[...] Critiche alla politica dell’esecutivo guidato da Olmert arrivano però anche dall’interno. Il gruppo umanitario israeliano B’Tselem accusa infatti il proprio governo di essersi macchiato di un crimine di guerra quando il 28 giugno 2006 ha ordinato la distruzione della Centrale elettrica di Gaza. «Un obiettivo esclusivamente civile», si legge nella denuncia. Attaccato «per soddisfare un desiderio di vendetta» [...]
[...] un militare israeliano che, per la prima volta, ha ammesso che sul Libano sono stati sparati migliaia di missili e che solo il suo battaglione ha sganciato almeno «1,2 milioni di bombe cluster» [...]
L’Onu: Gaza è una prigione senza chiave*
ONU. La denuncia, durissima, arriva dall’Onu, per bocca del relatore speciale per i diritti umani nei territori occupati, il sudafricano John Dugard . «In altri Paesi si parlerebbe di pulizia etnica, ma la correttezza politica proibisce un tale linguaggio quando si tratta di Israele», ha detto martedì di fronte alla commissione per i diritti umani di Ginevra.
La situazione, sostiene Dugard, peggiora di anno in anno. Ma le critiche sono rivolte anche al resto del mondo: «Se la comunità internazionale non è in grado di assumere una qualche iniziativa al riguardo - ha affermato - non ci si deve poi sorprendere se la gente non crede che ci sia un serio impegno per la tutela dei diritti dell’uomo». Accuse a Usa, Unione Europea e Canada per aver congelato i finanziamenti all’Autorità Nazionale Palestinese come ritorsione dopo l’avvento al governo dei radicali di Hamas.
Irritata la reazione del governo israeliano, che in un comunicato ha definito «allarmante la sconnessione» tra il rapporto di Dugard e l’esperienza vissuta dai cittadini israeliani, costretti a dover continuare ad «affrontare la quotidiana minaccia del terrorismo palestinese».
Critiche alla politica dell’esecutivo guidato da Olmert arrivano però anche dall’interno. Il gruppo umanitario israeliano B’Tselem accusa infatti il proprio governo di essersi macchiato di un crimine di guerra quando il 28 giugno 2006 ha ordinato la distruzione della Centrale elettrica di Gaza. «Un obiettivo esclusivamente civile», si legge nella denuncia. Attaccato «per soddisfare un desiderio di vendetta».
www.unita.it, Pubblicato il: 27.09.06 Modificato il: 27.09.06 alle ore 13.07
Mohammed Hassan Sultan, aveva 9 anni. È morto sul colpo per lo scoppio di una bomba a grappolo, nei pressi della casa dove abitava con la famiglia, nel villaggio di Sawwaneh, in Libano, a circa 17 chilometri a nord del confine israeliano. La deflagrazione ha colpito altre tre persone che hanno riportato varie ferite su tutto il corpo. Lo stesso è accaduto a Qaaqayiet al-Jisr, a circa 10 chilometri da Sawwaneh, dove una donna di 36 anni è rimasta ferita nell’esplosione di un’altra cluster bomb. Ma queste non sono le prime persone che in Libano muoiono a causa delle famigerate bomblets dopo la fine della guerra scatenata da Israele contro Hezbollah. Dal 14 agosto scorso, data della cessazione delle ostilità, le bombe a grappolo hanno già provocato la morte di almeno 15 persone, da aggiungersi ai circa 1.200 registrati solo in Libano nel corso della guerra, e novanta feriti.
Secondo gli esperti in sminamento delle Nazioni Unite, in Libano ci sarebbe ancora un milione di ordigni inesplosi sparsi sul territorio, in particolare nella regione meridionale. E non solo. Secondo dell’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, su un milione circa di sfollati fuggiti dalle loro case durante il conflitto, ben duecentomila non hanno ancora potuto fare ritorno sempre per la presenza dei micidiali ordigni inesplosi lasciati sul terreno dalle cluster bomb.
Cluster bomb, bombe a grappolo, bomblets: in qualsiasi modo le si voglia chiamare, le armi a grappolo contengono centinaia di submunizioni (le bomblets appunto) ideate per spargersi quando vengono rilasciati. L’effetto: frammenti di proiettili che penetrano il corpo, mutilando o provocando letali emorragie interne provocando la morte di circa il 30% delle vittime. Da sottolineare che le bombe a grappolo non sono esplicitamente proibite dalle leggi di guerra, sebbene la Convenzione di Ginevra ne sottolinei i rischi per la popolazione civile. Tuttavia il «tasso di fallimento» - ovvero la percentuale di ordigni che cade senza esplodere - è di norma piuttosto alta: in Libano si è registrato un dato superiore al 30%, il che rende la situazione peggiore di quanto già avvenuto in altri teatri quali il Kosovo e l’Iraq. Il risultato: le bomblets si trasformano in una piccole mine antiuomo. In migliaia di piccole mine. Si tratta di ordigni particolarmente insidiosi proprio perché piccolissimi, dalle dimensioni non superiori a quelle di normali batterie per torce elettriche, e dunque difficili da individuare. Ogni bomba a grappolo ne contiene centinaia.
Per questo moltissime organizzazioni umanitarie, dalla Croce Rossa a Human Right Watch chiedono di bandirne l’uso. Nonostante questo Israele ancora non ha risposto alle richieste dell’Onu di fornire una mappa dettagliata per il ritrovamento degli ordigni inesplosi.
Giovedì 28 alle 7.40, in onda su RaiNews 24, e su Raitre, l’intervista a un militare israeliano che, per la prima volta, ha ammesso che sul Libano sono stati sparati migliaia di missili e che solo il suo battaglione ha sganciato almeno «1,2 milioni di bombe cluster». *
www.unita.it, Pubblicato il: 27.09.06 Modificato il: 27.09.06 alle ore 18.05
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"FORZA ISRAELE" ... E ISRAELE.
ISRAELE E PALESTINA... LA TERRA PROMESSA. Un’indicazione (1930) di Sigmund Freud
Ansa» 2009-01-15 12:13
GAZA: INTENSI SCONTRI, COLPITI OSPEDALE E SEDE ONU
GAZA - L’artiglieria israeliana ha colpito oggi la sede dell’Unrwa - l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite - a Gaza City, tre dipendenti dell’agenzia sono rimasti feriti. Un portavoce dell’Unrwa ha annunciato la sospensione delle attività.
"L’artiglieria israeliana ha colpito la sede dell’Unrwa a Gaza, tre impiegati dell’agenzia sono rimasti feriti", ha affermato il portavoce dell’agenzia dell’Onu a Gaza, Adnane Abou Hasna. E’ la seconda volta, dall’inizio dell’offensiva israeliana a Gaza, che viene colpita una sede delle Nazioni Unite: nel terzo giorno dell’offensiva di terra, il 6 gennaio scorso circa 40 persone, per lo più donne e bambini, erano rimaste uccise e varie decine ferite in un bombardamento dell’artiglieria israeliana su una scuola gestita dall’Unrwa a Jabaliya, nelle vicinanze di Gaza City.
Ordigni delle forze israeliane sono caduti anche su un ospedale a Gaza City, negli scontri di stamattina, secondo quanto riferiscono testimoni dal posto.
Due cameraman palestinesi, poi, sono rimasti feriti in un attacco contro un edificio a Gaza che ospita gli uffici di diversi media arabi e internazionali.
Nelle prime ore del mattino almeno 14 razzi sono stati lanciati su Israele. Gli ordigni hanno colpito diverse località del territorio israeliano, non si hanno tuttavia al momento notizie di danni o vittime.
Nella notte nuovi raid israeliani hanno causato la morte di almeno 16 palestinesi. I bombardamenti dell’aviazione di Israele si sono concentrati sulle città di Gaza, Khan Yunis e Rafah. Come riferiscono fonti mediche, tra i morti c’é un giovane di 13 anni, mentre cinque persone sono rimaste ferite in un raid portato contro una moschea di Rafah. Dal lancio dell’offensiva israeliana contro la Striscia, il 27 dicembre scorso, il bilancio delle vittime in territorio palestinese è di 1.054 morti e oltre 4.850 feriti.
VENEZUELA ROMPE RELAZIONI CON ISRAELE
Il Venezuela ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele in segno di protesta per l’offensiva contro la Striscia di Gaza. Lo hanno reso noto in nottata fonti ufficiali a Caracas.
L’annuncio è stato dato dal ministero degli esteri venezuelano in un comunicato letto alla televisione di Stato. Nei giorni scorsi il presidente Hugo Chavez aveva espulso l’ambasciatore israeliano.
Riflessione
IL TRADIMENTO DEGLI INTELLETTUALI
di Paolo Barnard
Riprendiamo questo articolo dal sito http://www.paolobarnard.info/ . Lo riprendiamo perchè siamo profondamente convinti che sia necessario un franco dibattito su ciò che sta accadendo in Medio Oriente se vogliamo che da una situazione di guerra si passi ad una situazione di pace. E come nostro costume non censuriamo nessuna opinione che si muova verso la pace. *
Marco Travaglio ha appena scritto un commento su Gaza, diramato dalla sua casa editrice Chiarelettere, che inizia così: “Israele non sta attaccando i civili palestinesi. Israele sta combattendo un’organizzazione terroristica come Hamas che, essa sì, attacca civili israeliani”. Bene.
Il compianto Edward Said, palestinese e docente di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York, scrisse anni fa un saggio intitolato “The Treason of the Intellectuals” (il tradimento degli intellettuali). Si riferiva alla vergognosa ritirata delle migliori menti progressiste d’America di fronte al tabù Israele. Ovvero come costoro si tramutassero nelle proverbiali tre scimmiette - che non vedono, non sentono, non parlano - al cospetto dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra che il Sionismo e Israele Stato avevano commesso e ancora commettono in Palestina, contro un popolo fra i più straziati dell’era contemporanea.
E di tradimento si tratta, senza ombra di dubbio, e cioè tradimento della propria coscienza, delle proprie facoltà intellettive, e del proprio mestiere. Gli intellettuali infatti hanno a disposizione, al contrario delle persone comuni, ogni mezzo per sapere, per approfondire. Ma nel caso dei 60 anni di conflitto israelo-palestinese, con la mole schiacciate e autorevole di documenti, di prove e di testimonianze che inchiodano lo Stato ebraico, non sapere e non pronunciarsi può essere solo disonestà e vigliaccheria. Poiché in quella tragedia la sproporzione fra i rispettivi torti è così colossale che non riconoscere nel Sionismo e in Israele un “torto marcio”, una colpa grottescamente e atrocemente superiore a qualsiasi cosa la parte araba abbia mai fatto o stia oggi facendo, è ignobile. E’ un tradimento della più elementare pietas, del cuore stesso dei Diritti dell’Uomo e della legalità moderna. E’ complicità, sì, com-pli-ci-tà nei crimini ebraici in Palestina. Leggete più sotto.
I traditori nostrani abbondano, particolarmente nelle fila dell’ala ‘progressista’. Marco Travaglio guida oggi il drappello, che vede Furio Colombo, Gad Lerner, Umberto Eco, Adriano Sofri, Gustavo Zagrebelsky, Walter Veltroni, Davide Bidussa et al., affiancati dell’instancabile lavoro di falsificazione della cronaca di tutti i corrispondenti a Tel Aviv delle maggiori testate italiane. E ci si chiede: perché lo fanno? Personalmente non mi interessa la risposta, e non voglio neppure addentrarmi in ipotesi contorte del tipo ‘il potere della lobby ebraica’, la carriera, o simili.
Ciò che conta è il danno che costoro causano, che è, si badi bene, superiore a quello delle armi, delle torture, delle pulizie etniche, del terrorismo. Molto superiore.
Perché una cosa sia chiara a tutti: l’unica speranza di porre fine alla barbarie in Palestina sta nella presa di posizione decisa dell’opinione pubblica occidentale, nella sua ribellione alla narrativa mendace che da 60 anni permette a Israele di torturare un intero popolo innocente e prigioniero nell’indifferenza del mondo che conta, quando non con la sua attiva partecipazione. Ma se gli intellettuali non fanno il loro dovere di denuncia della verità, se cioè non sono disposti a riconoscere ciò che l’evidenza della Storia gli sbatte in faccia da decenni, e se non hanno il coraggio di chiamarla pubblicamente col suo nome, che è: Pulizia Etnica dei palestinesi, mai si arriverà alla pace laggiù. E l’orrore continua. Essi, di quegli orrori, hanno una piena e primaria corresponsabilità.
L’evidenza della Storia di cui parlo è in primo luogo: che il progetto sionista di una ‘casa nazionale’ ebraica in Palestina nacque alla fine del XIX secolo con la precisa intenzione di cancellare dalla ‘Grande Israele’ biblica la presenza araba, attraverso l’uso di qualsiasi mezzo, dall’inganno alla strage, dalla spoliazione violenta alla guerra diretta, fino al terrorismo senza freni. I palestinesi erano condannati a priori nel progetto sionista, e lo furono 40 anni prima dell’Olocausto. Quel progetto è oggi il medesimo, i metodi sono ancor più sadici e rivoltanti, e Israele tenterà di non fermarsi di fronte a nulla e a nessuno nella sua opera di Pulizia Etnica della Palestina. Questo accadde, sta accadendo e accadrà. Questo va detto, illustrato con la sua mole schiacciante di prove autorevoli, va gridato con urgenza, affinché il pubblico apra finalmente gli occhi e possa agire per fermare la barbarie.
In secondo luogo: che la violenza araba-palestinese, per quanto assassina e ingiustificabile (ma non incomprensibile), è una reazione, REAZIONE, disperata e convulsa, a oltre un secolo di progetto sionista come sopra descritto, in particolare a 60 anni di orrori inflitti dallo Stato d’Israele ai civili palestinesi, atrocità talmente scioccanti dall’aver costretto la Commissione dell’ONU per i Diritti Umani a chiamare per ben tre volte le condotte di Israele “un insulto all’Umanità” (1977, 1985, 2000). La differenza è cruciale: REAGIRE con violenza a violenze immensamente superiori e durate decenni, non è AGIRE violenza. E’ immorale oltre ogni immaginazione invertire i ruoli di vittima e carnefice nel conflitto israelo-palestinese, ed è quello che sempre accade. E’ immorale condannare il “terrorismo alla spicciolata” di Hamas e ignorare del tutto il Grande terrorismo israeliano.
Le prove. Non posso ricopiare qui migliaia di documenti, citazioni, libri, atti ufficiali e governativi, rapporti di intelligence americana e inglese, dell’ONU, delle maggiori organizzazioni per i Diritti Umani del mondo, di intellettuali e politici e testimoni ebrei, e tanto altro, che dimostrano oltre ogni dubbio quanto da me scritto. Quelle prove sono però facilmente consultabili poiché raccolte per voi e rigorosamente referenziate in libri
come “La Pulizia Etnica della Palestina”, di Ilan Pappe, Fazi ed.,
o “Pity The Nation”, di Robert Fisk, Oxford University Press,
e “Perché ci Odiano”, Paolo Barnard, Rizzoli BUR, fra i tantissimi.
O consultabili nei siti
http://www.btselem.org/index.asp,
http://www.jewishvoiceforpeace.org,
http://zope.gush-shalom.org/index_en.html,
http://www.kibush.co.il,
http://rhr.israel.net,
http://otherisrael.home.igc.org.
O ancora leggendo gli archivi di Amnesty International o Human Rights Watch, o ne “La Questione Palestinese” della libreria delle Nazioni Unite a New York.
E torno al “tradimento degli intellettuali” nostrani. Vi sono aspetti di quel fenomeno che sono fin disperanti. Il primo è l’ignoranza in materia di conflitto israelo-palestinese di alcuni di quei personaggi, Marco Travaglio per primo; un’ignoranza non scusabile, per le ragioni dette sopra, ma anche ‘sospetta’ in diversi casi.
Un secondo aspetto è l’ipocrisia: l’evidenza di cui sopra è soverchiante nel descrivere Israele come uno Stato innanzi tutto razzista, poi criminale di guerra, poi terrorista, poi Canaglia, poi persino neonazista nelle sue condotte come potere occupante.
Ricordo il 17 novembre 1948, quando Aharon Cizling, allora ministro dell’agricoltura della neonata Israele, sorta sui massacri dei palestinesi innocenti, disse: “Adesso anche gli ebrei si sono comportati come nazisti, e tutta la mia anima ne è scossa”. Ricordo Albert Einstein, che sul New York Times del dicembre 1948 definì l’emergere delle forze di Menachem Begin (futuro premier d’Israele) in Palestina come “un partito fascista per il quale il terrorismo e la menzogna sono gli strumenti”.
Ricordo Ephrahim Katzir, futuro presidente di Israele, che nel 1948 mise a punto un veleno chimico per accecare i palestinesi, e ne raccomandò l’uso nel giugno di quell’anno. Ricordo Ariel Sharon, che sarà premier, e che nel 1953 fu condannato per terrorismo dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la risoluzione 101, dopo che ebbe rinchiuso intere famiglie palestinesi nelle loro abitazioni facendole esplodere.
Ricordo l’ambasciatore israeliano all’ONU, Abba Eban, che nel 1981 disse a Menachem Begin: “Il quadro che emerge è di un Israele che selvaggiamente infligge ogni possibile orrore di morte e di angoscia alle popolazioni civili, in una atmosfera che ci ricorda regimi che né io né il signor Begin oseremmo citare per nome”. Ricordo la risoluzione ONU A/RES/37/123, che nel dicembre del 1982 definì il massacro dei palestinesi a Sabra e Chatila sotto la “personale responsabilità di Ariel Sharon” un “atto di genocidio”.
Ricordo le parole dello Special Rapporteur dell’ONU per i Diritti Umani, il sudafricano John Dugard, che nel febbraio del 2007 scrisse che l’occupazione israeliana era Apartheid razzista sui palestinesi, e che Israele doveva essere processata dalla Corte di Giustizia dell’Aja.
Ricordo le parole dell’intellettuale ebreo Norman G. Finkelstein, i cui genitori furono vittime dell’Olocausto: “Ma se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti.”
Ricordo che esistono prove soverchianti che Israele usa bambini come scudi umani; che lascia morire gli ammalati ai posti di blocco; che manda i soldati a distruggere i macchinari medici nei derelitti ospedali palestinesi; che viola dal 1967 tutte le Convenzioni di Ginevra e i Principi di Norimberga; che ammazza i sospettati senza processo e con loro centinai di innocenti; che punisce collettivamente un milione e mezzo di civili esattamente come Saddam Hussein fece con le sue minoranze shiite; che massacra 19.000 o 1.000 civili a piacimento in Libano (1982, 2006) e poi reclama lo status di vittima del ‘terrorismo’.
Ricordo che il Piano di Spartizione della Palestina del 1947 fu rigettato da Ben Gurion prima ancora che l’ONU lo adottasse, e che esso privava i palestinesi di ogni risorsa importante (dai Diari di Ben Gurion).
Ricordo che la guerra arabo-israeliana del 1948 fu una farsa dove mai l’esercito ebraico fu in pericolo di sconfitta, tanto è vero che Ben Gurion diresse in quei mesi i suoi soldati migliori alla pulizia etnica dei palestinesi (sempre dai Diari di Ben Gurion); che la guerra dei Sei Giorni nel 1967 fu un’altra menzogna, dove ancora Israele sapeva in aticipo di vincere facilmente “in 7 giorni”, come disse il capo del Mossad Meir Amit a McNamara a Washington prima delle ostilità, e mentre l’egiziano Nasser tentava disperatamente di mediare una pace (dagli archivi desecretati della Johnson Library, USA); che gli incontri di Camp David nel 2000 furono un inganno per distruggere Arafat, come ho dimostrato in “Perché ci Odiano” intervistando i mediatori di Clinton; che i governi di Israele hanno redatto 4 piani in sei anni per la distruzione dell’Autorità Palestinese sancita dagli accordi di Oslo mentre fingevano di volere la pace (nomi: Fields of Thorns, Dagan, The Destruction of the PA, ed Eitam); che la tregua con Hamas che ha preceduto l’aggressione a Gaza fu rotta da Israele per prima il 4 novembre del 2008 (The Guardian, 5/11/08 - Ha’aretz, 30/12/08), con l’assassino di 6 palestinesi. E queste sono solo briciole della mole di menzogne che ci hanno raccontato da sempre sulla ’epopea’ sionista.
Ricordo infine Ben Gurion, il padre di Israele, che lasciò scritto: “Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre, per ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba”. E ancora: “C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti”. Quell’uomo pronunciò quelle agghiaccianti parole 20 anni prima della nascita dell’OLP, più di 30 anni prima della nascita di Hamas, 50 anni prima dell’esplosione del primo razzo Qassam su Sderot in Israele.
Ricordo ai nostri ‘intellettuali’ di andarle a leggere queste cose, che sono in libreria accessibili a tutti, prima di emettere sentenze.
E l’ipocrisia sta nel fatto che questi negazionisti di tali orrori storici possono scrivere le enormità che scrivono sulla tragedia di Gaza, sulla Pulizia Etnica dei palestinesi, e possono dichiararsi filo-israeliani “appassionati” (Travaglio) senza essere ricoperti di vergogna dal mondo della cultura, dai giornalisti e dai politici come lo sarebbe chiunque negasse in pubblico l’orrore patito per decenni dalle vittime dell’Apartheid sudafricana, o i massacri di pulizia etnica di Srebrenica e in tutta la ex Jugoslavia.
Il mio appello a questi colti mistificatori è: continuare a seppellire sotto un oceano di menzogne, di ipocrisia, sotto l’indifferenza allo strazio infinito di un popolo, sotto la vostra paura o la vostra convenienza, la grottesca sproporzione fra il torto di Israele e quello palestinese, causa e causerà ancora morti, agonie, inferno in terra per esseri umani come noi, palestinesi e israeliani. Sono più di cento anni che il nostro mondo li sta umiliando, tradendo, derubando, straziando, con Israele come suo sicario. Sono 60 anni che chiamiamo quelle vittime “terroristi” e i terroristi “vittime”. Questo è orribile, contorce le coscienze. Non ci meravigliamo poi se i palestinesi e i loro sostenitori nel mondo islamico finiscono per odiarci. Dio sa quanta ragione hanno, cari ’intellettuali’.
Paolo Barnard
Gennaio 2009
Contro la barbarie la nonviolenza
di Giovanni Sarubbi
Sugli attacchi israeliani alla striscia di Gaza *
L’attacco di Israele contro la striscia di Gaza è l’ennesima barbarie di una guerra che dura da 60anni. Sessant’anni sono per qualsiasi uomo un tempo enorme, quasi un’intera vita. Rimanere in guerra per così lungo tempo stravolge completamente la vita, fa perdere qualsiasi umanità, distrugge qualsiasi possibilità di ritornare ad una vita pacifica in tempi ragionevoli. Troppi lutti e dolori ci sono stati per pensare che essi non abbiano strascichi duraturi. Ogni guerra getta le basi per quella successiva, per le vendette e le contro vendette in una spirale senza fine. E’ ora di dire basta, di fermare tutti gli eserciti, di deporre le armi, di cercare l’incontro con l’altro popolo.
Non è umano chi bombarda indiscriminatamente le città. Al momento in cui scriviamo le agenzie parlano di oltre 200 morti e quasi mille feriti gravi. E fra queste vittime innocenti centinaia sono i bambini. Che umanità è quella che distrugge i bambini? Può dirsi civile e democratico un paese che fa strage di bambini?
Ci chiediamo come sia possibile continuare in questo modo. Come sia possibile pensare, con i moderni mezzi di distruzione di massa, di condurre una guerra e vincerla, visto che questi mezzi di distruzione inquinano irrimediabilmente il terreno, l’aria, le acque che vengono colpite. Le guerre sono tutte assassine, ma distruggere e rendere inutilizzabile per le generazioni future persino quello che potrebbe essere il bottino della guerra non è solo una cosa criminale, ma è anche una grande stupidità. E’ noto, infatti, che Israele ha usato e continua ad usare nuove e sofisticate armi che inquinano e distruggono in modo mai visto finora. Qual è l’obiettivo, quello di desertificare la striscia di Gaza, distruggere i suoi abitanti e renderla inabitabile per i prossimi mille anni? E a che cosa serve una simile mostruosità?
