Tettamanzi: la città deve cambiare rotta Qui c’è troppa immagini e poca sobrietà
Severo monito del Cardinale nel tradizionale discorso di Sant’Ambrogio
di Zita Dazzi *
Nel Discorso di Sant’Ambrogio - pronunciato nella basilica del santo patrono, davanti a tutte le autorità cittadine - Dionigi Tettamanzi sferza le istituzioni parlando delle occasioni mancate, dello smarrimento di quel “solidarismo ambrosiano” caratteristico della città. Loda l’Expo ma paventa il rischio di infiltrazione mafiosa negli appalti. Denuncia la diffusione della droga «non solo fra i giovani». Esorta a «cambiare gli stili di vita», chiede una rinnovata «sobrietà nei consumi». Protesta contro la «cultura dell’e ccesso, dello spreco, dell’esagerazione». Condanna l’ultimo sgombero che ha lasciato senza tetto 250 rom senza riguardo nemmeno per i bambini.
L’arcivescovo di Milano chiede più solidarietà, difende i poveri, torna a parlare di crisi economica, del lavoro che manca o che è precario per i giovani. E attacca sui temi che stanno al centro dell’agenda politica della giunta Moratti. Sull’Expo l’avvertimento è chiaro: è «una sfida significativa» ma la «speranza è che questo evento possa far da traino per un ripensamento globale di Milano in una visione profondamente etica e responsabile». Il cardinale sottolinea che c’è una Milano generosa e solidale col prossimo. Ringrazia la chiesa, il volontariato, quelli che chiama «angeli della quotidianità», quasi contrapponendoli alle mancanze degli amministratori: «Senza di loro la città sarebbe sicuramente più difficile».
E, davanti a quel sindaco che per magnificare i risultati e gli obiettivi futuri della sua giunta ha fatto stampare e spedire a casa dei milanesi 750mila copie di un opuscolo costato quasi 300mila euro, si interroga: «Non abbiamo la sensazione che si punti alla costruzione di campagne di immagine, nascondendo la consistenza reale dei problemi? Chi è chiamato a operare per gli altri deve mettere al centro delle proprie attenzioni i problemi delle persone e risolverli».
Il cardinale chiede «un sussulto di moralità» anche perché «la nostra Città è interessata da grandi opere che esigono ingenti quantità di denaro e per le quali sono possibili interferenze e infiltrazioni di criminalità organizzata». Chi governa deve avere «coscienza morale, rettitudine nell’agire, gestione corretta del denaro pubblico». Non dimentica il tema degli “ultimi”, sul quale già in passato si sono consumate polemiche aspre con le istituzioni.
La politica degli sgomberi non piace al cardinale: «La risposta delle istituzioni ai rom non può essere l’azione di forza, senza alternative e prospettive». Diverse famiglie zingare senza tetto sono state ospitate da famiglie milanesi. Il cardinale elogia i cittadini che si sono fatti carico dei senza tetto: «La chiesa, il volontariato e altre forze positive hanno dimostrato e rinnovano la propria disponibilità per l’integrazione. Non possiamo distruggere ogni volta la tela del dialogo e dell’accoglienza nella legalità che pazientemente alcuni vogliono tessere». In chiesa, alla fine del discorso, prorompe l’urlo isolato di un uomo: «Vi supplico basta sgomberi dei rom, tutelate almeno i bambini» . All’uscita il sindaco Letizia Moratti commenta gelida: «Milano è una città aperta, solidale e che merita un grande rispetto e un grande amore. Credo che la nostra città, che accoglie il maggior numero di stranieri in tutta Italia, sia una città accogliente e che chiede di rispettare la legalità». Il presidente della Regione Roberto Formigoni sul rischio di infltrazioni mafiose negli appalti dell’Expo precisa: «È un pericolo che abbiamo denunciato da tempo. Già diversi mesi fa abbiamo dato vita a un comitato per vigilare contro le infiltrazioni della malavita».
