di Enzo Mazzi *
Le consultazioni elettorali hanno sempre qualcosa di sconcertante: usano un codice espressivo spietatamente binario: vincitori/vinti, maggioranza/minoranza, sì/no, bianco/nero, di qua/di là. E questo dover tagliare col coltello è impietoso per chi ama la complessità dell’esistenza sia personale che sociale. Questa volta però lo sconcerto è aggravato dal leaderismo che disincentiva la partecipazione.
Uno degli elementi che emergono con prepotenza nella società attuale è certamente l’insicurezza e la paura. E la paura, come si sa, ci fa regredire, ci rende bambini, ci induce a affidarsi a figure mitiche di salvatori, abdicando alla propria responsabilità e autonomia e svuotando la rete delle relazioni.
Una nuova cultura deve svilupparsi insieme all’incedere delle trasformazioni strutturali in modo da asservire i processi del cambiamento invece di esserne dominati. E per questo serve la conoscenza, la razionalità, la fiducia e non è utile invece la paura. Strumentalizzare e fomentare a scopo di potere e di dominio lo sconcerto e anche la paura del parto sociale che sta avvenendo nel grembo fecondo della realtà attuale è una forma grave di criminalità politica. Purtroppo è proprio ciò che sta avvenendo.
Di fronte a questa mobilità planetaria mai prima di ora sperimentata in una intensità così massiccia, si alimenta la paura del diverso che attenta alla nostra identità, si dipinge l’immigrazione come invasione dei barbari che vengono a rubarci lavoro, benessere, tranquillità, si fomenta la paura del terrorismo che incendia il mondo. Di fronte a conquiste scientifiche e tecnologiche che penetrano nel sacrario più intimo della vita, invece di favorire la conoscenza e la responsabilità critica, si enfatizzano in modo esasperato i pericoli specialmente in campo genetico e riproduttivo al limite del terrorismo culturale. Di fronte a prese di coscienza e scoperte nel campo della psiche che rivelano profondità e pluralità di modi di essere finora ignorati, che impongono l’affermazione di diritti negati di parità della donna, che aprono orizzonti di dignità per le persone dall’orientamento sessuale finora represso, si demonizzano nuovi modi di impostare i rapporti umani come attentati alla natura, si colpevolizza la responsabilità della donna nel campo riproduttivo fino a accusarla di assassinio non solo per l’aborto ma per lo stesso uso della pillola abortiva. Di fronte alla scoperta della pluralità e varietà di esprimere il senso della religiosità e dell’etica che rende relativi tutti gli universi religiosi ognuno dei quali si considerava assoluto e unico vero, si agita il pericolo del relativismo che ci farebbe scivolare nel baratro distruttivo del «tutto è permesso se non c’è un Dio» che giudica il bene e il male. E via di questo passo.
E è qui che gioca ancora una volta la sua carta il potere ecclesiastico dominante: la salvezza personalizzata e trascendente che viene addirittura dal cielo. Nessuno crede più nel trascendente, nemmeno il papa razionalista. Ma emerge ancora dal profondo un prepotente bisogno di mentire a se stessi e di far finta di credere al cielo. Le modificazioni indotte dalla modernità incutono ansia perché scatenano paure ancestrali nascoste nel profondo della psiche, in ogni cellula del nostro essere. La terra che trema scatena da sempre insieme alla paura anche il bisogno altrettanto ancestrale di inventare un Dio celeste a cui aggrapparsi alienando la nostra responsabilità. Il cristianesimo nascente fu una straordinaria esperienza di ribellione verso ogni forma di alienazione, fu un lieto messaggio di liberazione dalla paura e dal bisogno si salvezza dall’alto.
Un distillato di tale lieto messaggio si trova ad esempio in questo racconto del Vangelo di Matteo: «I farisei e i sadducei si avvicinarono a Gesù per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose: ’Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?’». Dopo tre secoli si sa cosa è successo, c’è stato lo slittamento progressivo del cristianesimo dalla fiducia nei segni dei tempi all’affidamento ai segni del cielo per meglio dominare la terra e il cuore degli uomini con vane sicurezze trascendenti. Fu il trionfo della croce.