Lo Stato di Israele è nato 60 anni fa per dare una patria agli ebrei perseguitati dall’occidente cristiano. A distanza di 60 anni si può ben dire che quel progetto non solo era una follia per come è stato realizzato e per l’ideologia che lo ha ispirato, ma esso è completamente fallito e la strage odierna ne è l’ennesima conferma. Che Stato è quello che è costretto ad essere perennemente in guerra con i suoi vicini o con una parte consistente dei suoi abitanti? Quale pace e quale sicurezza può garantire un simile stato ai propri cittadini che vengono per di più da una storia bi millenaria di persecuzioni? Nessuna!
Non ci vuole una grande intelligenza per capire che perseguendo su una strada sbagliata non possono esserci che errori su errori. E la strada della violenza e delle guerre preventive non porta da nessuna parte.
Chiediamo quindi a gran voce la cessazione di qualsiasi azione militare, il ritiro di tutte le truppe e il loro disarmo e l’apertura immediata di negoziati di pace. Chiediamo anche che la popolazione della striscia di Gaza venga aiutata ad uscire dalla situazione drammatica nella quale si trova.
Ma un’altra cosa crediamo sia necessario fare. Fino a quando si risponderà alla guerra con la guerra questa non avrà mai fine. C’è bisogno di dare una risposta nonviolenta alla guerra. E la risposta nonviolenta la possono dare solo i popoli in prima persona quando si muovono tutt’insieme per incontrare gli altri popoli con i quali si sta combattendo, per mettere i propri occhi negli occhi del “nemico” che è l’unico modo per scoprire in loro il volto del proprio fratello.
Ma altrettanto importante è una corretta informazione di quanto avviene in quelle terre ben sapendo che ogni falsità conduce solo a nuove violenze e a nuove guerre. Solo la nonviolenza potrà salvare il Medio Oriente e l’umanità.
Gaza, nuovi raid israeliani in corso
Hamas: "Almeno 400 le vittime"
Barak: "Possibile operazione terrestre"
Il dato sui morti fornito da un portavoce del movimento islamico: i feriti sarebbero un migliaio. Lancio di razzi contro diverse località del Sud di Israele. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu chiede il cessate fuoco. Abu Mazen accusa: "Il massacro si poteva evitare"
17:56 Meshal, alt a massacri e aprire valichi L’alt ai "massacri" nella Striscia di Gaza e l’apertura dei valichi per "salvare i bambini palestinesi" sono stati sollecitati dal capo di Hamas in esilio a Damasco, Khaled Meshal, durante una conversazione telefonica con il leader libico Muammar Gheddafi. Lo ha comunicato lo stesso Meshal all’agenzia di stampa libica Jana
17:45 Palestinesi ammassati a confine Egitto C’è grande confusione al valico tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, dove si stanno ammassando gruppi di palestinesi. Secondo fonti sulla parte egiziana del confine, alcune centinaia di palestinesi hanno superato le barriere di separazione tra la Striscia di Gaza e l’Egitto e sono penetrate nell’ex corridoio Filadelfi, arrivando a tre chilometri dal valico di Rafah. Qui sono stati subito circondati da forze di sicurezza egiziane, mentre blindati e autoambulanze li stanno raggiungendo per soccorrere feriti che provengono dalle aree attaccate ieri e stamane dai caccia israeliani. In altri punti del confine ci sono stati anche scambi di colpi di arma da fuoco con gli agenti egiziani
17:11 Obama al telefono con Rice su Gaza Il presidente americano eletto Barack Obama ha telefonato oggi al segretario di Stato Condoleezza Rice per aver informazioni sugli sviluppi nella Striscia di Gaza dopo l’inizio dell’operazione militare israeliana. Lo hanno riferito alla Cnn due esponenti della squadra di transizione. "Il presidente eletto ha apprezzato la conversazione con il segretario Rice, continuerà a seguire da vicino questo e altri eventi", ha detto una delle fonti, aggiungendo che la chiamata è partita da Obama ed è durata otto minuti
17:05 "Piombo fuso", codice ispirato da filastrocca ebraica E’ stato ispirato da una celebre filastrocca ebraica per bambini il codice militare ’Piombo Fuso’ (in ebraico: Oferet Yezukà) utilizzato ieri in occasione della grande offensiva aerea israeliana contro le strutture di Hamas a Gaza. Lo nota il quotidiano Israel ha-Yom. La filastrocca fu scritta dal poeta nazionale israeliano Haim Nahman Bialik in occasione della ricorrenza ebraica di Hanukà (festa delle luci), che è stata celebrata questa settimana e che si conclude oggi
16:30 Palestinesi hanno sfondato confine con Egitto Sono ormai centinaia i palestinesi che sono riusciti a passare dalla striscia di Gaza nel territorio egiziano. Lo riferiscono fonti locali. La radio militare israeliana aggiunge che i palestinesi sono riusciti ad aprire una breccia nel muro di frontiera. Secondo la emittente non si tratta tuttavia di persone in fuga, ma di palestinesi che cercano di raggiungere il settore egiziano della città di Rafah per compiere acquisti
16:26 Londra, nessuna irruzione in ambasciata Il ministero degli esteri di Israele ha smentito le voci diffuse sui media secondo cui manifestanti pro-Gaza avevano fatto irruzione nell’ambasciata israeliana a Londra. La polizia ha fermato tre persone all’esterno dell’ambasciata dove stavano manifestando contro i raid sulla Striscia di Gaza. E’ stata chiusa al traffico la zona nei dintorni della sede diplomatica, situata nel distretto di Kensington, dove è in corso da alcune ore la protesta cui stanno partecipando circa 700 persone
16:20 Arrivano medicinali a Gaza Dodici camion carichi di medicinali sono entrati a Gaza dal valico di Rafah. Lo ha detto la tv satellitare araba Al Jazeera.
16:19 Beirut: "Violato il nostro spazio aereo" L’esercito libanese ha detto che quattro jet israeliani hanno violato lo spazio aereo del Libano, sorvolando per oltre un’ora il paese dei Cedri. Secondo un comunicato dell’esercito, due jet hanno sorvolato l’area contesa delle fattorie di Shebaa, in prossimità delle alture del Golan.
16:13 Palestinesi in fuga verso l’Egitto I palestinesi in fuga dalla striscia di Gaza sono riusciti nella zona di Rafah a superare il muro di confine e a passare nel Sinai, malgrado la attiva opposizione di guardie di frontiera egiziane.
16:06 Giordania, bruciata bandiera israeliana Un gruppo di deputati giordani hanno dato fuoco alla bandiera israeliana con la stella di David durante la seduta odierna del parlamento giordano.
16:05 Proteste pro Gaza a Londra Manifestanti pro Gaza che assediavano la sede diplomatica dello stato di Israele a Londra sarebbero riusciti a fare irruzione all’interno del perimetro della sede diplomatica.
15:37 Jet israeliani bombardano tunnel Bombardieri israeliani hanno colpito una serie di tunnel usati per contrabbandare beni e armi tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. Fonti palestinesi aggiungono che una folla di palestinesi si è intanto avvicinata al confine con l’Egitto nel tentativo di superarlo per raggiungere il Sinai. Le guardie di frontiera dell’Egitto hanno sparato in aria per allontanare la folla, aggiungono le fonti
15:31 Raid israeliano contro versante palestinese valico Rafah
Secondo la tv satellitare araba al Jazeera, "velivoli militari israeliani hanno colpito con missili il versante palestinese del valico di Rafah" sul confine della striscia di gaza con l’Egitto. Secondo l’inviato della tv araba "uno dei missili è esploso sul territorio egiziano" dove ci sarebbe un ferito che sarebbe stato soccorso da un’auto ambulanza.
15:24 Anp: "Hamas poteva evitare la strage" Hamas avrebbe potuto scongiurare gli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza. A puntare il dito contro il movimento fondamentalista che da un anno e mezzo controlla il territorio palestinese è il presidente dell’Anp Abu Mazen il cui movimento, Fatah, governa la Ciosgiordania.
15:23 Beirut, assediata ambasciata egiziana Ci sarebbero dei feriti provocati da scontri tra manifestanti pro-Gaza e le forze dell’ordine libanesi che è intervenuta per disperdere la folla di fronte alla sede diplomatica dell’Egitto a Beirut.
15:21 "Colpiti 30 obiettivi di Hamas" L’aviazione israeliana ha colpito oggi a Gaza una trentina di obiettivi di Hamas, fra cui comandi militari, depositi di armi e postazioni per il lancio di razzi. Lo riferisce la radio militare secondo cui dall’ inizio della operazione ’Piombo fuso’ - avviata ieri - l’aviazione ha colpito 240 obiettivi diversi.
15:11 Erdogan: "Crimine contro l’umanità" L’offensiva israeliana a Gaza è "un crimine contro l’umanità". Lo ha detto il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan chiedendo allo stato ebraico di fermare immediatamente i raid nel territorio palestinese.
15:02 Cisgiordania, muore un palestinese Un palestinese è stato ucciso oggi dai soldati israeliani nel corso di una manifestazione di solidarietà con Gaza, a Nilin, nel nord della Cisgiordania. Nel corso della manifestazione sono scoppiati scontri tra giovani palestinesi che lanciavano pietre e agenti di frontiera israeliani, che hanno risposto con i gas lacrimogeni e con proiettili per disperderli. La vittima aveva 20 anni. Un altro giovane è rimasto gravemente ferito.
14:58 Mosca chiede a Israele "cessazione urgente" delle operazioni Il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, ha chiesto oggi alla sua omologa israeliana Tzipi Livni "la cessazione urgente" delle operazione militari nella Striscia di Gaza. Lo riferisce un comunicato del ministero degli Esteri di Mosca.
14:44 Siria annuncia fine dei negoziati indiretti con Israele La Siria ha informato la Turchia di aver interrotto tutti i negoziati indiretti con Israele a seguito dell’offensiva lanciata ieri dalle forze di difesa israeliane contro le installazioni di Hamas nella Striscia di Gaza. Lo riporta il Jerusalem Post, che cita l’agenzia di stampa siriana Sham Press. I colloqui di pace indiretti tra la Siria e Israele erano ripresi lo scorso maggio, dopo una sospensione di otto anni, grazie alla mediazione di Ankara.
14:42 Palestinese ucciso in disordini in Cisgiordania Un palestinese ucciso e sei feriti: questo, secondo la agenzia di stampa palestinese Maan, il bilancio di disordini divampati oggi nel villaggio cisgiordano di Nìlin (Ramallah) fra dimostranti locali che protestavano per i bombardamenti su Gaza e reparti dell’esercito israeliano. La notizia non ha ancora conferma da parte israeliana.
14:39 Hamas annuncia inizio "operazioni di martirio" "Ai nostri fratelli delle brigate Al Qassam diciamo che è giunta l’ora di dare il via ad operazioni decisive e forti nella profondità israeliana per colpire anche con le operazioni di martirio". E’ la nuova minaccia pronunciata da Hamas attraverso un comunicato letto in diretta tv dal suo portavoce Fawzi Barhoum, che ha accusato l’occidente di rimanere inerme di fronte "all’olocausto".
14:29 Ministro arabo-israeliano boicotta seduta del governo Ha destato scalpore in Israele la decisione del ministro dello sport e della cultura, l’arabo-israeliano Ghaleb Majadla, di boicottare l’odierna seduta del governo israeliano in un gesto di protesta per il bombardamento di Gaza che ha provocato quasi 300 morti. Alcuni esponenti di destra hanno chiesto al premier Ehud Olmert di destituire Majadla: cosa che probabilmente non è possibile in quanto il governo è dimissionario e quindi non sono possibili né licenziamenti né nuove nomine.
* la Repubblica, 28.12.2008 - ripresa parziale, per aggiornamenti cliccare sul rosso.
L’attacco dopo i ripetuti lanci di razzi dei giorni scorsi
Offensiva israeliana su Gaza
«140 morti e 200 feriti»
Missili contro i posti di polizia di Hamas. La reazione: «Risponderemo in tutti i modi»
GAZA - La durissima offensiva israeliana contro Gaza è arrivata dal cielo: una serie di raid aerei lanciati in mattinata hanno colpito il porto e quasi tutti i posti di polizia della principale città del territorio controllato da Hamas. Obiettivi distrutti, ma il bilancio delle vittime è gravissimo: fonti mediche parlano di 120 morti e 200 feriti tra i palestinesi solo a Gaza. Tra le vittime anche il capo della polizia, Tawfiq Jabber. A Khan Younis e Rafah, invece, avrebbero perso la vita altre 23 persone. L’ondata di attacchi israeliani è infatti proseguita anche in altre zone della Striscia.
L’ESERCITO - Le forze armate dello stato ebraico hanno fatto sapere di aver colpito per «fermare gli attacchi terroristici» su Israele, ma di essere preparate ad «andare avanti». «La nostra aviazione - ha detto un portavoce - è intervenuta in modo massiccio contro infrastrutture di Hamas nella Striscia di Gaza per fermare gli attacchi terroristici delle ultime settimane contro edifici civili israeliani. Abbiamo avvertito la popolazione civile della Striscia di Gaza che avremmo attaccato e Hamas, che si nasconde tra la popolazione civile, è l’unica responsabile di questa situazione. Le nostre operazioni andranno avanti e, se necessario, saranno allargate». Anzi, secondo il portavoce dell’esercito israeliano, Avi Benyahou, l’offensiva è «appena all’inizio».
LE IMMAGINI - La tv satellitare Al Jazeera ha mostrato le immagini di decine di miliziani palestinesi riversi sul terreno. Uno dei corrispondenti, commentando gli eventi, ha parlato di «una situazione terrificante» causata da «raid che avvengono in sintonia in più luoghi e in contemporanea» nei cieli della Striscia. Secondo quanto riferisce l’inviato della tv ’al-Arabiya’, i raid aerei israeliani compiuti sulla striscia di Gaza hanno causato il ferimento anche di diversi bambini colpiti mentre si trovavano all’interno della loro scuole o nei dintorni.
STATO DI ALLERTA - Nel frattempo, nel sud di Israele è stato dichiarato lo stato di allerta in previsione di un intenso bombardamento con razzi e mortai da parte di gruppi armati palestinesi. La popolazione è stata invitata a non uscire in strada e a restare in aree protette o vicino a rifugi.
LA REAZIONE DI HAMAS - Hamas ha infatti «ordinato alle Brigate Ezzedine al Qassam di rispondere all’aggressione degli occupanti in tutti i modi». «Il mondo rimarrà sorpreso della nostra risposta all’aggressione degli occupanti» ha detto Fawzi Barhoum, esponente del movimento estremista islamico. «Ora le Brigate Ezzedine al Qassam - ha aggiunto - hanno le mani libere per rispondere con tutti mezzi di cui possiede, inclusi i missili a lunga gettata e le azioni di martirio. Abbiamo la forza per controbilanciare questo terrorismo». Un appello simile è stato lanciato dalla Jihad islamica: «Tutti i combattenti hanno ricevuto l’ordine di rispondere al massacro perpetrato da Israele».
AIUTI DALL’IRAN - Subito dopo l’attacco, l’Iran ha confermato che manderà la sua prima nave di aiuti destinati alla Striscia di Gaza malgrado il blocco navale israeliano. Lo ha detto la Tv di stato iraniana. Israele pattuglia le acque costiere intorno a Gaza e accusa l’Iran, che rifiuta di riconoscere l’esistenza di Israele, di rifornire Hamas con armi. Teheran smentisce, affermando di voler provvedere esclusivamente al supporto morale di Hamas. «A dispetto del blocco del regime sionista...la nave di aiuti iraniani partirà oggi e arriverà in 12 giorni in Palestina», ha detto la televisione, aggiungendo che saranno a bordo 12 dottori iraniani e uomini addestrati per il soccorso, e che il cargo conterrà «più di 2000 tonnellate di cibo, medicine e apparecchiature».
LA CONDANNA DELL’EGITTO - Arriva anche la condanna dell’Egitto: «Condanniamo la strage senza precedenti che sta avvenendo a Gaza» ha detto ad al Jazeera, Mustafa al Faqqi, presidente della commissione Esteri del parlamento egiziano. «Il mondo non può stare a guardare quello che sta avvenendo nella Striscia».
LANCI DI RAZZI - Da giorni le autorità dello stato ebraico avevano anticipato l’intenzione di colpire dopo i ripetuti lanci di razzi in territorio israeliano. In mattinata tre palestinesi erano rimasti feriti da un proiettile di artiglieria sparato dalle truppe israeliane. Gruppi armati palestinesi avevano invece lanciato altri razzi Qassam contro il sud di Israele, colpendo un edificio nel kibbutz Shaar Hanegev, senza fare vittime. Lo riporta il Jerusalem Post.
* Corriere della Sera, 27 dicembre 2008
Desmond Tutu: ho pianto davanti a Gaza in rovina
di Umberto De Giovannangeli *
Confessa di aver pianto nel constatare di persona i patimenti inflitti a una popolazione allo stremo. L’inferno di Gaza visto attraverso gli occhi dell’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace ’84, riconoscimento che gli fu attribuito per la sua lotta non violenta contro il regime dell’apartheid. Tutu in questi giorni è a Gaza, capo della missione del Consiglio dell’Onu per i diritti umani incaricata di indagare sulle violazioni israeliane nella Striscia e sull’uccisione di 19 civili, tra i quali molte donne e bambini, provocata da un bombardamento israeliano l’8 novembre ’06 a Beit Hanun.
Israele ha rifiutato di concedere i visti a Tutu e al suo gruppo: l’arcivescovo anglicano e i suoi collaboratori hanno aggirato le restrizioni israeliane entrando nel territorio palestinese dal valico di Rafah con l’Egitto che è stato aperto occasionalmente per loro martedì scorso.
Nella sua missione a Gaza, Tutu ha incontrato anche il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ma soprattutto si è intrattenuto con i sopravvissuti dell’attacco di Beit Hanun. Nel ricordare quell’incontro, il Premio Nobel per la Pace sudafricano non trattiene la commozione: «Tutti noi - racconta a l’Unità - siamo rimasti scioccati, devastati da quei colloqui. Si è trattato di una esperienza sconvolgente che non si augurerebbe al proprio peggior nemico».
Sulla strage di Beit Hanun, la commissione guidata da Desmond Tutu sta preparando un rapporto che sarà presentato alla riunione del Consiglio dell’Onu per i Diritti umani a settembre.
Un viaggio a Gaza. Quali emozioni ha provato?
«È stata una esperienza umana sconvolgente. In questi giorni abbiamo avuto modo di renderci conto di persona di una situazione disastrosa. A Gaza è in atto una tragedia umanitaria di fronte alla quale il mondo non può chiudere gli occhi. Perché se la verità fa male, il silenzio uccide».
Le più importanti agenzie umanitarie internazionali hanno ripetutamente denunciato gli effetti provocati sulla popolazione di Gaza dal blocco imposto da Israele. Qual è in proposito la sua opinione?
«Quello in atto da mesi e mesi a Gaza è un assedio illegale; il blocco costituisce una violazione flagrante dei diritti umani ed è contrario agli insegnamenti delle sacre scritture, cristiane ed ebraiche e della tradizione ebraica di adoperarsi per i più deboli. Faccio davvero fatica a trovare le parole adatte per descrivere ciò che abbiamo visto e inteso. Di certo, tutto ciò è inaccettabile. La cosa più inconcepibile e mai giustificabile, è quello che si sta facendo ad un popolo per garantire la propria sicurezza (di Israele). Ciò che ho visto mi ricorda molto quello che accadeva a noi neri in Sudafrica, durante l’apartheid. Non mi riferisco solo a Gaza. Ricordo ancora un mio precedente viaggio in Terra Santa. Ricordo come se fosse oggi l’umiliazione dei palestinesi ai check points e ai blocchi stradali, soffrivano come noi quando i giovani poliziotti bianchi ci impedivano di circolare».
Qual è il messaggio che si sente di lanciare alla comunità internazionale?
«Il messaggio è che il nostro silenzio e la nostra complicità per ciò che sta accadendo a Gaza, fa disonore a tutti noi. Gaza ha bisogno di aiuti e di attenzione da parte del mondo, in particolare da quanti credono e si battono per la pace».
Lei ha avuto modo di incontrare a Gaza il premier di Hamas, Ismail Haniyeh.
«Ho chiesto ad Haniyeh di operare affinché Hamas interrompa il lancio di razzi Qassam verso Israele. Queste azioni finiscono solo per aggiungere dolore a dolore, sofferenza a sofferenza: la mia solidarietà va anche alla popolazione israeliana di Sderot, costretta a soffrire per il lancio dei razzi Qassam. Non è in questo modo che i palestinesi vedranno realizzati i propri diritti. Dal più profondo del cuore, mi sento di lanciare di nuovo un appello a entrambe le parti perché si ponga fine ad ogni atto di violenza, ed in particolare agli attacchi ai civili. Questi attacchi, comunque motivati, sono sempre una violazione dei diritti dell’uomo. L’unico modo per porre fine alle violenze e alle ingiustizie è che israeliani e palestinesi si ritrovino insieme intorno ad un tavolo per discutere: questo è l’unico modo per instaurare la vera pace».
E a Israele quale appello si sente di lanciare?
«Vorrei dire che Israele ha diritto a vivere in pace nella sicurezza ma che questo diritto non può fondarsi né realizzarsi compiutamente se proseguirà l’oppressione esercitata contro un altro popolo. Il popolo palestinese. Una vera pace può essere costruita solo su basi di giustizia. E giustizia vuole che oggi si porti conforto alla popolazione di Gaza».
Lei ha parlato di una realtà, quella della Striscia di Gaza, scioccante, disperata...
«E non mi riferivo solo alle condizioni materiali di vita. La disperazione è anche altro. È l’assenza di speranza, è la percezione diffusa che la realtà è destinata ancora a peggiorare. La disperazione è nei tanti ragazzi e ragazze che ho incontrato e che mi hanno confessato di non saper immaginare un futuro. La disperazione è nei bambini che hanno respirato solo violenza, paura...Questa è Gaza oggi. Lo ripeto: è una condizione inaccettabile, inumana. Alla quale non dobbiamo rassegnarci».
Ha collaborato Osama Hamdan
* l’Unità, Pubblicato il: 30.05.08, Modificato il: 30.05.08 alle ore 14.31
Gaza, giù il valico di Rafah. Il sostegno di Mubarak
È stato il presidente egiziano Hosni Mubarak a ordinare ai soldati di permettere il passaggio dei palestinesi: «Ho detto loro di lasciarli andare per mangiare e acquistare il cibo, e quindi tornare indietro, a meno che - ha precisato Mubarak - non abbiano armi».
Martedì notte miliziani palestinesi hanno fatto esplodere almeno cinque cariche di esplosivo lungo il muro che cinge il confine tra Gaza ed Egitto, dando la possibilità a migliaia di palestinesi di affluire in Egitto per comprare cibo, latte, sigarette e carburante. Le guardie egiziane al confine, su ordine di Mubarak, non hanno preso provvedimenti per interrompere l’andirivieni di palestinesi, nonostante fossero circa duemila gli uomini di stanza allla frontiera.
Martedì il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, riunito in sessione d’emergenza, si è aggiornato fino a mercoledì nel tentativo di trovare un accorso su un documento che chieda a Israele di porre fine alla morsa su Gaza, i cui valichi sono stati chiusi nella notte di giovedì scorso, ma anche che contenga una ferma condanna del lancio di razzi Qassam. E secondo fonti diplomatiche, sarà difficile che gli Stati Uniti, fermo alleato di Israele, accettino il testo di compromesso voluto dagli altri 14 Paesi membri.
Intanto, secondo fonti israeliane riferite dal quotidiano "Haaretz", Israele ha intenzione di mantenere permanentemente chiusa sa la Striscia di Gaza, eccetto che per le necessità di tipo umanitario. Riguardo allo sconfinamento palestinese in territorio egiziano, Israele fa sapere che «è responsabilità dell’Egitto assicurare che la frontiera funzioni in modo adeguato, secondo gli accordi siglati». Nessun intervento, quindi, anche se le autorità israeliane dicono di essere «preoccupati per la situazione» che «potenzialmente può permettere a chiunque di entrare».
* l’Unità, Pubblicato il: 23.01.08, Modificato il: 23.01.08 alle ore 13.27
Medio oriente
Quello che sta accadendo (e non vogliamo vedere)
di Giulietto Chiesa da E polis - 3-7-06
Postato il Tuesday, 03 July @ 09:16:16 CEST di jormi *
Il medio oriente sta entrando a vele spiegate in una nuova guerra su grande scala. Bisogna essere ciechi per non vedere i sintomi, che sono chiari: l’Autorità Palestinese non esiste più. Gaza è diventata un poligono di tiro dell’esercito israeliano. In Libano cominciano a saltare in aria le colonne UNIFIL delle forze dell’ONU (per ora agli italiani è andata bene), mentre strani gruppi terroristici attaccano l’esercito libanese. La puzza di bruciato cresce. La guerra si estende in Irak; la Turchia pensa a un prossimo intervento nel Kurdistan iracheno; gli Usa e Israele tengono i motori accesi per un prossimo intervento militare contro l’Iran.