* la Repubblica/Milano, 05 dicembre 2009
Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
Tettamanzi, "Milano torni grande con la sobrietà e la solidarietà" (Il testo integrale dell’omelia)
«Solo gli ingiusti non vogliono essere giudicati»
di Roberto Monteforte (l’Unità, 18 aprile 2011)
«Perché ci sono ingiusti che non vogliono farsi giudicare?». È la domanda risuonata ieri, Domenica delle Palme, all’interno del Duomo di Milano. È l’arcivescovo della città, il cardinale Dionigi Tettamanzi che non si fa scrupolo di chiamare le cose con il loro nome. Chiede il coraggio della verità nei giorni che precedono e preparano alla Pasqua. Che le cose siano chiamate con il loro vero nome. Che non si sfuggano le responsabilità. Che non si cerchi «in modo subdolo, superbo e violento» di manipolare la verità.
Non fa nomi e neanche allusioni indirette, ma non serve. Le sue parole sono parse un richiamo a chi, come il premier Silvio Berlusconi, si ritiene al di sopra di ogni legge e di ogni codice morale e fa di tutto proprio per sfuggire al giudizio dei magistrati. Il porporato, che a breve lascerà la guida della diocesi più grande d’Europa, con mitezza ma determinazione mette a nudo egoismi e ipocrisia.
Partendo dal Vangelo di Giovanni che presenta Gesù come re «umile e mite, e insieme come il re che dona tutto se stesso per amore e che, proprio così, annuncia la pace» invita tutti a chiedersi come quel messaggio vada situato «nella nostra situazione storica». Indica tre drammatiche emergenze: giustizia, guerra e immigrazione.
Ma le sue parole hanno di certo incontrato la sensibilità dei tanti milanesi che turbati dalla perdurante guerra aperta del premier ai magistrati, non hanno scordato i giudici che proprio a Milano hanno pagato con la vita la loro coerenza e integrità morale al servizio della giustizia.
Sono domande semplici e dirette quelle poste da Tettamanzi. «Perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come “guerra” le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?».
È con questa realtà, che rende «paradossali» i giorni che viviamo, che invita a fare i conti. Sollecita un coraggioso esame di coscienza su cosa «nel vissuto quotidiano» ispira «i nostri pensieri, i sentimenti, i gesti»: una domanda «di dominio superbo, subdolo, violento», oppure è «l’attenzione, disponibilità e servizio agli altri e al loro bene? ». Occorre avere coraggio per ammetterlo e cambiare. «La vera potenza sta nell’umiltà, nel dono di sè, nello spirito di servizio» osserva.
Chissà se il premier Berlusconi, impegnatissimo a riproporre i valori cristiani nelle scuole pubbliche, è pronto ad ascoltare le parole del suo vescovo. O il «crociato» Bossi.
quei bambini puniti e umiliati: altro che paese cristiano
Digiuno e castigo: scene dalla nuova Italia
di Dario Fo e Franca Rame (il Fatto Quotidiano, 15 aprile 2010)
Qualche giorno fa, stando davanti al video e seguendo un telegiornale, Franca ed io siamo rimasti sconvolti. La cosa si è ripetuta anche nei giorni successivi. Siamo venuti a sapere che proprio qui, in Lombardia, in un complesso di scuole per l’infanzia, elementari e medie, ci sono dei bambini che al momento della distribuzione del cibo nella mensa si sono trovati con davanti un piatto, dentro al quale c’era un pezzo di pane, e un bicchiere d’acqua; mentre nel piatto degli altri bimbi c’era pastasciutta, e appresso formaggio e anche la frutta. Perché? Perché i genitori dei puniti non avevano pagato la retta, o anche solo erano in ritardo, e quindi i figlioli non avevano il diritto di mangiare! Digiuni per castigo dovevano restare!
Pensiamo allo choc che devono aver provato questi ragazzini: fermi, davanti al panino, il bicchiere d’acqua; e gli altri che mangiavano. Sappiamo che alcuni fra i bambini, di quelli che avevano gli spaghetti, senza una parola ne hanno messo nel piatto vuoto dei compagni una o due forchettate.
