CONSULTA: FLICK ELETTO PRESIDENTE *
ROMA - E’ Giovanni Maria Flick il nuovo presidente della Corte Costituzionale. Succede a Franco Bile, il cui mandato è scaduto lo scorso 8 novembre. Ad eleggerlo sono stati, a scrutinio segreto, i quindici della Consulta. Sessantotto anni, nato a Cirié (Torino), Flick è il trentaduesimo presidente della Corte Costituzionale e resterà in carica fino al 18 febbraio 2009. In tutto novantasei giorni, un giorno in più rispetto alla presidenza di Giuliano Vassalli e quasi il doppio rispetto a quella ’lampo’ di Vincenzo Caianiello (45 giorni, un record). Noto avvocato penalista ed ex ministro della Giustizia durante il primo governo Prodi, Flick é stato nominato giudice costituzionale nel febbraio del 2000 dall’allora Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi.
Primo atto del neo presidente e’ stato nominare Francesco Amirante vicepresidente, rispettando il criterio dell’anzianita’: Amirante e’ infatti, dopo Flick, il giudice costituzionale piu’ anni di anzianita’ di carica.
La Corte Costituzionale ’’ha un solo padrone: la Costituzione della Repubblica che nel 2008 abbiamo particolarmente celebrato per i suoi 60 anni’’. Cosi’ il neo eletto presidente della Consulta, Giovanni Maria Flick, saluta i giornalisti subito dopo essere stato nominato.
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
Giovanni Maria Flick: "Voltare pagina al Csm senza dimenticare"
Intervista all’ex Presidente della Consulta: "Ma non vorrei se ne approfittasse per limare le unghie ai giudici"
di Stefano Baldolini (The Huffington Post, 21.06.2019)
“Adesso voltare pagina davvero, ma senza cancellare tutto subito. Questa vicenda è stata una ferita molto grave, attenti ai propositi di “vendetta” contro i giudici indeboliti”. Il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick, già giurista e ministro, interviene sul caos nomine nella giornata in cui il presidente Mattarella, in un plenum straordinario del Csm, parla di “quadro sconcertante e inaccettabile”.
“Non si può non essere d’accordo con l’impostazione del Presidente. Ciò che è emerso è sconcertante. Soprattutto è sconcertante l’indifferenza, l’abitudine a un malcostume praticato abitualmente. Tendo a pensare che si praticasse anche in passato, magari non in modo così impudico”.
“Oggi si volta pagina”, ha detto il capo dello Stato al Palazzo dei Marescialli.
“Sì, adesso voltare pagina, ma che non vuol dire dimenticare”.
“Quanto avvenuto - ha aggiunto Mattarella - ha prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e per l’autorevolezza non soltanto di questo Consiglio ma anche per il prestigio e l’autorevolezza dell’intero Ordine Giudiziario”
“E’ stata una ferita molto grave alla credibilità e alla fiducia della magistratura, che può legittimare propositi di “vendetta” verso i giudici che hanno messo troppe volte il naso in affari di corruzione e commistione della politica. Non vorrei se ne approfittasse per limare le unghie ai giudici”
Secondo il vicepresidente del Csm Ermini “la ferita non ha colpito le fondamenta del Csm”.
Non mi intendo di architettura, ma, come detto, il Csm esce abbastanza sfregiato da questa vicenda.
Veniamo così al tema della riforma del Csm. Ermini la definisce “necessaria”, ma di competenza del Parlamento.
Assolutamente. E chi altro la deve fare? Io non credo all’autoriforma, come non credo all’autosospensione.
Per il vicepremier Salvini il Csm “va riformato tutto” e va fatta una “seria riforma della magistratura”. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha annunciato le riforme del Csm, del processo penale e civile “entro l’anno”. Fattibile?
Distinguiamo le riforme del processo penale e civile con gli interventi che vanno fatti al più presto. Sono cose diverse, metterle insieme confonde le acque e si rischia che non si faccia nessun passo concreto, lasciando spazio solo alla stigmatizzazione e all’ipocrisia, ma ripeto, senza che ne conseguano passi concreti.
E quali sono i passi concreti possibili?
Occorre intervenire al più presto sui due punti deboli evidenziati da questa vicenda. L’elezione dei membri del Csm e la designazione dei capi ufficio per garantire il corretto funzionamento del Consiglio. Ma non basta, bisogna dire con forza che è vietato infrangere le norme disciplinari e deontologiche della categoria. Tenere distinto il tema dei reati dal tema dell’illecito disciplinare. Sui primi, se ce ne sono, indagheranno le procure. Ma d’altro canto non ha senso dire “cosa ho fatto di male se non c’è reato...” se comunque si sono infrante tutte le regole etiche.