Il governo israeliano decide di restituire, finalmente circa 600 milioni di dollari che teneva illegalmente sequestrati ai palestinesi dal gennaio 2006, data della straripante vittoria elettorale (regolare) di Hamas. Ma quei soldi non andranno ai palestinesi, bensì al signor Abbas, presidente del nuovo Bantustan della West Bank.
I palestinesi, non solo quelli che muoiono trincerati a Gaza, ma anche la maggioranza degli altri, lo considerano già un traditore della loro causa. L’Europa ha già deciso di schierarsi con Abbas, per cui condividerà con lui il disprezzo e l’odio dei disperati.
E sempre l’Europa, con notevole faccia di bronzo (quella di Javier Solana) invita alla concordia. Ma tra chi e chi? Siamo stati noi europei, insieme agli USA, a derubare i palestinesi del legittimo governo che si erano scelto, votando come gli avevamo chiesto.
Ieri International Herald Tribune scriveva: la politica israeliana, "insieme all’embargo occidentale dell’aiuto al governo di Hamas, fu messa in atto con l’obiettivo di indebolire il governo e farlo cadere".
Siamo davvero molto democratici, noi europei. Solo che i palestinesi hanno eletto i loro candidati e non i nostri, per cui li abbiamo puniti.
A Israele nessuno dice niente, nessuno rimprovera niente. Neanche l’occupazione delle terre palestinesi che continua dal 1967. Neanche gl’insediamenti dei coloni, che continuano. Neanche il muro.
Se non ci sono due stati in Palestina è perchè Israele non lo vuole e gli Stati Uniti nemmeno. L’Europa dice di volerlo, ma non ha il coraggio di essere coerente. Non ha neanche il coraggio di dire con franchezza a Israele che non potrà costruire il suo Bantustan con Abu Abbas, senza cessare l’occupazione. E se volessero ripetere le elezioni Fatah perderebbe di nuovo. Si annuncia la guerra, e una nuova Intifada.
Che tristezza, per loro e per noi. Che vergogna per noi!
http://www.giuliettochiesa.it/modules.php?name=News&file=article&sid=268
* Il Dialogo, Martedì, 03 luglio 2007
Gaza, nuovi raid israeliani: uccisi due pastori *
Due palestinesi sono stati uccisi sabato e altri quattro feriti da un razzo sparato da un aereo senza pilota israeliano nell’area di Beit Hanun, nella Striscia di Gaza, poco dopo il lancio di due razzi Qassam sulla città israeliana di Sderot, secondo fonti locali palestinesi. Gli uccisi, secondo queste fonti, sono due pastori colpiti per errore. Mentre i razzi Qassam non hanno fatto vittime.
L’aviazione israeliana aveva compiuto due nuovi raid la scorsa notte nella Striscia di Gaza, senza tuttavia provocare nuove vittime, dopo il lancio di alcuni razzi palestinesi Qassam contro il territorio israeliano. Lo dicono fonti fra loro concordanti. Nel primo attacco gli aerei militari con la stella di David hanno distrutto due fonderie a Gaza. A Beit Lahya, nel nord della Striscia, blindati israeliani, invece, hanno aperto il fuoco contro obiettivi palestinesi civili.
Mentre venerdì scorso i caccia israeliani hanno compiuto tre raid, uccidendo almeno sette palestinesi, più un quarto in serata senza vittime. Raid che non hanno risparmiato edifici, automobili e perfino una scuola. E da mercoledì scorso sono almeno 20 i palestinesi uccisi dal fuoco di Tel Aviv. A mettere benzina sul fuoco contribuiscono anche le lotte intestine tra militanti di Hamas e quelli di Fatah. Proprio questi ultimi sono rimasti feriti in seguito agli scontri che si sono verificati sabato mattina nella zona dell’università islamica di Gaza City. Nel corso di questa settimana le violenze fra le opposte fazioni palestinesi hanno provocato la morte di 50 palestinesi e il ferimento di numerosi altri.
Sul fronte politico, intanto, secondo il quotidiano «Haaretz», durante un incontro venerdì con alcuni diplomatici occidentali, il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni avrebbe espresso disponibilità al dispiegamento di una forza multinazionale, che però sarebbe accettabile solo se giocasse un ruolo «esecutivo» e se dessa la caccia ai «terroristi» e confiscasse le armi. Non un ruolo super partes, dunque. «Se il mandato della forza fosse simile a quello di Unifil (la forza dell’Onu in Libano, ndr) - ha chiarito il capo della diplomazia dello Stato ebraico, citato da un diplomatico europeo presente all’incontro - allora Israele non sarebbe interessato. Ma se la forza avesse un mandato più esecutivo, allora avremmo una posizione diversa».
* l’Unità, Pubblicato il: 18.05.07, Modificato il: 19.05.07 alle ore 13.03
Gli Usa: in Libano Israele ha usato bombe a grappolo *
Durante la guerra in Libano, Israele ha usato bombe a grappolo statunitensi in violazione degli accordi con il governo di Washington. Lo afferma un rapporto ufficiale che sarà presentato lunedì al Congresso, e le cui conclusioni sono anticipate dal New York Times di domenica. Il rapporto è stato preparato in base alla legge sulla esportazione delle armi che impone all’amministrazione di notificare al Congresso qualsiasi violazione della stessa.
Adesso, a meno che non si il Congresso a proporre un’iniziativa, l’amministrazione Bush potrebbe decidere di imporre delle sanzioni ad Israele. Un’ipotesi, nota il quotidiano, considerata poco probabile. Anche se esiste già un precedente specifico: il presidente Ronald Reagan impose un embargo a Israele sulle bombe a grappolo per l’uso che ne fece durante l’invasione del Libano del 1982. L’embargo rimase in vigore per sei anni.
Secondo quanto riportato dal quotidiano newyorchese le armi sarebbero state usate in zone densamente popolate e su città e villaggi, nonostante gli accordi di fornitura da parte di Wahington ne vietino l’uso. Molti giuristi ritengono che le bombe a grappolo o cluster bombs siano armi proibite dalle Convenzioni internazionali a prescindere dal contesto in cui vengono utilizzate. Secondo le Nazioni Unite durante il conflitto dal 12 luglio al 14 agosto 2006 gli israelinai avrebbero lanciato oltre un milione di questi ordigni sul Libano tra bombe di aereo, granate di artiglieria, razzi e missili.
Le bombe a grappolo sono armi che trasportano una testata contenente centinaia di piccole bome che si disperdono sul terreno, coprendo un un solo lancio un’area vastissima. Moltissime di queste bombette o sub-munizioni non esplodono e restano una minaccia permanente ben oltre la conclusione del conflitto durante il quale sono state usate. In Libano, sostiene il New York Times che cita informazioni del Mine Action Service delle Nazioni Unite, dalla fine della guerra di agosto queste armi inesplose hanno già provocato 30 morti e 180 feriti, molti dei quali bambini.
Il rapporto governativo conferma le numerose denunce fatte a suo tempo dalle organizzazioni umanitarie internazionali, ed in particolare dalla statunitense Human Rights Watch, sull’uso massiccio di queste armi nel Libano del Sud
* l’Unità, Pubblicato il: 28.01.07, Modificato il: 28.01.07 alle ore 13.19
L’annuncio del cessate il fuoco dato dal presidente Abu Mazen in tv. In mattinata le violenze tra i due partiti palestinesi erano costate la vita a 4 persone
Gaza, notte di tregua Fatah-Hamas dopo una giornata di scontri e vittime
Ritrovato cadavere l’ufficiale dell’Intelligence rapito ieri. L’esercito israeliano spara e uccide una ragazzina di 13 anni a Tulkarm
GAZA - Dalle 22 italiane scatta a Gaza la tregua che dovrebbe mettere fine agli scontri tra militanti di Hamas e di Fatah. L’annuncio è stato dato dal presidente palestinese Abu Mazen in tv dopo una giornata di violenze costate complessivamente quattro morti e una ventina di feriti, tra cui anche dei bambini. Sempre oggi è stato trovato il cadavere del colonnello dell’Intelligence generale sequestrato ieri dai miliziani di Hamas. A queste vanno poi aggiunte tre vittime dell’esercito israeliano. A Tulkarm sotto i colpi dei militari di Tel Aviv sono caduti una ragazzina di 13 anni scambiata per un miliziano e un’attivista palestinese. Un esponente di Fatah è stato ucciso invece a Nablus.
L’intesa tra i due schieramenti è stata raggiunta al termine di una riunione d’urgenza promossa dal governo egiziano a cui hanno preso parte tutti i capi delle forze di sicurezza e di polizia palestinesi. Tutte le si sono dette daccordo a far scattare un cessate il fuoco immediato e a riconsegnare gli ostaggi catturati.
Dopo aver innescato gli scontri sabato scorso annunciando l’intenzione di indire elezioni anticipate per uscire dallo stallo politico che attanaglia l’Autorità nazionale palestinese, il presidente Abu Mazen aveva lanciato nel pomeriggio un appello per una tregua. "In nome dell’unità nazionale - ha detto in un comunicato - chiedo a tutti, senza eccezioni, di rispettare il cessate il fuoco e di cessare le uccisioni e tutte le altre operazioni". Alle parole di Abu Mazen aveva risposto il premier Ismail Haniyeh con un altro appello lanciato stasera dagli schermi della televisione palestinese. L’esponente di Hamas aveva chiesto a tutti di mantenere la calma e cessare l’uso delle armi.
Nei combattimenti che si sono verificati all’alba nell’ospedale Shifa di Gaza è stato ucciso un sostenitore di Hamas. Negli scontri avvenuti nel centro della città sono rimasti feriti anche cinque ragazzini che tornavano da scuola e sono morti un militante di Fatah e due poliziotti fedeli al partito del presidente Abu Mazen.
Nella mattinata di oggi si sono susseguiti una serie di attentati e rapimenti che lasciano intuire il clima da guerra civile. In particolare colpi d’arma da fuoco di carattere intimidatorio sono stati sparati contro la abitazione di Khaled Abu Hillal, portavoce del ministero degli interni. Non è tutto: il governatore del Nord della Striscia di Gaza, Ismail Abu Shemala, è stato oggetto di un attentato, probabilmente da parte di militanti di Hamas, ma è rimasto illeso.
A Gaza molti negozi oggi hanno chiuso per timore degli scontri. Le strade sono semi deserte. Il traffico stradale è ridotto. Le due fazioni si sono accusate a vicenda di avere dato inizio agli scontri, iniziati in mattinata vicino all’ospedale di Gaza City e proseguiti vicino alla sede dell’intelligence palestinese, fedele ad Abu Mazen, colpita anche da alcuni colpi di mortaio.
Intanto ieri sera è stato rilasciato l’ex ministro per gli Affari dei detenuti, Sofian Abu Zaida, rapito alcune ore prima da Hamas. Uomini di Fatah avevano sequestrato 11 militanti di Hamas per ottenere la liberazione dell’ex ministro.
(la Repubblica, 19 dicembre 2006)
Israele caccia anche Tutu
Tel Aviv nega il visto al vescovo anti-apartheid: avrebbe dovuto guidare un’inchiesta dell’Onu. Jimmy Carter: «Territori peggio del Sudafrica»
di Michele Giorgio *
Gerusalemme. Israele chiude la porta in faccia all’arcivescovo sudafricano e premio Nobelper la pace Desmond Tutu, l’uomo che subito dopo Nelson Mandela è il più noto nel mondoper la lotta all’apartheid. Il religioso cristiano non ha ottenuto dal governo di Ehud Olmert - il premier israeliano tra qualche ora verrà accoltocon grandi onori e abbracci fraternidaRomanoProdi - l’autorizzazione a compiere una visita a Gaza per indagare per conto dell’Onu sulla strage dell’8 novembre a Beit Hanoun, dove 19 civili palestinesi - in gran parte donne e bambini - vennero uccisi nel sonno e altre decine feriti dalle cannonate cadute, per errore secondo l’esercito israeliano, sulle loro case. «E’ molto penosa la mancanza di cooperazione da parte del governo israeliano», ha affermatocon amarezza Tutu durante una conferenza stampa tenuta ieri a Ginevra. Il no all’arcivescovo è giunto mentre nelle stesse ore l’ex presidente americano JimmyCarter ribadiva la tesi contenuta nel suo ultimo libro «Palestine: peace not apartheid»: Israele impone nei Territori occupati palestinesi un sistema di apartheid che a volte è peggiore di quello che un tempo vigeva in Sudafrica.
Ieri, parlando ai microfoni della radio israeliana, Carter ha affermato che «quando Israele occupa il territorio della Cisgiordania inmodo così esteso, unisce tra di loro i 200 insediamenti (ebraici) con una strada e poi proibisce ai palestinesi di usare quella strada o inmolti casi persino di attraversarla, di fattoimponeesempi di regime separato, oapartheid, peggioridiquelli che abbiamo visto in Sudafrica ». Carter che nel 1978 ospitò il summit di Camp David che si concluse con gli accordi di pace tra Israele e l’Egitto, si è anche lamentato per il fatto di essere diventato bersaglio di critiche e polemiche feroci in Israelementre il suo libro avrebbe dovuto aprire un dibattito sulla questione delle forme di apartheid che si stanno materializzando nei Territori occupati. DesmondTutu era stato incaricato dalla Commissione dell’Onu sui diritti umani di recarsi a Beit Hanoun assieme ad altre cinque persone per «valutare la situazione delle vittime, i bisogni dei superstiti », formulare raccomandazioni sui modi e i mezzi per proteggere i civili palestinesi contro ulteriori attacchi israeliani e «presentare un rapporto entro la metà di dicembre».
La delegazione avrebbe dovuto presentare i risultati della sua indagine venerdì prossimo al Consiglio per i diritti umani dell’Onu. «Pensavamo, e pensiamo ancora, che c’era una speranza che la nostra visita ed il nostro rapporto avrebbero potuto in qualche modo contribuire alle possibilità di pace nel Medio oriente», ha affermato Tutu in una dichiarazione congiunta con la professoressa britannica Christine Chinkin, un altro membro della missione. Entrambi hanno spiegato di aver rinunciato ad entrare nella Striscia di Gaza passando dall’Egitto, ovvero attraverso il valico di Rafah, poiché questo avrebbe precluso la possibilità di discutere con la parte israeliana e quindi non avrebbe consentito a «tutte le parti» di fornire il loro contributo alla missione.
L’arcivescovo, che nel 1995 aveva presieduto la Commissione sudafricana «Verità e riconciliazione» stabilita dopo la fine del regime di apartheid, ha aggiunto di aver aspettato invano il visto israeliano fino alla fine della settimana passata e che poi è stato costretto a rinunciare. «Avevamo accettato l’incarico in tempi velocissimi e per questo abbiamo anche cancellato precedenti impegni per renderci disponibili a questo compito e poter consegnare il rapporto entro la metà di dicembrema non è servito», ha aggiunto l’arcivescovo. «Non abbiamo dato a Tutu e al resto della missione una risposta negativa - ha provato a spiegare Mark Regev, portavoce del ministero degli esteri israeliano - la nostra decisione finale era ancora in sospeso. Abbiamo sentito che sono stati loro a decidere di non venire ». Regev ha negato che il governo israeliano avesse unproblemacon il fatto che l’inchiesta dell’Onu fosse guidata da un simbolo della lotta all’apartheid,masolo con il fatto che la commissione avesse il mandato di investigare le presunte violazioni dei diritti umani commesse dagli israeliani manon quelle commesse dai palestinesi. «Non abbiamo un problema con le personalità, macon le istituzioni», ha concluso.
* il manifesto, 12.12.2006
Gaza, tre bambini uccisi Spari e proteste al Parlamento *
È degenerato in un nuovo assalto alla sede del Conslglio Legislativo, il Parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, il corteo funebre con cui a Gaza città si stavano concludendo le esequie dei tre bambini rimasti uccisi lunedì mattina davanti alla loro scuola, nel quartiere di Rimal: le piccole vittime, di età tra i sei e i nove anni, erano figli di un ufficiale delle forze di sicurezza dell’Anp, Baha Balousha, fedele al moderato presidente palestinese Mahmoud Abbas alias Abu Mazen. Il conducente che li aveva accompagnati a lezione li stava facendo scendere dalla loro auto allorché questa è stata crivellata di proiettili. Anche l’autista è morto, e sono stati feriti altri due bimbi.
Manifestazioni spontanee di protesta sono segnalate in diverse zone di Gaza in seguito alla brutale uccisione dei tre bambini e del loro autista. Fonti locali riferiscono che in alcuni crocevia si notano miliziani armati e pneumatici in fiamme. E molti negozianti preferiscono per ora tenere abbassate le saracinesche dei loro esercizi, nel timore di ulteriori incidenti. Diversi individui hanno sparato con armi automatiche in direzione dell’edificio che ospita il Consiglio Legislativo e non è chiaro se qualcuno sia rimasto colpito.
Testimoni oculari hanno peraltro riferito che i figli di Balousha, assente al momento della tragedia, non sarebbero stati l’originario obiettivo degli assalitori, e che sarebbero rimasti invece presi in mezzo a uno scambio di colpi di arma da fuoco, innescato da un agguato contro gli agenti di guardia all’istituto scolastico, appartenenti ad Hamas: il gruppo radicale che controlla attualmente il governo monocolare dell’Anp. Lo scorso settembre Balousha era stato vittima di un tentativo di omicidio lo scorso settembre. Ma questa volta, gli assalitori dovevano essere sicuri che il colonnello non si trovava a bordo dell’auto perchè l’uomo solitamente non accompagnava mai i figli a scuola.
Il presidente dell’Anp, Abu Mazen, ha condannato questo attentato. «E’ un crimine atroce commesso contro i bambini del nostro popolo», ha dichiarato. «Ho chiesto al ministro degli Interni di far arrestare al più presto gli assalitori», ha aggiunto. Il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, ha ugualmente condannato questo attacco omicida commesso secono lui «dai nemici del popolo palestinese».
* l’Unità, Pubblicato il: 11.12.06, Modificato il: 11.12.06 alle ore 12.27
Labirinto palestinese
di Ignacio Ramonet (traduzione dal francese di José F. Padova) *
Verso l’abisso. Si sente confusamente che le sofferenze subite dai palestinesi, le solidarietà sempre più audaci che un simile tormento trascina con sé in Medio oriente e le violente reazioni difensive d’Israele rischiano di condurre il mondo verso l’abisso. Il faccia a faccia fra due popolazioni, l’israeliana e la palestinese, che a torto o a ragione si temono l’una l’altra, non può durare a lungo. Perché questa paura «giustifica» da una parte una escalation della repressione e dall’altra il ricorso alla violenza da parte dei gruppi radicali.
In ognuno dei due campi i sondaggi lo confermano, la maggioranza dei cittadini aspira alla pace. Ma in ognuno dei due campi, anche, aumentano gli odi e gli estremismi. Ormai le due parti parlano di «guerra fino alla morte» e «annientamento totale».
La non-disfatta delle milizie di Hezbollah in Libano, la scorsa estate, di fronte alle truppe israeliane e la non-vittoria delle forze americane in Iraq, contro gli insorti, hanno ridato speranze a gruppi palestinesi che ricominciano a credere alle chance di una «guerra popolare prolungata». Dopo aver catturato il caporale Gilad Shalit il 25 giugno (che tuttora tengono prigioniero) questi gruppi moltiplicano i tiri di razzi su Sderot e Ashkelon. In sei anni sono state uccise sei persone. Nello stesso periodo la repressione nei territori occupati ha fatto quattromila cinquecento morti.
Ma la minaccia dei razzi attizza il desiderio di rivincita di certi israeliani. Il campo dei «duri» al potere, incoraggiati dalla passività internazionale, sembra avere carta bianca per punire senza limiti le popolazioni palestinesi.
Da cinque mesi a oggi più di quattrocento persone, per metà civili, sono state abbattute dalle forze israeliane, che nessuno sembra più trattenere. I militari non hanno persino esitato a uccidere, il 3 novembre, alcune donne disarmate a Beit Hanoun, la città nella quale, cinque giorni più tardi, venti civili, fra i quali numerosi bambini, sarebbero stati uccisi da granate dell’artiglieria israeliana.
Questo crimine - risultato di un «errore», secondo le autorità israeliane - ha emozionato le opinioni pubbliche di tutto il mondo. E ha portato l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dietro l’iniziativa della Francia, ad adottare, con 156 voti contro 7, una risoluzione che reclama la fine delle operazioni israeliane a Gaza e la cessazione di ogni atto di violenza.
Se ne è ben lontani. Il governo di Ehud Olmert recentemente non ha esitato - malgrado le coraggiose dimissioni del ministro della Cultura, il laburista Ophir Pines-Paz - ad accogliere nel suo seno, col rango di vice primo ministro e ministro delle «Minacce strategiche», Avigdor Lieberman, capo del partito estremista Israel Beitenu («Israele, nostra casa»), i cui adeerenti sono principalmente emigrati venuti dall’ex Unione sovietica, accusati spesso di xenofobia.
L’entrata del sig. Liebermann nelle sue funzioni in un gabinetto disorientato e tentato da un uso disordinato della forza rappresenta un pericolo per l’insieme della regione. In primo luogo per Israele e il suo popolo. Tutto ciò non è stato messo in evidenza dai grandi media europei, solitamente più pronti a denunciare l’arrivo di altri estremisti nel governo dell’Unione.
Più lucidi alcuni giornali israeliani come Haaretz hanno subito lanciato l’allarme: «Scegliere il dirigente più irresponsabile e più sprovvisto di moderazione per occupare la funzione di ministro delle minacce strategiche costituisce, di per sé, una minaccia strategica. L’assenza di moderazione del sig. Lieberman e le sue intempestive dichiarazioni - paragonabili soltanto a quelle del presidente dell’Iran - rischiano di provocare un disastro in tutta la regione (1)».
Quanto al politologo israeliano Zeev Sternhell, storico del fascismo europeo, non si poteva essere più chiari: ai suoi occhi il sig. Liebermann è forse «l’uomo politico più pericoloso della storia d’Israele», perché rappresenta un «cocktail di nazionalismo, d’autoritarismo e di mentalità dittatoriale (2)».
Paradossalmente il contesto aggrava il rischio. La recente disfatta elettorale di Gorge W. Bush e la constatazione del fallimento militare in Iraq potrebbero modificare la politica degli Stati Uniti in questa regione. Già pare che contatti si stiano abbozzando con la Siria (malgrado le accuse che pesano su Damasco dopo il recente assassinio di Pierre Gemayel). E perfino con Teheran, la cui collaborazione può rivelarsi decisiva se Washington vuole che riesca la sua ritirata dal pantano iracheno. Infine sembra avvicinarsi in Palestina la prospettiva di un governo di unione nazionale.
In Israele tutto questo non fa al caso di coloro che - come Lieberman e i suoi amici - continuano a scommettere sullo scontro e sulla supremazia della forza. Da parte loro non potrebbe escludersi un gesto irresponsabile. Essi sentono che nelle cancellerie internazionali a poco a poco s’impone un’evidenza: non ci sarà pace in questa regione senza che i palestinesi escano dal loro labirinto.
(1) Haaretz, Tel-Aviv, 24 ottobre 2006.
(2) The Scotsman, Edimbourg, 23 ottobre 2006.
* LE MONDE DIPLOMATIQUE - décembre 2006 Page 1
http://www.monde-diplomatique.fr/2006/12/RAMONET/14236
Testo originale :
Labyrinthe palestinien
Par Ignacio Ramonet *
Vers l’abîme. On sent confusément que les souffrances subies par les Palestiniens, les solidarités de plus en plus audacieuses qu’un tel tourment entraîne au Proche-Orient, et les violentes réactions de défense d’Israël, risquent de conduire le monde vers l’abîme. Le face-à-face entre deux populations, israélienne et palestinienne, qui, à tort ou à raison, se craignent l’une l’autre, ne peut durer. Car cette peur « justifie », d’un côté, une escalade dans la répression et, de l’autre, le recours à la violence de la part de groupes radicaux.