Diciamo: una società che produce un dolore, una mortificazione, un’umiliazione di questo livello a dei ragazzini innocenti - ma che razza di società è? Che razza di valori ha nel corpo, nel cuore e nel cervello? Che cultura produce? Quale dimensione sociale? Ci siamo sentiti proprio male. E’ da ricordare che questi che inscenano spettacoli del genere sono gente nostra, della nostra razza. Sono loro che hanno ordinato di togliere il cibo ai bambini poveri, in quanto indegni dei vantaggi comuni. S’è saputo poi, che questi genitori non hanno mancato per strafottenza o per un atto di inciviltà, ma solo perché non avevano i denari per pagare la retta! E’ gente travolta dalla crisi, quasi tutti causa la perdita di un lavoro, e quindi senza paga, disoccupati. Ai gestori della cucina, ai gestori di questa economia e di questa scuola e del comune non importava niente. Importava: “Non paghi, non mangi”: anche se sei un bimbo devi soccombere, essere punito.
Di colpo ci è venuto in mente Sant’Ambrogio. Su di lui, il maggiore vescovo che la nostra città abbia avuto, abbiamo realizzato e messo in scena anche uno spettacolo al Piccolo Teatro di Milano, lo Strehler.
Siamo atei, ma abbiamo studiato profondamente la storia del cristianesimo. E abbiamo scoperto che Ambrogio possedeva un grande senso della collettività, che aveva preso parola, intervenendo con durezza al Senato di Milano, quando questa era stata eletta a Capitale dell’Impero d’Oriente e d’Occidente, portando avanti il diritto della dignità degli uomini: anche quando sono schiavi, anche quando sono privi di diritti.
Lui diceva:
“Ricco signore, non t’accorgi che davanti alla tua porta c’è
un uomo nudo, e tu sei tutto assorto a scegliere i marmi che dovranno ricoprire i muri. Quell’uomo
chiede del pane e intanto il tuo cavallo mastica un morso d’oro. Tu vai in visibilio contemplando i
tuoi arredi preziosi, e quell’uomo nudo trema di freddo di fronte a te e tu non lo degni di uno
sguardo, non l’hai nemmeno riconosciuto.
“Sappi che ogni uomo affamato e senz’abito che viene
alla tua porta è Gesù; ogni disperato è Gesù. E lo incontrerai il giorno in cui si chiuderà il tempo del
mondo e lui, quello stesso uomo, verrà ad aprirti e ti chiederà: ‘Mi riconosci?’.
“Voi, ricchi, dite:
‘C’è sempre tempo per pentirsi e pagare i debiti’. Ma non c’è peggior menzogna. Ricchi, non vi è
nulla nella vostra attività di uomini che possa piacere a Dio. Anche se tenete appesa una croce sopra
il letto e disponete di una cappella dove pregare soli e assistere alla messa. Voi vi stringete ai vostri
beni, gridando ‘È mio!’. No, nulla è vostro su questa terra”.
“Schiacciate le vostre regole di infamia
e di ingiustizia. Ridate il diritto a chi non ne ha... il pane a chi non ne può masticare, impedito
dalla vostra grettezza! Distribuitene, finché siete in tempo, ai disperati, ai derubati dalla vostra
insolente avidità. Nessun lascito sostanzioso alla chiesa e al suo clero vi salverà”.
“Vi dirò”, concludeva Ambrogio, “che non si può credere a un potere magnanimo, poiché chi lo possiede vuole tutto, anche le briciole. Perciò io sono per la comunità dei beni; io sono per l’uguaglianza fra uomini diversi. Perché solo il furto ha creato la proprietà privata”.
Il Carroccio contro il "discorso alla città" di due giorni fa in cui l’arcivescovo
aveva bacchettato le amministrazioni sui temi della moralità e dell’accoglienza
La Padania attacca Tettamanzi
"Ma è un vescovo o un imam?"
