedia della seconda guerra mondiale, e la Liberazione vide un Paese piegato e piagato. Un Paese che seppe però trovare la forza per risollevarsi e dare avvio ad una Ricostruzione materiale ed etica. In un quadro di drammatica miseria e di inflazione senza freni la moderazione responsabilmente scelta dal sindacato portò a sacrifici pesanti per i lavoratori ma fu decisiva. Ad essa non corrisposero però altre misure: ad esempio una imposta patrimoniale straordinaria e progressiva, e un cambio della moneta volto a colpire gli arricchimenti occulti. Le avevano proposte con forza le sinistre, che parteciparono al governo sino al 1947, ma vi si opposero la destra conservatrice e i grandi poteri economici e finanziari. E le sinistre furono poi estromesse dal governo nel clima della "guerra fredda".
Per risollevarci furono certo decisivi gli aiuti americani e il Piano Marshall ma quel clima pesò negativamente. Alimentò un’offensiva anticomunista e antisindacale che aprì la via a licenziamenti massicci, ad uno sfruttamento intenso nelle fabbriche e al mantenimento di salari bassissimi: profonde iniquità sociali segnarono così il nostro sviluppo e contribuirono alla sua interna debolezza. Ebbero radici qui le tensioni che emersero negli anni del "miracolo", ulteriormente alimentate poi da una dura controffensiva padronale. E destinate inevitabilmente ad esplodere: vennero così l’"autunno caldo" del 1969 e una "conflittualità permanente" che rese più acuta da noi la crisi degli anni settanta. Una crisi aggravata dallo shock petrolifero del 1973, che accentuò la nostra fragilità e mandò in frantumi la più generale illusione di uno "sviluppo senza limiti". Negli anni Ottanta rimuovemmo quei nodi e dimenticammo colpevolmente che stavano crescendo ormai "i figli del trilione", come fu detto: si stava avvicinando infatti a cifre stratosferiche il debito pubblico che gli adulti stavano scaricando sulle loro spalle. E che salì dal 60% del Pil nel 1981 al 120% e oltre dei primi anni Novanta.
La crisi internazionale mise allora impietosamente a nudo le nostre responsabilità, ruppe il "patto di finzione" su cui era apparentemente prosperata l’Italia craxiana e ci fece giungere in pessime condizioni alla sfida europea. Una sfida che apparve allora quasi impossibile ma che venne affrontata positivamente grazie al duro sforzo di risanamento iniziato dai governi guidati fra il 1992 e il 1994 da Amato prima e da Ciampi poi. Furono aiutati da sofferte scelte sindacali sul costo del lavoro (e dal coraggio di leader come Bruno Trentin), e furono meno condizionati che in passato dai partiti, travolti dalla bufera di Tangentopoli. Un paradosso, a ben vedere, che avrebbe dovuto imporre una riflessione profonda e una rigenerazione radicale della classe dirigente: così non fu, e ad una parte del Paese il "nuovo" parve identificarsi allora con le illusioni del populismo antipolitico e mediatico.
Il severo risanamento fu proseguito invece dal primo governo Prodi, che ci assicurò l’ingresso in Europa. Forse in qualcosa fu troppo debole: ad esempio nel farci comprendere il significato profondo del progetto che giustificava i sacrifici. Nell’aiutarci a dare corpo e soprattutto anima ad un futuro europeo da costruire. Oggi abbiamo di fronte lo stesso nodo, ulteriormente aggravato.
Costi della politica. I tagli che mancano
di Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 06.12.2011)
Li vuole davvero, Mario Monti, dei suggerimenti sui tagli possibili ai costi esorbitanti della politica come ha deto in tivù l’altra sera? Sono tante le cose che si possono fare stando alla larga dal qualunquismo, dal populismo, dalla demagogia. Purché abbia chiaro che si metterà contro il più grande dei partiti italiani, il Pti: Partito Trasversale Ingordi.