Dans chaque camp, les enquêtes le confirment, la majorité des citoyens aspirent à la paix. Mais, dans chaque camp aussi, montent les haines et les extrémismes. C’est de « guerre à mort » et d’« anéantissement total » que les deux parties parlent désormais.
La non-défaite des milices du Hezbollah libanais, l’été dernier, face aux troupes israéliennes, et la non-victoire des forces américaines, en Irak, face aux insurgés ont redonné espoir à des groupes palestiniens qui se remettent à croire aux chances d’une « guerre populaire prolongée ». Après avoir capturé le caporal Gilad Shalit le 25 juin (qu’ils détiennent toujours), ces groupes multiplient les tirs de roquettes sur Sderot et Ashkelon. Six personnes en six ans ont été tuées. Dans la même période, la répression dans les territoires occupés a fait quatre mille cinq cents morts.
Mais la menace des roquettes attise le désir de revanche parmi certains Israéliens. Le camp des « durs » au pouvoir, encouragé par la passivité internationale, paraît avoir carte blanche pour châtier sans limites les populations palestiniennes.
Depuis cinq mois, plus de quatre cents personnes, pour moitié des civils, ont été abattues par les forces israéliennes, que rien ne semble plus retenir. Les militaires n’ont pas même hésité à abattre, le 3 novembre, des femmes désarmées à Beit Hanoun. Cette ville où, cinq jours plus tard, vingt civils, dont plusieurs enfants, allaient être tués par des obus israéliens.
Ce crime - résultat d’une « bavure », selon les autorités israéliennes - a ému les opinions publiques à travers le monde. Et a conduit l’Assemblée générale des Nations unies, sous l’impulsion de la France, à adopter (par 156 voix contre 7) une résolution réclamant la fin des opérations israéliennes à Gaza, et la cessation de tous les actes de violence.
On en est loin. Le gouvernement de M. Ehoud Olmert n’a pas hésité récemment - malgré la courageuse démission du ministre de la culture, le travailliste Ophir Pines-Paz - à accueillir en son sein, avec le rang de vice-premier ministre et chargé du portefeuille des « menaces stratégiques », M. Avigdor Lieberman, chef du parti extrémiste Israël Beitenou (« Israël, notre maison »), dont les adhérents sont principalement des émigrés venus de l’ex-Union soviétique, accusés souvent de xénophobie.
L’entrée en fonctions de M. Lieberman dans un cabinet désorienté et tenté par un usage brouillon de la force représente un danger pour l’ensemble de la région. En premier lieu pour Israël et ses populations. Cela n’a pas été assez souligné par les grands médias européens, plus prompts à dénoncer d’ordinaire l’arrivée d’autres extrémistes dans des gouvernements de l’Union. Plus lucides, des journaux israéliens comme Haaretz ont vite lancé une mise en garde : « Choisir le dirigeant le plus irresponsable et le plus dépourvu de retenue pour occuper la fonction de ministre des menaces stratégiques constitue, en soi, une menace stratégique. L’absence de modération de M. Lieberman et ses déclarations intempestives - comparables seulement à celles du président de l’Iran - risquent de provoquer un désastre dans toute la région (1). »
Quant au politologue israélien Zeev Sternhell, historien du fascisme européen, il a été très clair : à ses yeux, M. Lieberman est peut-être « l’homme politique le plus dangereux de l’histoire d’Israël », parce qu’il représente un « cocktail de nationalisme, d’autoritarisme et de mentalité dictatoriale (2)».
Le contexte, paradoxalement, aggrave le risque. La récente défaite électorale de M. George W. Bush et le constat d’échec militaire en Irak pourraient infléchir la politique des Etats-Unis dans cette région. Déjà des contacts paraissent s’esquisser avec la Syrie (malgré les accusations qui pèsent sur Damas après le récent assassinat de Pierre Gemayel). Et même avec Téhéran, dont le concours peut se révéler décisif si Washington veut réussir son retrait du bourbier irakien. En Palestine, enfin, la perspective d’un gouvernement d’union nationale semble se rapprocher.
Tout cela ne fait pas l’affaire, en Israël, de ceux qui - comme M. Lieberman et ses amis - continuent de parier sur l’affrontement et sur la suprématie de la force. De leur part, un geste irresponsable ne saurait être exclu. Ils sentent bien qu’une évidence peu à peu s’impose dans les chancelleries internationales : il n’y aura point de paix dans cette région sans la sortie des Palestiniens de leur labyrinthe.
Ignacio Ramonet.
(1) Haaretz, Tel-Aviv, 24 octobre 2006.
(2) The Scotsman, Edimbourg, 23 octobre 2006.
*LE MONDE DIPLOMATIQUE | décembre 2006 | Page 1
http://www.monde-diplomatique.fr/2006/12/RAMONET/14236
Libano, denuncia dell’Onu: le bombe israeliane hanno devastato l’agricoltura *
Le bombe di Tel Aviv hanno causato, durante la guerra scatenata lo scorso luglio, danni al settore agricolo in Libano per 280 milioni di euro. Lo ha annunciato la Fao, l’agenzia dell’Onu per l’agricoltura e l’alimentazione. In particolare, il conflitto, secondo la Fao, «ha colpito il settore agricolo in modo diretto, per via dei bombardamenti che hanno danneggiato o distrutto le coltivazioni, gli allevamenti e le attrezzature agricole».
Ma molto più grave, secondo il rapporto, è stato l’impatto economico indiretto del conflitto in termini di perdita dei mercati e di posti di lavoro. I più poveri sono stati i più colpiti. I bombardamenti israeliani, infatti, come riferisce l’analisi della Fao, hanno avuto come bersaglio principalmente il sud del Libano e i sobborghi sud di Beirut, aree tra le più povere del paese dove l’agricoltura rappresenta quasi il 70% delle fonti di reddito delle famiglie. Le perdite maggiori sono state attribuite all’impossibilità di accedere ai campi durante il conflitto, che ha coinciso con un momento cruciale per il raccolto di alcune coltivazioni destinate all’esportazione (principalmente frutta e patate).
Secondo il rapporto buona parte della produzione di quest’anno è rimasta a marcire nei campi, poichè i bombardamenti hanno costretto i contadini ad abbandonare la terra, e le vie di comunicazione per il mercato sono diventate impraticabili. Per di più, molti campi agricoli saranno inutilizzabili fino a quando non verranno rimosse le bombe inesplose. Questa è la situazione per il 25% della terra coltivata del sud del Libano. Il totale delle perdite finanziarie dovute ai danni fisici e alla perdita del raccolto di coltivazioni e produzione ortofrutticola nel solo Libano meridionale ammonta a circa 94 milioni di dollari, ma il danno finanziario complessivo alla produzione agricola è ben più alto ed è stimato intorno a 232 milioni di dollari secondo la FAO.
Circa 3.050 bovini da latte, 1.250 tori, 15.000 tra capre e pecore, 18.000 alveari e oltre 600.000 polli sono andati perduti come diretta conseguenza delle ostilità. La Fao quantifica le perdite finanziarie nel settore zootecnico a circa 22 milioni di dollari. Per quanto riguarda il settore della pesca, la distruzione delle infrastrutture nel porto di Ouzaii, e la perdita di 328 imbarcazioni con relative attrezzature, ha causato danni complessivi per circa 3 milioni di dollari. L’avere centrato gli allevamenti di trote di Hermel, nella Valle di Bekaa, ha causato la perdita di circa 300 tonnellate di pesce. La valutazione della Fao porta la perdita complessiva del settore pesca a 9,7 milioni di dollari. Per il settore forestale i danni stimati sono di circa 16 milioni di dollari principalmente a causa degli incendi non domati esplosi nel corso delle ostilità.
«Con la perdita dei proventi della produzione agricola e zootecnica, molti contadini si sono pesantemente indebitati. Era prassi corrente per loro ripagare i debiti nel periodo del raccolto, che va da maggio ad ottobre, quando si assicurano il credito per la stagione produttiva successiva», dice Anne Bauer, Direttrice della Divisione Fao Operazioni d’emergenza e riabilitazione. La Fao ha quindi identificato una serie di iniziative prioritarie, da realizzare entro i prossimi 6-12 mesi. Sono stati assicurati finanziamenti iniziali per l’istituzione di un piccolo ufficio che coordini le attività per la ripresa rapida del settore, ma la Fao cerca ancora ulteriori 17 milioni di dollari per altre iniziative prioritarie. Per quanto riguarda gli aiuti, a fine settembre il ministro italiano dell’agricoltura Paolo De Castro ha avviato un accordo di cooperazione con il suo omologo libanese, Talal Sahali. Sulla base dell’accordo è stata costituita una task-force di esperti incaricata di cooperare per la definizione di programmi di sviluppo e iniziative in campo agricolo in Libano.
* www.unita.it, Pubblicato il: 27.11.06 Modificato il: 27.11.06 alle ore 15.23
L’Onu: nuove mine antiuomo israeliane nel sud del Libano *
Gambe artificiali: la conseguenza delle mine antiuomo. La prova è inoppugnabile, perché quattro persone ci sono saltate sopra. Israele nel corso del conflitto della scorsa estate ha disseminato il sud del Libano di mine antiuomo. La certezza, per le Nazioni Unite, è arrivata dal ferimento di quattro artificieri della compagnia ArmorGroup, impegnata in un progetto di sminamento finanziato dagli Emirati Arabi Uniti. I più gravi sono un artificiere britannico e uno bosniaco che hanno subito l’amputazione dei piedi, mentre un libanese che era con loro ha ferite più lievi.
Tutti, in un primo momento, hanno pensato all’ennesimo incidente dovuto ad una bomba a grappolo, vale a dire quelle bombe che, frammentandosi, lasciano a terra piccoli ordigni inesplosi. Poche ore dopo, tuttavia, gli esperti della società londinese Bactec tornati sul posto per chiarire quanto accaduto, hanno capito che si trattava di un vero e proprio campo minato. E lo hanno capito sulla propria pelle: un altro artificiere è rimasto infatti ferito da un’esplosione.
Nessun dubbio per Dalya Farran del Centro di coordinamento antimine dell’Onu, portavoce «Si tratta di una mina antipersona israeliana piantata durante il conflitto estivo». E questa è la «prima prova raccolta dalle Nazioni Unite che Israele ha usato mine antiuomo durante l’ultima guerra». Mine «ancora nuove e lucide», piantate di recente in un’area che era già stata sminata dopo i precedenti conflitti.
Nel 1997 a Ottawa è stata approvata la Convenzione che vieta la fabbricazione e l’uso delle mine antiuomo. Il trattato è stato ratificato da 151 paesi, ma tra quanti hanno deciso di non aderire figurano Stati Uniti, Cina, Russia e Israele.
* www.unita.it, Pubblicato il: 25.11.06 Modificato il: 25.11.06 alle ore 18.40
Centinaia di migliaia di persone per l’ultimo addio al giovane ministro. In piazza striscioni, bandiere e slogan contro la Siria e contro Hezbollah
Beirut, tensione ai funerali di Gemayel. Il premier Siniora chiede aiuto all’Onu
Scontri fra sciiti e sunniti dopo le esequie, alcuni feriti. E Nasrallah chiede ai suoi di finire l’occupazione dell’aeroporto *
BEIRUT - Dolore e tensione. "Ma noi non abbiamo paura". Questo il clima in Libano dopo l’assassinio del ministro dell’Industria Pierre Gemayel. A Beirut una gran folla ha raccolto l’appello dei partiti della maggioranza parlamentare antisiriana riuniti nella coalizione delle "Forze del 14 marzo", e si è riversata nella piazza dei Martiri, davanti alla cattedrale maronita di Saint George. Almeno mezzo milione di persone ha accolto il feretro di Gemayel, moltissimi gli striscioni dei partiti cristiani della Falange, del Partito socialista progressista druso e del movimento sunnita Mostqabal. Ma anche striscioni su cui si leggeva: "Non più morte", "Vogliamo vivere" (con il ritratto di Gemayel), "La patria prima della politica". Dall’altare Nasrallah Sfeir, patriarca della Chiesa cristiano-maronita libanese, ha officiato il rito. E in un messaggio inviato ai funerali, Benedetto XVI ha nuovamente condannato l’assassinio come un "atto inqualificabile" invocando "la solidarietà di tutti i libanesi".
Scontri fra gruppi rivali, alcuni feriti. Scontri tra gruppi di sunniti e sciiti libanesi hanno provocato alcuni feriti in un quartiere del centro di Beirut non lontano dalla Piazza dei Martiri, subito dopo le esequie di Gemayel. Gli scontri sono scoppiati quando, di ritorno dai funerali, un gruppo di sostenitori del movimento Mostaqbal - guidato da Saad Hariri, figlio ed erede politico dell’ex premier Rafik Hariri, ucciso in un attentato nel 2005 - hanno attraversato il quartiere di Basta, abitato da sciiti, simpatizzanti dei movimenti prosiriani Hezbollah e Amal. I due gruppi si sono affrontati a colpi di bastone e alcune persone sono rimaste ferite, prima che l’esercito intervenisse in forza per ristabilire l’ordine.
Il funerale. Al suono delle campane, la salma di Gemayel è partita stamattina dalla cittadina di Bikfaya, paese d’origine della famiglia, a nord-est di Beirut, scortata da un lungo corteo, mentre da tutte le regioni del Paese affluivano verso Beirut cortei di pullman e auto con le bandiere del Libano e dei vari partiti politici antisiriani. Dopo la cerimonia, il feretro di Gemayel ha fatto ritorno a Bikfaya, luogo della sepoltura.
I presenti. Alla funzione funebre hanno partecipato gli esponenti della maggioranza parlamentare antisiriana tra cui il premier Fuad Siniora, Saad Hariri (sunniti), Walid Jumblatt (druso), Samir Geagea (cristiano). Con loro il presidente del Parlamento, lo sciita Nabih Berri, e il mufti sciita della regione di Tiro, Sayed Ali Amin. Assente l’ex generale Michel Aoun, principale rivale cristiano della maggioranza: "Non ci sarò per evitare che la mia presenza possa causare problemi ed essere sfruttata da provocatori". Presenti, inoltre, il viceministro degli Esteri francese Philippe Douste Blazy, il viceministro degli Esteri italiani, Ugo Intini, il segretario generale della Lega Araba, Amr Mussa.
Antisiriani attaccano Hezbollah. I leader della maggioranza parlamentare antisiriana hanno sferrato un duro attacco contro Hezbollah e il presidente filosiriano Emile Lahud, in un comizio seguìto ai funerali. "Il conto alla rovescia per l’elezione di un nuovo presidente è cominciato - ha detto Amin Gemayel, leader delle Falangi libanesi e padre del ministro assassinato - la seconda rivoluzione per l’indipendenza è cominciata oggi e non si fermerà finché non avremo raggiunto gli obiettivi". Riferendosi a Hezbollah, Jumblatt ha affermato che "non riuscirà a spezzare il nostro rifiuto della dittatura e la nostra richiesta del monopolio della forza da parte dello Stato". E Hariri ha sollecitato il movimento sciita a "ritornare all’opzione politica libanese".
La reazione di Hezbollah. Sayyed Hassan Nasrallah, il leader delle milizie sciite di Hezbollah, ha chiesto alle centinaia di sciiti che hanno bloccato l’aeroporto di Beirut di sospendere la manifestazione. "Più che chiedere vi prego di sgombrate le strade. Non vogliamo nessuno per strada", ha detto Nasrallah nel corso di una telefonata diffusa da Al Manar, la televisione di Hezbollah. In serata centinaia di manifestanti avevano bloccato la strada per lo scalo aereo della capitale libanese per denunciare -a loro dire- gli insulti al loro leader Nasrallah, durante i funerali di Pierre Gemayel.
Onu. Che la tensione sia alle stelle lo si capisce dal fatto che il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha accolto a New York la richiesta del premier libanese Siniora di ricevere aiuto nell’inchiesta sull’assassinio di Gemayel. Il Consiglio ha approvato all’unanimità una lettera che invita la commissione che indaga sull’assassinio dell’ex premier Hariri ad aiutare le autorità libanesi a consegnare alla giustizia gli assassini di Gemayel. L’inchiesta guidata dal belga Serge Brammertz sta già indagando su altri 14 omicidi politici in Libano.
* la Repubblica, 23 novembre 2006
Un articolo di Jamal Zaqout, attivista politico palestinese: «Subito il cessate il fuoco e una conferenza di pace»
Appello agli stati europei: uscite dal silenzio
di Jamal Zaqout*
L’escalation dell’aggressione militare israeliana al popolo palestinese ha raggiunto il suo apice con il massacro di Beit Hanoun che ha visto l’uccisione all’alba, nel sonno, di venti civili innocenti otto dei quali bambini e 5 donne, con più 50 persone ferite che versano in gravi condizioni. Questo massacro è avvenuto dopo l’occupazione della stessa città durata alcuni giorni, durante i quali abbiamo contato altri sessanta morti e centinaia di feriti, la distruzione delle strutture e delle infrastrutture, dei collegamenti dell’acqua e della corrente elettrica, delle fognature e di decine di case; ettari di terra coltivati sono stati completamente rovinati considerando che Beit Hanoun è una delle più importanti realtà agricole palestinesi. I danni stimati ammontano a più di 50 milioni di dollari.
Tutto ciò avviene all’interno di una vasta operazione militare, martellante e continua nella striscia di Gaza, per cui il primo ministro israeliano Holmert vanta l’uccisione di più di 300 palestinesi, centinaia di feriti e decine di arresti oltre alla distruzione, l’isolamento e l’accerchiamento della striscia con l’interruzione di ogni tipo di aiuto: economico, umanitario e finanziario.
Questa politica sanguinaria conferma ancora una volta la volontà di Israele di chiudere qualsiasi prospettiva negoziale, sostanziata dall’uccisione di Rabin in poi, dalla pervicacia nel far fallire la trattativa di Camp David e la sepoltura dell’intero processo di pace. Malgrado le dichiarazioni dei suoi dirigenti circa l’impossibilità di una soluzione militare ed unilaterale del conflitto, Israele cerca di imporre con la forza il fatto compiuto e non ha mai abbandonato le soluzioni militari e violente.
Israele ha sistematicamente cercato di distruggere il partner palestinese per poi negarne l’esistenza e per questo ha isolato il presidente Arafat nella Muqata a Ramallah per oltre tre anni fino alla sua morte e non ha mai dimostrato nessuna disponibilità reale verso il suo successore, il presidente Abu Mazen malgrado i reiterati riconoscimenti per la sua personale onestà. Israele ha scientificamente perseguito l’obbiettivo di spingere la società civile palestinese verso la disillusione, la perdita di fiducia nel processo di pace e nella serietà stessa delle intenzioni israeliane nel volere una soluzione giusta, che mettesse fine all’occupazione e che potesse portare alla realizzazione dei due stati - Palestina e Israele - nei confini del 4 giugno del 1967; Israele ha fomentato e alimentato giorno dopo giorno l’irrigidimento e l’estremismo nella nostra gente.
Questo processo, che ha portato alla vittoria di Hamas come maggioranza parlamentare, viene usato oggi per sostenere l’assenza di un partner palestinese con cui trattare, ignorando così l’Olp e il presidente Abu Mazen eletto e delegato dal popolo su un programma politico chiaro per arrivare ad una soluzione politica. Stati Uniti e Israele hanno fatto fallire gli accordi di Oslo e se ne devono assumere la totale responsabilità. Gli Usa in particolare hanno continuato a “gestire” la crisi senza però cercare seriamente alcuna soluzione realistica e praticabile e, nonostante l’introduzione della cosiddetta Road Map adottata dal Consiglio di sicurezza Onu con la risoluzione 1551, non si sono mai impegnati veramente nella sua realizzazione e per farla rispettare ma hanno accondisceso a tutte le riserve israeliane, ignorando nel contempo il piano arabo di pace proposto dal summit di Beirut del 2002. Hanno lasciato mano libera ad Israele scambiando coscientemente il diritto alla difesa con l’aggressione militare senza mai preoccuparsi del diritto alla tutela e alla protezione per la popolazione palestinese.
Sì, la comunità internazionale ha fallito nel garantire la protezione del popolo palestinese, lasciandolo solo nei giorni dello sconforto, dei lutti, e della perdita della speranza a contare i suoi martiri ogni giorno, a denunciare l’aumento della povertà, della disoccupazione, la distruzione delle infrastrutture e della sua economia. L’Unione Europea come parte del quartetto, garante del processo negoziale, ha fallito a sua volta nel giocare un ruolo decisivo per la pace in Medio Oriente malgrado i suoi vitali e diretti interessi nella regione. Si è limitata a pagare ogni anno la fattura monetaria della politica americana e non si è mossa nei confronti di Israele neppure a seguito della distruzione di infrastrutture come l’aeroporto, il porto, le strade, le istituzioni civili e di sicurezza, scuole, ospedali, finanziate dal contributo europeo.
Malgrado le continue e palesi violazioni dei diritti umani e della 4° Convenzione di Ginevra, i governi dell’Unione Europea continuano a mantenere vivo l’accordo di partnerariato economico israelo/europeo nonostante l’obbligo del rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale fossero le condizioni preliminari da salvaguardare.
Questa politica allineata da parte degli Usa e la debolezza dell’Unione Europea ha incoraggiato Israele nel continuare ad uccidere il futuro della pace e permesso l’imposizione con il fatto compiuto di nuovi confini attraverso al costruzione del muro, l’isolamento e l’ebraicizzazione di Gerusalemme oltre che la cantonizzazione del territorio della Cisgiordania, per impedire la nascita di uno Stato palestinese nei confini del ’67, condizione obbligata per qualsiasi soluzione politica.
Questo silenzio della Comunità internazionale ha avuto successo invece nell’emarginare le forze pacifiste e democratiche israeliane consentendo la deriva militarista e xenofoba della classe dirigente che non ha avuto alcuna difficoltà nell’accogliere un razzista come il sig. Liebermann nel governo.
Per questo continuiamo a ripetere che la soluzione della questione palestinese sia elemento vitale anche per Israele, per sconfiggere il cancro dell’occupazione e della colonizzazione, che fa diminuire le opportunità per una pace giusta basata sul diritto e legalità internazionale e nel rispetto del diritto dei popoli all’autodeterminazione.
Il fallimento della comunità internazionale non deve significare l’abbandono della speranza e della lotta quotidiana in nome della legalità internazionale o arretrare nella convinzione del cambiamento, specialmente se continuiamo a costruire e a rafforzare i rapporti di solidarietà e di condivisione con le società civili degli altri paesi, a cominciare da quelli europei con quali vantiamo una storia lunga di amicizia.
Confidiamo in voi, infatti, in questo momento cruciale, affinché possiate spingere i vostri governi ad avere coraggio nel giocare un ruolo più incisivo ed imparziale nella ricerca di una soluzione pacifica del conflitto. Le forze della pace in Palestina e nel mondo, in Europa, devono costruire una strategia basata sulle lezioni di questo conflitto e sull’esperienza drammatica della politica americana nella regione fatta di aggressioni e propagandata come guerra al terrorismo, per promuovere al contrario il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione dei popoli a cominciare da quello palestinese, per porre fine alle occupazioni e per la realizzazione di uno Stato democratico a fianco di quello israeliano.
L’Unione Europea, alla luce del fallimento americano e in collaborazione con gli altri partner del quartetto, ha il dovere di proporre un processo negoziale concreto convocando tutte le parti del conflitto in una Conferenza di Pace garantita internazionalmente in grado di imporre le tappe temporali che segnino la fine dell’occupazione - compresa quella di Gerusalemme - secondo i dettami delle risoluzioni internazionali e una soluzione giusta per i profughi in base alla risoluzione 194. Nel frattempo è urgente l’affermazione di un cessate il fuoco rispettato e l’attivazione di un sistema di protezione per il popolo palestinese al fine di permettere la “cura” della nostra società, la ricostruzione delle nostre istituzioni e della nostra economia.
Così facendo e solo così si potrà pensare di costruire una pace stabile e un futuro per l’intero Medio Oriente. Sappiamo che un vasto arco di forze ha manifestato ieri a Milano su una piattaforma che contiene tutti gli elementi necessari per invertire la rotta. Ne abbiamo un grande bisogno, abbiamo bisogno di una nuova iniziativa politica che cambi le cose.
