Galimberti, emergono altri «copia-incolla» *
Dopo i ripetuti casi di plagio compiuti dal filosofo Umberto Galimberti portati alla ribalta nelle scorse settimane da «Il Giornale» e «Avvenire», nuove testimonianze emergono sulla pluridecennale costanza del «vizietto» del professore. È ancora «Il Giornale» a rivelare, ieri, che l’«Invito al pensiero di Heidegger», pubblicato nel 1986 da Galimberti per Mursia, presenta imbarazzanti similitudini allo «Heidegger. I sentieri dell’essere» di Guido Zingari, edito da Studium nel 1983. Naturalmente, secondo la prassi galimbertiana, senza alcuna nota o riferimento all’«originale»; soltanto nelle edizioni successive, e dopo un patteggiamento concluso dagli avvocati dei due autori, è stato inserito un riferimento a Zingari, che si è però impegnato al silenzio sulla vicenda. Il ricercatore dell’Università di Tor Vergata si aggiunge così all’ormai lungo elenco di «copincollati.
* Avvenire, 07.06.2008
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Galimberti, in volume tutti i «copia-incolla»
◆ Il coperchio era saltato nel 2008, quando una serie di articoli di ’Avvenire’ e ’Il Giornale’ avevano smascherato il vizietto di Umberto Galimberti - filosofo, psicologo e soprattutto riverito maître à penser della sinistra -: il «copiaincolla ». Nei suoi articoli e nei suoi libri, inclusi quelli usati come titoli accademici, Galimberti ha infatti per decenni disinvoltamente pescato nelle opere dei colleghi, ’dimenticandosi’ di citarli. Un vizietto duraturo: nel giugno scorso un puntuale dossier di Francesco Bucci, apparso su ’L’Indice’, dimostrava come anche l’ultima ’fatica’ del filosofo, ’I miti del nostro tempo’, altro non fosse che un colossale riciclo. Bucci, allora, era in cerca di un editore per il suo materiale, ma ha faticato parecchio a trovarlo; ora però colma la lacuna Coniglio editore, che manda nelle librerie ’Umberto Galimberti e la mistificazione intellettuale’ (pagine 240, euro 14,50).
*Avvenire, 25.02.2011
TERREMOTO: ANCHE IL FILOSOFO GUIDO ZINGARI TRA LE VITTIME
MORTO NEL CROLLO NELLA SUA CASA NELLA MONTAGNA ABRUZZESE
ultimo aggiornamento: 08 aprile, ore 12:17
Roma, 8 apr. - (Adnkronos) - C’e’ anche il filosofo Guido Zingari, 60 anni, professore di istituzioni di filosofia presso la Facolta’ di Lettere e Filosofia dell’Universita’ di Roma Tor Vergata, tra le vittime del terremoto che ha tragicamente colpito l’Abruzzo. L’accademico che risiedeva a Roma, specialista della filosofia tedesca e dell’opera di Heidegger e Leibniz, e’ deceduto nella notte del 6 aprile nel crollo sua casa di montagna a Tempera, a una decina di chilometri di distanza dall’Aquila, dove si era recato nello scorso fine settimana per trascorrervi una breve vacanza.
Caro Galimberti, qual è il suo segreto?
Lei ha rischiato la reputazione impadronendosi di parole scritte da altri: perché?
di Pierluigi Battista (Corriere della Sera, 09.06.2008)
Egregio professor Umberto Galimberti, si rincorrono in questi giorni voci che denuncerebbero una sua reiterata propensione a includere nei libri da lei firmati interi brani ricavati dal lavoro altrui, senza dichiararne, come pure sarebbe d’obbligo, l’origine. In realtà si tratta di qualcosa di più di semplici voci, perché anche il più banale accostamento comparativo tra alcuni cospicui passaggi dei suoi libri e quelli di Giulia Sissa, Alida Cresti e Salvatore Natoli dimostrano senza possibilità di equivoco che un robusto lavoro, come si dice, di «copia-e-incolla», finisce per configurarsi come un’ indebita appropriazione intellettuale. Ora si aggiunge, sul Giornale, la scoperta di un lontano episodio del 1986 quando lei fu costretto a inserire una breve avvertenza nella seconda edizione di un libro su Heidegger in cui si ammetteva il fondamentale debito contratto a scapito di un lavoro del professor Guido Zingari. Ma non sarebbe ora, professor Galimberti, di rompere con fierezza il suo sdegnoso silenzio su tutta questa faccenda?