Vuole partire dal Parlamento? Ci provò, quattro anni fa, Tommaso Padoa-Schioppa, che avrebbe voluto imporre un taglio delle spese correnti, cresciute tra il 2001 e il 2006, al di là dell’inflazione, del 15,2% a Montecitorio e addirittura del 38,8 a Palazzo Madama. Un’impennata inaccettabile. Tanto più che il Paese da anni non cresceva.
E subito, nei corridoi delle Camere, si levò un grido di rivolta: «Il Parlamento è sovrano!». Fausto Bertinotti e Franco Marini presero carta e penna e risposero assai piccati che per «autonoma assunzione di responsabilità» avevano deciso di rinunciare ad aumentare i costi in linea con il Pil nominale, accontentandosi dell’inflazione programmata. Come fosse una rinuncia epocale. Risultato: dal 2006 al 2010 le spese correnti di Montecitorio, con la sinistra e con la destra, sono salite ancora del 12,6% per un ammontare di 149 milioni. Quelle di Palazzo Madama del 9,4%, per altri 46 e mezzo. Totale: 195 milioni in più.
Negli anni della grande crisi.
Senza ledere alcuna autonomia, né rischiare ricorsi alla Corte Costituzionale, il governo ha in mano una leva: il potere di affamare la politica più insaziabile. E sarebbe un peccato se esitasse a usarla. A partire dal meccanismo che, ipocritamente, sostituì il finanziamento pubblico abolito dal referendum.
I rimborsi elettorali
Ogni cittadino italiano (senza considerare i contributi ai gruppi parlamentari o ai gruppi consiliari regionali) spende per mantenere i partiti circa 3 euro e 30 centesimi l’anno. È molto più rispetto alla Spagna (2 euro e 30) ma il doppio della Germania (1,61 euro, anche se lì vengono finanziate pure le fondazioni che ai partiti sono strettamente legate) e due volte e mezzo rispetto alla Francia (1,25 euro). Giulio Tremonti e Vittorio Grilli lo scorso anno ci avevano provato, a ridurre i rimborsi del 50%. Battaglia persa: il taglio fu ridotto al 30, poi al 20, poi al 10%. La motivazione? Inconfessabile: il rischio che con i partiti a corto di soldi la corruzione avrebbe ripreso vigore. La risposta è nella umiliante classifica di Transparency appena pubblicata, dove per onestà amministrativa siamo sessantanovesimi. Un’impennata del 1110% in un decennio dei rimborsi elettorali non ha alcuna giustificazione. È cambiato il mondo, rispetto all’anno scorso. Se il nuovo premier vuole può riprovarci, a tagliare lì. E vediamo chi avrà il fegato di votargli contro.
«Total disclosure»
Sulla trasparenza basterebbe copiare il Regno Unito. Introdurre cioè l’obbligo di pubblicare su Internet non solo i redditi e le situazioni patrimoniali di tutti i parlamentari e i titolari di cariche elettive, ma anche gli interessi economici che fanno capo a ciascuno. Identico obbligo di trasparenza dovrebbe valere per i contributi privati ai partiti e ai singoli politici, oggi consultabili solo da chi fisicamente si presenta a un certo sportello della Camera. Vanno messi tutti su Internet, cominciando con l’abolire il limite dei 50 mila euro introdotto nel 2006 al di sotto del quale quei versamenti possono restare occulti. In Inghilterra Tony Blair, lasciando Downing Street, fu costretto a mettere in vendita 16 dei 18 orologi (due li comprò a prezzo di mercato) che gli aveva regalato il Cavaliere: che da noi si possano segretamente donare 100 milioni di vecchie lire a un partito è assurdo. Va da sé che in parallelo, finalmente, dovrebbe essere imposto a tutti i segretari amministrativi l’obbligo di certificazione dei bilanci.
Benefici fiscali
Basta un decreto per spazzare via la più indecente delle leggine, quella che spiega come «le erogazioni liberali in denaro» a organizzazioni, enti, associazioni di assistenza si possono detrarre dalle imposte per il 19% fino a un tetto massimo di 2.065 euro e 83 centesimi. Tetto che per i finanziamenti politici è cinquanta volte più alto. Di qua un risparmio di 392 euro per chi regala 100.000 euro alla ricerca sulle cardiopatie infantili, di là uno di 19.000 per chi versa la stessa somma ad Alfano o Bersani. I risparmi non sarebbero molti? È una questione di principio. Ineludibile.