*membro del Consiglio legislativo palestinese
Liberazione, 19.11.2006
Gaza, scudi umani fermano raid israeliano
di Umberto De Giovannangeli *
L’Intifada degli «scudi umani» ferma i caccia con la Stella di David. L’aviazione israeliana è sta costretta ieri ad annullare un raid contro l’abitazione di un capo militare dei Comitati di resistenza popolare, in seguito all’afflusso nel sito di centinaia di donne e di uomini che hanno formato uno «scudo umano» intorno alla casa. A fare ricorso agli «scudi umani» è stato Wael Barud, un ufficiale del Crp che Israele incolpa di lanci di razzi, dopo aver ricevuto l’altra notte dall’esercito l’avvertimento di sgomberare la casa, nel campo profughi di Jabaliya, entro trenta minuti perchè questa stava per essere distrutta dall’aviazione. Israele afferma di essere solito avvertire gli abitanti di case, nella quale ritiene si celino depositi di armi, prima di procedere alla loro distruzione. Questo almeno è ciò che è successo nel caso di Barud.
La reazione dei palestinesi questa volta ha però spiazzato Tzahal. Centinaia di vicini sono affluiti rapidamente nella casa, in parte barricandosi all’interno e in parte raccogliendosi sul tetto e attorno all’edificio. La folla gridava slogan contro Israele e gli Stati Uniti e scandiva «sì al martirio e no alla resa». Secondo fonti locali la casa di Barud, è ora costantemente presidiata: di giorno da decine di donne e di notte da miliziani, semplici cittadini e anche esponenti politici come la deputata Jamila Shanti che alcune settimane fa organizzò un raduno di centinaia di donne davanti a una moschea di Beit Hanun (nord di Gaza), assediata dall’esercito israeliano, facilitando così la fuga di decine di miliziani che si erano barricati nel sito. Per evitare un sicuro massacro l’aviazione ha perciò dovuto annullare l’operazione. «Il piano di attacco è stato cancellato per la presenza della gente». afferma un portavoce militare a Tel Aviv. «Noi - spiega - distinguiamo tra persone innocenti e terroristi».
Il portavoce aggiunge comunque che Israele continuerà nella sua politica di attacchi contro miliziani palestinesi e contro le loro abitazioni, e torna ad accusare i guerriglieri di servirsi cinicamente dei civili nel campo profughi come scudi umani. «Continueremo le nostre operazioni contro le infrastrutture terroristiche, continuando a fare distinzioni tra popolazione civile e i terroristi», conferma il portavoce del governo israeliano, Avi Pazner. «È una vittoria del popolo palestinese e una sconfitta per gli F16 israeliani», esulta Barud. «Da oggi - aggiunge - ogni volta che gli israeliani ci intimeranno di uscire di casa, non lo faremo». Il premier palestinese Ismail Haniyeh e numerosi altri dirigenti politici di tutte le fazioni palestinesi sono giunti a Jabaliya nel corso della giornata per congratularsi con gli «scudi umani».
«Davanti alla passività del mondo, i palestinesi hanno deciso di prendere l’iniziativa e di proteggere le loro case con i loro stessi corpi», sottolinea il portavoce del ministero dell’Interno palestinese Khaled Abu Hilal. Dopo la protesta di Jabliya, si sono moltiplicati gli appelli a resistere nello stesso modo ad analoghe minacce di attacchi israeliani. «Chiediamo a tutti i combattenti di respingere lo sgombero delle loro case minacciate e a trasformarsi in scudi umani», dice Abu Abir, portavoce dei Crp. «Questo è l’inizio delle attività popolari per proteggere i combattenti e le loro case», proclama Nizar Rayan, leader di Hamas nella zona settentrionale della Striscia. «Guardate, li stiamo sconfiggendo», aggiunge, indicando gli aerei israeliani che sorvolavano il cielo. Redwan Abu Daya, sostenitore sedicenne di Al-Fatah che vive vicino a Barud, dice di aver preferito ignorare le direttive del partito perché sentiva di dover proteggere dai bombardamenti le abitazioni dei suoi vicini. «Sono venuto qui - afferma deciso lo "scudo" sedicenne - perchè tutti dovrebbero essere qui».
Ma il sangue continua a scorrere a Gaza. Nel pomeriggio in un raid aereo nel quartiere Zaitun di Gaza City è stata colpita un’automobile di due miliziani di Hamas che tuttavia si sono salvati. Nell’attacco viene ucciso un anziano venditore ambulante palestinese e restano ferite nove persone. Paura e sangue. È ciò che segna la cittadina israeliana di Sderot, nel Neghev settentrionale. Il bilancio è di un ferito grave. Poche ore dopo, il ministro della Difesa Amir Peretz ha telefonato al presidente palestinese Abu Mazen per chiedergli di impedire ulteriori attacchi verso il territorio israeliano. Secondo il sindaco Ely Moyal «dei 25mila abitanti, un quarto circa sono partiti» non potendo più reggere ai continui lanci di razzi. «Sderot tuttavia non si piegherà agli attacchi palestinesi», dichiara il sindaco.
* www.unita.it, Pubblicato il: 20.11.06 Modificato il: 20.11.06 alle ore 8.45
L’Onu a Israele: stop a tutti gli attacchi contro i palestinesi *
Israele fermi immediatamente le operazioni militari a Gaza. La risoluzione che lo chiede è stata approvata dall’Assemblea generale dell’Onu con 156 voti a favore e solo sei contrari: gli Usa, la stessa Israele, Australia, Nauru, Palau, Micronesia e le isole Marshall. Il Canada si è astenuto.
Praticamente in mondo intero si è insomma trovato d’accordo su un testo molto duro, che esorta Israele come «potenza occupante, a cessare immediatamente le operazioni militari che mettono in pericolo la popolazione civile palestinese nei territori occupati, compresa Gerusalemme est, ed a ritirare le sue forze dalla striscia di Gaza, assestandosi sulle posizioni occupate prima del 28 giugno». Ai palestinesi, contemporaneamente, si chiede di cessare il lancio di razzi verso il territorio israeliano. La risoluzione chiede inoltre la costituzione di una commissione di inchiesta sull’operato dell’artiglieria israeliana che, l’8 novembre scorso, ha ucciso a Beit Hanun, nel nord della striscia di Gaza, 19 palestinesi, soprattutto donne e bambini.
Il documento, bollato dall’ambasciatore israeliano all’Onu come una «farsa», non ha potere vincolante ma riflette una diffusa opinione politica. L’osservatore Onu per la Palestina, Riyad Mansour, ha affermato che Israele, nei cinque mesi dell’offensiva a Gaza, ha commesso crimini di guerra contro i palestinesi.
* www.unita.it, Pubblicato il: 18.11.06 Modificato il: 18.11.06 alle ore 11.55
Le parole di Grossman e il coraggio della pace
di Moni Ovadia *
Ho aderito alla manifestazione per la pace che si terrà oggi a Milano e vi parteciperò personalmente. Le mie ragioni, nell’ordine, sono queste: fine dell’occupazione e della colonizzazione delle terre palestinesi, compresa Gerusalemme est, concordata nei tempi e nei modi dalle due parti con pari dignità e sotto l’egida delle istituzioni della comunità internazionale, cessazione delle ostilità in ogni forma, garantita dall’interposizione di una forza di pace sotto le bandiere dell’Onu, trattativa con tutte le parti in causa del conflitto medio orientale nel quadro di una conferenza internazionale, creazione dello Stato Palestinese con massicci investimenti culturali, sociali ed economico-finanziari per riattivare il circuito virtuoso dello sviluppo, pace definitiva nel quadro della riconosciuta esistenza e piena sicurezza di ogni paese dell’area.
Ritengo che questo sia l’ordine logico in cui procedere. Non è sensato chiedere alla dirigenza sotto assedio o in prigione, di un popolo ridotto in condizioni disperate, che vive sotto occupazione, colonizzato ed imprigionato, di assumersi responsabilità definitive. Ma se qualcuno sapesse arrivare agli stessi risultati per altre vie riceverebbe ugualmente la mia approvazione e, verosimilmente, quella di quanti in tutto il mondo si battono per vedere la fine dello spargimento di sangue, delle violenze e dell’ingiustizia, in quelle terre martoriate. Fatta questa premessa, è molto importante a mio parere fare chiarezza su alcuni punti chiave. Se qualcuno intende trasformare questa occasione in una dimostrazione contro Israele tout court, mi dissocerò da chiunque lo faccia.
Io manifesto aspramente contro la politica del governo israeliano, non contro lo Stato d’Israele e tanto meno contro il suo popolo. Ripudio sin d’ora qualsiasi forma di violenza, pratica o simbolica, tipo il rogo delle bandiere, che trovo stupida, indegna, controproducente, figlia di una logica narcisistica e non politica. Non mi farò tuttavia intimidire dalle eventuali reprimende o criminalizzazioni di chi strumentalizza i gesti violenti per liquidare un intero movimento e continuerò con tutte le mie forze a sostenere le ragioni della pace. Sarò con i suoi stendardi
come essere umano universale,
come cittadino italiano e
come ebreo.
Come essere umano universale perché la pace è la più grande delle benedizioni che l’umanità possa ricevere, come cittadino italiano in piena sintonia con la nostra mirabile Costituzione ed in questo momento con l’ottima azione diplomatica del nostro governo rappresentato egregiamente dal ministro degli Esteri Massimo D’Alema, di D’Alema condivido anche la sollecitazione rivolta agli ebrei democratici ad unirsi all’appello dello scrittore israeliano David Grossman e trovo le critiche rivoltegli da molti esponenti della comunità ebraica ingenerose e surrettizie, segno di una iper reattività immotivata e un po’ sterile. Come ebreo sfilerò perché l’amore per l’altro e particolarmente per lo straniero è l’humus fondante di tutta l’etica che promana dalla Torah e perché, senza l’afflato universalista e la passione per l’accoglimento dell’alterità nelle forme più alte della giustizia, l’intero ebraismo regredisce ad un pensiero tribale.
La pace è l’imperativo categorico che fa uscire il nostro simile dalle tenebre del non uomo, la pace in Medio Oriente unisce ai valori intrinseci propri di ogni pace un significato simbolico dirompente di cui oggi abbiamo grande bisogno per riprendere il cammino a fianco dei nostri fratelli dell’Islam.
* www.unita.it, Pubblicato il: 18.11.06 Modificato il: 18.11.06 alle ore 10.44
All’Onu gli Stati Uniti hanno bloccato il documento presentato dal Qatar. Il presidente palestinese assicura che il nuovo esecutivo verrà costituito entro novembre
Veto Usa a risoluzione di condanna per Israele Abu Mazen: ’Presto governo di unità nazionale’ *
NEW YORK - Gli Stati Uniti hanno bloccato, ponendo il veto, la risoluzione con la quale il Consiglio di Sicurezza dell’Onu intendeva condannare Israele per la strage di Beit Hanun, a Gaza. Il documento, presentato dal Qatar, unico paese arabo rappresentato nel Consiglio, ha raccolto 10 sì e 4 astensioni. Ma il no degli Usa, uno dei cinque membri permanenti dell’organismo con diritto di veto (gli altri sono Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia), è stato determinante.
La risoluzione, ha detto l’ambasciatore degli Usa all’Onu, John Bolton, motivando il veto, era "prevenuta contro Israele e motivata politicamente". "Questa risoluzione - ha aggiunto - non mostra una descrizione imparziale degli eventi recenti a Gaza, né fa compiere passi avanti alla causa della pace israelo-palestinese, alla quale aspiriamo e per la quale lavoriamo intensamente".
Il testo presentato, oltre a condannare la strage, chiedeva all’Autorità palestinese di prendere misure immediate per porre fine alla violenza, a cominciare dal lancio di razzi su territori di Israele. Tra le richieste c’era anche quella alla comunità internazionale di fare passi per stabilizzare la situazione, riavviare il processo di pace in Medio Oriente e considerare "la possibile istituzione di un meccanismo internazionale" per la protezione dei civili.
Un passo avanti verso la pace tra israeliani e palestinesi potrebbe sicuramente essere l’annuncio, dato oggi dal presidente palestinese Abu Mazen, della formazione di un nuovo governo di unità nazionale palestinese entro la fine di questo mese.
"Ho buone notizie per il nostro popolo - ha detto il presidente palestinese, rivolgendosi a una folla di migliaia di persone che si erano radunate davanti alla Muqata, il suo quartier generale, per commemorare il secondo anniversario della morte di Yasser Arafat - e queste sono che abbiamo compiuto grandi progressi sulla strada per la formazione di un governo di unità nazionale che ponga fine all’assedio e apra gli orizzonti per una soluzione politica che ponga fine all’occupazione israeliana".
Obiettivo dei vertici palestinesi è quello di porre così fine a quello che Abu Mazen ha definito l’"ingiusto boicottaggio internazionale" del governo formato da Hamas, che ha ridotto i palestinesi quasi alla fame.
Anche il premier palestinese Ismail Haniyeh ha ribadito di essere pronto a rinunciare al potere al fine di permettere la revoca delle sanzioni economiche. "Se dovessi scegliere tra la revoca delle sanzioni imposte al nostro popolo e il mio mantenimento al potere io sceglierò la revoca delle sanzioni", ha detto Haniyeh in un discorso radiotelevisivo, aggiungendo tuttavia che "resterà attaccato ai diritti e ai principi palestinesi e al proseguimento della resistenza contro l’occupazione israeliana". (11 novembre 2006)
OGGI IL VOTO DI CONDANNA DELL’ONU SULL’ATTACCO A GAZA
NEW YORK - Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha messo in agenda oggi il voto su una bozza di risoluzione che condanna l’attacco israeliano a Gaza dopo che gli stati arabi hanno accettato di annacquare significativamente il testo. "Non possiamo restare a guardare", ha detto l’ambasciatore del Qatar Nassir Abdulaziz al-Nasser facendo riferimento all’attacco israeliano che ha ucciso 18 civili tra cui sette donne e quattro bambini a Beit Hanun.
Israele si è scusato per quello che il primo ministro Ehud Olmert ha definito "un incidente tecnico" ma che i leader palestinesi hanno chiamato "un massacro". Gli stati arabi avevano chiesto inizialmente al Consiglio di adottare una risoluzione con la richiesta di cessate il fuoco immediato e l’invio di osservatori Onu sul modello dell’Unifil rafforzata nel Libano meridionale. Una nuova bozza circolata ieri ha cancellato il riferimento al cessate il fuoco e alla forza delle Nazioni Unite.
Il nuovo testo chiede invece all’autorità palestinese di prendere misure immediate per por fine alla violenza tra cui il lancio di razzi su territori di Israele. Chiede anche alla comunità internazionale di fare passi per stabilizzare la situazione, riavviare il processo di pace in Medio Oriente e considerare "la possibile istituzione di un meccanismo internazionale" per la protezione dei civili.
Entrambe le versioni chiedono a Israele di por fine alle sue operazioni militari nelle aree palestinesi e di ritirare le truppe da Gaza. Gli Stati Uniti potrebbero porre il veto anche sul testo annacquato.
HANIYEH PRONTO A LASCIARE L’INCARICO Il premier palestinese Ismail Haniyeh (Hamas) è disposto in linea di principio a farsi da parte se ciò servisse a rimuovere l’isolamento internazionale nei confronti della leadership dell’Anp.Haniyeh ha confermato che i suoi recenti incontri con Abu Mazen, dopo un periodo di gelo, sono stati positivi.
L’obiettivo principale del nuovo governo sarà quello di rimuovere l’isolamento internazionale decretato nel marzo scorso al fine di obbligare Hamas a riconoscere il diritto alla esistenza di Israele, a riconoscere gli impegni assunti dall’Anp e a rinunciare al ricorso alla violenza.
Secondo alcuni osservatori, la costituzione del nuovo governo è resa più complessa dalla necessità da parte di Hamas di ricevere (mediante Abu Mazen) garanzie internazionali sulla effettiva rimozione dell’isolamento. Hamas esige inoltre la liberazione dei suoi ministri e dei deputati arrestati da Israele nel luglio scorso, in seguito alla cattura del caporale israeliano Ghilad Shalit. Anche questo dossier, a quanto pare, rientra nei contatti per la formazione del nuovo governo. Inoltre vi sono due altre questioni spinose: il mantenimento della calma a Gaza, dopo i cruenti scorsi fra Hamas e al-Fatah di alcune settimane fa e la definizione della riforma dell’Olp con la inclusione di Hamas nelle sue strutture, così come consigliato nel Documento dei prigionieri.
Dal premier Ehud Olmert, che si accinge lunedì ad incontrare il presidente americano George W. Bush, sono giunti segnali positivi circa la disponibilità ad uno scambio di prigionieri nella ipotesi che fosse possibile per lui riprendere il dialogo con Abu Mazen. Olmert, secondo il giornale, potrebbe anche autorizzare l’ingresso a Gaza della Brigata Bader (una forza militare palestinese dislocata in Giordania) allo scopo di rafforzare Abu Mazen, in funzione di contenimento di Hamas.
* ANSA, 2006-11-10 12:49
Solo l’Europa può salvare Gaza
Il dialogo con Israele ormai è impossibile. L’etnocidio del popolo palestinese non si ferma. La politica americana, nonostante la sconfitta di Bush, resta incerta. Occorre un intervento energico
Oggi più che mai la questione palestinese si presenta come l’epicentro incandescente di un conflitto di dimensioni globali. Fermare l’etnocidio del popolo palestinese non è soltanto la condizione della pace in Medio oriente. E’ ormai la sola via per impedire che un’ondata di follia terroristica - del terrorismo delle grandi potenze, anzitutto -- ci precipiti nell’abisso di una guerra globale.
Fermare gli Stati Uniti in Iraq e la Nato in Afghanistan sarà possibile e avrà senso soltanto dopo che Israele sarà stato in qualche modo costretto a rispettare i diritti elementari dei palestinesi. Le “porte dell’inferno” non si chiuderanno in Medio oriente se le sofferenze del popolo palestinese non avranno trovato un minimo di comprensione, come in questi giorni uno scrittore israeliano, David Grossman, ha avuto il coraggio di affermare con lucidità e grandezza morale di fronte ai rappresentanti del suo governo.
La road map si è rivelata un’impostura del governo Sharon e dell’amministrazione Bush. Le colonie israeliane continuano ad espandersi nel lembo di terra rimasta ai palestinesi dopo quarant’anni di occupazione militare. La muraglia ideata da Sharon incombe sui campi e sui villaggi come le pareti di un carcere, emblema odioso dell’arroganza degli invasori. Le by-pass routes riservate ai coloni israeliani si moltiplicano, le case palestinesi continuano ad essere abbattute con i bulldozer, gli olivi divelti, i pozzi distrutti, i leader politici imprigionati o carbonizzati con razzi “intelligenti”. La violenza omicida e l’ottusità razzista del governo Olmert-Lieberman non trova ostacoli.
La reazione palestinese si era limitata in queste settimane all’uso di razzi artigianali, sostanzialmente innocui. Ma non sarà più così: il terrorismo, incluso quello suicida, purtroppo riprenderà vigore. E non avrà più senso parlare di un futuro Stato palestinese “accanto” a quello israeliano. Quello Stato non ci sarà mai, perché le condizioni geopolitiche, incluso lo spazio territoriale, sono state violentemente cancellate. Occorrerà tentare di elaborare prospettive diverse, coinvolgendo il mondo arabo-islamico e magari dialogando con esponenti illuminati della cultura ebraica come, fra gli altri, Avi Shlaim, Jeff Halper, Ilan Pappe.
Oggi, dopo la devastazione del Libano, dopo la dichiarazione di Olmert che la Cisgiordania non verrà restituita al popolo palestinese, dopo la strage efferata di Beit Hanoun, non c’è più la possibilità di un dialogo diretto fra Israele e le autorità palestinesi. Un energico intervento internazionale è la sola alternativa praticabile, come il presidente Abu Mazen e il leader Haniyeh hanno ritenuto, chiedendo concordemente e ottenendo una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza.
La netta sconfitta dei repubblicani nelle elezioni di mid-term, il rigetto popolare del delirio bellicista del presidente Bush, le dimissioni del falco Rumsfeld fanno sperare nella possibilità di una svolta nella politica estera statunitense e, di rimbalzo, di quella israeliana. Ma non c’è per ora alcuna certezza che un parlamento a maggioranza democratica si schiererà per una politica estera alternativa a quella repubblicana. La storia degli Stati Uniti sembra autorizzare ipotesi contrarie, come in questi anni il sistematico consenso dell’ex presidente Clinton con la linea Bush ha confermato. Sarebbe in ogni caso ingenuo pensare che l’aggressività neo-imperiale di Stati Uniti e di Israele possa essere sconfitta non da contropoteri esterni ma da dinamiche politiche endogene. Bush ha del resto già dichiarato che gli Stati Uniti non lasceranno l’Iraq se non “a lavoro concluso”. E Olmert ha confermato che le operazioni militari nella striscia di Gaza non si fermeranno a causa dell’increscioso incidente di Beit Hanoun.
E’ dunque altamente improbabile che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dominato dal potere di veto dell’ambasciatore degli Stati Uniti, il falco John Bolton, prenda qualche decisione di rilievo. Nel breve periodo sembra dunque profilarsi una sola soluzione possibile, per quanto debole e informale: quella di una pressione politica ed economica a livello internazionale che costringa Israele ad accettare l’internazionalizzazione della questione palestinese e l’intervento di agenzie di controllo e di ispezione lungo le linee di confine che lo separano dalla Cisgiordania e da Gaza e all’interno dei territori occupati. E’ una proposta che dovrebbe partire dall’Europa - un’Europa capace di un gesto di coraggio dopo decenni di sudditanza atlantica - ed essere rivolta anzitutto alle grandi potenze regionali emergenti, a cominciare dalla Cina, dall’India e dal Brasile. Il nostro ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, che in passato ha accennato ad una prospettiva analoga, potrebbe trovare una preziosa occasione per dare prova di coraggio e di lungimiranza schierandosi senza ambiguità con il popolo palestinese.
Danilo Zolo (venerdì 10 novembre)
Con Avigdor entra nel governo qualcosa di peggio del razzismo
Espulsione degli arabi, «modello Cipro», «strategia Cecenia»: ecco il vicepremier israeliano. Le idee che uccisero Rabin al governo coi suoi compagni di partito
di Zvi Schuldiner (il manifesto, 09.11.2006)
Il vice primo ministro israeliano Avigdor Lieberman ha rilasciato dichiarazioni alla stampa inglese che dimostrano che la sua ideologia continua intatta e mentre lui attizza sempre di più il fuoco del razzismo in Israele, le forze armate continuano la loro violenta azione nella striscia di Gaza di cui l’ultima strage di civili palestinesi a Beit Hanoun non è che l’ultimo esempio. Il ministro della difesa Peretz fa la parte del moderato, però l’esercito israeliano va avanti con la sua sanguinosa mattanza nei territori occupati però il ministro Lieberman preferisce essere più preciso e invoca per Gaza i metodi dell’esercito russo in cecenia. E’ solo una questione semantica: l’esercito israeliano già li pratica senza dargli il colore russo.
Quando giovedì scorso i missili qassam dei palestinesi sono caduti molto vicino al nostro college, nel sud di Israele, e abbiamo sentito l’artiglieria israeliana, gli elicotteri, i caccia, e uno dei docenti è arrivato nel mio ufficio chiedendomi retoricamente come è mai possibile che i capi miliari e politici non capiscano che questo non funziona e che è necessario cercare un’altra strada. Nella vicina cittadina di Sderot è ormai comune che non pochi abitanti, quando sentono il rumore degli elicotteri israeliani dicono: «adesso arrivano i razzi qassam».
Però la violenza ha le sue leggi e il governo israeliano continua a rifiutare veri negoziati mentre infuria la repressione che nelle ultime settimane è costata la vita a un soldato israeliano e a più di 55 palestinesi (a cui vanno aggiunti i 19 di Beit Hanoun), senza contare i feriti. Tutti i palestinesi sono «terroristi» ma oggi si è saputo che, anche secondo le fonti ufficiali dell’esercito israeliano, il 25% dei morti non erano terroristi.
Dopo una settimana di operazioni l’esercito ha dichiarato che l’azione a Beit Hanoun è finita, ma i razzi qassam continuano a cadere su Sderot e le azioni militari per quanto ufficialmente non definite tali vanno avanti e mietono altre vittime.
Le condizioni nella striscia di Gaza sono insostenibili e tutto viene giustificato come una sacrosanta crociata contro il governo di Hamas, una crociata che apparentemente da i suoi frutti: in queste ultime ore arrivano echi dell’accordo a cui sarebbero arrivati il presidente Abu Mazen e il primo ministro Haniyeh per mettere in piedi un governo di unità nazionale che sarebbe retto da tecnici in apparenza neutrali.
