LETTERA APERTA AL PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA ITALIANA
CARISSIMO PRESIDENTE
VOGLIA ACCOGLIERE BENEVOLMENTE QUESTE MIE POCHE SINTETICHE ANNOTAZIONI:
"FINALMENTE" - TUTTO IL PARLAMENTO CANTA ALLEGRAMENTE: "FORZA ITALIA"
L’INNO DI UN SOLO PARTITO!!!
DOVE STIAMO ANDANDO?!
A "REGIME LEGGERO", FINO ALLA CATASTROFE???!!!
ITALIA: LA PAROLA DELLA NOSTRA IDENTITA’ E DELLA NOSTRA REPUBBLICA E’ STATA RUBATA!!!
E IL PAESE IPNOTIZZATO E IMMOBILIZZATO E’ OFFESO E SCONCERTATO!!!
IL PARTITO DI "FORZA ITALIA" SI SCIOGLIE - E VA SCIOLTO -IMMEDIATAMENTE E FINALMENTE!!!
BERLUSCONI HA DECISO E NON HA DECISO, NON TORNA INDIETRO E TORNA INDIETRO. FORMIGONI CONDIVIDE, MA “AN” NO...
PER LA COSTITUZIONE E PER LA DEMOCRAZIA,
ROMPA GLI INDUGI.
CHE SI ESCA DAL SONNAMBULISMO
E CHE L’ITALIA VIVA!!!
FACCIA CHIAREZZA, QUANTO PRIMA, PER OGNI ITALIANO E OGNI ITALIANA,
PER TUTTI E PER TUTTE, IN ITALIA E NEL MONDO.
LA RINGRAZIO VIVAMENTE DELLA SUA ATTENZIONE.
CON TUTTA LA MIA PIU’ PROFONDA STIMA
LE AUGURO BUONA GIORNATA E BUON LAVORO
MOLTI AUGURI
VIVA L’ITALIA!!!
Federico La Sala (30.06.2008)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
In visita ufficiale nella ’Città dei Mille’
Napolitano: ’’Uscire da spirale insostenibile di contrapposizioni’’
L’intervento a Bergamo: ’’Non è mio compito interferire nella dialettica politica’’. *
Bergamo, 2 feb. (Adnkronos) - "Il mio compito è rappresentare l’unità nazionale che si esprime nel complesso delle istituzioni, le istituzioni sono il mio solo punto di riferimento. Non è mio compito intervenire e interferire nella dialettica delle forze politiche e sociali". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parlando nell’aula del Consiglio comunale di Bergamo all’inizio della sua visita ufficiale nella ’Città dei Mille’.
’’Per portare avanti riforme che sono all’ordine del giorno, e mi rivolgo a quanti sollecitano decisioni annunciate in nome del federalismo e ormai giunte a buon punto, per portare avanti l’attuazione di quel nuovo titolo V della Costituzione - ha proseguito il capo dello Stato - che fu condotto dieci anni fa all’approvazione del Parlamento e del Corpo elettorale da una maggioranza di centrosinistra ed è stato avviato a concrete applicazioni da una maggioranza di centrodestra, è stato decisivo e resta oggi decisivo un clima corretto e costruttivo di confronto in sede istituzionale’’, proprio per questo conclude, ’’si deve uscire da una spirale insostenibile di contrapposizioni, arroccamenti e prove di forza.
’’La mia generazione ha visto la guerra e l’Italia spaccata ma non ci scoraggiammo - ha aggiunto Napolitano rivolgendosi direttamente ai giovani per la celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia - e nonostante le divisioni politiche e ideologiche si riuscì a fare la Costituzione nel segno dell’Unità. A questo collaborarono forze politiche distanti che trovarono un punto di incontro’’. ’’A voi studenti chiedo di contribuire a costruire le condizioni per migliorare il Paese e per ricreare quel clima positivo che va proprio nell’interesse dei giovani e dell’Italia in un mondo sempre più competitivo’’, ha continuato il presidente della Repubblica.
Napolitano ha poi sottolineato che "il confronto politico e sociale nelle istituzioni locali è più pacato rispetto a quello che c’è nella Capitale dove ci sono più contrasti. Questo io lo vedo positivamente perché è indispensabile uno sforzo collettivo nell’interesse del Paese".
Il presidente della Repubblica ha lungamente ricordato il pensiero del ’padre’ del federalismo italiano Carlo Cattaneo ricordando che Cattaneo si dichiarava contrario ’’alla fusione e non all’unità’’ e riteneva che ’’una pluralità di centri viventi, stretti insieme dall’interesse comune, dalla fede data, dalla coscienza nazionale’’ fosse essenziale.