Bilanci
Tutti i rendiconti (dallo Stato a quelli degli enti locali) devono essere resi omogenei, confrontabili e leggibili. I capitoli di spesa devono essere chiari e trasparenti. Un esempio? Spulciando nel bilancio di palazzo Chigi il neoarrivato Mario Monti troverà 50 milioni di euro sotto la voce opaca «Fondo unico di presidenza»: che cosa sono? Spese di rappresentanza?
Dotazioni delle Camere
Secondo l’istituto Bruno Leoni per mantenere il Parlamento ogni cittadino italiano spende 26,33 euro, contro 13,60 di un francese, 10,19 di un britannico, 5,10 di un americano. Camera e Senato, mentre votano una manovra con tagli che spingono al pianto il ministro Elsa Fornero, continuano a chiedere allo Stato sempre gli stessi soldi fino al 2014? Se davvero non si può, come dicono, interferire nella loro autonomia, il governo potrebbe tuttavia ridurre la loro dotazione a carico del Tesoro. Tanto più che a Montecitorio e Palazzo Madama c’è un tesoretto accumulato fra avanzi di amministrazione e fondi «di solidarietà» che si aggira sui 700 milioni di euro. Con la crisi che c’è, rompano quel loro «salvadanaio».
Palazzo Chigi
La presidenza del Consiglio è arrivata a occupare 20 sedi in un progressivo gigantismo che ha ridicolizzato le promesse di asciugare l’apparato che oggi occupa circa 4.600 persone: più del triplo del Cabinet office, la corrispondente struttura del Regno Unito. Per farlo, però, è fondamentale una norma che riporti la presidenza del Consiglio sotto la Ragioneria generale dello Stato, com’era fino al 1999 (senza rischi né umiliazioni per la democrazia...) prima che D’Alema rivendicasse l’autonomia finanziaria.
Vitalizi e pensioni
Stravolte pesantemente le pensioni di alcuni milioni di italiani, è essenziale un segnale dall’alto netto. Quello arrivato finora, che fa scattare il contributivo dal 2012 per i vitalizi parlamentari, è insufficiente. E anche qui è assai discutibile che il governo sia impossibilitato a intervenire. Potrebbe infatti decidere un prelievo eccezionale sugli altri redditi dei titolari di vitalizi parlamentari o regionali, più elevato per coloro che ancora non hanno raggiunto l’età per la pensione di vecchiaia. Sono diritti acquisiti? Lo erano anche quelli dei cittadini che si sono visti «cambiare il contratto» che avevano firmato con lo Stato quando erano entrati nel mondo del lavoro.
Di più: oggi deputati e senatori che durante il mandato istituzionale intendono continuare ad accumulare anche la pensione, possono farlo versando soltanto il 9% della retribuzione relativa alla loro vecchia attività: magistrato, professore, medico, dirigente d’azienda... Il restante 24% è un contributo figurativo che grava sulle casse dell’ente di previdenza. Cioè quasi sempre dello Stato. Porre l’intero 33% a carico del beneficiario sarebbe una misura di giustizia elementare.
Regioni
È dimostrato che un consiglio regionale come quello della Lombardia e dell’Emilia-Romagna possono funzionare con un costo di circa 8 euro a cittadino. Molto dignitosamente. Applicando questo standard a tutte le regioni (alcune arrivano a costare procapite 50 volte di più) si potrebbero risparmiare ogni anno 606 milioni di euro. Lo Stato non può intervenire sulle autonomie regionali, pena l’immancabile causa alla Consulta? Il governo potrebbe aggirare l’ostacolo decretando un taglio ai trasferimenti alle Regioni corrispondente alla differenza fra gli 8 euro procapite e la spesa attuale.