I guadagni politici di Israele e dell’«occidente democratico» nel rifiutare di accettare la decisione democraticamente espressa nelle elezioni palestinesi viene pagata dalla miseria e dalla fame di milioni di palestinesi che vivono un’occupazione sanguinaria come mai in passato.
Il rumore incessante dei cannoni è stato il sottofondo delle cerimonie per ricordare l’omicidio di Rabin. Il cicaleccio retorico degli attuali leader del partito laburista, il partito di Rabin, non può nascondere un fatto fondamentale e non poco paradossale: il partito forma ormai parte di una cinica coalizione composta da Olmert nella quale ha fatto il suo ingresso Avigdor Lieberman. La realpolitik del laburismo ha portato quel partito a sedersi vicino a uno dei principali esponenti del razzismo fondamentalista che è stato parte dell’ideologia che ha fatto uccidere Rabin.
Gli ottimisti pensavano che, con l’ingresso nella coalizione di governo, Lieberman avrebbe moderato la sua retorica e si sarebbe astenuto da dichiarazioni estremiste. Illusione senza fondamento: nelle sue dichiarazioni alla stampa britannica Lieberman ha invitato a usare il modello di Cipro - dimenticandosi di chi ha iniziato la guerra, del suo prezzo e dei suoi risultati - per arrivare a una separazione totale tra arabi ed ebrei, «unica ricetta per arrivare alla pace».
La demagogia di Lieberman è esplicita e potrebbe risultare attraente per molti, dentro e fuori Israele: propone di passare alla futura entità nazionale palestinese i territori popolati da arabi in Israele - fondamentalmente il cosiddetto «triangolo» in Galilea - in cambio dei territori popolati da israeliani in Cisgiordania.
Lieberman non si occupa esplicitamente di «piccoli» dettagli come le città israeliane con poplazioni miste, popolazioni beduine o arabe o druse che non fanno parte del territorio che è disposto a cedere «generosamente» allo stato palestinese. Né parla di cosa sarebbe necessario dare per garantire la presenza dei coloni israeliani in Cisgiordania. E’ ovvio che l’eventualità di un’espulsione di arabi israeliani è la parte centrale del suo piano razzista, che allo stesso tempe creerebbe una velata forma di occupazione di quei cantoni-bantustan che costituirebbero il futuro «stato palestienese» sotto controllo israeliano.
La cosa più preoccupante non è Lieberman in sé, ma il fatto che il governo israeliano non ritiene necessario dissociarsi pubblicamente ed energicamente dal razzismo di Lieberman. Durante la cerimonia in ricordo di Rabin, lo scrittore David Grosman l’ha detto chiaramente: Olmert e Peretz hanno nominato un piromane a capo dei pompieri. Liberman non è il primo razzista israeliano con radici ideologiche simili a quelle dei carnefici del popolo ebraico. Ma è il primo seduto su un’importante poltrona di governo e che peraltro gode di una grande popolarità in un’Israele stanco che non ha oggi la vitalità democratica necessaria per condannarlo fermamente.
Italia, fai di più: a Gaza servono truppe Onu
di Patrizia Sentinelli *
Trecentocinquanta volte basta. 350 come le vittime delle ultime settimane in Palestina. La strage di Beit Hanun è solo l’apice di una politica militare che Israele sta portando avanti da settimane nei confronti della popolazione civile palestinese. La situazione politica ed umanitaria è arrivata ad un punto di non ritorno. La comunità internazionale non può più aspettare.
L’Italia, che si è impegnata da protagonista per la risoluzione della crisi libanese e per arrivare ad una pace duratura in Medio Oriente, può e deve farlo anche per Gaza che, come ribadito anche dal ministro D’Alema, è il vero cuore del conflitto in tutta l’area. Questo è necessario per garantire la sicurezza di Israele e per l’esistenza stessa dello Stato di Palestina. In questi mesi il governo è intervenuto con fondi della cooperazione per aiuti umanitari per beni di prima necessità e medicinali. Ma questo non basta. Deve tornare protagonista la politica con l’obiettivo, per cui da anni si batte il movimento pacifista, di due popoli e due stati. Se invece continuasse a prevalere la politica di guerra permanente e di aggressione, qualsiasi intervento di tipo umanitario sarebbe vano. La reazione di Hamas ma anche di Fatah è stata affidata a parole che, se da un lato hanno un carico di violenza inaccettabile - e auspichiamo possano essere cancellate dal vocabolario dell’umanità - dall’altro si accordano alla perfezione con gli strumenti di morte fatti risuonare dal governo israeliano. Questo è il risultato della triste spirale guerra-terrorismo.
Il governo, con la Conferenza di Roma e l’approdo in sede Onu della missione in Libano, ha dimostrato coraggio e voglia di tornare al multilateralismo, dichiarando a più riprese come la forza di interposizione non belligerante in Libano potesse rappresentare una soluzione anche per Gaza. Bene, la situazione non ci permette di aspettare oltre. Il rischio che la missione in Libano fallisca non per quello che la forza di interposizione sta facendo a Beirut ma per quello che la comunità internazionale non riesce a fare in Cisgiordania, è alto.
«Scioccante». Così il Commissario europeo alle relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner ha definito l’uccisione di 19 palestinesi, tra cui donne e bambini, da parte delle forze armate israeliane a Beit Hanun. Ebbene, la notizia che giovani militanti palestinesi hanno sparato colpi d’arma da fuoco e scagliato sassi contro l’ufficio dell’Unione europea a Gaza ci indica come le parole segnino ormai il passo.
C’è dunque bisogno di una decisa iniziativa politica per puntare con forza a tre obiettivi quanto mai urgenti: la convocazione del consiglio di sicurezza con la condanna formale dell’aggressione israeliana e la richiesta di fine degli attacchi; l’invio di truppe di interposizione Onu a Gaza; la convocazione di una conferenza di pace per il Medio Oriente. Queste parole d’ordine avranno maggiore forza grazie alla nuova mobilitazione del movimento per la pace programmata per il 18 novembre a Milano.
Dobbiamo riuscirci. Per la Palestina, per Israele, per tutto il Medio Oriente, per percorrere l’unica strada possibile per uscire dalla guerra permanente. 9 novembre 2006
Migliaia di persone per l’ultimo addio ai 18 morti dell’attacco israeliano L’Autorità palestinese chiede il coprifuoco e osservatori internazionali Folla ai funerali delle vittime di Beit Hanun Olmert: "E’ stato un errore tecnico"
GAZA - In attesa della riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che si tiene oggi a New York, si sono svolti questa mattina a Gaza City i funerali dei diciotto palestinesi uccisi ieri dal fuoco di artiglieria israeliano a Beit Hanun, nel nord della striscia di Gaza. E un commento ufficiale è arrivato dal premier israeliano. "Si è trattato di un errore tecnico dell’artiglieria", ha detto Ehud Olmert. "Colpire i palestinesi - ha aggiunto - non è nostra politica".
Decine di migliaia le persone che si sono raccolte questa mattina intorno alle bare. Centinaia le bandiere islamiche e palestinesi, molti gli spari in aria e le urla di vendetta contro Israele. Le diciotto salme (tra cui otto bambini e cinque donne) erano avvolte nella bandiera gialla di Fatah, la fazione che fa capo al presidente palestinese Abu Mazen. Dopo una preghiera alla moschea locale, i feretri sono stati calati nella terra tra le urla di dolore e gli spari in aria. Chiuse le fosse tutte allineate su un unica fila, sopra la terra sono state poste una lastra di cemento e la bandiera palestinese.
Nel frattempo l’escalation di violenza non si ferma. A Gerusalemme est la polizia è intervenuta per disperdere con la forza gruppi di centinaia di giovani manifestanti palestinesi che intendevano sfilare per i quartieri arabi della città gridando slogan contro Israele. Tre razzi Qassam sparati dalla striscia di Gaza sono caduti in alcune località nel Neghev occidentale causando danni a una casa e a due automobili. In Cisgiordania l’esercito ha detto di aver arrestato la scorsa notte una decina di ricercati palestinesi. E anche in Israele la tensione resta altissima: la polizia ha detto di aver ricevuto un’ottantina di segnalazioni concrete sull’ intenzione di gruppi palestinesi di compiere attentati suicidi all’ interno del paese.
Sul fronte diplomatico, intanto, va registrato il "profondo rammarico" del presidente degli Stati Uniti George W. Bush e la convocazione del consiglio di sicurezza. Con l’Autorità palestinese che chiede una risoluzione che imponga il coprifuoco nell’area e l’invio di osservatori dell’Onu per verificare il rispetto della tregua, seguendo il modulo già adottato in Libano.
Infine i ministri degli Esteri dei paesi arabi si riuniranno domenica al Cairo. "L’incontro esaminerà la situazione attuale nei territori palestinesi dopo l’escalation di aggressione israeliana contro il popolo palestinese" dice il delegato palestinese alla Lega araba, Hussein Abdel Khaleq.
(9 novembre 2006) la Repubblica
PAPA: ’BASTA SANGUE A GAZA, RIPRENDA IL NEGOZIATO’
CITTA’ DEL VATICANO - Al quinto giorno di violenze a Gaza, con un bilancio di morti che si avvicina a cinquanta, il Papa lancia un appello per la ’’ripresa immediata’’ del negoziato in Medio oriente. Sono partecipi e allarmate le parole che Benedetto XVI pronuncia dopo la preghiera domenicale dell’Angelus, dalla finestra del suo studio su piazza San Pietro.
’’Seguo con viva preoccupazione - dice - le notizie sul grave deteriorarsi della situazione relativa alla Striscia di Gaza e desidero esprimere la mia vicinanza alle popolazioni civili che soffrono le conseguenze degli atti di violenza’’. ’’Vi chiedo di unirvi alla mia preghiera - aggiunge - perche’ Dio onnipotente e misericordioso illumini le Autorita’ israeliane e palestinesi, come pure quelle delle Nazioni che hanno una particolare responsabilita’ nella Regione, affinche’ si adoperino per far cessare lo spargimento di sangue, moltiplicare le iniziative di soccorso umanitario e favorire la ripresa immediata di un negoziato diretto, serio e concreto’’.
Da mercoledi’ Israele ha lanciato nella Striscia l’operazione ’’Nuvole d’autunno’’, per contrastare il lancio di razzi palestinesi Qassam contro il proprio territorio. I morti, giunti finora a 47, tra cui un bimbo di 4 anni e 4 minorenni, sono tutti palestinesi, con l’eccezione di un soldato israeliano. Intanto il premier israeliano Ehud Olmert ha precisato che Israele non ha intenzione di conquistare la Striscia, dalla quale si e’ ritirato l’anno scorso, ma che ha le operazioni militari andranno avanti fino a quando non saranno cessati i lanci di razzi palestinesi.
L’intervento papale, che giunge prima della precisazione di Olmert, insiste sui punti cari a Benedetto XVI e indicati a piu’ riprese: la sofferenza delle popolazioni civili che subiscono la violenza, la responsabilita’ delle autorita’ dei due popoli ma anche di quei Paesi che giocano un ruolo nell’area mediorientale, la necessita’ di riavviare subito un negoziato e favorire il soccorso umanitario.
Il pensiero del Papa e’ stato rilanciato nel pomeriggio a Pienza dal segretario di Stato Tarcisio Bertone. ’’Le trattative per la pace toccano a tutte le forze in campo, - ha sottolineato - alla Comunita’ Internazionale che dimostra, a parole, di avere tanto a cuore la pace e la riconciliazione del Medio Oriente e, soprattutto, di quel lembo di terra che e’ la terra di Gesu’, ma che poi forse non pone quelle iniziative cosi’ efficaci e cosi’ coraggiose che sarebbero necessarie e urgenti’’. Il porporato ha ricordato che le operazioni militari colpiscono civili sia palestinesi che israeliani ’’in questo interscambio di gesti di atti di guerra e di offese che non costruiscono nulla e non risolvono nulla’’.
Bertone ha rimarcato anche il ruolo dell’Europa sullo scacchiere mediorientale, dove dovrebbe intervenire ’’come soggetto presente e attivo’’, ’’anche in questo momento cruciale, con sensibilita’’’ per costruire la pace. Solo due giorni fa l’osservatore della Santa Sede all’Onu Celestino Migliore, intervenendo alla commissione politica dell’assemblea generale, aveva esortato la comunita’ internazionale, e in particolare Onu, Stati Uniti, Europa e Russia, a usare i loro buoni uffici per realizzare la ’’soluzione dei due Stati’’, cioe’ la pacifica coesistenza tra Israele e Palestina, adoperandosi per un negoziato ’’senza l’imposizione di pre-condizioni da entrambe le parti’’.
ANSA 2006-11-05 12:14
Quattro palestinesi uccisi e un soldato ferito nella giornata di operazioni. L’offensiva militare lanciata mercoledì da Tel Aviv ha già provocato 42 vittime
Israele non molla la presa su Gaza, altri quattro morti in raid e scontri *
GAZA - E’ di quattro palestinesi uccisi e un soldato israeliano gravemente ferito il bilancio provvisorio di una nuova giornata di operazioni militari nella Striscia di Gaza. La prima vittima è stata un alto esponente delle Brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas, colpito in un raid aereo israeliano che ha centrato con un missile la sua vettura nella parte settentrionale di Gaza. Secondo fonti di Tel Aviv, l’uomo si chiamava Loai al Bourno, aveva 32 anni ed era ritenuto un esperto nella costruzione di razzi di fattura artigianale. Nell’attacco altri miliziani palestinesi sono rimasti feriti.
I colpi dell’esercito israeliano hanno fatto poi altre due vittime nel villaggio di Beit Hanun, nella zona settentrionale della striscia di Gaza. Un uomo di 46 anni è stato ucciso da un proiettile sparato da un carro armato che ha centrato la sua casa e un miliziano di 18 anni è stato freddato dalle forze speciali israeliane. Gravi scontri sono avvenuti anche nella vicina Jabaliya, dove cinque membri delle Brigate Ezzedin al Qassam sono stati feriti da colpi d’artiglieria e uno di loro, di 30 anni, è morto successivamente in ospedale.
Le azioni militari israeliane rientrano nella cosiddetta operazione "Nuvole d’autunno" lanciata mercoledì scorso dal governo di Gerusalemme per fermare il lancio di razzi contro il suo territorio. Dall’inizio dell’offensiva le vittime palestinesi sono state 42, alle quali vanno aggiunti circa 150 feriti. Ma il drammatico bilancio è destinato a salire ancora. Il ministro della difesa israeliano Amir Peretz ha dato infatti ordine oggi alle forze armate di portare avanti l’offensiva "nel formato attuale" e si è congratulato con il capo di stato maggiore Dan Halutz per "il successo dell’operazione". (4 novembre 2006)
* www.repubblica.it, 04.11.2006
Gli israeliani sparano sulle donne: 10 morti a Gaza *
Militari israeliani hanno sparato contro un gruppo di donne che stavano protestando di fronte alla moschea di Beit Hanoun, la cittadina nel nord di Gaza dove da tre giorni è in corso un’operazione militare, uccidendone due e ferendone altre sette. I militari israeliani hanno aperto il fuoco contro le donne per farle allontanare dalla moschea dove sono asserragliati militanti palestinesi, alcuni dei quali sono riusciti a fuggire dopo la sparatoria. Ma una portavoce dell’esercito israeliano ha negato che i militari abbiano aperto il fuoco sulle donne. «So invece che nella zona circolavano due militanti armati... contro sui è stato aperto il fuoco e sono stati identificati». Peccato che le foto giunte ai media di tutto il mondo documentino il contrario.
Precedentemente gli israeliani avevano circondato la moschea con i tank e messo in azione i buldozer che hanno distrutto un muro dell’edificio, provocando il parziale crollo del tetto. Nella moschea sarebbero rifugiati tra i 15 e 20 militanti palestinesi. È di 21 palestinesi uccisi il bilancio dell’operazione lanciata dagli israeliani mercoledì per contrastare il lancio dei missili Qassam.
Quattro militanti delle Brigate Ezzedine Al-Qassam, il braccio armato di Hamas, intanto, sono stati uccisi in un raid aereo israeliano a Shujaiya, nella zona orientale della Striscia di Gaza. I quattro, tra cui Omar Mushtaham, capo di una cellula locale, si erano appena fermati vicino a una moschea per andare a pregare, quando la loro automobile è stata centrata da un missile. Altre cinque persone sono rimaste ferite. Nella cittadina di Beit Hanun, nel nord della Striscia, da giorni teatro di incursioni israeliane e dove ieri sono stati uccisi sette militanti palestinesi vi sono state questa mattina tre vittime.
La terza vittima a Beit Hanun è Suhein Aduane, un militante di 21 anni. Faceva parte della squadra di guardie del corpo del ministro per i Profughi, Atef Aduane. Sempre questa mattina quattro persone sono rimaste ferite in un raid aereo israeliano su Jabaliya, roccaforte dei militanti di Jihad islamica.
E in Cisgiordania un palestinese di 16 anni è stato ucciso dal fuoco israeliano nel campo profughi di Balata, nei pressi di Nablus. La vittima si chiamava Ibrahim Samakra. Nella stessa circostanza è rimasto gravemente ferito il fratello, Ahmad, un capo locale delle Brigate martiri di Al-Aqsa, una fazione che fa riferimento a Fatah, il partito del presidente Abu Mazen. Una portavoce dell’esercito israeliano ha confermato la circostanza: «I soldati hanno aperto il fuoco su due palestinesi che stavano preparando un’autobomba». Gli artificieri si sono occupati di distruggere l’autobomba con un’esplosione controllata, ha aggiunto la portavoce.
Nella città di Hebron la scorsa notte sono stati invece feriti cinque poliziotti palestinesi in un attacco a un commissariato di familiari di una vittima involontaria del fuoco della polizia. Gli aggressori, appartenenti al clan Jabari, hanno dato fuoco al commissariato e preso in ostaggio sedici agenti.
In tutto sono 20 i palestinesi, per la maggior parte militanti, uccisi da mercoledì nella città di Beit Hanoun e nei suoi dintorni. Si tratta della più imponente operazione militare israeliana nel territorio da diversi mesi. Con l’intervento di elicotteri da guerra, carri armati e truppe, l’operazione mira a far cessare i lanci di razzi verso Israele. Nella città, sono cinque i combattenti palestinesi uccisi e decine d’altri feriti stanotte da raid aerei e da scontri a terra. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito siti di lancio di razzi e di aver bersagliato un gruppo di combattenti che piazzavano esplosivi sul percorso seguito da veicoli militari israeliani. Ieri, due militanti, un civile anziano e un poliziotto sono stati uccisi nei combattimenti. Mercoledì, dieci palestinesi sono stati uccisi a Beit Hanoun, la maggior parte dei quali erano militanti che combattevano contro le forze israeliane. Oggi è morto un bambino di quattro anni ferito nella sparatoria di mercoledì.
* www.unita.it, Pubblicato il: 03.11.06 Modificato il: 03.11.06 alle ore 13.47
REPORTAGE / Secondo l’Onu sono oltre un milione gli ordigni inesplosi. La bonifica dovrebbe finire entro il 2007. Ma intanto è impossibile coltivare i campi
Libano, con gli sminatori di cluster bomb "Ne abbiamo già trovate 45 mila"
La guerra è finita, ma la strage continuerà ancora a lungo
di GIANLUCA URSINI (www.repubblica.it, 02.11.2006)
TIRO (LIBANO) - L’eredità lasciata dalla guerra di quest’estate non osserva vacanze. Anche ieri un libanese è morto, e un altro gravemente ferito, per aver raccolto da terra una bomba a grappolo, o cluster bomb, lasciata dalle incursioni israeliane interrotte dalla tregua del 14 agosto.
Secondo calcoli Onu, dovrebbero esssere un milione 100mila gli ordigni inesplosi dall’ultima guerra, più 300mila dalle guerre precedenti. In Kosovo gli sminatori delle Nazioni Unite impiegarono 2 anni per bonificare 20mila bombe in un’area piu vasta.
Hafez Khalil Hassan era un bidello della scuola ’Abbas Mussauì di Baalbek, nord della valle della Bekaa; aveva trovato un oggetto sospetto per terra e voleva mostrarlo al suo preside, quando l’oggetto è esploso, uccidendolo sul colpo e mandando il direttore Fashed Yaghi in terapia intensiva.
Dalla fine dei 34 giorni di guerra sono già 160 i colpiti da queste mine particolarmente insidiose, come informa lo UnMacc, agenzia Onu incaricata dello sminamento. La metà minorenni, un terzo sotto i 12 anni. Ventuno i morti, come il cugino di Ali Jawad, 15 anni, una gamba ferita dalle schegge della cluster esplosa tra lui e il 18enne Hamal. Ad Ali è andata bene, era dietro Hamal che reggeva il bastone con cui stavano smuovendo un oggetto interrato, poco fuori il loro villaggio di Hallowsiye nel Sud. Ali è rimasto ricoverato una settimana all’ospedale Jabal Amel di Tiro.
Se gli chiedete cosa vede nel futuro dei libanesi del Sud, vi guarderà con un barlume di disprezzo negli occhi e replicherà duro "Tu cosa pensi ci aspettiamo in queste condizioni?" A questo punto sarebbe meglio non chiedere cosa pensi degli israeliani, ma la risposta viene inaspettatamente pacata: "L’unica cosa che vorrei dire loro è di non usare ordigni tra i civili. I bambini non combattono le guerre".
Le cluster bomb, o ordigni a grappolo, lanciati da Israele nel corso dell’offensiva estiva, si disperdono sul terreno dall’ogiva con cui vengono sganciate e possono uccidere anche ad anni di distanza. Esplodono per una semplice scossa. ’’I nostri esperti in Kosovo ci hanno riferito di aver impiegato 2 anni per disattivarne 20mila. Noi pensiamo di farcela per fine 2007; intanto limoni, arance e olive marciscono sugli alberi perché i contadini non si possono avvicinare - spiega Dalya Farran dell’UnMacc - ma siamo ottimisti. Abbiamo molti più sminatori rispetto a Kosovo 2000’.
Al momento non si ha ancora una mappa dettagliata dei luoghi in cui Israele ha sganciato questi ordigni. Israele ha promesso più volte mappe aggiornate, ma dalla UnMacc sostengono di aver ricevuto solo quelle relative ai campi minati nel 2000.
La United Nation Mines Action Coordination agency coordina 5 società specializzate (Mag, Bactec, Srca, Npa, Ag). L’inglese Mag è attiva da oltre 15 anni e adotta un metodo semplice: fare istruire gli sminatori da altri professionisti che hanno già ripulito il proprio Paese. In Kosovo arrivarono i cambogiani; i kosovari hanno addestrato i curdi iracheni e 19 Curdi sono venuti quest’estate in Libano.
Salam, team manager che coordina due gruppi da 15 persone, spiega come si bonificano i terreni assegnati. "Si procede in linea, due alla volta, assai lentamente. Schiena curva, si guarda palmo a palmo scostando cespugli e foglie sul terreno. In 9 giorni abbiamo completato dieci riquadri da 800 metri quadri l’uno sulla mappa, scoprendo 222 M77 di produzione israeliana, le più insidiose.
"In due mesi abbiamo tra tutti i team rimosso 45mila mine, da record. Ne rimangono circa un milione 100mila, sganciate con 790 raid aerei e da 1800 missili, calcolando 650 cluster per missile e 644 in ogni aereo. Finora abbiamo contato 780 siti colpiti ma continuiamo a scoprirne di nuovi’’.
Chalak, sminatore caposquadra istruito dagli iracheni, mostra come si fa esplodere un ordigno, in una buca circondata da sacchi di sabbia. Le cluster sembrano scatole delle conserve alimentari. L’agrumeto in cui ci troviamo ha un odore forte di arance marce, che nessuno può raccogliere: un pasto per i vermi. Il terreno è pieno di paletti giallorossi che indicano dove le cluster sono state neutralizzate. Molta prudenza con i paletti rossi, che indicano a un metro un ordigno inesploso.
Un agricoltore guida un furgoncino carico di casse di limoni. ’’Almeno il limoneto è stato bonificato. Le arance invece sono destinate a marcire sui rami..". "Per giorni interi lo sminamento sarà bloccato dalle prime piogge - spiega Chalak - e in più molte bombe stanno finendo sotto il fango".