Bossi: la gente vuole la tradizione. Il cardinale: resto sereno
di ZITA DAZZI e TERESA MONESTIROLI *
MILANO - "Onorevole Tettamanzi", titolava a tutta pagina la Padania di ieri. Nell’articolo, un affondo ancora più pesante: "Cardinale o imam? Se lo chiedono in molti. Tettamanzi la città la vive poco". L’attacco del quotidiano della Lega all’arcivescovo di Milano arriva a freddo, due giorni dopo il Discorso alla città, annuale omelia in occasione della festa patronale di Sant’Ambrogio. Discorso nel quale l’arcivescovo di Milano ha bacchettato la giunta di Letizia Moratti e le istituzioni sui temi della moralità e dell’accoglienza, esortando gli amministratori a far rifiorire il tradizionale "solidarismo ambrosiano".
Alla Padania non sono piaciute le critiche del cardinale alla recente raffica di sgomberi che ha messo sulla strada 250 rom di un accampamento abusivo alla periferia della città. Tema caro al Carroccio ribadito anche ieri sera il suo leader Umberto Bossi che da Milano, dove ha incontrato il sindaco Moratti per l’inaugurazione del presepe a Palazzo Marino, ha detto: "La gente oltre alla cristianità dà peso alla tradizione e si sente sicura quando la tradizione è rispettata". Tradizione "a rischio - secondo il ministro delle Riforme - se facciamo venire troppa gente che porta le proprie di tradizioni", e da salvare e proprio con simboli della cristianità come il presepe.
Ma le parole più dure arrivano dall’organo di stampa del Carroccio che arringa: "Alla faccia della legalità che dovrebbe essere la preoccupazione anche della massima autorità religiosa. Tettamanzi ci ha abituato alle sue alquanto originali aperture alla presenza di moschee in ogni quartiere". E ancora: il cardinale non si occupa di quel "che teoricamente dovrebbe interessare di più la chiesa", cioè la sentenza europea sul crocefisso, l’avanzata dell’Islam "che reclama sempre più privilegi senza fare alcuna menzione dei doveri", la crisi delle vocazioni.
L’arcivescovo - dicono in Curia - non è preoccupato per il clima di scontro politico innescato dalle sue parole. Ma il nervosismo fra i suoi collaboratori è palpabile di fronte ai nuovi attacchi della Lega e alla freddezza del sindaco che, uscendo dalla chiesa, aveva commentato gelida: "Credo che la nostra città, che accoglie il maggior numero di stranieri in tutta Italia, sia una città accogliente e che chiede di rispettare la legalità".
Tettamanzi, dopo aver letto la Padania, ha deciso di non raccogliere la provocazione. "Il cardinale è sereno - spiegano in Curia - . È impegnato a scrivere il pontificale per la festa di Sant’Ambrogio (che si terrà stamattina, ndr), a preparare la messa dell’Immacolata che celebrerà in Duomo con il segretario di Stato del Vaticano Tarcisio Bertone. Ed è molto preso anche per l’incontro col presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla biblioteca Ambrosiana".
Il clima di sconcerto in Curia è dovuto anche al fatto che si è lavorato a lungo alla stesura del Discorso. Era calibrato fin nelle virgole, proprio per evitare le polemiche, come successe l’anno scorso dopo l’invito a lasciare costruire "luoghi di culto per tutte le fedi".
Gran parte dell’intervento, quest’anno, è stato dedicato all’esaltazione delle forze positive della città, alla generosità con cui in molti hanno contribuito al fondo istituito da Tettamanzi per sostenere le famiglie colpite dalla crisi. Ma l’eurodeputato Matteo Salvini della Lega, attacca con forza: "Il cardinale è lontano dal sentire collettivo, quando si ostina a rappresentare i rom come le vittime del sistema invece che la causa di molti problemi. A Radio Padania hanno chiamato molti ascoltatori cattolici che dicono: "le guance da porgere sono finite"".
© la Repubblica, 7 dicembre 2009
intervista a Massimo Cacciari
"La Lega non sa di cosa parla ignorano il cristianesimo e sono un pericolo per il Paese"
a cura di Oriana Liso (la Repubblica, 7 dicembre 2009)
Massimo Cacciari, per la Lega il cardinale Tettamanzi tralascia le questioni della Chiesa e fa politica.