Oggi il potere ecclesiastico torna a forzare la sua presenza nel campo direttamente politico per due motivi. Uno è quello di condizionare la politica stessa e di ottenere il massimo per gli interessi che la gerarchia considera (a torto) interessi della Chiesa. Ma la sua capacità di spostare voti è molto minore dello sbandieramento che ne fa. L’altro motivo, forse più decisivo, è quello di spostare la società, la politica e la cultura verso l’affidamento a poteri autoritari. Il verticismo è il suo orizzonte umano e il fondamento della sua antropologia.
I vescovi nel comunicato che conclude il Consiglio episcopale permanente riconfermano «la linea di non coinvolgimento in alcuna scelta di schieramento politico o di partito», e questo sarebbe in sé una buona cosa se non fosse nella scia di quel diluvio di manifesti elettorali mendaci e privi di credibilità che ci sommerge. La dichiarazione vescovile di non coinvolgimento è di fatto contraddetta da uno sciame di interventi di segno contrario che invade le cattedrali, i pulpiti, i confessionali, le lezioni di catechismo e di religione a scuola, la stampa cattolica, i predicozzi dei cappellani in ospedali, carceri, caserme ...Il cuore dei pastori e fedeli allineati e degli atei devoti non è affatto indifferente alle scelte politiche e elettorali e è ancora mosso dalla convinzione che la «teocrazia» è il miglior governo della società perché «ogni potere viene da Dio per via verticale». Dopo più di un secolo, nonostante il Concilio e un cristianesimo di base decisamente aperto e politicamente plurale ma purtroppo minoritario, il pantano clericale è ancora lì al sogno inconfessato del potere di uno solo.
La società civile dei diritti di tutti e della solidarietà, il mondo dell’associazionismo di base, l’area del volontariato, dell’autonomia e della responsabilità, è confermata nella sua convinzione che i percorsi delle mediazioni politiche devono continuamente intrecciarsi con i sentieri della trasformazione dal basso della società intera e delle singole coscienze. Altrimenti la politica diventa un «buco nero siderale», un vortice che ingoia energia e crea il vuoto. Resistere nella fatica quotidiana dei rapporti di crocicchio e di piazza, resistere nelle mille iniziative concrete in mezzo alla gente tese a creare coscienze critiche, autonome e responsabili, resistere nella ricerca inesausta di una comunicazione libera e liberante, tutto questo si rivela sempre più indispensabile. La destra ha spazio perché a questa resistenza si è dato finora poca importanza e scarsa visibilità.
Un grande compito di formazione culturale sta davanti alla politica e alla società civile e una grande alleanza s’impone fra istituzioni, organizzazioni sociali e movimenti per guarire dalla paura, ritrovare fiducia e liberarsi dal bisogno di salvatori.
Enzo Mazzi, cdb Isolotto - Firenze
Fonte:
FOGLIO DI COMUNITA’ N° 4 - APRILE 2008
supplemento al n°2/2007, anno X di Viottoli -
redazione: Associazione Viottoli - Comunità cristiana di base c.so Torino, 288 10064 Pinerolo (To)
tel. 0121 500820 - 0121 393053 fax 0121 091170
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"Et nos credidimus Charitati..."
Il Cavaliere delle due Leghe
di Nicola Tranfaglia *
Alle battute di Umberto Bossi gran capo della Lega Nord sui fucili da imbracciare contro le schede elettorali, dimenticando che sono l’espressione letterale della legge-porcata del senatore leghista Calderoli, ora si aggiungono quelle di Lombardo, leader del movimento per le autonomie che vuole conquistare la Sicilia per conto di Berlusconi.