Il Ministero dell’Interno libanese ha comunicato lunedì che alcuni agricoltori in zone lungo il confine come Abbassiye, Marjayun o Bent Jbeil, entrano a proprio rischio negli uliveti per non perdere l’annata, prima dell’arrivo dei Suv con gli adesivi colorati di BacTec, o Srsa, o Mag. Anche se il lavoro degli sminatori dovesse essere completato per il 2007, per alcuni sarebbe troppo tardi per sopravvivere. (2 novembre 2006)
Lieberman: «Operiamo a Gaza come Mosca in Cecenia»
Il Ministro israeliano per gli Affari Strategici presenta il nuovo piano
(www.lastampa.it, 1/11/2006)
GERUSALEMME. Al suo debutto alla riunione di gabinetto nel ruolo di ministro per gli Affari Strategici, Avigdor Lieberman ha smentito la sua fama di falco: commentando la vasta operazione delle forze armate israeliane (IDF) in corso a Gaza, il leader ultra-nazionalista del partito «Israel Beitein» ha suggerito di agire nella Striscia «come la Russia opera in Cecenia». Un modello discutibile dal momento che la presenza russa nella piccola repubblica caucasica è uno dei tallone d’Achille di Mosca, costantemente sotto accusa per le ripetute violazioni dei diritti umani compiute dai suoi soldati e dai gruppi para-militari locali.
A ciò, si aggiunge l’alto costo - morale e materiale - di una guerra che dal 1994 ha fatto, finora, 300 mila vittime civili, 200 mila «desaparecidos», senza contare i profughi e i circa 25 mila soldati russi morti. Come riferisce il quotidiano «Yedioth Ahronoth», nella riunione di gabinetto - appena terminata - ha tenuto banco la situazione nella Striscia di Gaza, dove questa mattina sono penetrati reparti di fanteria israeliana, seguiti da carri armati ed aviazione, nell’ambito di una vasta operazione tesa a smantellare le basi di lancio dei Qassam che da giorni colpiscono il territorio israeliano.
I ministri hanno inoltre discusso del vasto contrabbando di armi attraverso il corridoio di Philadelphi, una striscia di terra permeabile alle ’infiltrazionì fra Gaza ed Egitto. Secondo infatti un rapporto dell’intelligence israeliana, dal ritiro nell’agosto del 2005, tonnellate di armi sono entrate a Gaza per finire poi nelle mani di Hamas, compresi razzi anti-carro e versioni sempre più sofisticate di Katyusha. A questo proposito si sarebbe discusso della possibilità che l’Egitto collabori nella chiusura del corridoio Philadelphi per cercare di bloccare il passaggio di armi e uomini.
Dopo i sorvoli di ieri, stigmatizzati da Beirut, dall’Onu e dalla Ue. il vice ministro della Difesa Sneh ribadisce che continueranno Israele ignora le proteste internazionali "I nostri voli di ricognizione proseguiranno"
Progressi invece nei negoziati per lo scambio dei prigionieri . Nasrallah: "Le trattative proseguono, e hanno preso la direzione giusta" *
GERUSALEMME - I voli di ricognizione dell’aviazione israeliana sul Libano continueranno nonostante le proteste di Beirut, dell’Onu e dell’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione Europea Javier Solana. Lo ha ribadito alla radio pubblica il vice ministro della Difesa dello Stato ebraico, Ephraim Sneh.
I sorvoli di ieri sono subito stati stigmatizzati dal Libano e dalle organizzazioni internazionali, oltre che dalla Francia, che ha attualmente il comando dei caschi blu dell’Unifil, ma al momento le proteste non hanno ottenuto alcun risultato. "Possono pure protestare quanto vogliono, ma i nostri voli di ricognizione proseguiranno", ha tagliato corto Sneh.
Ieri la Forza Interinale dell’Onu ha contato almeno otto incursioni aeree sul Libano meridionale, con attacchi simulati a bassa quota: i velivoli si sono inoltre spinti fino alla capitale, convergendo in particolare sui suoi sobborghi meridionali, roccaforte di Hezbollah; e hanno infranto il muro del suono sopra al porto di Tiro.
Secondo il Palazzo di Vetro, si tratta di violazioni dello spazio aereo libanese in netto contrasto con quanto dispone la risoluzione numero 1701 del Consiglio di Sicurezza, che il 14 agosto sancì la cessazione delle ostilità tra le truppe israeliane e le milizie Hezbollah.
Su un altro fronte arrivano invece segnali positivi: il leader del Partito di Dio, lo sceicco Hassan Nasrallah, ha dichiarato in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva del suo movimento, ’al-Manar’, che i negoziati mediati dalle Nazioni Unite per uno scambio di prigionieri tra Israele ed Hezbollah hanno fatto sostanziali progressi.
"Le trattative proseguono, e hanno intrapreso la direzione giusta", ha osservato Nasrallah. "E’ in corso uno scambio di idee, e ciascuno sta ponendo le sue condizioni". Il capo di Hezbollah ha avvertito nondimeno che, "se lo scambio avrà davvero luogo, esso non escluderà alcun libanese incarcerato in Israele".
Proprio questo era l’obiettivo della cattura di due soldati dello Stato ebraico, lo scorso 12 luglio alla frontiera tra i due Paesi, da parte dei miliziani filo-iraniani, che nella stessa occasione uccisero anche otto commilitoni degli ostaggi in territorio israeliano; l’episodio scatenò la controffensiva che a sua volta portò a 34 giorni ininterrotti di ostilità in Libano, conclusesi solo il 14 agosto. (1 novembre 2006)
* www.repubblica.it, 01.11.2006
Offensiva nel nord della Striscia. Al Jazeera: morto un soldato di Tel Aviv. La fanteria, appoggiata da elicotteri e motovedette, è penetrata di alcuni chilometri
Gaza, Tsahal attacca all’alba morti 8 palestinesi e un israeliano
L’operazione potrebbe allargarsi. I palestinesi: reparti militari anche a sud. Nella mattinata si riunisce il Consiglio di difesa del governo Olmert *
GAZA - Almeno cinque, ma varie fonti parlano di otto, palestinesi morti e 31 feriti. Un militare israeliano ucciso. E’ il bilancio, ancora provvisorio, di una serie di raid aerei e scontri a fuoco che sono scoppiati all’alba nel nord della Striscia di Gaza. L’offensiva ha avuto come obiettivo la cittadina di Beit Hanoun, situata nel settore settentrionale dell’enclave. La fanteria di Tsahal, l’esercito israeliano, appoggiata da mezzi blindati, è entrata in azione nella notte, in quella che Israele definisce una operazione circoscritta che ha per obiettivo la rimozione della minaccia dei razzi palestinesi.
All’alba la Brigata Ghivati, appoggiata da reparti blindati e da elicotteri, è penetrata di alcuni chilometri nella striscia di Gaza ed è entrata a Beit Hanun da diverse direzioni. Fonti locali aggiungono che anche motovedette israeliane hanno aperto il fuoco. Non è ufficialmente noto, per ora, se Israele abbia avuto perdite: secondo l’agenzia di stampa palestinese Maan e la tv satellitare araba Al Jazeera un soldato israeliano è rimasto ucciso negli scontri a fuoco, che proseguono con intensità. Un portavoce militare a Tel Aviv ha precisato che dall’inizio dell’anno miliziani palestinesi appostati nella Striscia hanno sparato verso il Neghev israeliano oltre 300 razzi di vario genere. Israele si prefigge dunque di smantellare le infrastrutture militari palestinesi a Beit Hanun.
Ma l’operazione potrebbe anche essere allargata. Fonti palestinesi riferiscono dal sud della striscia di Gaza della presenza di reparti militari israeliani nell’ex aeroporto di Dahanyeh. Nella mattinata a Gerusalemme si riunisce il Consiglio di difesa del governo di Ehud Olmert. La stampa scrive che i comandanti militari esigono un’offensiva molto più vasta. Il ministro della Difesa Amir Peretz, da parte sua, ha detto che Israele non intende affatto rioccupare la striscia di Gaza e si limiterà a compiere operazioni circoscritte.
I giornali riportano tra l’altro le valutazioni del comandante della regione militare meridionale, generale Yoav Galant, il quale ieri ha detto in Parlamento che Hamas sta organizzando una divisione "in stile Hezbollah". Si tratta di una minaccia grave per il Sud di Israele, ha aggiunto il generale secondo il quale essa presto o tardi tale minaccia dovrà essere rimossa. (1 novembre 2006)
* www.repubblica.it, 01.11.2006
Israele ammette: in Libano armi al fosforo
di Umberto De Giovannangeli *
Israele ha ammesso per la prima volta di avere usato bombe al fosforo nei 34 giorni di guerra in Libano. A rivelarlo è il ministro Yaakov Edri (Kadima, rapporti con il parlamento) in risposta alla interpellanza della capogruppo del Meretz (la sinistra pacifista) Zahava Galon.
«Le Forze di Difesa hanno utilizzato munizioni al fosforo in diverse forme in diverse fasi», afferma Edri. «Le Forze di Difesa - aggiunge il ministro - hanno fatto uso delle bombe al fosforo durante la guerra contro Hezbollah in attacchi sferrati contro obiettivi militari in campo aperto». Edri ha sottolineato che la legge internazionale non vieta l’uso delle armi al fosforo e che le «Forze di Difesa hanno usato questo tipo di munizioni in conformità delle disposizioni del diritto internazionale». Il ministro non ha specificato dove e contro quali tipi di obiettivi sono state utilizzate le bombe al fosforo. Il terzo protocollo della Convenzione di Ginevra sulle armi convenzionali che prevede restrizioni nell’uso di speciali tipi di armi non è stato siglato da Israele e Stati Uniti.
Durante la «guerra dei 34 giorni» diversi media internazionali, tra cui l’Unità, avevano resocontato di civili libanesi ricoverati in ospedale - molti poi deceduti - con ferite caratteristiche di attacchi con bombe al fosforo, sostanza che brucia quando viene a contatto con l’aria. Il Libano come il Vietnam. Racconta il dottor Hussein Hamud al-Shal, che lavora al Dar al-Amal Hospital di Baalbek, una delle città più colpite dai raid aerei israeliani nella valle della Bekaa, di aver ricevuto tre corpi «totalmente raggrinziti, con la pelle nero-verde», caratteristiche di ferite proprie delle bombe al fosforo. Le bombe al fosforo provocano ustioni dolorose e distruggono completamente i tessuti organici. Il colpo diretto di una bomba al fosforo determina ustioni serie e una morte lenta.
Il diritto internazionale vieta l’uso di armi che provocano «ferite eccessive e sofferenze non necessarie, e molti esperti ritengono che le bombe al fosforo rientrino direttamente in tale categoria. La Croce Rossa Internazionale ha stabilito che la legge internazionale vieta l’uso di bombe al fosforo e di altre armi infiammabili contro le persone, siano esse civili o militari. «L’uso di queste armi in un conflitto che ha colpito pesantemente la popolazione civile libanese, è un fatto estremamente grave, su cui occorre un supplemento di indagini. Ed è ciò che mi appresto a chiedere al ministro della Difesa Amir Peretz», dice a l’Unità la deputata Galon.
Le ammissioni del governo israeliano sull’uso delle bombe al fosforo nella guerra in Libano hanno provocato la protesta delle più importanti associazioni israeliani per i diritti umani israeliane, come B’Tselem, e di Peace Now: «Sono troppe e documentate le denunce sull’uso di "armi sporche" sia in Libano che a Gaza da poter essere liquidate come propaganda anti-israeliana. Dobbiamo fare piena luce su questa pratica», ci dice Yaariv Oppenheimer, segretario generale di «Peace Now» e parlamentare laburista. Dal Libano a Gaza. Altro teatro di guerra e di sperimentazione di «armi sporche». Indicativa in proposito è la testimonianza rilasciata al sito Peace Reporter dal dottor Joma al Saqqa, chirurgo allo Shifa Hospital di Gaza City. «I corpi di molte vittime dei bombardamenti israeliani - racconta il dottor al Saqqa - sono giunti allo Shifa hospital completamente fusi. Al punto di assumere un coloro scuro come il carbone. Spesso erano letteralmente spezzati. I feriti, invece, presentavano delle zone del corpo gravemente ustionate, con bruciature che avanzavano all’interno fino alle ossa distruggendo muscoli e organi. Alcuni dei feriti avevano le ossa degli arti completamente esposte e bruciate, senza più tessuti sopra...».
«Il solo contatto con le schegge di queste munizioni - prosegue il dottor al Saqqa - con il viso o altre parti del corpo produce bruciature che, quando colpiscono il volto, rendono le persone completamente irriconoscibili anche alle proprie famiglie. Le persone ferite da queste armi hanno raccontato di aver cercato di fermare il fuoco con acqua o sabbia, tutti riferiscono che "le fiamme tornavano ancora e ancora più alte"». «Le ferite che ci troviamo davanti, così come i corpi deformati dei morti - conclude il responsabile del reparto chirurgico dell’ospedale centrale di Gaza City - ci fanno pensare all’uso di armi al fosforo bianco e con sostanze batteriologiche che di fatto "avvelenano" il corpo».
www.unita.it, Pubblicato il: 23.10.06 Modificato il: 23.10.06 alle ore 18.12
Domenico Gallo: «Armi al fosforo vietate dalle Convenzioni di Ginevra»
di Maura Gualco *
Israele ha ammesso di aver usato il fosforo bianco durante la guerra in Libano, nonostante già da tempo media internazionali,organizzazioni umanitarie e il governo libanese, ne avessero documentato il suo utilizzo. L’esecutivo israeliano si giustifica affermando di non aver nessun divieto in merito in quanto non avrebbe mai sottoscritto il Terzo Protocollo della Convenzione di Ginevra che ne vieta l’uso. Non è, tuttavia, soltanto il Terzo Protocollo che proibisce l’uso di fosforo bianco. Ne parliamo con Domenico Gallo, magistrato esperto in diritto internazionale ed ex senatore.
Come sono considerate dal diritto internazionale le armi al fosforo?
«Non sono contemplate espressamente dalle norme internazionali. Salvo il fatto che il fosforo è un precursore delle armi chimiche e quindi bandito come tutte le armi chimiche. Ciò, non vuol dire, tuttavia, che l’uso delle armi al fosforo sia libero e il diritto internazionale sia indifferente al suo uso. In realtà c’è un principio consuetudinario che è stato ribadito nel Primo Protocollo allegato alle Convenzioni di Ginevra. E che stabilisce l’impiego di armi o sostanze o metodi di guerra capaci di causare mali superflui o sofferenze inutili. Così come sono vietati gli attacchi indiscriminati e l’uso di quelle armi nei confronti di civili e di forze militari nemiche. Il fosforo bianco per le sue conseguenze è una sostanza chimica che viene usata come sostanza incendiaria ma essendo chimica produce sofferenze particolari. Questo metodo di guerra, contemplato nell’articolo 35 del primo Protocollo, è inaccettabile perché produce mali superflui. E riflette un principio consuetudinario a cui sono vincolati anche gli Stati che non hanno firmato il Primo Protocollo».
Distinzione normativa nell’uso del fosforo bianco tra obiettivi civili e militari?
«C’è una Convenzione del 1980 che vieta uso di armi che causano sofferenze superflue o indiscriminate. A questa Convenzione è stato aggiunto un Protocollo, il Terzo, che vieta l’uso di armi incendiarie nei confronti della popolazione civile. Quindi ne autorizza l’uso nei confronti dei militari. Ma il fosforo bianco non è una semplice arma incendiaria. La bottiglia molotov è una semplice arma incendiaria. Ma è anche un’arma chimica che produce effetti ulteriori. Dunque la disciplina ricade nel Primo Protocollo e non nel Terzo».
Israele ha ammesso di aver usato il fosforo bianco. Ha ha violato il diritto internazionale?
«Sì, ha usato un’arma inammissibile dal punto di vista del diritto bellico e che pone dei limiti all’uso della violenza».
Gerusalemme si giustifica sostenendo di non aver sottoscritto il Terzo Protocollo.
«Questi protocolli sia il Primo che la Convenzione dell’80 ribadiscono principi già vigenti del diritto internazionale quindi principi che appartengono al diritto internazionale generale non a quello pattizio e che nasce dai trattati».
In molti casi Stati Uniti, Israele, Russia e altri Paesi giustificano comportamenti contrari al diritto internazionale con il fatto che non hanno sottoscritto determinati trattati. Che strumenti hanno le Nazioni Unite davanti a certi comportamenti che considera illegittimi?
«Questi comportamenti dovrebbero essere censurati dall’opinione pubblica e considerati illegitimi dai governi e dalle classi dirigenti».
www.unita.it Pubblicato il: 23.10.06 Modificato il: 23.10.06 alle ore 16.20
Haidar Abdel Shafi: «L’Europa scongiuri a Gaza il rischio Somalia»
di Umberto De Giovannangeli *
«Le prigioni di Gaza sono più d’una. C’è quella fisica, imposta con la forza delle armi da Israele. Ma c’è anche un’altra "prigione", anch’essa asfissiante: è la "prigione" dell’impotenza a cui un popolo è costretto da una classe dirigente che ha fallito la sua missione». A parlare è il «grande vecchio» di Gaza: Haidar Abdel Shafi, uno dei fondatori dell’Olp, il padre della democrazia palestinese, ex capo della delegazione dell’Olp alla Conferenza di Madrid nel 1991, colui che guidò la prima delegazione palestinese ai negoziati di Washington. Nelle strade di Gaza si continua a sparare e a morire. E non solo per mano israeliana.
Nelle strade di Gaza si sta consumando il regolamento dei conti tra Hamas e Al Fatah: «Il caos può portare alla guerra civile - osserva con preoccupazione il fondatore dell’Olp -. Le armi pretendono di risolvere le dispute politiche. È una follia. A questo punto occorre ridare la parola al popolo, attraverso un referendum popolare sul cosiddetto "piano dei detenuti". Gaza non può restare prigioniera della faida di potere che contrappone il partito del primo ministro (Ismail Haniyeh, Hamas, ndr.) a quello del presidente (Abu Mazen, Al Fatah, ndr.)».
Il «grande vecchio» di Gaza lancia un grido di allarme la cui valenza non dovrebbe sfuggire alla diplomazia internazionale: «Il rischio - sottolinea - è la fine dell’autonomia politica palestinese, quell’autonomia che, sia pure tra mille errori e contraddizioni, Yasser Arafat era riuscito a garantire. Un’autonomia messa in crisi dai nostri errori, violentata dalla protervia israeliana, insidiata dalla voolontà di potenza che anima quei regimi arabi e musulmani che intendono "gestire in proprio" la questione palestinese sfruttandola per i propri fini di potere».
Shafi critica anche i diktat imposti dalla comunità internazionale al governo Hamas: «Nei confronti di Hamas - rileva - l’Europa deve fare politica, e può farla solo se entra dentro le contraddizioni di un movimento che ha varie anime al proprio interno. Da Hamas non bisogna esigere oggi il riconoscimento di Israele ma la rinuncia alla pratica terroristica». Il fondatore dell’Olp guarda con favore all’ipotesi avanzata dal ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema di una forza di osservatori internazionali nella Striscia: «Sono favorevole - dice - per ragioni politiche prim’ancora che di sicurezza. Questa forza sarebbe vista dalla popolazione palestinese come l’espressione tangibile della volontà internazionale di non lasciare i i palestinesi alla mercè di Israele o dei "falsi amici" arabi».
Gli spari contro la vettura di Haniyeh, gli scontri armati tra le milizie di Hamas e quelle di Fatah. Dottor Shafi, c’è il rischio di una guerra civile nei Territori?
«Questo rischio si fa giorno dopo giorno più concreto. Israele ha puntato su questo, illudendosi stoltamente che il caos armato rafforzi la sua sicurezza. È vero l’esatto contrario. Una "somalizzazione" dei Territori è ciò che di peggio Israele e il mondo intero deve augurarsi».
Ma alla base di questo caos c’è l’incapacità di Hamas e di Al Fatah a trovare una intesa per un governo di unità nazionale.
«È difficile discutere di un nuovo governo quando buona parte dei ministri del governo in carica sono nelle galere israeliane. Lei sa che io non ho mai lesinato critiche sia alla dirigenza arafattiana sia a quella di Hamas, ma sfido chiunque a ragionare di politica sotto l’assedio continuo imposto da Israele. Detto questo, ritengo che l’unica strada percorribile sia quella di tornare al voto. Bisogna ridare il potere al popolo, con la scheda come arma e non con quella dei kalashnikov. Penso ad un referendum popolare sul cosiddetto "piano dei detenuti", che a mio avviso contiene i caratteri di una pace giusta, onorevole...».
Una pace onorevole cosa dovrebbe contenere in concreto?
«Uno Stato indipendente degno di questo nome, con confini garantiti internazionalmente, con libero accesso alle risorse idriche. Uno Stato compatto territorialmente, senza colonie ebraiche al suo interno, con una sovranità non aleatoria su Gerusalemme Est. Le pare che queste siano richieste radicali? A me pare il minimo della decenza per chi non arrossisce di fronte a parole come pace e giustizia».
Israele sostiene di non avere interlocutori affidabili con cui intavolare un negoziato.
«Israele ha operato scientemente per affossare ogni dirigenza palestinese degna di questo nome. L’unilateralismo è sempre stato il faro della sua politica. I risultati sono sotto gli occhi di tutti».
La parola dialogo ha ancora un senso in terra di Palestina?
«Solo se si abbina al concetto di giustizia. Altrimenti resta una parola vuota, priva di senso».
Nella Giornata per Gerusalemme, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha rilanciato la sua sfida a Israele in nome della Palestina oppressa.
«Nella mia lunga vita ho imparato a diffidare di questi proclami roboanti, buoni per fini interni e per armare ancor di più Israele. Non saranno gli ayatollah iraniani a scardinare le "prigioni" di Gaza».
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www.unita.it, Pubblicato il: 22.10.06 Modificato il: 22.10.06 alle ore 13.59
Gaza, il premier Haniyeh sfugge a un attacco armato *
Aveva appena finito di pronunciare un discorso nella moschea di Nousserat, a Gaza, quando il premier palestinese Ismail Haniyeh è sfuggito per poco a un attentato. O meglio, la sua guardia personale si è subito precipitata a smentire che si trattasse di un attentato, preferendo accreditare la tesi di una sparatoria in cui Haniyeh sarebbe incappato quasi casualmente. Ma le prime ricostruzioni lasciano pensare a una situazione diversa. La sparatoria ha avuto luogo poche ore dopo che Hamas ed al Fatah avevano annunciato una intesa per lo sradicamento della violenza tra le due fazioni armate.
Nella tarda mattinata Haniyeh, in un discorso pronunciato in una moschea cittadina, aveva egualmente polemizzato con il presidente Abu Mazen criticando duramente il suo progetto di indire elezioni anticipate. «Non si può riportare indietro la ruota della storia» aveva appena finito di dirte Haniyeh ai fedeli raccolti nella moschea di Gaza nell’ultimo venerdì di preghiera e digiuno. Poi il corteo di auto al seguito del premier è partito. Ed è stato allora che - per stare al racconto degli uomini di Hamas addetti alla difesa del loro leader - è iniziata la sparatoria. Secondo Ghazi Hammad, portavoce di Hamas, gli spari erano indirizzati non verso la macchina del premier quanto piuttosto verso i veicoli della Forza di pronto intervento del ministero degli interni, la polizia speciale di Hamas creata dal governo Haniyeh. Soltanto l’ultimo veicolo del convoglio è stato colpito. E i poliziotti dentro hanno fatto a tempo ad abbandonare in fretta la vettura prima che fosse data alle fiamme dalla folla. Funzionari dell’ufficio di Haniyeh hanno detto che l’attacco non sembra essere un tentativo di assassinio, ma arriva in un momento di crescenti tensioni tra le fazioni palestinesi rivali che hanno diffuso i timori di una guerra civile. «Il primo ministro sta bene ed è fuori dalla zona in cui c’è stata la sparatoria. La sua auto non è stata attaccata», ha detto un funzionario. Secondo alcuni testimoni dell’episodio a sparare contro gli agenti speciali di Hamas sarebbero stati i parenti di un palestinese ucciso durante un conflitto a fuoco con i poliziotti della Forza speciale venti giorni fa.
