LIBERAZIONE - IL MESSAGGIO
Napolitano: basta demagoghi
Il presidente celebra il 25 Aprile. Monti: lo spirito della Liberazione per superare la crisi
di FRANCESCA SCHIANCHI inviata a Pesaro (La Stampa, 26.04.2012)
Quando il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, difende i partiti, il cui ruolo non può essere sostituito, e richiama a non «abbandonarsi a una cieca sfiducia», a non «finire per dar fiato a qualche demagogo di turno», nelle prime file ascoltano attenti i cittadini assiepati nella piazza di Pesaro piena di tricolori. Si sciolgono in applausi liberatori quando il Capo dello Stato ricorda che tutti i partiti «hanno mostrato limiti e compiuto errori», che «occorre impegnarsi perché dove s’è creato del marcio venga estirpato», quando evoca le riforme da fare: «Regole di trasparenza» nella vita dei partiti, «limiti e controlli per il loro finanziamento», una legge elettorale «che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere i loro rappresentanti, e di non votare dei nominati dai capi dei partiti». Ma anche a loro, ai tanti accorsi in piazza che ripetono «solo di lui ci fidiamo, lo scriva», all’opinione pubblica percorsa da un fremito di antipolitica, il capo dello Stato chiede lo sforzo di accompagnare il rinnovamento «con spirito più costruttivo e fiducioso».
«Rinnovamento, fiducia e unità» sono le parole d’ordine che Napolitano scandisce nel suo discorso, in occasione del 67˚ anniversario della Liberazione, condizioni necessarie per guardare positivamente ai problemi, ispirandosi all’esempio della Resistenza; poco prima il Presidente è stato all’Altare della patria a Roma, con il premier Monti: pure lui sottolinea la necessità di «rigenerare l’esperienza della Liberazione per far fronte ai gravi sacrifici» della situazione economica, il bisogno di liberarsi di «alcuni modi di pensare e di vivere» che impedivano di proiettarsi nel futuro.
Sul palco di Pesaro, davanti al ministro Cancellieri, alla vicepresidente della Camera Bindi, sindaci del territorio e rappresentanti delle associazioni combattentistiche, il Capo dello Stato esalta la politica, da non considerare qualcosa di «sporco» ma «vedendo la cosa pubblica come affare di tutti e di ciascuno», come fu sull’onda della Liberazione. Ai partiti che a lungo sono stati «l’anima ispiratrice e il corpo vivo» della politica, poi colpiti da «stanchezze e degenerazioni», spetta il compito di rigenerarsi, ritrovare «slancio ideale, tensione morale». Devono rinnovarsi, dando risposte ai problemi «confrontandosi fattivamente col governo fino alla conclusione naturale della legislatura», scandisce in un passaggio, come a stoppare le tentazioni di voto in autunno delle forze politiche. Non tardino a mettere mano alle riforme, a concordare soluzioni «indilazionabili», ora che «si sono create condizioni più favorevoli per giungervi».
Ma guai a pensare di fare a meno dei partiti: «Rifiutarli in quanto tali dove mai può portare?». No ad «abbagli fatali», il rischio è quello del «demagogo di turno»: come fu in altri tempi Guglielmo Giannini, il fondatore dell’Uomo qualunque. Poi diventato partito e, ricorda Napolitano, sparito «senza lasciare alcuna traccia positiva per la politica e il Paese».
La costituzione tradita
di Andrea Manzella (la Repubblica, 26.04.2012)
Merito a parte, la proposta di revisione costituzionale che i maggiori partiti presentano assieme è l’emblema di una "nuova" centralità del Parlamento (a volte ritorna). E’ anche il più eloquente simbolo di una comune volontà di disincagliare la nave: il linguaggio dei segni conta moltissimo in politica. Conta però anche la realtà: questa volta fatta dei tempi tecnici che sono troppo stretti per concludere entro la fine della legislatura. Se però si è riusciti a tanto - a concepire insieme una riforma di norme costituzionali importanti - forse (forse) si può riuscire a fare alcune cose indispensabili per attuare e democratizzare la Costituzione, senza cambiarla e, quindi, in tempi possibili.
Nella nostra Costituzione la democrazia non è una cosa semplice e astratta. E’ cosa complessa e concreta. Una cosa che ha più forme.
La democrazia rappresentativa ("ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione": art. 67).
La democrazia dei partiti ("per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale": art. 49).
La democrazia civica partecipativa (la "effettiva partecipazione" all’"organizzazione politica, economica e sociale del Paese: art. 3).
La democrazia dell’azione giudiziaria ("tutti possono agire in giudizio": art. 24).
La democrazia elettorale ("sono elettori tutti i cittadini": art. 48).
