Quando l’odio è senza controllo
di UMBERTO GALIMBERTI *
PERCHE’ ci spaventa la strage di Erba, dove una coppia di vicini uccide una madre, il suo bambino, la nonna e la signora della porta accanto? Lo spettacolo è truce, ma forse quel che più ci angoscia non è tanto la sua truculenza, quanto sapere se noi siamo del tutto immuni dai moti d’animo che hanno provocato questa tragedia.
Del tutto immuni no. E il nostro linguaggio lo rivela quando si abbandona a espressioni che, senza freni, tradiscono i nostri vissuti carichi di odio. Ma dal linguaggio solitamente non passiamo all’azione. A fermarci non è tanto l’uso della ragione, già messa fuori gioco dall’odio, ma quella "dimensione sentimentale" che registra la differenza tra il bene e il male, tra la gravità di un’azione e la sua irrilevanza.
Questa dimensione antecede persino i sentimenti d’amore e odio con cui conduciamo la nostra vita emotiva. Ed è grazie a essa che impediamo al nostro amore di soffocare e al nostro odio di uccidere. Ma quando questa dimensione non c’è? Quando nessuna risonanza emotiva avverte il nostro cuore della differenza tra un gesto innocuo e un gesto truce?
Allora siamo alla "psicopatia". Un termine coniato dalla psichiatria dell’800 per designare una psiche apatica, incapace di registrare, a livello emotivo, la differenza tra ciò che è consentito e ciò che è aberrante, tra un’azione senza conseguenze e un’azione irreparabile. Una psiche priva di quella risonanza emotiva che ciascuno di noi registra quando compie un’azione, dice o ascolta una parola.
E sì, perché la psiche non è una dote naturale che uno possiede per il solo fatto d’esser nato e cresciuto. La psiche è qualcosa che si forma attraverso quel veicolo, così spesso trascurato, che è il sentimento. Ora capita spesso che ai bambini insegniamo a mangiare, a dormire, a parlare. Ammiriamo i loro sprazzi di intelligenza, le loro intuizioni, ma poco ci curiamo della qualità del sentimento che in loro si forma e talvolta, a nostra insaputa, non si forma.
Il sentimento è l’organo che ci consente di distinguere cos’è bene e cos’è male, per cui Kant arriva a dire che è inutile definire cos’è buono e cos’è cattivo, perché ognuno lo "sente" naturalmente da sé. Questo criterio, che valeva al tempo di Kant, oggi vale molto meno. E la ragione va cercata nel fatto che i bambini di oggi sono sottoposti a troppi stimoli che la loro psiche infantile non è in grado di elaborare. Stimoli scolastici, stimoli televisivi, processi accelerati di adultismo, mille attività in cui sono impegnati, eserciti di baby-sitter a cui sono affidati, in un deserto di comunicazione dove passano solo ordini, insofferenza, poco ascolto, scarsissima attenzione a quel che nella loro interiorità vanno elaborando.
Quando gli stimoli sono eccessivi rispetto alla capacità di elaborarli al bambino restano solo due possibilità: o "andare in angoscia", o "appiattire la propria psiche" in modo che gli stimoli non abbiano più alcuna risonanza. In questo secondo caso siamo alla psicopatia, all’apatia della psiche che più non elabora e più non evolve, perché più non "sente".
L’appiattimento del sentimento di solito non è avvertito, perché l’intelligenza non subisce per questo alcun ritardo. Anzi, si sviluppa con una lucidità impressionante, perché non è turbata da interferenze emotive, come tutti noi possiamo constatare, quando di fronte a una prova, come un esame, le nostre prestazioni sono sempre inferiori alla nostra preparazione, per interferenza dell’emozione.
Nessuna meraviglia quindi di fronte alla freddezza e alla lucidità con cui la coppia di Erba conduce, per un mese, la sua vita normale come se nulla fosse accaduto, senza lasciar trapelare emozioni. Nessun stupore di fronte all’indifferenza al momento dell’arresto e di fronte all’ostinazione con cui, per un paio di giorni, i due sostengono il loro alibi, crollando solo dopo 10 ore d’interrogatorio, quando ormai anche le forze fisiche cedono.
La complicità nell’esecuzione della strage accomuna marito e moglie in una "follia a due", come la psichiatria francese definisce casi di questo genere. Accomunati dall’odio per i vicini di casa, dopo la strage i due si accomunano nell’amore reciproco, con un legame che il sangue versato rende saldissimo, nella vicendevole difesa di un vincolo di solidarietà che nulla riesce a scalfire, perché la loro psiche è piatta, non registra né pentimenti né ripensamenti. Solo alla fine, per sfinimento, una fredda confessione, senza manifestare il minimo senso di colpa, come se il loro cuore non fosse mai stato sfiorato da quel "sentimento di base" che sa distinguere immediatamente, e prima dell’intervento della ragione, cos’è bene e cos’è male.