Inizialmente lei ha ammesso almeno uno dei misfatti, attribuendone la responsabilità a qualche disguido editoriale, così devastante da aver lasciato vanificare virgolette e indicazioni bibliografiche, che rendono differente una citazione da una volgare copiatura. Poi, un po’ goffamente, ha avanzato autodifensivamente l’idea che in fondo gli artisti, Mozart in testa, copiano sempre, e che la storia della cultura forma da sempre un reticolo intricato di prestiti e rimandi in cui si stenta a riconoscere l’originale dalla sua riproduzione. Un comprensibile imbarazzo e il meritato prestigio di cui gode la sua attività pubblicistica hanno indotto anche i più feroci tra i suoi detrattori a non infierire su un intellettuale di fama in evidente difficoltà. Ma adesso che viene alla luce una sua certa ripetitività copiatrice, una certa sua inclinazione recidiva a ciò che grossolanamente potrebbe definirsi un saccheggio di opere altrui, non sarebbe il caso che lei, apprezzato indagatore delle insondabili profondità dell’animo umano, uscisse con coraggio dal guscio della reticenza e ci aiutasse a comprendere qual è la segreta molla psicologica del suo così ricorrente e autodistruttivo operare?
Lei capisce, professor Galimberti, che una volta può essere un incidente, due volte una sfortunata coincidenza: ma quattro volte accertate delineano una prassi, un metodo, un’ossessione compulsiva. Che cosa davvero può averla indotta a rischiare ripetutamente la sua reputazione impadronendosi di parole scritte da altri, e non da remoti e sconosciuti autori magari mai tradotti in italiano, ma da figure stimate e note, o come nel caso di Natoli addirittura notissime? Lei sa benissimo che non avrebbe potuto farla franca, e che prima o poi i ripetuti misfatti sarebbero venuti a galla. E allora, chi e che cosa ha pensato di sfidare, rischiando di dilapidare con uno sciocco lavoro di copiatura anni e anni di onorata carriera intellettuale? Ci racconta una volta per tutte quale pulsione indomabile può suggerire a un uomo saggio e posato come lei di cadere sempre nello stesso catastrofico errore? Non è una banale autocritica che le si chiede, ma un’illuminazione sulle oscurità che albergano nei recessi più nascosti dell’essere umano.
Con immutata stima
Pierluigi Battista
Galimberti. Vent’anni di copia e incolla
«Ecco, sì è successo... Ma vede, non ne voglio parlare. Nel 1989 abbiamo fatto un accordo tramite gli avvocati. Il professor Umberto Galimberti avrebbe fatto mettere una noticina di avviso in apertura del suo libro... Io però mi impegnavo a non tornare più sulla questione... Perché ho accettato? Mah, mi sembrava andasse bene, era comunque un’ammissione... Poi in ambito filosofico ci sono dei pesi, delle autorevolezze... Insomma lo sa anche lei, ci sono intellettuali ad alta visibilità... che hanno un certo accesso alle case editrici, e altri meno... Ma insomma non voglio parlarne e onestamente credo, in base a quell’accordo, di essere tenuto a non parlarne...».