Le une e le altre sono, più che una battuta, il frutto dell’atteggiamento politico delle due Leghe, quella del Nord e quella del Sud, che usano l’arma del federalismo per annunciare la loro battaglia contro "Roma ladrona" e l’unità d’Italia.
E dimenticano una verità storica fondamentale: è stata la Chiesa cattolica e non altri ad opporsi per molti secolo all’unificazione del regno italico. Peccato che ora i leghisti si aggrappino, come del resto tutta la destra, alla persistente influenza del Vaticano per vincere le elezioni che altrimenti sarebbero appalto di altre e opposte forze politiche. È una delle molte contraddizioni che in queste settimane di campagna elettorale emerge con forza.
Mai come questa volta, il destino del cosiddetto Popolo della libertà che raggruppa Forza Italia e Alleanza Nazionale con l’appoggio della fascista Alessandra Mussolini e di altri piccoli partiti dipende chiaramente dai risultati che la Lega Nord conseguirà soprattutto in Veneto e in Lombardia e da quello che il partito di Lombardo riuscirà ad ottenere in Sicilia cercando di ridurre ai minimi termini la forza residua dell’Unione di centro di Pier Ferdinando Cassini.
Questa volta, insomma, il Cavaliere non potrà negare nulla a Bossi come a Lombardo. Avendo già assorbito Alleanza Nazionale di Fini e tutti gli altri della Destra con l’eccezione di Storace, Berlusconi dipenderà in maniera essenziale dai voti leghisti alla Camera e ancor più al Senato. Non a caso, di fronte ai fucili, si è lasciato prima sfuggire qualche frase sullo stato di salute di Bossi, poi ha dovuto rettificare perché non può correre il rischio di aprire un fronte polemico con l’alleato essenziale.
Avremmo insomma, se Berlusconi diventasse di nuovo presidente del Consiglio, una situazione in cui sarebbe Bossi a consigliargli e poi a pretendere l’uscita dal quadro costituzionale invece di un Casini che, nel quinquennio berlusconiano, ha spinto il pedale, sia pure debolmente, sul piano della moderazione e del rispetto delle istituzioni.
Del resto, nelle parole del capo della Lega Nord, come di quelle di Lombardo, c’è evidente lo spirito della secessione antiunitaria che ha percorso tutta la storia della Lega e che esalta i peggiori egoismi localistici delle regioni ricche economicamente ma arretrate sul piano civile che si è espresso ormai da più di quindici anni nelle piazze come nel parlamento nazionale.
Certo, dal punto di vista mediatico, il ricorso ai fucili e alle marce leghiste sulla capitale fa sensazione e riempie le prime pagine dei giornali e delle televisioni ma non può avere effetti concreti: è come se si giocasse una partita di calcio con i regolamenti da tempo concordati e improvvisamente entrasse in campo una squadra di picchiatori armati di bastoni che vuole risolvere la partita attraverso l’aggressione fisica. In un mondo normale sarebbe cacciata dal campo e probabilmente costretta a non entrare più.
Questo con la Lega non succede, sia perché pochi credono a quel che proclama Bossi, sia perché il partito nordista fa parte dello schieramento di destra che fa capo al Cavaliere. Non è la sinistra radicale, già emarginata dai mezzi di comunicazione, e presentata dalla maggior parte delle televisioni e dei giornali come una forza da uccidere a tutti i costi.
Ma io credo che le battute di Bossi dovrebbero preoccupare di più il governo e le istituzioni perché segnalano una volta ancora la minaccia di alcune forze di destra di passare ai fatti se non si accettano i loro diktat.
In un Paese normale l’offesa alla Costituzione, al Governo, al Parlamento dovrebbe essere condannata da tutte le forze in campo e i colpevoli di questi reati dovrebbero essere puniti e isolati non solo da una parte dello schieramento politico ma da tutti gli altri partiti. Invece questo non è mai avvenuto e non avviene neppure adesso.
* l’Unità, Pubblicato il: 09.04.08, Modificato il: 09.04.08 alle ore 12.51