Gettoni di presenza
Equiparare i livelli dei gettoni di presenza nei consigli comunali, spesso diversissimi da città a città nella stessa Regione (45,90 euro a Padova, 92 a Treviso, 160 a Verona) è urgentissimo. Si fissi un parametro basato sulla popolazione e fine. Altrettanto urgente è frenare gli abusi resi oggi possibili dalle leggi sugli enti locali. Un consigliere comunale di Palermo, come abbiamo raccontato, può arrivare a intascare 9 mila euro al mese. Ricordate? Per legge il Comune deve compensare il datore di lavoro per le ore perdute dal consigliere a causa degli impegni istituzionali. Capita quindi che qualche consigliere, in precedenza disoccupato o con una retribuzione modesta, si faccia assumere appena eletto da un’impresa di famiglia con uno stipendio stratosferico: il Comune non ha scampo, deve pagare all’azienda «amica» i «danni» per quel consigliere perennemente impegnato in municipio. Una pratica molto diffusa, da stroncare: non c’è posto al mondo dove un consigliere comunale, in gettoni e rimborsi vari, possa guadagnare 10.000 euro al mese.
Auto blu
Lo Stato vuole avviare un grande piano di dismissioni del patrimonio edilizio pubblico? Bene. Ma perché non fare la stessa cosa con lo sterminato parco di auto blu, mettendole in vendita? Ne guadagnerebbe anche l’immagine della politica. Si dirà che il maggior numero di auto blu è in periferia, e su quelle il governo non può intervenire. Fissi degli standard, basati sulla popolazione e la chiuda lì.
Voli blu
In Inghilterra tutti i voli di Stato sono sul web: aeroporto di partenza, di arrivo, chi c’era a bordo, dove andava e perché aveva quel tale ospite con nome e cognome. La sola trasparenza, possiamo scommettere, ridurrebbe moltissimo decolli e atterraggi. Con risparmi conseguenti.
Scorte
Che per Roma girino ogni giorno otto auto di scorta a politici e magistrati contro una sola gazzella dei carabinieri o volante della polizia impegnata sul fronte della sicurezza dei cittadini è inaccettabile. Il ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri lo sa. E sa quanto i cittadini aspettino un segnale: più auto per la sicurezza, meno per le scorte.
Dirigenti
Il governo Prodi aveva introdotto il tetto alle retribuzioni dei dirigenti pubblici intorno ai 289 mila euro lordi l’anno. Una norma che aveva fatto a lungo discutere finché con Berlusconi era stata sostanzialmente svuotata. Non sarebbe il caso, visti i tempi, di ripristinare il tetto? Vietando, soprattutto, cumuli inaccettabili come quelli di cui godono alcuni magistrati i quali incassano lauti stipendi da componenti di authority continuando a percepire la retribuzione da magistrato «fuori ruolo»?
Conflitti d’interessi
L’Italia è il Paese dei conflitti d’interessi e intervenire a tutto campo è laborioso. Ma alcune cose si possono fare subito. Perché non stabilire che per i consigli delle società pubbliche (tutte, senza esclusione) non ci possano essere più di tre amministratori? E perché non vietare per almeno cinque anni a chi ha avuto un incarico elettivo o di governo di diventare consigliere? Sparirebbero d’incanto molte delle circa 7 mila società controllate da enti locali e Stato. Almeno quelle che servono solo a dare una poltrona ai trombati. I risparmi? Considerevoli: gli amministratori e gli alti dirigenti di quelle società sono 38 mila. Ancora più urgente, però, è fissare un paletto insuperabile: chi governa ha il diritto di scegliere gli amministratori delle società pubbliche o miste. Ma deve anche rispondere dei bilanci che essi presentano: basta con i buchi colossali che emergono da bilanci «distrattamente» approvati nella speranza che poi, a tappare la voragine, arrivi lo Stato.