«Su questa, come su altre questioni, la Lega non sa di cosa parla, c’è una totale ignoranza sui fondamenti del Cristianesimo: è davvero difficile interloquire con chi non sa che l’amore per il prossimo, come racconta la parabola del buon samaritano, è quella solidarietà di cui il cardinale parla. I leghisti non solo non lo capiscono, ma non sono neanche interessati a farlo. Sono solo alla disperata ricerca di una "religio civili", una predica vagamente moralistica, fatta per tenere buone le persone. L’esatto contrario di quello che è la religione cristiana».
L’accusa rivolta al cardinale Tettamanzi è di fare demagogia sui bambini rom.
«Pensare di trattare lo straniero come nemico è un’aberrazione frutto, ripeto, della colossale ignoranza di questa gente. Con buona pace loro, è proprio compito della Chiesa denunciare dal suo pulpito la mancanza di quelle pratiche di carità. Compito che viene svolto allo stesso modo, sottolineo, di tutta la Chiesa, perché su questi temi non credo esista una via milanese, o romana, o veneziana».
Se capitasse a lei, come sindaco di Venezia, di essere ripreso su questi temi?
«Questi discorsi, forse anche più netti, io li ho sentiti fare al cardinale Scola, a Venezia. E certo non mi offendo se mi vengono rivolte critiche di questo genere, perché le considero doverose e costruttive. Se poi si parla di campi nomadi, io ne ho appena chiuso uno: ma la differenza è il progetto per il dopo, il cercare di sistemare questa gente tenendo conto dei loro costumi, ricorrendo anche a villaggi più decenti come fase di passaggio. Per i leghisti lo straniero non dovrebbe esistere e i preti si dovrebbero limitare a fare patronato e a far giocare i bimbi all’oratorio».
Altra accusa: non si capisce se Tettamanzi sia un cardinale o un imam.
«Ci rendiamo conto? Per loro, in un’epoca di società multietnica, dire imam è un insulto. Queste persone possono provocare danni pazzeschi, e mi sembra che questo Paese non capisca il rischio che stiamo correndo con forze politiche di questo genere al governo».
Lei ha conosciuto l’ex arcivescovo di Milano, il cardinale Martini. Che differenze ci sono con Tettamanzi?
«Ad essere diversa era la situazione di Milano e del Paese. Le cose sono peggiorate, c’è un imbarbarimento pericoloso ed è giusto che la Chiesa continui a fare critiche che sono molto costruttive, perché denunciano un pericolo reale».
Ma la Chiesa è sola, davanti a questo compito?
«Con realismo devo dire che c’è solo la Chiesa, che svolge un ruolo essenziale per il nostro futuro. I laici di buona volontà fanno analisi, ma non indicano strade pratiche da percorrere per evitare che si allarghino le brecce dovute alle politiche anche, ma non solo, della Lega»
La religione senza Dio
di Ilvo Diamanti (la Repubblica, 07.12.2009)
È impossibile separare la religione dalla politica, in Italia. Tanto più dopo la fine della Dc, quando la Chiesa è tornata a rappresentare i valori, i principi, ma anche gli interessi dei cattolici in Italia, in modo autonomo e diretto.
Il fatto è che oggi altri soggetti, oltre alla Chiesa, svolgono lo stesso ruolo. Talora in competizione, perfino in disaccordo con essa. Come dimostra la pesante polemica lanciata, ieri, dalla Lega contro il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano. Ma gli esempi sono molti. Basta pensare alla proposta di inserire la croce nel tricolore.
La bandiera nazionale. Avanzata (ancora) dalla Lega e apprezzata dal ministro Frattini, dopo il referendum che, in Svizzera, ha bloccato la costruzione dei minareti. D’altronde, la Lega si oppone alla costruzione delle moschee in molte realtà locali, insieme ad altri gruppi e partiti politici della destra (non solo) estrema. Xenofobia e islamofobia si mischiano e si richiamano reciprocamente, in nome delle radici cristiane dell’Europa e, soprattutto, dell’Italia.
