PAPA: PIENA DIGNITA’ UOMO ANCHE SE EMBRIONE O IN COMA
(di Elisa Pinna)
"L’uomo rimane uomo con tutta la sua dignità, anche quando è un embrione o in stato di coma": le parole di Benedetto XVI risuonano nella navata di San Lorenzo in Piscibus, una piccola chiesa nascosta tra i palazzi che circondano San Pietro, dove il Papa sta celebrando messa per i 25 anni del ’Centro Giovanile Internazionale’’.
Ad ascoltarlo, data la ristrettezza degli spazi, solo un centinaio di fedeli tra ragazzi volontari, che accolgono i loro coetanei pellegrini a Roma, e cardinali di Curia, presenti in nutrita delegazione.
Il nuovo monito del pontefice, in un’omelia a braccio tutta incentrata sul significato della vita e della morte, irrompe però immediatamente sui siti dei media italiani e nel dibattito pre-elettorale, dove continuano ad affacciarsi, con i loro strascichi di polemiche, i temi etici dell’eutanasia, dell’aborto e della legge 194.
Quasi contemporaneamente da Baku, capitale dell’Azeirbagian dove si trova in visita pastorale, il segretario di Stato vaticano card. Tarcisio Bertone auspica che i leader dei vari schieramenti politici italiani mettano in atto "il rispetto promesso ai valori cristiani". Diventa inevitabile il collegamento tra l’intervento del Papa e quello del suo numero due: la Chiesa Cattolica, con la sua massima autorevolezza, ripropone così le sue preoccupazioni alla classe politica italiana.
Benedetto XVI, arrivato tra i giovani di ’San Lorenzo in Piscibus’, alle 10:00 del mattino, lascia ben presto il discorso scritto (e probabilmente preparato da qualche suo collaboratore) per rivolgersi a braccio all’assemblea dei fedeli soffermandosi con calore sui grandi interrogativi della vita umana.
L’uomo, spiega, appartiene, come tutto il resto del creato, alla "biosfera". Ma "Pur facendo parte del biocosmo - osserva - l’uomo lo trascende; l’uomo rimane uomo e mantiene tutta la sua dignità, anche se è un embrione, o in stato di coma". "L’uomo ha sete di conoscenza dell’infinito, vuole arrivare - prosegue Ratzinger - alla fonte della vita, vuole trovare la vita stessa". "Potremmo dire - aggiunge - che tutta la scienza é una grande lotta per la vita, tutta la medicina è una lotta della vita contro la morte, per trovare la medicina dell’immortalità".
Ma anche se la medicina, ipotizza il Papa, trovasse "una pillola della immortalità" essa rimarrebbe una "pillola della biosfera": il mondo - prosegue Benedetto XVI - si "riempirebbe di vecchi, non ci sarebbe più spazio per i giovani". Uno scenario spaventoso: "non possiamo dunque sperare nel prolungamento infinito della vita biologica e nello stesso tempo però aspiriamo all’eternità", osserva. "Ecco dunque - continua - che arriva la Parola di Gesù: ’io sono la Resurrezione’.
"Attraverso Gesù abbiamo già attraversato la soglia della morte. L’eucarestia è il farmaco dell’eternità", conclude. Nel silenzio di riflessione che segue l’omelia, in prima fila annuiscono, tra le tante porpore, il cardinale vicario Camillo Ruini, il cardinale Savaira Martins delle Cause dei Santi, il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio Per i laici, che aveva accolto il Papa ricordando la storia del centro giovanile, fondato nel 1983 da Giovanni Paolo II.
Più tardi, a mezzogiorno in piazza San Pietro, Benedetto XVI torna a parlare dopo la preghiera dell’Angelus, stavolta di temi internazionali. Esprime "orrore " per l’escalation di sangue in Terra Santa e in Iraq e lancia un appello ad israeliani e palestinesi: "a tutti chiedo, in nome di Dio, di lasciare le vie tortuose dell’odio e della vendetta e di percorrere responsabilmente cammini di dialogo e di fiducia".
Sul tema, nel sito, si cfr.:
AL DI LA’ DELLA TRINITA’"EDIPICA" - E DELLA TERRA E DEL SANGUE!!!
I soggetti sono due, e tutto e’ da ripensare...
L’ANTROPOLOGIA E’ ANTROPOLOGIA...
RESTITUIRE L’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE ...
UOMINI E DONNE... SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI
Il volto degli apostoli
Un "luogo riservato di preghiera per il Papa e per la Famiglia pontificia": così Benedetto XVI ha definito la Cappella Paolina, riaperta al culto sabato 4 luglio dopo un lungo restauro. Nell’occasione il Papa vi ha presieduto la celebrazione dei Vespri.