Ma perché il Vaticano non paga l’Ici?
di Pino Corrias (il Fatto, 12.06.2011)
NON AVENDO Ruby da farsi perdonare, né lo spergiuro sulla testa dei figli, né tanto meno le vacanze con Previti, Gheddafi e Putin, ci chiedevamo cosa diavolo avesse Mario Monti da farsi perdonare per avere messo in salvo anche questa volta il Vaticano dalla nuova fucilazione di tasse che a quanto pare dovrebbe salvarci la pelle, bucherellandocela. Tra le ragioni azzardavamo pure la santità di Corrado Passera che per di più risulta un poco ottenebrata dal recente divorzio e perciò ancora più sensibile ai soffici ammonimenti della virtuosa gerarchia. Ci chiedevamo (dunque) come mai venisse di nuovo tassata la prima casa di tutti i cristiani, tranne quella dei padri della cristianità. E insomma, perché mai le grasse casse di Ratzinger che già ci aspirano l’8 per mille non dovessero almeno restituirci i 600 milioni di Ici non versati ogni anno. È a quel punto della giornata che si è fatto vivo monsignor Giancarlo Bregantini, responsabile della Cei per i problemi sociali, che ha detto: “La manovra poteva essere più equa. Specialmente coi redditi alti”. Tipo i patrimoni Vaticani? Ma questo monsignor Bregantini che oggi parla di corda in casa dell’impiccato, ci è o cristianamente ci fa?
LA CEI non paga l’Ici e critica la manovra *
Per i Vescovi la manovra di Monti doveva essere più equa. Secondo monsignor Bregantini, dalla presentazione della manovra si ricava l’impressione che “si poteva fare di più sui redditi alti con l’Irpef” mentre, aggiunge, “bisogna essere molto attenti sulle pensioni e forse le misure andavano presentate in contemporanea con quelle per la ripresa. Sarebbe stato forse più opportuno mettere tutte e due le mani insieme, la mano sul fisco e sulla crescita”. “A questo punto - prosegue il responsabile Cei - si deve puntare sulla seconda fase organizzando molto bene l’aspetto della ripresa”, essendo “propositivi”. “Il mondo sindacale guarda con preoccupazione” alle mosse del governo, osserva ancora l’arcivescovo, “ma sarebbe opportuno dialogare per poter arrivare a delle proposte precise soprattutto nel settore dove tutti facciamo fatica, quello della precarietà giovanile”.
Bregantini auspica inoltre nuove misure a favore della famiglia e il sostegno della politica al governo Monti. Ma i Radicali protestano perché la Chiesa, ancora una volta, pur protestando, resta immune dai sacrifici degli italiani. ’’Ha davvero una gran faccia tosta la Cei a obiettare che la manovra avrebbe potuto essere più equa - dice Mario Staderini, segretario nazionale - Purché a pagare siano gli altri e non la Chiesa, evidentemente . Tanto per cominciare, infatti, sarebbe stata più equa se avesse abolito l’esenzione dell’Ici anche per le attività commerciali degli enti ecclesiastici e similari, piuttosto che fare cassa sulle prime case degli italiani”. “Da un primo esame delle misure risulta ancora troppo timido il ridimensionamento della spesa pubblica, che - conclude Staderini - avrebbe dovuto costituire il nucleo centrale dell’intervento di emergenza e che invece vede ancora prevalere le nuove tassazioni”.
* il Fatto, 12.06.2011
CARO CASA. Il viceministro Grilli afferma che l’imposta immobiliare la dovranno pagare tutti, anche le imprese. Intanto, sui beni gestiti dal Vaticano, il premier glissa: «È una questione che non ci siamo posti ancora».
Sarà Ici anche per le società di comodo
Ma per la Chiesa è sempre esenzione
Oggi solo il 10 per cento circa delle proprietà della Chiesa paga l’imposta. Il mancato gettito annuale è stimato in 400-600 milioni di euro.
di Gianmaria Pica (il Riformista, 06.12.2011)
Basta trucchetti fiscali. Se la villa, l’appartamento, o il capannone industriale sono intestati a società, il titolare dell’impresa non potrà più sfuggire e dovrà versare all’erario l’imposta Ici (oggi super-Imu) anche su questi beni immobiliari. Così, come ha spiegato il viceministro Grilli, saranno chiamate a pagare tutte le imprese, anche le società di comodo e i trust. Il trust è un istituto giuridico attraverso cui è possibile creare in maniera piuttosto flessibile un rapporto fiduciario tra un primo soggetto che mette a disposizione i beni e un secondo soggetto che gestirà il patrimonio conferito nel trust.