Molti hanno puntato il dito contro l’associazionismo e il correntismo nella magistratura.
Anche qui, distinguiamo i problemi. L’associazionismo può avere una funzione positiva, sviluppare una vita sociale. Il correntismo, come abbiamo visto, invece può essere fonte di possibili degenerazioni. Ho contato ben 4 riforme del Csm, con altrettanti disastri. Ora cambiare registro davvero, interrompere il legame incestuoso che finisce per crearsi tra politica e correnti. Ho sentito di soluzioni come il sorteggio, che comporterebbero cambiamenti nella Costituzione, mi limiterei a eliminare le liste e a proporre la presentazione di candidature individuali. Ogni magistrato che vuole essere eletto al Csm, si presenti da solo.
Ce ne sono state di degenerazioni? Oppure come oggi ha detto uno degli intercettati, il deputato Cosimo Ferri, il confronto tra politica e giudici è cosa abituale e in questa vicenda c’è stata molta ipocrisia?
Premettendo che commento quello che ho letto sui giornali, non mi sembra che la scelta a tavolino, in una stanza d’albergo, di magistrati graditi possa essere ammessa. Mi sembra che non abbia nulla a che vedere con il fisiologico confronto tra magistrati e politici. Poi, ma a tempo debito, ci sarebbe da dire qualcosa sull’utilizzabilità di uno strumento investigativo potente come il trojan, che rischia di travolgere i limiti propri delle intercettazioni, minando il diritto inviolabile alla segretezza e alla libertà delle proprie comunicazioni, come prescritto dall’art.15 della Costituzione. Ma ripeto, ora non è il momento di preoccuparsene. Come priorità c’è la questione della riforma del Consiglio.
E dunque questa politica è in grado di fare una riforma giusta ed efficace? Non potrebbe approfittare della debolezza dei giudici e, come da Lei detto, prendersi le sue rivincite?
Questo discorso va fatto esclusivamente dal Parlamento. Nella misura in cui la politica “alta” dovrebbe decidere le linee fondanti della riforma del Csm. Con trasparenza, con concretezza, senza riscrivere la storia d’Italia.
Salvini chiede anche che i magistrati che entrano in politica “si dimettano per sempre”.
Occorre bloccare definitivamente le porte girevoli. Chi fa una scelta politica non deve poter rientrare nel modo più assoluto.
L’ex ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick
“Sbagliato ribellarsi così.
Faccia ricorso a un giudice”
di A. C. (La Stampa, 03.01.2019)
«L’articolo del decreto Salvini che nega la possibilità di ottenere la residenza ai richiedenti asilo presenta rilevanti dubbi di costituzionalità. Ma la strada per verificare se quella norma rispetti la nostra Costituzione non è quella intrapresa dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando», spiega l’ex presidente della Consulta ed ex ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick. «Il Comune, così come il singolo , possono rivolgersi al giudice ordinario, anche con procedura d’urgenza, per accertare se il primo ha il dovere di rilasciare e il secondo ha il diritto di ottenere il certificato di residenza. Sarà il giudice che, eventualmente, solleverà la questione di legittimità davanti alla Corte se riterrà che la norma violi dei diritti fondamentali».
1 Dunque Orlando ha torto?
«Condivido i suoi dubbi sulla costituzionalità di quelle norme e il suo coraggio civile: la nostra Carta prevede un principio di accoglienza soprattutto per i richiedenti asilo. Vedo un filo comune tra le parole del Capo dello Stato a Capodanno e l’azione di Orlando».
2 Salvini fa notare che quella legge è stata firmata dal Quirinale.
«Il Colle fa un esame globale delle leggi, non entra nei dettagli tecnico-giuridici. Quel tipo di esame spetta alla Corte».
3 Un sindaco può disobbedire?
«No, un sindaco non può disapplicare le leggi dello Stato, altrimenti se ogni Comune si muove a modo suo si crea il caos».
