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San Giovanni in Fiore, Polifunzionale: ecco perché i 5 stelle dovevano rivolgersi al papa

La storia dell’uso dell’edificio avrebbe dovuto suggerire ai grillini la richiesta di una commissione pontificia per accertare il ruolo missionario del Comune
sabato 9 luglio 2016.
 

Il Polifunzionale di San Giovanni in Fiore (Cs) non ha il certificato di agibilità e non risulterebbe accatastato. Per i commentatori di parte sarà lieve, ma la storia è maestra di vita. Negli anni Novanta l’affidamento alla cooperativa Futura Park, insieme agli impianti sportivi circostanti, a un canone in lire di circa 40 milioni, «mai corrisposto al municipio, a eccezione di una rata», spiega Antonio Lopez (FdI), della minoranza consiliare.

Le carte del progetto dicono che la struttura doveva servire per attività sociali dei giovani residenti, che avrebbero potuto usufruire dei vicini campi da tennis e basket, del teatro adiacente e della piscina a due passi, poi convertita in palasport.

Niente, finì che l’immobile ospitò per un ventennio un ristorante della cooperativa in questione, che non pagando affitto praticava prezzi più bassi per sposalizi, battesimi, comunioni e cresime. Ogni tanto un convegno di sistema riempiva l’ampia sala della struttura, pubblica, più spesso addobbata a festa tra buffet, banchetti e cerimonie col pienone. «Tamburello, cembalino, trik e trak, bum, botti, saette».

Nel 2015 il commissario prefettizio Sergio Mazzia stimò in 377 mila euro, parenti di 700 milioni di lire, la cifra che la cooperativa deve a oggi al Comune, in dissesto finanziario dalla primavera del 2014. La vulgata vuole che il credito si possa, debba compensare con talune migliorie al bene apportate dalla cooperativa, che forse ci avrebbe addirittura rimesso. Sono quelle voci che fanno presa, laddove il confine tra pubblico e privato non è netto né fisso.

Deciso, Mazzia levò la licenza commerciale alla cooperativa, sulla base di un principio semplice e prima di allora inapplicato dagli eletti: non paghi, ti taglio i viveri. La pratica passò al Tar e poi vennero le elezioni amministrative.

Anzitempo, cioè prima del voto, il fratello dell’attuale sindaco, Giuseppe Belcastro, si dimise dalla cooperativa, in quanto l’articolo 61, comma 1-bis, del Testo unico degli enti locali, prescrive che «non possono ricoprire la carica di sindaco o di presidente di provincia coloro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di appaltatore di lavori o di servizi comunali...».

La struttura fu quindi tolta - dall’odierno Consiglio comunale - dalle proprietà municipali in vendita sotto dissesto, per concederne l’utilizzo, ancora una volta come ristorante.

In un’interrogazione parlamentare i deputati 5 stelle Dalila Nesci, Paolo Parentela e Federica Dieni hanno citato la passata candidatura alle ultime comunali di Barbara Nicastro, amministratore unico della società Ultreia srls di San Giovanni in Fiore, cui il municipio assegnò a inizio maggio la gestione del Polifunzionale, con regolare gara pubblica aggiudicata in presenza di unica offerta, e quindi al canone base di 28 mila euro all’anno. Nicastro registrò la società il 4 marzo 2016, con inizio attività alla data dell’undici maggio 2016 presso località “Pirainella” e senza numero civico, cioè al Polifunzionale.

Sulla forma dell’appalto non si discute: le pubblicazioni sono regolari, al contrario della recente gara per l’assegnazione della raccolta differenziata, e nel disciplinare è prevista l’aggiudicazione anche con una offerta.

Il problema è un altro, se non abbiamo inteso male. Come è stato determinato il canone di partenza? Perché, noti i precedenti, predisporre un appalto sempre per ristorazione? C’è continuità storica tra la precedente vicenda del Polifunzionale e la nuova, dato che l’edificio è inserito nel parco comunale, per remota scelta politica, in assieme con impianti sportivi che non recano utili al Comune?

In tema di interesse pubblico in loco, i 5 stelle, come si sa, hanno chiesto al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, di verificare se vi siano elementi per promuovere una commissione d’accesso agli atti del locale municipio, che per legge ricerca eventuali condizionamenti mafiosi e pure senza coppola della vita amministrativa. Può essere che abbiano sbagliato tutto, perché, alla luce dei fatti, avrebbero dovuto chiedere a papa Francesco una commissione pontificia per verificare se il Comune abbia svolto negli anni un ruolo missionario.

Emiliano Morrone

emilianomorrone@gmail.com

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