Difficile strappare qualcosa più di quel che avete appena letto a Guido Zingari, ricercatore dell’Università di Roma Tor Vergata che ha in affidamento la cattedra di Istituzioni di filosofia. Rispetto di un vecchio accordo passato attraverso gli avvocati, timidezza, forse anche poca voglia di esporsi contro un peso massimo della filosofia che ha spazi televisivi, giornalistici ed editoriali. Anzi, se non ci fossero già stati i casi di Giulia Sissa, Alida Cresti, Salvatore Natoli - tutti ampiamente «saccheggiati» dal professor Galimberti - forse Zingari avrebbe attaccato il telefono alla prima domanda. Allora meglio lasciar parlare i fatti, le pagine dei libri e una noticina a inizio volume che, con il senno del poi, più che ammissione di colpa sembra il programma di un modus operandi eretto a stile di vita. Sì, perché quando questa noticina l’abbiamo trovata ci siamo chiesti: e se quello fosse stato il primo dei calchi? Il «copia e incolla» praticato e brevettato dal professor Umberto Galimberti prima che Bill Gates si ingegnasse a inserirlo in Windows?
Ma, abbiamo detto, spazio ai fatti. Nel 1983 Guido Zingari pubblica Heidegger. I sentieri dell’essere per una piccola casa editrice romana: Studium. Una introduzione al pensiero del grande filosofo tedesco, un piccolo itinerario biografico e speculativo. Un onesto libro per studenti o semplici curiosi.
Nel 1986 il professor Umberto Galimberti, allora associato (diventerà ordinario solo nel 1999), ma già in odor di notorietà, pubblica Invito al pensiero di Heidegger, per la più grande e meglio distribuita casa editrice Mursia. Una introduzione al pensiero del filosofo tedesco, un piccolo itinerario biografico e speculativo. Un libro per studenti o semplici curiosi. Insomma, proprio lo stesso prodotto, con un’unica mancanza: l’aggettivo «onesto». Aggettivo impossibile da usare, visto l’uso massivo del saccheggio. Un solo esempio di svariate righe. Zingari a pag. 19: «Husserl giungeva a Friburgo nel 1916 quale successore designato di Heinrich Rickert, che a sua volta andava ad occupare la cattedra di Windelband ad Heidelberg. Per Heidegger si trattò, come è facile immaginare, di un evento memorabile. L’insegnamento di Husserl, ricorda Heidegger, si svolgeva nella forma di un graduale esercizio al "vedere" (Sehen) fenomenologico, che nello stesso tempo era un imparare guardando (Absehen). L’esposizione e lo studio dei testi di Aristotele e degli altri pensatori greci assumevano, attraverso la fenomenologia, un significato inaspettato».
Umberto Galimberti a pag.14: «Nel 1916 Edmund Husserl giungeva a Friburgo quale successore designato di Rickert, che a sua volta andava a occupare la cattedra di Windelband ad Heidelberg. Per Heidegger si trattò, come è facile immaginare, di un evento memorabile. L’insegnamento di Husserl, ricorda Heidegger, si svolgeva nella forma di un graduale esercizio al "vedere" (Sehen) fenomenologico che nello stesso tempo era un "imparare guardando" (Absehen). L’esposizione e lo studio dei testi di Aristotele e degli altri pensatori assumevano, attraverso la fenomenologia, un significato inaspettato».
È una delle clonazioni che ha spinto Zingari e l’editrice Studium a procedere a mezzo avvocati verso Galimberti e la Mursia. E così ecco il fatidico accordo, raggiunto nell’89. Le edizioni seguenti di Invito al pensiero di Heidegger, pur non modificando il testo, pur senza aggiungere quelle note e virgolette che sarebbero di rigore (come una citazione nell’indice dei nomi...) recano sul retro del frontespizio (dove si guarda poco) questa breve notazione che dà conto del saccheggio: «Diversi passi riportati nel presente volume relativi alla vita e alle opere di Heidegger, sono stati tratti dal volume di Guido Zingari, Heidegger. I sentieri dell’essere (presentazione di J.B. Lotz), Roma, Studium, 1983. In quest’ultimo essi si trovano specificatamente alle pp. 16, 17, 18, 19, 21, 22, 23, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 36, 121, 125 (citazione identica) e alle pp. 23, 25, 26, 28, 29 (citazione con alcune modifiche e interpolazioni)».