4 I migranti non residenti rischiano di non ricevere cure negli ospedali?
«La mancata concessione della residenza non crea rischi per il diritto alla salute che resta garantito anche per chi ha solo un domicilio, anche se è facile immaginare che la mancata iscrizione all’anagrafe creerà gravi disfunzioni di fatto. Semmai vedo la possibilità di lesione di altri diritti come quelli al lavoro e alle prestazioni sociali. Chi non ha una residenza ha un obiettiva penalizzazione nella ricerca del lavoro e anche nell’ottenimento di prestazioni sociali. E la pari dignità sociale è uno dei cardini della nostra Costituzione». a. c.
Orlando apre lo scontro: “Stop al decreto Salvini”
A Palermo “residenza anche agli irregolari”. Sindaci in trincea da Napoli a Milano
di Sandra Amurri e Giuseppe Lo Bianco (Il Fatto, 03.01.2019)
Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando lo definisce “disumano e criminogeno’’ e con una nota al dirigente dell’ufficio anagrafe sospende l’applicazione del “decreto sicurezza” nella parte in cui, “ma non solo’’, impedisce l’iscrizione all’anagrafe dei migranti non più in regola con il permesso di soggiorno. Gli replica Salvini a stretto giro: “Con tutti i problemi che ci sono a Palermo, il sindaco sinistro pensa a fare ‘disobbedienza’ sugli immigrati”. E annuncia una visita in Sicilia. Ma per Orlando il decreto “puzza di razziale’’, e la sua, dice, non è “disobbedienza civile’’, ma l’applicazione dei diritti costituzionali “perché non posso essere complice di una violazione palese dei diritti umani’’.
Sono quattro gli articoli della Costituzione (e una sentenza della Consulta) citati dal primo cittadino nella nota inviata al capo area Servizi per il cittadino in cui “impartisce la decisione di sospendere qualunque procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare riferimento, ma non esclusivo, all’iscrizione anagrafica’’, e tra questi l’art. 32 che garantisce il diritto all’assistenza sanitaria, messo a rischio dalla negazione della residenza anagrafica.
La nota invita anche “ad approfondire tutti i profili giuridici anagrafici derivanti dall’applicazione del decreto sicurezza’’, che il Comune di Palermo ha in realtà già approfondito, come fa notare Igor Gelarda, responsabile cittadino della Lega, che ha scoperto come il 2 novembre scorso lo stesso capo area investito da Orlando, Maurizio Pedicone, insieme all’assessore Gaspare Nicotri, avevano risposto ad una interrogazione di Sinistra Comune sul rifiuto di sei istanze di “prima iscrizione anagrafica’’ di migranti, sostenendo che “il permesso di soggiorno non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica’’ e distinguendo i già iscritti (e richiedenti quindi un cambio di residenza) per i qualiè sufficiente “una semplice ricevuta di domanda di permesso’’.
Il fronte dei sindaci è ampio. L’Anci, l’associazione dei Comuni, aveva già espresso la sua contrarietà al decreto Salvini, in particolare per il rischio di un’uscita massiccia di stranieri dai centri di accoglienza. Ieri Decaro, presidente dell’Anci, ieri ha assunto una posizione più morbida di Orlando: “Occorre istituire un tavolo di confronto in sede ministeriale per definire le modalità di attuazione e i necessari correttivi a una norma che così com’è non tutela i diritti delle persone”.
È la stessa linea di Federico Pizzarotti, sindaco ex M5s di Parma, oggi leader di “Italia in Comune” e vicepresidente Anci: “Quella di Orlando è una forzatura che non risolve il problema. L’ufficio anagrafe deve applicare la legge. Concordo con la necessità di un tavolo.
“La mancata applicazione della legge Sicurezza è un atto politico - osserva il presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli -. I Comuni sono tenuti a uniformarsi alle leggi. La pubblica amministrazione non può sollevare questioni di legittimità costituzionale. A meno che non si tratti di norme con carattere discrezionale”. Se il sindaco la disapplica “interviene il prefetto o un’altra autorità, sorge un contenzioso e allora potrebbe essere sollevata una questione di legittimità costituzionale”.
Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, la mette così: “Non si tratta di sospendere una legge che, in quanto tale, non si può sospendere”, ma “le leggi si applicano solo in maniera conforme alla Costituzione”. Concorda con Orlando l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Milano, Pierfrancesco Majorino: “Legge o non legge, non abbiamo nessuna intenzione di togliere l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo che l’hanno già fatta, stiamo accogliendo nei centri per senzatetto italiani anche gli stranieri senza porci il problema se siano regolari o meno”. Assicura di “studiare la decisione di Orlando” il sindaco di Pescara, Marco Alessandrini che oggi ospiterà Salvini. Intanto il ministro twitta: “Certi sindaci hanno mangiato pesante, ne risponderanno”.