La società di comodo (o società non operativa), invece, si costituisce al solo fine di amministrare i patrimoni personali dei soci, anziché esercitare un’effettiva attività commerciale. Un esempio concreto? Il patrimonio di Silvio Berlusconi non è costituito solo di televisioni ed editoria. Anche le case sono nel cuore del Cavaliere-imprenditore. Così, anche Berlusconi custodisce i suoi gioielli immobiliari in una cassaforte del mattone: si tratta della Immobiliare Idra (controllata dalla Dolcedrago che appartiere al 99,5 per cento allo stesso Berlusconi).
L’Immobiliare Idra ha in pancia una settantina di proprietà, tra cui le rimanenze di Milano 2, alcune case e ville a Roma e i beni più preziosi: Villa La Certosa (residenza estiva dell’ex premier), Villa San Martino (la dimora berlusconiana ad Arcore), e Villa Belvedere Visconti di Modrone a Macherio (castello ottocentesco, residenza dell’ex moglie Veronica Lario). Insomma, adesso anche Berlusconi sarà chiamato a pagare la super-Ici sui beni custoditi nell’Immobiliare Idra-Dolcedrago, un impero che vale centinaia di milioni di euro.
Ma a quale sacrificio economico saranno chiamati gli italiani? La manovra correttiva approvata domenica dal Consiglio dei ministri prevede che l’Imu sostituisca la vecchia Ici. Dunque, l’Imu si pagherà anche sulla prima casa con un’aliquota dello 0,4 percento (con una detrazione di 200 euro), rispetto allo 0,76 per cento dell’aliquota ordinaria per la seconda casa. È prevista anche una rivalutazione degli estimi catastali del 60 per cento, che toccherà anche gli uffici.
In sostanza, il decreto Monti prevede una rivalutazione dei valori catastali che passa da 50 a 80 per gli uffici (più 60 per cento), mentre non è ancora chiaro quale sarà l’incremento per gli immobili commerciali. Al di là dei tecnicismi, il Tesoro quantifica in 10-12 miliardi le entrate da Imu. Naturalmente, l’impatto del ritorno dell’Ici (previsto dal primo gennaio 2012) sarà molto forte sulle famiglie, il cui costo medio sarà pari a 1.680 euro l’anno. Equivalente all’8 per cento del reddito medio di una famiglia del Mezzogiorno e al 4 per cento del reddito annuo di una famiglia del Centro-Nord.
Ma ci sono sempre i soliti noti che non pagheranno un euro di Imu. Ieri, il presidente del Consiglio Mario Monti sulla questione Ici-Chiesa ha glissato: «È una questione che non ci siamo posti ancora». Per comprendere meglio il paradosso di quest’esenzione dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Nel 1992 il governo Amato stabilisce alcune esenzioni per le proprietà della Chiesa. La questione su quale tipo di edifici e proprietà dovessero essere esentati ha portato negli anni a diversi procedimenti giudiziari, fino al 2004 quando la norma viene in parte bocciata dalla Consulta che elimina le agevolazioni fiscali per gli immobili a scopo di lucro. L’esenzione, però, viene reintrodotta nel 2005 dal governo Berlusconi III che cambia la vecchia normativa, includendo gli immobili destinati ad attività commerciali tra quelli compresi nel diritto all’esenzione. Nel 2006, l’allora governo Prodi, modifica nuovamente la legislazione. Tuttavia un emendamento alla legge permise di mantenere l’esenzione per le sedi di attività che abbiano fini «non esclusivamente commerciali».