Al solito, un’ammissione di colpa, però microscopica, e in quelle pagine dove nessuno guarda. Un’ammissione con un accordo che però mette il danneggiato (accademicamente più debole) nella condizione di tacere, che evita troppa pubblicità ad un fatto che avrebbe potuto screditare un Galimberti in ascesa. Il risultato? Il libro di Zingari, che deve essere ben scritto, visto che Galimberti lo ha copiato a piene mani, è quasi introvabile. Il saggetto di Galimberti è stato invece ristampato per anni, è diffuso in moltissime biblioteche. Peggio, campeggia sul sito dell’Università di Venezia nella bibliografia del professore come se fosse una nota di merito e non un’opera scientificamente dubbia. Insomma quanto si sbagliava Friedrich Schiller quando scriveva: «La posterità non intreccia ghirlande per gli imitatori»! Almeno nel mondo accademico italiano c’è il rischio che le intrecci, eccome.
* Il Giornale 09.06.2008
’’Guardati come ’ladri in giacca e cravatta’, si trovano ad affrontare anche il disprezzo sociale’’
Galimberti: ’’Manager in caduta rischiano rifugio in psicofarmaci’’
Il filosofo all’Adnkronos Salute: "Essendo abituati al problem solving immediato preferiranno andare dal farmacista che sul lettino dello psicanalista’’. E sottolinea: ’’Se l’identificazione con il proprio ruolo è stata totale sarà difficilissimo adattarsi a lavori di minor prestigio"
Roma, 4 ott. (Adnkronos Salute) - La crisi finanziaria potrebbe avere risvolti devastanti sul piano psicologico per i top manager che si troveranno a perdere il lavoro e lo status sociale, travolti dal terremoto dei mercati. E, vista la loro abitudine a risolvere i problemi in tempi rapidi, per combattere un probabile stato depressivo "sceglieranno di andare dal farmacista piuttosto che dallo psicanalista", rifugiandosi così, erroneamente, negli piscofarmaci con l’illusione di una cura immediata. A descrivere i rischi in agguato per chi "ha identificato se stesso con la propria carriera", è lo psicanalista e filosofo Umberto Galimberti (nella foto), che illustra all’ADNKRONOS SALUTE "la forte crisi d’identità" che rischiano i grandi manager della finanza, una volta caduti ’in disgrazia’.
Oggi poi la minaccia per l’equilibrio psicologico dei manager ’decaduti’ è ancora più forte perché - spiega Galimberti - "si trovano ad affrontare anche il disprezzo sociale. Non solo non hanno più il loro posto di prestigio e tutti i soldi che avevano prima, ma sono anche guardati dall’opinione pubblica quasi come dei ’ladri in giacca e cravatta’". In generale - riferisce l’esperto - queste persone "che già oggi frequentano spesso gli studi di psicanalisti e psichiatri, hanno sostanzialmente identificato se stesse con il loro mestiere e la carriera. Non sanno chi sono, di solito hanno grosse carenze affettive, trascurano la famiglia con cui non hanno un vero dialogo. E sono maledettamente attaccati al proprio status perché senza di esso perdono l’identità".
Ora, di fronte alla crisi finanziaria e a una perdita di potere, "se la loro identità è collocata solo in quello che fanno, il giorno in cui non possono più farlo non sanno più chi sono", e si ammalano. Così - aggiunge Galimberti - "essendo abituati al problem solving immediato, di solito, per affrontare il problema, preferiscono andare dal farmacista piuttosto che sul lettino dello psicanalista. Ma - avverte - dimenticano che con gli psicofarmaci si riducono i sintomi e non la depressione che è alla base". Una depressione "che - sottolinea - quando deriva dall’identificazione nella propria funzione, è seria e può anche portare al suicidio".
Qualora poi dovessero riciclarsi in un nuovo lavoro meno gratificante o di potere, "se sono riusciti a conservare un minimo di identità sganciata dalla funzione ce la faranno, ovviamente rimboccandosi le maniche e adattandosi a lavori di minor prestigio. Se invece - sostiene l’esperto - l’identificazione con il proprio ruolo è stata totale sarà difficilissimo per loro scendere nella scala sociale".