Come dimostrano le polemiche suscitate dalla decisione della Corte europea contro l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. Criticata, in Italia, da gran parte delle forze politiche, di destra e di sinistra. Tutte impegnate a difendere l’identità cattolica. Anche a costo di entrare in contrasto con la Chiesa. Di assumere posizioni più clericali della Chiesa. Non nel caso del crocifisso, ovviamente, ma nelle altre vicende citate.
Le moschee, i minareti. In generale: le politiche sull’immigrazione e i rapporti con gli stranieri. Su cui la Chiesa, attraverso le sue organizzazioni e i suoi media, ma anche attraverso la gerarchia (non solo il cardinale Tettamanzi, ma tutta), ha assunto posizioni molto lontane dalla Lega e dal centrodestra.
Schierandosi a favore del diritto di culto e di fede religiosa, anche per gli islamici. E, dunque, in disaccordo con le guerre di religione lanciate contro i minareti e le moschee. E contro gli immigrati.
Da ciò il singolare (ricorrente) contrasto, fra la Chiesa e la Lega - spesso affiancata dagli alleati di centrodestra - nella rappresentanza dei valori religiosi e della "comunità cattolica".
Il fatto è che il valore della religione va ben oltre i confini della fede e della comunità dei credenti. D’altronde (Demos, 2007), l’insegnamento della religione nella scuola pubblica, in Italia, è approvato da 9 persone su 10. E dalla maggioranza degli stessi elettori di sinistra. Lo stesso per l’esposizione del crocifisso. Perché, come ha rammentato il sociologo Jean-Paul Willaime su Le Monde: «Tutte le società europee, per quanto secolarizzate, non sono mai uscite del tutto da una concezione territoriale di appartenenza religiosa; gli stessi immaginari nazionali non sono completamente neutri dal punto di vista religioso».
Così, anche in presenza di un declino sensibile della pratica rituale, ai partiti populisti diviene possibile riattivare - e sfruttare - le componenti religiose dell’identità nazionale e territoriale. Non solo: la religione viene usata come strumento di consenso partigiano ed elettorale. Lo ha fatto la Lega fin dagli anni Novanta, in polemica aperta e dura contro la Chiesa nazionale, nemica della secessione. Lo scontro è proseguito in seguito, sui temi della solidarietà sociale, soprattutto verso gli immigrati. Sulla questione dell’integrazione.
La Lega, in altri termini, si è proposta essa stessa alla guida di una religione senza Chiesa - e senza Dio. I cui valori, simboli, luoghi vengono fatti rientrare dentro i confini dell’identità territoriale. Ne diventano riferimenti fondamentali. D’altronde, il ruolo della religione nella costruzione dell’immaginario locale e nello stesso mondo intorno a noi - per riprendere la suggestione di Willaime - è innegabile e molto visibile. Un santo al giorno, scandisce il calendario.
Le festività. Gli atti che accompagnano la biografia di molte persone: dal battesimo al matrimonio fino al funerale. E ancora, ogni giorno: le ore battute dai campanili. I quali, insieme alle chiese e alle cattedrali, fanno parte del nostro paesaggio quotidiano.
Il che spiega, in parte, la reazione sollevata dalla possibile costruzione di luoghi di culto di altre religioni. Le moschee. Figuriamoci i minareti. Capaci di produrre una rottura rispetto al passato, resa visibile - anzi: appariscente - da uno skyline urbano inedito. Il che genera incertezza e inquietudine, soprattutto quando, come in questa fase, le appartenenze territoriali - nazionali e locali - sono scosse violentemente dalla globalizzazione, ma anche dai mille muri sorti dopo la caduta del Muro.
In Italia questo problema appare particolarmente rilevante, perché si tratta di un paese diviso, con un’identità nazionale debole e incompiuta. La Lega offre, al proposito, risposte semplici e rassicuranti a problemi complessi. Reinventa la tradizione per rispondere al mutamento. Recupera le radici cristiane di una società secolarizzata, le impianta sul territorio. Ricorre a simboli antichi per affrontare problemi nuovi.