Una costituzione da rispettare
di Giovanni Maria Flick
Presidente emerito della Corte costituzionale *
Caro direttore,
nessuno può ritenere intangibile la seconda parte della Costituzione. Bisogna superare gli inconvenienti del bicameralismo paritario; conciliare governabilità e rappresentatività, unità dello Stato e autonomia territoriale. In una parola, riorganizzare i pubblici poteri. Ma il modo in cui viene fatto può riflettersi in modo positivo o negativo sui diritti garantiti nella prima parte. Per questo se ne discute, su opposti versanti; ma con toni spesso aberranti, che mortificano i rispettivi argomenti.
Il nuovo Senato, per le modalità elettive e il doppio incarico; per le competenze attribuite e i rapporti con la Camera, non ha sufficiente rappresentatività, né poteri effettivi nel dialogo Stato-Regioni. I procedimenti legislativi tra i due rami, tutt’altro che semplificati, sono complessi e produrranno incertezze e conflitti. Il superamento delle competenze legislative «concorrenti», introdotte dalla infelice riforma del 2001, non risolve i potenziali conflitti a causa della clausola sulle «disposizioni generali e comuni» attribuite allo Stato in molte materie di sua competenza esclusiva. I privilegi delle regioni a statuto speciale, di cui sono in gran parte venute meno le ragioni storiche, non sono stati intaccati. Anzi, è stata rafforzata la diseguaglianza rispetto alle regioni ordinarie.
Non siamo chiamati a valutare le singole modifiche «tecniche» (difficili da conoscere e comprendere) quanto a scegliere tra il cambiamento a tutti i costi, «ora e subito», inclusi gli errori ammessi anche dai sostenitori del Sì; e il rifiuto di un tale cambiamento, per cercarne subito dopo uno più corretto, nel quale recuperare gli aspetti positivi di cui la riforma non è priva: l’attribuzione alla sola Camera del voto di fiducia; i limiti alla decretazione d’urgenza e i tempi certi sui disegni di legge del governo; l’abolizione del Cnel.
Io ho optato per il No; l’ho motivato pubblicamente in più occasioni, per contribuire al confronto delle idee e alla scelta di ciascuno. Ma questo discernimento è stato reso faticoso dalla personalizzazione del voto e dal radicalismo, dalla contrapposizione tra infondate e reciproche profezie di sventura: caos sui mercati, spread, ingovernabilità, involuzione autoritaria, pregiudizio del ruolo di garanzia del presidente della Repubblica.
Bisogna leggere la riforma serenamente, direi laicamente, guardando al contenuto delle modifiche e disinteressandosi della propaganda enfatica e fastidiosa. Ognuno si faccia un’idea propria, leggendo, ascoltando e parlando, senza lasciarsi intimidire o scoraggiare dai dettagli tecnici e senza doversi improvvisare uomo politico. Basta essere cittadino elettore e scegliere ciò che appare più giusto e appropriato nell’interesse del Paese e anche delle proprie aspettative.
Il Sì o il No di ciascuno rappresentano una scelta comunque opinabile. Ma sarà sempre una scelta legittima, meritevole di rispetto da parte di tutti; in ogni caso una scelta «giusta», perché rende effettivo il principio fondamentale della sovranità esercitata dal popolo, da ogni suo componente, nel rispetto della Costituzione (su questo immutabile).
Tra le forme di partecipazione diretta del popolo sovrano, il referendum costituzionale è certo la più alta. Se si svolge in modo responsabile, civile e democratico, il risultato è perfino meno importante. I governi non dovrebbero andare a casa per il risultato di un referendum costituzionale; ma neppure dovrebbero restare in carica a motivo di un referendum costituzionale. Hanno il diritto e il dovere di restare fino a quando godono della fiducia del Parlamento o fino al termine della legislatura. Aver alterato questo rapporto tra politica, istituzioni e Costituzione è l’errore imperdonabile commesso dal governo.
Mi auguro che la partecipazione (benché non sia necessario alcun quorum) sia numerosa ed esprima «solo» un giudizio sulla parziale (ma fin troppo ampia) modifica della Costituzione del 1948. Scelta non facile, ma non più difficile di quella che seppero compiere i nostri padri e nonni il 2 giugno 1946. La Repubblica seppe unire il Paese; speriamo che le contrapposizioni su una riforma sbagliata non riescano a dividerlo.
* Corriere della Sera, 30.11.2016