La tensione tra Fatah e Hamas continua in effetti ad essere molto alta, anche dopo la fine degli scioperi degli agenti della sicurezza "normale" legati al passato governo di Fatah e degli altri dipendenti pubblici da mesi senza stipendio. Haniyeh anche ieri, intervistato dal quotidiano Al-Quds di Gerusalemme Est, si è dichiarato a favore di un governo di unità nazionale ma «che faccia l’interesse dei palestinesi e non degli Stati Uniti alleati di Israele», di nuovo in polemica con il presidente Abu Mazen che ancora ieri avanzava la volontà di dare via a un nuovo esecutivo in grado di soddisfare la «legittimità internazionale e gli accordi passati». La tesi di Hamas, com’è noto, è un’altra: non riconoscere Israele per non avvallare l’occupazione israeliana del 1967 e rimettere in discussione gli accordi di Oslo firmati dall’Olp.
Nel frattempo non accenna a diminuire neppure la pressione israeliana sulla popolazione palestinese, non solo nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania. Nell’ultimo giorno di Ramadam centinaia di migliaia di palestinesi hanno cercato di raggiungere Gerusalemme est per andare a pregare sulla Spianata delle Moschee e partecipare ai riti religiosi nella grande moschea di Al Quds. Oltretutto oggi è "Yom al-Quds", la Giornata di Gerusalemme. Ma le autorità israeliane sono state molto dure. E dopo aver inizialmente consentito l’ingresso al check point di Gerusalemme solo agli uomini soltanto al di sopra dei 50 anni e alle donne senza bambini, poi ha ristretto ancor più le regole di entrata . Dopo ore di fila, la pressione, la calca, la polizia israeliana ha addirittura caricato i fedeli, sparando candelotti lacrimogeni.
Ieri il ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema incontrando a Roma il collega algerino Mohamed Bedjaoui, è tornato a proporre per Gaza una forza di interposizione simile a quella schierata dall’Onu in Libano.«È nostra convinzione - ha detto il capo della Farnesina - che per favorire il processo di pace in Medio Oriente possa essere necessario l’invio di una forza di interposizione internazionale nella striscia di Gaza». Ma D’Alema non nega che ci siano ancora molte difficoltà da superare prima di poter mettere sul tavolo una proposta concreta in questo senso. E ha quindi ricordato che pur mantenendosi disponibile a partecipare a questa forza per il momento l’Italia sostiene «lo sforzo del presidente palestinese Mahmoud Abbas per la formazione di un governo palestinese di unità nazionale».
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www-unita.it, Pubblicato il: 20.10.06 Modificato il: 20.10.06 alle ore 15.50
Gaza, attacco al convoglio del premier. Haniyeh è uscito illeso dalla sparatoria *
GAZA - Il premier palestinese Ismail Haniyeh è uscito illeso da un attacco al suo convoglio. L’esponente di Hamas aveva appena pronunciato un discorso alla moschea di Gaza e stava lasciando la zona quando la colonna di auto è stata bersagliata da molti colpi d’arma da fuoco. Uno dei veicoli ha preso fuoco. Fonti di Hamas hanno assicurato che Haniyeh è sano e salvo.(20-10-2006)
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www.repubblica.it, 20.10.2006.
Yasser Abed Rabbo: "Gaza muore, l’Italia non chiuda gli occhi"
di Umberto De Giovannangeli *
«Gaza sta morendo nel disinteresse della comunità internazionale. Da mesi un milione e 400mia palestinesi sono di fatto in ostaggio dell’esercito israeliano. Gaza è isolata dal mondo e sottoposta alle continue incursioni militari israeliane. E in questa immensa prigione a cielo aperto ora si sperimentano anche nuove armi. Cos’altro deve ancora accadere perché il mondo decida di porre fine a questo scempio?». Un appello accorato e al contempo una drammatica testimonianza politica: a lanciarli è Yasser Abed Rabbo, membro dell’esecutivo dell’Olp, più volte ministro dell’Anp e oggi tra i più stretti collaboratori del presidente Abu Mazen. Sul futuro dei rapporti politici interni al campo palestinese, l’ideatore, assieme al leader della sinistra pacifista israeliana Yossi Beilin, dell’Iniziativa di Ginevra (il piano di pace promosso da politici, militari, intellettuali palestinesi e israeliani), è perentorio: «Hamas -dice Rabbo- deve decidere una volta per tutte se accettare in toto il "documento dei prigionieri". Se non lo fa, il presidente Abbas non ha altra scelta che sciogliere il governo e indire nuove elezioni».
Israele nega che a Gaza siano state utilizzate nuove armi.
«Le informazioni in nostro possesso dicono l’esatto contrario. Gaza si sta trasformando in un laboratorio militare di Israele. Se le autorità israeliane non hanno nulla da nascondere perché non accettano che una commissione d’inchiesta dell’Onu verifichi la fondatezza di queste denunce? Cosa hanno da nascondere? Da parte nostra è garantita la massima collaborazione. Spero che la coraggiosa denuncia operata da Rainews 24 e dall’Unità non sia lasciata cadere nel vuoto dal governo italiano. Per quanto ci riguarda, siamo pronti a mettere a disposizione di chiunque ne facesse richiesta la documentazione che attesta decine di casi di palestinesi feriti o uccisi da armi non convenzionali. So che i medici dello Shifa Hospital di Gaza hanno chiesto a loro colleghi europei di visitare i nostri ospedali nella Striscia per rendersi conto di persona di ciò che viene denunciato. Ma Israele nega i permessi necessari».
Cosa è oggi la Striscia di Gaza?
«Una "gabbia" isolata dal mondo, dove sono rinchiusi 1 milione e 400mila esseri umani, costretti a vivere in condizioni disperate. A Gaza si stanno calpestando i più elementari diritti umani. Dall’inizio dell’assedio, oltre 290 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano, e la stragrande maggioranza erano civili inermi: 135 erano bambini. A questi si aggiungono altri 80 palestinesi, tra i quali altri 25 bambini, morti per l’impossibilità di cure adeguate: negli ospedali i macchinari per dialisi funzionano solo in parte a seguito dei bombardamenti israeliani contro la centrale elettrica di Gaza. Questa è la tragica realtà».
Cosa chiedete all’Europa?
«Di non chiudere gli occhi e di essere conseguente alle affermazioni di principio. Se è vero che senza una soluzione politica della questione palestinese il Medio Oriente non conoscerà pace, allora si agisca per porre fine all’agonia di Gaza e per la ripresa di un processo di pace che porti ad un accordo globale, fondato sul principio di due popoli, due Stati in Palestina».
Israele sostiene di non avere un interlocutore credibile con cui rilanciare il dialogo.
«Abu Mazen è un presidente eletto dal popolo e con i poteri necessari per negoziare. Evidentemente Israele non vuole un interlocutore "credibile" ma uno di comodo con cui far finta di negoziare la sua "pace". Abu Mazen non si presterà mai a questo gioco».
Abu Mazen è pronto da subito a sedere a un tavolo negoziale con Israele, così non è per il governo di Hamas. Che fine ha fatto la trattativa per la formazione di un governo di unità nazionale?
«La base programmatica per un governo di unione nazionale è chiara e definita da tempo, ed è quella indicata dal "documento dei prigionieri". Hamas non può trascinare all’infinito la trattativa e giocare su più tavoli, deve decidere se accetta o no quel documento e con esso gli accordi sottoscritti dall’Anp».
E se la risposta fosse negativa?
«Allora ad Abu Mazen non resterebbe che sciogliere il governo e indire nuove elezioni. Non possiamo autocondannarci all’immobilismo e offrire nuovi pretesti a Israele per portare avanti la sua politica dei fatti compiuti, imposti sul terreno con la forza delle armi».
www.unita.it, Pubblicato il: 16.10.06 Modificato il: 16.10.06 alle ore 13.26
Gaza, uccisi quattro palestinesi *
Ancora quattro palestinesi uccisi a Gaza. I soldati israeliani, spalleggiati dai carri armati, si sono spinti dentro le aree settentrionali e meridionali della Striscia e si sono scontrati con i militanti della zona, in un’operazione che segna l’aggravarsi del conflitto che dura da quasi quattro mesi. Due le vittime che sono state identificate dai residenti come un militante del braccio armato del gruppo islamico di Hamas, alla guida del governo palestinese, e un civile.
Scontri anche nell’area meridionale della Striscia, a Rafah, dove, secondo lo staff medico di un ospedale locale, l’esercito ha ucciso due uomini armati appartenenti al gruppo di Hamas.Un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che sta controllando la veridicità delle notizie delle due persone morte a Rafah, aggiungendo che l’esercito non è a conoscenza di altri scontri fra soldati e militanti nell’area settentrionale dove ha confermato che le forze sono operative.
Nelle ultime settimane Israele ha aumentato l’offensiva su Gaza, iniziate alla fine di giugno tesa a ottenere la liberazione del soldato Shalit catturato in un raid ma di cui on si hanno più notizia. L’attacco israeliano ha inferto un duro colpo ai Territori, che sono già afflitti da una crisi interna fra le fazioni fedeli ad Hamas e al presidente Mahmoud Abbas, un moderato e stremati dal taglio degli aiuti internazionali.
Dall’inizio delle operazioni militari di Tel Aviv a giugno circa 250 palestinesi, la metà dei quali civili, sono stati uccisi. La recrudescenza dello scontro nella Striscia di Gaza inizia a dividere anche Israele. «Non bisogna trasformare Gaza in un altro Libano» ha ammonito il ministro per l’integrazione degli immigrati, Zeev Boim, secondo cui però il continuo lanci di razzi da Israele «non lascia alternativa a una massiccia operazione». E Zeev cita l’operazione "Scudo Difensivo": la più imponente operazione lanciata in Cisgiordania dalla Guerra dei Sei Giorni nel 2002 e costò la vita a 200 palestinesi e 29 israeliani
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www.unita.it, Pubblicato il: 18.10.06 Modificato il: 18.10.06 alle ore 11.33
Inchiesta di RAI NEWS 24
“GAZA. FERITE INSPIEGABILI E NUOVE ARMI”
a cura di Flaviano Masella e Maurizio Torrealta
Di seguito il link con il filmato dell’inchiesta *
Mercoledì 11 Ottobre ore 1.43 su Rai News 24 e Giovedì 12 alle 7.36 anche su RaiTre
L’inchiesta è nata dall’allarme lanciato a metà luglio da alcuni medici degli ospedali di Gaza che hanno trattato per la prima volta ferite inspiegabili che hanno portato all’amputazione di un arto inferiore in almeno 62 casi. I medici hanno chiesto più volte aiuto alla comunità internazionale per comprendere le cause di queste strane ferite che presentavano piccoli frammenti, spesso invisibili ai raggi x e inspiegabili recisioni provocate dal calore negli arti inferiori.
Diversi articoli sono apparsi nella stampa internazionale e nazionale.
Dopo una lunga ricerca il nucleo inchieste di Rai News 24 ha individuato la possibile causa di questi effetti: si tratterebbe di una arma nuova che viene sganciata da aerei droni, senza pilota, e viene teleguidata con precisione sull’obbiettivo fissato.
L’arma, secondo la rivista militare “Defence Tech”, viene chiamata DIME che significa “Dense Inert Metal Esplosive” si tratta di un involucro di carbonio che al momento dell’esplosione si frantuma in piccole schegge e nello stesso momento fa esplodere una carica che spara una lama di polvere di tungsteno caricata di energia che brucia e distrugge con un’angolatura molto precisa quello che incontra nell’arco di quattro metri.
Questa tecnologia si inserisce nella nuova classe di armi “a bassa letalità” che minimizzano i danni collaterali e circoscrivono in uno spazio ristretto gli effetti letali.
Alla proiezione è prevista la partecipazione del Vice Ministro con delega al Medio Oriente Ugo Intini e rappresentanti della stampa internazionale e nazionale.
L’Inchiesta andrà in onda su Rai News 24:
MERCOLEDI alle 1.43
GIOVEDI alle 7.36 (anche su RaiTre)
VENERDI alle 9.43
SABATO alle 4.43; 12.13; 21.43
DOMENICA alle 7.13; 15.43; 23.43
LUNEDI alle 5.43; 17.43
L’inchiesta è anche disponibile sul sito www.rainews24.rai.it a partire dalle 15,00 di mercoledì 11 ottobre 2006. La notizia di trova anche su Haaretz, quotidiano israeliano così presentato da www.internazionale.it
”Primo giornale pubblicato in ebraico sotto il mandato britannico, nel 1919, è il quotidiano di riferimento per i politici e gli intellettuali israeliani. Ha da sempre posizioni coraggiose sulla pace e i rapporti con i palestinesi. Ha una versione in inglese: www.haaretz.com”.
Italian TV: Israel used new weapon prototype in Gaza Strip By Meron Rapoport, Haaretz Correspondent
Chi volesse leggere l’articolo di Haaretz in inglese può andare a http://www.haaretz.com/
Il testo inglese é riportato anche nel blog in data 11 ottobre
http://www.ildialogo.org/noguerra/Raines24GazaArmi11102006.htm
Nove morti a Gaza: Israele intensifica gli attacchi*
Sono nove i morti palestinesi nella striscia di Gaza al termine di una durissima giornata di scontri fra esercito israeliano e miliziani. Ventidue le vittime, tutte dalla parte palestinese, da quando Israele, tre giorni fa, ha intensificato le sue operazioni militari su ordine del ministro della Difesa Amir Peretz, deciso al lancio di razzi Qassam contro la cittadina di Sderot.
Sette i miliziani delle Brigate Ezzedin Al Qassam, il braccio armato di Hamas, sono stati uccisi in un’incursione nel campo profughi di Jabaliya. Diciotto i feriti. Secondo l’esercito israeliano, miliziani palestinesi hanno sparato razzi anticarro in direzione della colonna di soldati, provocando un intervento di risposta dell’ artiglieria e dell’ aviazione militare che ha sparato alcuni razzi.
Nel pomeriggio due miliziani delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa sono stati uccisi e altri due sono stati feriti in un nuovo raid aereo che ha colpito l’ automobile sulla quale viaggiavano. Secondo un portavoce militare «si tratta di terroristi di Al Fatah che volevano lanciare Qassam contro Israele».
La striscia di Gaza è stretta nella morsa dell’esercito israeliano da quando, il 25 giugno scorso, un gruppo armato palestinese vicino ad Hamas a sequestrato il caporale Gilad Shalit. Da allora, secondo il ministro della salute palestinese, i morti sono stati 290, tra cui 190 civili, 135 bambini e 35 femmine. Fra i 4350 feriti, si contano 750 invalidi permanenti, 117 casi in cui le vittime hanno perso un arto e 54 ustionati gravi. I minori di 16 anni feriti sono 1700.
www.unita.it, Pubblicato il: 14.10.06 Modificato il: 14.10.06 alle ore 20.31
Assedio e corruzione, così si muore nella «prigione Gaza»
di Umberto De Giovannangeli *
La morte di Gaza. Morte per assedio condotto da chi si illude che esista una soluzione militare alla questione palestinese. Morte per l’incapacità di una classe dirigente di essere altro e di più di una nomenklatura corrotta e avida di potere.
Gaza muore. Nella inerzia di una Comunità internazionale che sembra capace di agire solo di fronte a una guerra dichiarata e praticata (il Libano). «L’economia sta precipitando. Industrie che una volta costituivano l’ossatura dell’economia di Gaza e del sistema alimentare, come quella agricola e ittica, sono soffocate dalla situazione attuale e rischiano di perdere definitivamente il mercato», avverte Arnold Vercken, direttore del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) nei Territori occupati, in un rapporto reso pubblico ieri. Dall’inizio dell’assedio di Gaza (il 25 giugno, a seguito del rapimento del caporale israeliano Gilad Shalit da parte di un commando palestinese) nessun prodotto è stato esportato dalla Striscia di Gaza, teatro di raid e incursioni di Tzahal dure quanto quelle compiute in Libano. «Gli agricoltori - aggiunge Vercken - vivono in condizioni indigenti, senza nessun aiuto per riprendere la coltivazione dei terreni, delle conduttore per l’irrigazione e delle serre». «Gaza è una prigione ed Israele sembra averne buttato via le chiavi», denuncia il relatore delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati John Dugard. A Gaza, dal rapimento del caporale Shalit, «la gente è soggetta a continui bombardamenti ed incursioni militari in cui oltre 100 civili sono stati uccisi ed altra centinaia feriti».
Gaza muore. Gli ospedali dell’Autorità nazionale palestinese sono in grado di far fronte solo al 77% delle cure di emergenza. La crisi finanziaria del’Anp ha colpito in particolare i reparti cardiologici che mancano dei mezzi per effettuare interventi al cuore dei bambini, angioplastiche e altre procedure cardiologiche. I bambini sono le prime vittime innocenti di questo disastro annunciato. Dal 25 giugno, sedici bambini dai tre ai sei anni sono deceduti nell’ospedale di Gaza City per la rarefazione delle cure mediche di cui avevano bisogno. Altri 220 bambini sofferenti ai reni e bisognosi di dialisi sono a rischio. Il 44% dei bambini nella Striscia e in Cisgiordania soffrono di anemia. La crisi sanitaria nei Territori palestinesi è «gravissima», sottolinea un rapporto del Comitato internazionale della Croce rossa. Il sistema sanitario palestinese è allo stremo: «Anche se il Comitato Internazionale è pronto a portare avanti le sue attività di assistenza alla popolazione palestinese - dice il direttore delle operazioni del Comitato internazionale della Croce rossa Piérre Krahenbul - né il Cicr né alcuna altra organizzazione umanitaria è in grado di sostituire le Autorità nel loro ruolo di fornitori di servizi pubblici». Servizi - sempre più introvabili nella Striscia - che includono alimenti, medicine, ricoveri provvisori e altri beni essenziali.
Gaza muore. Per assenza di lavoro e di futuro. La nuova crisi si viene ad innestare in un contesto di povertà cronica: già prima dell’ultima escalation di violenze, il 79% delle famiglie di Gaza viveva sotto la soglia di povertà (2 dollari al giorno) e non era in grado di provvedere al proprio fabbisogno alimentare quotidiano senza un qualche tipo d’aiuto o assistenza; il 40% dei capi famiglia risultava disoccupato; i dipendenti pubblici - 160mila, compresi quelli del settore sanitario - non ricevono alcun salario da più di 5 mesi.
Gaza muore. Per assenza di cibo. Da quando i fondi internazionali per l’Anp sono stati tagliati a gennaio, un numero crescente di palestinesi ad alimentarsi avendo venduto tutto i propri beni. L’insicurezza alimentare, rileva un recente studio del Pam e della Fao, nei Territori è cresciuta del 14% dall’anno scorso. Ciò significa che circa 2milioni di palestinesi, pari al 51% della popolazione, non possono soddisfare i propri bisogni alimentari senza una qualche forma di assistenza. Nei mercati è scomparso il pesce e 35mila persone che vivevano degli introiti di quella industria hanno ora perso ogni forma di reddito. Diversamente dal Libano, dove, anche nei 34 giorni di guerra, i bisogni alimentari e umanitari sono stati essenzialmente soddisfatti, il numero crescente di poveri a Gaza vive con il minimo necessario e lotta ogni giorno per trovare il cibo. Circa il 70% della popolazione di Gaza è priva di sicurezza alimentare e la grande maggioranza dipende dall’assistenza per i bisogni basilari. Degli oltre 1,44 milioni di palestinesi intrappolati nella gravissima crisi umanitaria in atto nella Striscia, più di 838mila hanno meno di 18 anni. Nel 2006, l’80% dei bambini palestinesi morti a causa della guerra sono stati uccisi nella Striscia.
Gaza muore. Per «crimini di guerra». Come è stato il bombardamento (28 giugno) di una centrale elettrica quasi alle porte di Gaza City. A denunciarlo è B’Tselem, la più importante associazione israeliana per la difesa dei diritti umani. «Il bombardamento della centrale elettrica era illegale e definito come un crimine di guerra dal diritto internazionale umanitario, in quanto - sottolinea B’Tselem - ha preso di mira un obiettivo puramente civile», togliendo energia elettrica a un milione e 400mila abitanti a Gaza, in un black-out che ha interessato ospedali, la distribuzione alimentare e con un forte impatto sulla rete di acqua potabile e fognaria.
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www.unita.it, Pubblicato il: 28.09.06 Modificato il: 28.09.06 alle ore 12.14
Una legge contro le bombe a grappolo
di Nuccio Iovene*
Caro Direttore,
l’articolo di Thomas Nash sulle «cluster bomb», pubblicato oggi dall’Unità, ci richiama alla drammatica situazione in cui si è nuovamente venuto a trovare il Libano a seguito della recente crisi con Israele.
Il massiccio utilizzo delle bombe a grappolo e la loro presenza sul terreno è uno dei più gravi problemi in cui si sono già imbattuti i nostri militari della forza multinazionale che stanno dislocandosi in quell’area e soprattutto la popolazione civile libanese che sarà costretta a fare i conti con questo terribile strumento di morte e le sue tragiche conseguenze chissà per quanto tempo.
Il Libano è solo l’ultimo dei Paesi vittima, in ordine di tempo, delle «cluster bomb». Prima del Libano era toccato all’Iraq, all’Afghanistan, al Kossovo, al Sudan, alla Cecenia e a molti altri. Per la loro messa al bando da tempo si batte la coalizione mondiale contro le «cluster bomb» così come ricordava Nash. La coalizione si propone di raggiungere una moratoria a livello mondiale su uso, produzione e commercio delle munizioni cluster, un aumento delle risorse destinate all’assistenza delle vittime ed una responsabilità dei paesi produttori, e che ne hanno fatto uso, per la bonifica delle aree colpite.
Occorre ricordare che le «cluster bomb» sono armi di grandi dimensioni - lanciate da mezzi aerei oppure da sistemi di artiglieria, lanciarazzi e lanciamissili - che si aprono a mezz’aria spargendo ad ampio raggio centinaia (o, nel caso di quelle di artiglieria, decine) di submunizioni più piccole, della grandezza ciascuna di una lattina per bibita, colorate vivacemente e particolarmente «attraenti» per i bambini. Dal punto di vista militare, le munizioni cluster sono «molto apprezzate» per la loro capacità di ampia disseminazione, coprendo un’area superiore al chilometro quadrato per ognuna di esse, e per la versatilità delle submunizioni, che possono avere effetti antipersona o anti-blindatura. Le submunizioni sono progettate in modo da esplodere al momento dell’impatto al suolo ma il tasso di mancata esplosione dichiarato dalle case produttrici è del 5%, e in realtà i dati raccolti sul campo segnalano indici molto più alti, anche fino al 20-25%.
Tutto ciò rende le cluster bomb più pericolose e più odiose delle stesse mine antipersona, ordigni in grado di colpire la popolazione civile anche molti anni dopo la fine di un conflitto, mentre le aree «contaminate» sono meno facilmente individuabili ed isolabili dei «campi minati». Basti pensare che in Iraq nei mesi di marzo e aprile del 2003, nel corso della guerra, le forze Usa hanno usato 10.728 munizioni cluster per un totale di circa 1.800.000 submunizioni. Se anche quelle inesplose fossero in effetti solo il 5%, dichiarato dalle case produttrici, si tratterebbe comunque di 90.000 ordigni letali disseminati sul territorio.
Secondo i dati forniti dalla Coalizione internazionale sono ben 57 i paesi nel mondo nei cui arsenali sono stoccate munizioni cluster di cui 5 in Africa, 5 nelle Americhe, 7 in Asia, 11 in Medio Oriente e Nord Africa, 7 tra le Repubbliche ex Sovietiche e 22 in Europa, tra cui l’Italia. E 33 risulterebbero i paesi produttori, tra cui il nostro.
Per la messa al bando delle «cluster bomnb» il nostro Paese è chiamato, già oggi, a dare il suo contributo, a fare la propria parte. Poco meno di dieci anni fa l’Italia approvò una legge per la messa al bando delle mine antipersona (Legge 29/10/97 n. 374). Se ne vietò la produzione, il commercio e l’uso, e il nostro Paese avviò un’importante azione per lo sminamento nelle realtà in cui quegli ordigni mietevano le loro vittime. Oggi con una proposta di legge presentata al Senato, da me e da altri 37 colleghi di diverse forze politiche, a cui ci auguriamo se ne aggiungeranno presto molti altri, ci si pone l’obiettivo di estendere la messa al bando anche alle bombe a grappolo, le «cluster», impegnando il nostro Paese, anche in questo caso, a dare il suo contributo nell’indispensabile azione di bonifica. Una legge che se approvata farebbe dell’Italia, così come ha già fatto il Belgio, paese capofila di una battaglia di civiltà e all’avanguardia in Europa e nel Mondo.
*senatore de l’Ulivo primo firmatario disegno di legge n. 244 «Modifica alla legge 29 ottobre 1997, n. 374, recante Norme per la messa al bando delle mine antipersona»