Lo spaesamento, l’inquietudine suscitata dai flussi migratori. Gli stranieri diventano, anzi, una risorsa importante per rafforzare l’appartenenza locale. Per chiarire chi siamo Noi attraverso il distacco dagli Altri.
Lo stesso crocifisso si trasforma in simbolo unificante, avulso dal suo significato. È la croce da associare al tricolore. Dove la croce è più importante del tricolore. Una bandiera che, secondo la Lega, evoca una nazione inesistente. Mentre la croce evoca lo "scontro fra civiltà". La crociata contro l’Islam, che ha l’epicentro nel Nord, dove l’immigrazione è più ampia. D’altra parte, su questi temi gli italiani e gli stessi cattolici si trovano spesso d’accordo con la Lega e con gli alleati di governo (a cui essa detta la linea). Molto meno con le posizioni solidali e tolleranti espresse dalla Chiesa (Demos per liMes, 2008).
La sfida della Lega è, dunque, insidiosa. Perché etnicizza la religione. Costruisce, al tempo stesso, una patria e un’identità. Ma anche una religione alternativa. In tempi segnati da una domanda di appartenenza e di senso acuta e diffusa.
Di fronte a questa sfida, le scomuniche e l’indignazione rischiano di risultare risposte insufficienti. Inadeguate. Per gli attori politici. (Tutti, non solo quelli di sinistra. Anche per gli alleati di centrodestra). Ma soprattutto per la Chiesa.
Tutti solidali con Tettamanzi, il Vaticano tace
di Aldo Maria Valli (Europa, 8 dicembre 2009)
Non è stata una festa di sant’Ambrogio tranquilla per l’arcivescovo di Milano. L’offensivo attacco della Lega, per bocca del ministro Roberto Calderoli, ha di nuovo portato in superficie tutto l’astio che l’universo leghista cova contro il cardinale, specie dopo che, nel discorso alla città della scorsa settimana, Tettamanzi ha chiesto alla metropoli di ritrovare la sua anima solidale. Il cardinale è in ogni caso sereno.
Responsabilità e serenità sono le parole dominanti negli uffici della curia ambrosiana, anche perché l’attacco della Lega era stato in qualche modo preventivato, visti i precedenti. A rincuorare l’arcivescovo provvedono i tanti messaggi di solidarietà in arrivo, dalla diocesi ma anche da fuori, soprattutto da parte di sacerdoti, religiosi e semplici fedeli che chiedono a sua eminenza di continuare a percorrere la strada del Vangelo, senza lasciarsi intimidire da attacchi tanto violenti quanto pretestuosi.
«Il cardinale reagisce a questa ennesima bufera provocata dalla Lega con una calma olimpica», dicono i suoi più stretti collaboratori. «L’arcivescovo Dionigi si ispira al Vangelo, come sempre. Quella è la sua bussola, quella soltanto ». Il che non sminuisce la consapevolezza circa la gravità dell’attacco.
«Siamo in presenza di un ministro della repubblica che usa espressioni di una pesantezza inaudita contro un cardinale della Chiesa cattolica. Non solo: usa queste frasi dopo essersi accreditato come interlocutore privilegiato della Santa sede».
Le frasi che il cardinale ha utilizzato nell’omelia per la festa di sant’Ambrogio fotografano bene il modo in cui sta vivendo questa vicenda: «Serenità e responsabilità, in particolare da parte dei vescovi e dei sacerdoti, vogliamo chiedere al Signore». Di fronte alla propria coscienza e al popolo che gli è affidato, ha detto rivolto ai fedeli riuniti in duomo, il buon pastore è chiamato a mostrare sul suo stesso volto e nelle sue scelte il messaggio evangelico. Al pastore, sottolinea Tettamanzi nell’omelia, tocca anche un compito di vigilanza, ed è proprio questo compito che intende far risaltare in un momento in cui la convivenza civile è attraversata da tensioni tanto pericolose, che non possono essere né sottovalutate né rubricate fra le intemperanze ormai abituali di una parte politica.