Quando i giudici, appurate le prove, condannano tali imputati, sono soliti appurare la loro facoltà di "intendere" e "volere" che ovviamente funziona benissimo. Bisognerebbe però anche valutare la loro capacità di "sentire". E qui si scoprirebbe la radice di certe condotte che risultano aberranti a noi tutti che viviamo sostenuti dal nostro sentimento, ma che non acquistano alcuna rilevanza per chi il sentimento non l’ha mai conosciuto, perché a suo tempo non è stato raccolto, ascoltato, coltivato.
Gli psicopatici sono un caso limite dell’umano, ma la psicopatia come tonalità dell’anima a bassa emotività e a scarso sentimento è qualcosa che si va diffondendo tra i giovani d’oggi che, nella loro crescita, acquisiscono valori d’intelligenza, prestazione, efficienza, arrivismo, quando non addirittura cinismo, nel silenzio del cuore. E quando il cuore tace e più non registra le cadenze del sentimento, il terribile è già accaduto anche se non approda a una strage.
Illustrare questi casi è opportuno, non per sollecitare la nostra curiosità morbosa, ma per capire dove può arrivare la nostra condotta quando non è accompagnata dal sentimento, e quindi richiamare l’attenzione sui processi di crescita dei nostri figli, onde evitare che l’intelligenza si sviluppi disancorata dal sentimento e diventi intelligenza lucida, fredda, cinica, e potenzialmente distruttiva.
* la Repubblica, 12 gennaio 2007.
Sui problemi toccati nella riflessione di Galimberti, nel sito, si cfr. anche:
La rivelazione della madre della Bazzi al Giorno
Erba, «Rosa fu stuprata da piccola»
Il racconto di Lisa Bazzi: «Avrà avuto 10 o 11 anni, stava tornando da scuola. Mia figlia adorava i bimbi ma non poteva averne» *
MILANO - Angela Rosa Bazzi fu stuprata quando era ancora bambina. A svelare l’ennesimo, atroce, retroscena della strage di Erba è Lisa Bazzi, la mamma. In una intervista pubblicata stamani a firma di Gabriele Moroni del quotidiano Il Giorno, la donna spiega che sua figlia «andava ancora a scuola. Poteva avere dieci, undici anni». Quando accadde «stava tornando da scuola. Era sera. La scuola era andata avanti fino a tardi. È successo così, mentre lei era per strada che stava tornando. Era buio». È una delle rarissime dichiarazioni concesse dalla mamma della donna che la sera di lunedì 11 dicembre con il marito Olindo Romano ha commesso il massacro di via Diaz. Il giorno della confessione dei due coniugi disse: «Quella non è più mia figlia, mi vedrà solo quando sarò sottoterra. Sono dieci anni che non le parlo». Ora, però, ha deciso di svelare questo tremendo retroscena cercando forse di trovare una giustificazione a tanto orrore. Forse da quella violenza sono nate le sindromi di Angela Rosa: la maniacale cura dell’ordine e della pulizia. «Cerco di non ricordare quel brutto episodio, dice mamma Lisa. Chi fu a violentare Angela Rosa non si è mai scoperto». L’anziana donna conferma quanto ha detto in questi giorni una ex collega di sua figlia, una collega dell’hotel Albavilla, un quattro stelle a due passi da Erba dove Angela Rosa andava a fare le pulizie. Pulizie e ordine. Maniacalità confermata anche in carcere. «A mia figlia piacevano i bambini. Li adorava. Ma non poteva averne».
Poi un appello indiretto ai due coniugi assassini che finora non hanno mostrato alcun segno di pentimento: «Fanno male devono fare penitenza. Quando è successo il fatto e ho sentito parlare di un uomo grande e grosso mi è venuto un pensiero. Ho pensato a lui, all’Olindo. Ma non credevo che fosse stata anche mia figlia. Lui era un esaltato, ma mia figlia no, non pensavo». Nel parlare del genero, lo descrive in modo contradditorio ad altre testimonianze, dice che era «uno che appena gli dicevano qualcosa si arrabbiava, diventava anche cattivo. Non pensavo a mia figlia, a mio genero sì. Ho pensato che fosse stato lui. Da solo, però, senza mia figlia». Anche a lui addossa la responsabilità di un mutamento caratteriale di Angela Rosa che «da ragazza era tutta diversa. Buona, generosa. Ha sposato quello là ed è cambiata da così a così. Una volta era ubbidiente. Ha conosciuto quell’uomo violento e lui l’ha cambiata. E tanto. Però fino all’ultimo ho sperato che non fossero stati loro». Stando alle sue parole Olindo «la picchiava. Ha sbagliato lei a sposarlo. Sarebbe stato meglio se fosse rimasta a casa. Le ragazze devono stare a casa, non sposarsi». Da quanto racconta mamma Lisa emergono due facce della stessa medaglia: Angela Rosa buona come il pane, che ama i bambini, ma che dopo quella violenza si trasforma e peggiora dopo aver sposato un uomo che, a suo dire, è manesco. Dalle carte investigative, emerge, invece, la figura di una donna violenta, forte, volitiva, lucida. In grado lei di soggiogare a suo piacimento Olly, mastodontico, ma mansueto, tutto casa e lavoro come lo descrivono conoscenti e colleghi di lavoro.
* Corriere della Sera, 17 gennaio 2007