La leader Cgil chiama Cisl e Uil a un’ iniziativa unitaria di protesta
Bonanni: «Devastanti» gli interventi sulle pensioni. Sciopero di Fim e Uilm
Sindacati in rivolta Camusso: «Si fa cassa sui cittadini poveri»
Unanime il giudizio di condanna del mondo sindacale nei confronti della manovra. Camusso: «Fa cassa sui poveri». Bonanni: «Impatto deleterio». Angeletti: «Effetti ingiusti, rischio meno consumi»
di Luigina Venturelli (l’Unità, 05.12.2011)
«Per dirla brutalmente il governo cerca di fare cassa sui poveri del Paese». Di fronte ad una manovra correttiva considerata «socialmente insopportabile», la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso non ha potuto che «dirla brutalmente», sulle pensioni congelate rispetto al crescente costo della vita e sull’allungamento dell’anzianità oltre i quarant’anni, sull’assenza di misure socialmente eque e sugli effetti recessivi che ciò comporterà per tutto il Paese. I colleghi di Cisl e Uil hanno scelto altri toni per reagire, ma si tratta di una sfumatura di forma rispetto alla condanna sostanziale che tutto il mondo sindacale ha riservato alla stangata targata Monti. Per Raffaele Bonanni l’impatto della finanziaria sarà «deleterio» e quello della riforma pensionistica addirittura «devastante». E per Luigi Angeletti «le brutte notizie sono state talmente tante che qualcuna me la sono dimenticata».
RABBIA UNANIME
L’uniformità del giudizio sindacale è tale, soprattutto dopo una lunga serie di divisioni, che la leader di Corso Italia ha proposto alle altre confederazioni di organizzare un’iniziativa comune di contrasto alle scelte dell’esecutivo: «Abbiamo chiesto a Cisl e Uil di fare la riunione delle segreterie per valutare le conseguenze della manovra sui lavoratori» ha raccontato Camusso durante la conferenza stampa convocata ieri pomeriggio, subito dopo l’incontro del governo Monti con tutte le parti sociali a Palazzo Chigi. Il gruppo dirigente della Cgil si riunirà domani per decidere il da farsi, mentre ofggi pomeriggio potrebbe arrivare una prima risposta da parte di Cisl e Uil, anche se allo stato risulta improbabile una mobilitazione di protesta che riunisca le tre confederazioni.
CALA IL POTERE D’ACQUISTO
Il blocco dell’opposizione sindacale all’esecutivo resta comunque compatto, soprattutto sul tema delle pensioni. Il mancato adeguamento all’inflazione, secondo la leader di Corso Italia «è una scelta che farà diventare strutturale la riduzione del potere d’acquisto di gente che ne ha già pesantemente perso in questi anni» e per questo si dimostrerà «fortemente recessiva» per l’intera economia nazionale. Nel complesso per Susanna Camusso «è molto complicato dare un giudizio di equità su questa manovra», tanto da mettere in discussione la nuova stagione politica che si pensava aperta con questo esecutivo: «Rischia di esserci una continuità sui comportamenti con il governo precedente».
Anche il numero uno della Cisl ha criticato l’assenza di equilibrio sociale dal pacchetto di misure presentato da Monti: «Grava solo su lavoratori e pensionati. E per le pensioni è troppo veloce il passaggio al contributivo e l’innalzamento dell’età, non è una modifica reggibile». Irritato per la mancanza di qualsiasi concertazione in proposito, Bonanni non ha esitato a condannare il governo sulla mancata rivalutazione, per «non aver calcolato l’impatto sociale». Tanto basta per dimostrare una volta per tutte l’«indirizzo sbagliato» della manovra, che punta soprattutto sulle imposte indirette piuttosto che su quelle dirette, mentre manca la tanto invocata tassa patrimoniale per colpire i ceti più abbienti. «Voglio sperare che ci sia una possibilità di affrontare questi temi in un assetto di concertazione. È un problema di sostanza e di principio, reagiremo» si augurava il segretario Cisl nel primo pomeriggio, prima di essere deluso in serata dall’adozione in fretta e furia della finanziaria.
Anche secondo il leader Uil, Luigi Angeletti, gli obiettivi di rigore, equità e sviluppo sono stati raggiunti «solo in parte», mentre ancora si deve agire per «spostare il peso fiscale a vantaggio del lavoro» ed evitare «una preoccupante contrazione dei consumi». E sono stati proprio i metalmeccanici della Cisl e della Uil ad indire il primo sciopero contro la manovra: due ore di astensione a livello nazionale da tenere in ogni realtà territoriale a partire da oggi fino a mercoledì prossimo.