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Si realizza quest’oggi, a pochi giorni dalla solennità dei Santi Pietro e Paolo e dalla chiusura dell’Anno Paolino, il mio desiderio di poter riaprire al culto la Cappella Paolina. Nelle Basiliche Papali di San Paolo e di San Pietro abbiamo vissuto le celebrazioni solenni in onore dei due Apostoli; questa sera, quasi a completamento, ci raccogliamo nel cuore del Palazzo Apostolico, nella Cappella che è stata voluta dal Papa Paolo III e realizzata da Antonio da Sangallo il Giovane, proprio quale luogo riservato di preghiera per il Papa e per la Famiglia pontificia. Aiutano a meditare e a pregare in maniera quanto mai efficace i dipinti e le decorazioni che la abbelliscono, in particolare i due grandi affreschi di Michelangelo Buonarroti, che sono gli ultimi della sua lunga esistenza. Rappresentano la conversione di Paolo e la crocifissione di Pietro.
Lo sguardo è attratto innanzitutto dal volto dei due Apostoli. È evidente, già dalla loro posizione, che questi due volti giocano un ruolo centrale nel messaggio iconografico della Cappella. Ma, al di là della collocazione, essi ci attirano subito "oltre" l’immagine: ci interrogano e ci inducono a riflettere. Anzitutto, soffermiamoci su Paolo: perché è rappresentato con un volto così anziano? È il volto di un uomo vecchio, mentre sappiamo - e lo sapeva bene anche Michelangelo - che la chiamata di Saulo sulla via di Damasco avvenne quando egli era circa trentenne. La scelta dell’artista ci porta già fuori dal puro realismo, ci fa andare oltre la semplice narrazione degli eventi per introdurci ad un livello più profondo. Il volto di Saulo-Paolo - che è poi quello dello stesso artista ormai vecchio, inquieto e in cerca della luce della verità - rappresenta l’essere umano bisognoso di una luce superiore. È la luce della grazia divina, indispensabile per acquistare una vista nuova, con cui percepire la realtà orientata alla "speranza che vi attende nei cieli" - come scrive l’Apostolo nel saluto iniziale della Lettera ai Colossesi, che abbiamo appena ascoltato (1, 5).
Il volto di Saulo caduto a terra è illuminato dall’alto, dalla luce del Risorto e, pur nella sua drammaticità, la raffigurazione ispira pace e infonde sicurezza. Esprime la maturità dell’uomo interiormente illuminato da Cristo Signore, mentre attorno ruota un turbinìo di eventi in cui tutte le figure si ritrovano come in un vortice. La grazia e la pace di Dio hanno avvolto Saulo, lo hanno conquistato e trasformato interiormente. Quella stessa "grazia" e quella stessa "pace" egli annuncerà a tutte le sue comunità nei suoi viaggi apostolici, con una maturità di anziano non anagrafica, ma spirituale, donatagli dal Signore stesso. Qui dunque, nel volto di Paolo, possiamo già percepire il cuore del messaggio spirituale di questa Cappella: il prodigio cioè della grazia di Cristo, che trasforma e rinnova l’uomo mediante la luce della sua verità e del suo amore. In questo consiste la novità della conversione, della chiamata alla fede, che trova il suo compimento nel mistero della Croce.
Dal volto di Paolo passiamo così a quello di Pietro, raffigurato nel momento in cui la sua croce rovesciata viene issata ed egli si volta a fissare chi lo sta osservando. Anche questo volto ci sorprende. L’età rappresentata qui è quella giusta, ma è l’espressione a meravigliarci e interrogarci. Perché questa espressione? Non è un’immagine di dolore, e la figura di Pietro comunica un sorprendente vigore fisico. Il viso, specialmente la fronte e gli occhi, sembrano esprimere lo stato d’animo dell’uomo di fronte alla morte e al male: c’è come uno smarrimento, uno sguardo acuto, proteso, quasi a cercare qualcosa o qualcuno, nell’ora finale. E anche nei volti delle persone che gli stanno intorno risaltano gli occhi: serpeggiano sguardi inquieti, alcuni addirittura spaventati o smarriti. Che significa tutto questo? È ciò che Gesù aveva predetto a questo suo Apostolo: "Quando sarai vecchio un altro ti porterà dove tu non vuoi"; e il Signore aveva aggiunto: "Seguimi" (Gv 21, 18.19). Ecco, si realizza proprio ora il culmine della sequela: il discepolo non è da più del Maestro, e adesso sperimenta tutta l’amarezza della croce, delle conseguenze del peccato che separa da Dio, tutta l’assurdità della violenza e della menzogna. Se in questa Cappella si viene a meditare, non si può sfuggire alla radicalità della domanda posta dalla croce: la croce di Cristo, Capo della Chiesa, e la croce di Pietro, suo Vicario sulla terra.