Non sono forme alternative o sussidiarie o opzionali. Sono forme tutte necessarie e connesse l’una all’altra. L’una spiega e giustifica l’altra. Se una manca, una sola, la Costituzione non è una costituzione democratica.
Ognuno vede che nella situazione attuale gli appelli al costume, all’etica, alla moralità, al cambiamento di vita rivolti ad un mondo politico in gravi difficoltà nel capire e nell’agire sono nobili parole al vento, prediche inutili. L’unica pressione sensata deve essere quella di indicare le vie praticabili per democratizzare la Costituzione, per attuarla. Con norme che ne recuperino il suo senso originario di legge fondativa fatta per i cittadini e ne impediscano il tradimento, contro i cittadini.
Questo stesso Parlamento che sta obbedendo a vincoli esterni, talora venati di fideismo e simbolismo, per salvare l’economia, può essere capace di trovare in questi ultimi suoi mesi di vita, lo scatto per obbedire a vincoli interni che già sono in Costituzione e che i fatti, e non solo le opinioni, dicono non più aggirabili. I tradimenti della Costituzione sono infatti sotto gli occhi di tutti, nella loro micidiale concatenazione antidemocratica. Così come sono ormai noti i rimedi che sono possibili subito. Per attuare la Costituzione, prima ancora di cambiarla in qualcosa.
Tradisce la Costituzione un funzionamento del Parlamento che non dà al governo procedure"pulite" per realizzare il suo programma, in tempi "europei". Ma che non dà neppure all’opposizione la possibilità di porre questioni di libertà davanti alla Corte Costituzionale (basterebbe cambiare i regolamenti parlamentari e una legge ordinaria del 1953, per fare queste cose).
Tradisce la Costituzione, l’andazzo di partiti operanti fuori dalla legge, senza rispetto per il comune metodo democratico interno e senza riscontro esterno sui soldi pubblici che ricevono (basterebbero poche norme ordinarie, anche più semplici di quelle già proposte, per il controllo dei giudici sulle regole di base e quello della Corte dei Conti sulla destinazione d’uso del danaro dei contribuenti). Tradisce la Costituzione la mancanza di norme che vincolino il Parlamento a prendere sul serio le iniziative dei cittadini: non per un assurdo abbandono della democrazia rappresentativa ma per assicurarne l’ancoraggio continuo ai bisogni oggettivi della società (e basterebbe anche qui una modifica vincolante dei regolamenti parlamentari).
È tradimento dalla Costituzione - oltre che dell’economia - la abnorme durata dei processi civili e penali che annulla di fatto il diritto democratico alla giustizia. La responsabilità personale dei giudici dovrebbe essere fatta valere per questo eccesso di tempi e non (com’è perversa ipotesi) per le loro sentenze. E distoglie da questa vitale questione chi vorrebbe che i giudici non potessero colpire il malaffare del Potere mostrando subito le prove che hanno in mano: prima di essere sopraffatti dal volume di fuoco degli indagati potenti.
Tradisce la Costituzione una legge elettorale che consegna la scelta dei parlamentari non alla Nazione che devono rappresentare e che li deve eleggere ma al gruppo dirigente di partiti senza regole. Certo, ogni democrazia ha bisogno di un governo che possa governare e di un Parlamento che possa obbedire agli interessi nazionali, senza mandati personali "vincolanti" (se così non fosse, se vi fosse una frammentazione individualistica del rapporto Parlamento-corpo elettorale, quale mai maggioranza alle Camere potrebbe sostenere, per esempio, un governo come l’attuale?). Ogni democrazia ha bisogno di partiti politici che, nella babele di una società civile in preda alle emozioni e informazioni più contraddittorie, sappiano interpretare, fare emergere, guidare le correnti d’opinione che rispondono ad una visione generale di destino del Paese. E fondare su di esse, e non su vincoli padronali, la "disciplina" di gruppo in Parlamento (art. 54 Cost.). Ma è mai possibile che, per calcoli fondati sul nulla (la forma di governo dopo le elezioni del 2013 non è seriamente prevedibile e neppure coartabile) stenti tanto a nascere una legge che equilibri queste esigenze con quella di rendere visibili agli elettori, con le loro facce, tutti i candidati: da soli o in liste brevi nei collegi?
C’è, come si vede, un incrocio permanente, un bilanciamento fra quattro o cinque cose puntuali che sono necessarie e urgenti, come lo è stato l’aumento delle tasse. Ma che, in un certo preciso senso, lo compenserebbero: con la crescita del peso e dell’autostima dei cittadini, quelli che oggi minacciano di rifugiarsi nel rifiuto elettorale. C’è tutto il tempo che occorre, se non si inventano falsi ostacoli "giuridici", per queste semplici cose essenziali, che non richiedono revisioni costituzionali. E per tirare un bilancio politico del governo "tecnico".