Nella curia di Milano si fa notare che dal cardinale, nei suoi ripetuti inviti all’accoglienza, in questi anni sono sempre arrivate anche precise richieste di rispetto della legalità. Ma la legalità, si precisa, non può essere usata come alibi per giustificare politiche di esclusioni che vanno a danno dei più deboli e ignorano i diritti umani fondamentali.
Nel momento in cui scriviamo, in merito agli attacchi leghisti, non risultano però arrivati all’arcivescovo Dionigi Tettamanzi messaggi da parte dei vertici della Chiesa cattolica, né dalla Conferenza episcopale italiana né dalla segreteria di Stato vaticana.
Ma un incontro ravvicinato fra il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di stato, e il cardinale Tettamanzi è in programma proprio oggi, 8 dicembre, in occasione della solenne celebrazione per l’Immacolata. Il pontificale nel duomo sarà infatti concelebrato da Tettamanzi e Bertone, e prima della messa i due cardinali saranno in visita, con il presidente Napolitano, alla Biblioteca ambrosiana, nel quarto centenario dell’apertura al pubblico della prestigiosa istituzione.
MILANO
Bertone: «Rispetto per il cardinale Tettamanzi» *
Il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, interviene nella polemica aperta dalla Lega con gli attacchi all’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi. "Raccomando rispetto e verità per il cardinale Tettamanzi", ha detto il cardinale.
Il segretario di Stato vaticano si è richiamato alle parole pronunciate da Benedetto XVI nell’ultimo Angelus: «Come ha detto il Papa, siamo tutti ricchi e poveri, soggetti protagonisti delle nostre vite, siamo tutti nella stessa barca e dobbiamo salvarci tutti insieme. Mi sembrano - ha commentato Bertone - le parole più chiare e prospettivamente impegnative».
«Mi sembrano - ha aggiunto - le parole più chiare e più prospetticamente impegnative per tutto il nostro lavoro sia dal punto di vista pastorale che politico-amministrativo. Ho visto questa mattina il fondo di Avvenire con parole che hanno difeso degnamente. D’altra parte anche le autorità politiche e amministrative si sono mosse in questa medesima linea e hanno espresso il loro impegno per coniugare sempre insieme legalità e accoglienza».
Padre Lombardi. Nel coro di solidarietà che si è levato ieri dal mondo cattolico in difesa del pastore della diocesi ambrosiana, c’è anche la voce di padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa del Vaticano. Il portavoce papale confida il suo "stupore e disappunto" per quanto è stato detto contro l’arcivescovo: "Il cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi è un pastore autorevole e guida instancabile", punto di riferimento della Chiesa italiana per il suo impegno a favore "dell’accoglienza degli immigrati, della promozione umana e dell’aiuto ai più deboli". Parole che Tettamanzi ha commentato con una battuta ironica: "Non sono ancora un martire".
Napolitano. Anche il capo dello Stato è intervenuto sulla vicenda: «L’impegno della Chiesa nella vita sociale è essenziale per la società italiana», ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lasciando la biblioteca Ambrosiana. La Chiesa chiede rispetto quando parla di questioni sociali, fa bene? A questa domanda dei giornalisti, Napolitano ha risposto: «Certamente, tante volte ho detto che la religione è un fatto pubblico».
Il nuovo attacco sulla Padania. Sul fronte opposto, però, la Lega continua nella sua polemica contro Tettamanzi. E sulla Padania un intervento a firma di Giuseppe Reguzzoni spiega che la tradizione cattolica è «invisa alle menti aperte della Curia milanese». Il punto difeso da Reguzzoni è che «per la tradizione dogmatica della Chiesa Cattolica la libertà religiosa non può essere confusa con il relativismo e nemmeno con l’incoraggiamento di altre fedi da parte di chi ha l’autorità pastorale di guidare una comunità ecclesiale».
* L’Avvenire, 8 Dicembre 2009