I due volti, su cui si è soffermato il nostro sguardo, stanno l’uno di fronte all’altro. Si potrebbe anzi pensare che quello di Pietro sia rivolto proprio al volto di Paolo, il quale, a sua volta, non vede, ma porta in sé la luce di Cristo risorto. È come se Pietro, nell’ora della prova suprema, cercasse quella luce che ha donato la vera fede a Paolo. Ecco allora che in questo senso le due icone possono diventare i due atti di un unico dramma: il dramma del Mistero pasquale: Croce e Risurrezione, morte e vita, peccato e grazia. L’ordine cronologico tra gli avvenimenti rappresentati è forse rovesciato, ma emerge il disegno della salvezza, quel disegno che lo stesso Cristo ha realizzato in se stesso portandolo a compimento, come abbiamo poc’anzi cantato nell’inno della Lettera ai Filippesi. Per chi viene a pregare in questa Cappella, e prima di tutto per il Papa, Pietro e Paolo diventano maestri di fede. Con la loro testimonianza invitano ad andare in profondità, a meditare in silenzio il mistero della Croce, che accompagna la Chiesa fino alla fine dei tempi, e ad accogliere la luce della fede, grazie alla quale la Comunità apostolica può estendere fino ai confini della terra l’azione missionaria ed evangelizzatrice che le ha affidato Cristo risorto. Qui non si fanno solenni celebrazioni con il popolo. Qui il Successore di Pietro e i suoi collaboratori meditano in silenzio e adorano il Cristo vivente, presente specialmente nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia.
L’Eucaristia è il sacramento in cui si concentra tutta l’opera della Redenzione: in Gesù Eucaristia possiamo contemplare la trasformazione della morte in vita, della violenza in amore. Nascosta sotto i veli del pane e del vino, riconosciamo con gli occhi della fede la stessa gloria che si manifestò agli Apostoli dopo la Risurrezione, e che Pietro, Giacomo e Giovanni contemplarono in anticipo sul monte, quando Gesù si trasfigurò davanti a loro: evento misterioso, la Trasfigurazione, che il grande quadro di Simone Cantarini ripropone anche in questa Cappella con forza singolare. In realtà però tutta la Cappella - gli affreschi di Lorenzo Sabatini e Federico Zuccari, le decorazioni dei numerosi altri artisti convocati qui in un secondo momento dal Papa Gregorio xiii -, tutto, potremmo dire, qui confluisce in un medesimo unico inno alla vittoria della vita e della grazia sulla morte e sul peccato, in una sinfonia di lode e di amore a Cristo redentore che risulta altamente suggestiva.
Cari amici, al termine di questa breve meditazione, vorrei ringraziare quanti hanno cooperato affinché noi potessimo nuovamente godere di questo luogo sacro completamente restaurato: il Prof. Antonio Paolucci e il suo predecessore il Dott. Francesco Buranelli, che, quali Direttori dei Musei Vaticani, hanno sempre avuto a cuore questo importantissimo restauro; i vari operatori specialisti che, sotto la direzione artistica del Prof. Arnold Nesselrath, hanno lavorato sugli affreschi e sui decori della Cappella e, in particolare, il Maestro Ispettore Maurizio De Luca e la sua assistente Maria Pustka, che hanno diretto i lavori e sono intervenuti sui due murali di Michelangelo, avvalendosi della consulenza di una commissione internazionale formata da studiosi di chiara fama. La mia riconoscenza va altresì al Cardinale Giovanni Lajolo ed ai suoi collaboratori del Governatorato, che hanno prestato all’opera speciale attenzione. E naturalmente un caloroso e doveroso grazie rivolgo ai benemeriti mecenati cattolici, americani e non, ossia ai Patrons of the Arts, impegnati generosamente nella salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale in Vaticano, i quali hanno reso possibile il risultato che oggi ammiriamo. A tutti e a ciascuno giunga l’espressione della mia riconoscenza più cordiale.
Canteremo tra poco il Magnificat. Maria Santissima, Maestra di preghiera e di adorazione, insieme con i santi Pietro e Paolo, ottenga abbondanti grazie a quanti si raccoglieranno con fede in questa Cappella. E noi questa sera, grati a Dio per le sue meraviglie, e specialmente per la morte e risurrezione del suo Figlio, eleviamo a Lui la nostra lode anche per quest’opera giunta oggi al suo compimento. "A Colui, che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen" (Ef 3, 20-21).