’’L’Unità della Nazione e dello Stato ha più che mai senso proprio in un mondo globalizzato e frammentato nel quale un’Italia divisa e una macro regione italiana sarebbe solo un irrilevante frammento’’, ha detto il capo dello Stato.
Napolitano ha poi sottolineato che ’’l’Unità nazionale nella sua ricchezza del pluralismo e delle sue autonomie e l’unità europea egualmente concepita, sono leve insostituibili per il ruolo dell’Italia intera nel nuovo contesto mondiale, sono leve irrinunciabili per mettere a frutto tutte le nostre potenzialità, soprattutto quelle oggi così frustrate e perfino poco ascoltate, delle nuove generazioni’’.
’’Le celebrazioni iniziate nel 2010 e in via di sviluppo nel 2011 vogliono essere e saranno, tale è il mio convincimento e il mio impegno, un modo di ritrovarci in quanto italiani nello spirito che ci condusse 150 anni fa a unirci come Nazione e come Stato. Saranno anche un’occasione per una riflessione comune sui travagli e sulle prove che abbiamo vissuto insieme - ha concluso il capo dello Stato - e sui problemi che abbiamo davanti’’.
* ADNKRONOS ultimo aggiornamento: 02 febbraio, ore 12:45: ultimo aggiornamento: 02 febbraio, ore 12:45.
150 anni dell’Unità d’Italia: il 17 marzo festa nazionale, ma solo per quest’anno *
ROMA - Il 17 marzo, festa del tricolore per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, sarà festa nazionale. Lo ha annunciato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta: «Penso che non si andrà a scuola né al lavoro. Ma sarà festa nazionale solo per il 2011, l’anno della ricorrenza», ha precisato.
Letta ha poi spiegato alcuni dettagli: «Il 2 giugno prossimo saranno invitati 26 capi stato europei, più quelli degli Stati Uniti e Russia, a cui si aggiungeranno quelli dei paesi in cui ci sono le comunità italiane più numerose, più radicate e più legate all’Italia. I capi di stato parteciperanno alla parata del 2 giugno caratterizzata sui 150 anni, poi, dopo la colazione al Quirinale, in Campidoglio daranno un saluto all’Italia».
Ancora il 17 marzo il presidente Napolitano si recherà non solo all’Altare della patria, ma anche al Pantheon, dove è sepolto re Vittorio Emanuele II che fu il primo Capo di Stato italiano. Ma, prevenendo ogni ulteriore quesito o polemica, Giuliano Amato, presidente del comitato per le celebrazioni, ha precisato: «Questo non significa che altri successori potranno essere più o meno traslati nella stessa sede. L’Italia - ha sottolineato - fu fatta da Mazzini, Cavour, Garibaldi e da Vittorio Emanuele».
* Il Messaggero, Giovedì 20 Gennaio 2011 - 14:44 Ultimo aggiornamento: Venerdì 21 Gennaio - 14:54
Dall’immunità al Quirinale
di Franco Cordero (la Repubblica, 01.07.2008)
LA STASI generale dei processi è un espediente faute de mieux: B. vuole l’immunità, reiterata nell’ascesa al Quirinale; e che intanto il dibattimento milanese dorma. S‘è visto perdente nel giudizio a regola d’arte (ai bei tempi li affatturava): se no, quale migliore occasione d’un dibattimento trionfale?; così conclude chiunque, munito d’un cervello, non militi sotto bandiera blu (colore della nuova pirateria, epoca «Beautiful»). La sua difesa è l’abusato giuramento purgatorio sulla testa dei figli, quarta volta: tali messinscene valevano poco già otto secoli fa, quando un canone del IV Concilio Laterano, anno 1215, squalifica l’obsoleta macchina giudiziaria vietando ogni apporto ecclesiastico alle «purgationes vulgares» (ordalie e duelli); dalla crisi emergono i sistemi inquisitori (raziocinio empirico sulla questione storica, giudici professionisti, fonti romane, leggi imperiali, statuti). Nella consueta chiave paranoide mima il gesto delle manette davanti ai Confesercenti che lo fischiano: toghe sovversive l’hanno condannato in segreto, sei anni, ma lui non è un povero diavolo inerme; cambierà le regole nell’interesse collettivo, Robin Hood delle libertà; e honny soit chi insinua sospetti d’un profitto personale. A ogni costo deve impedire la decisione milanese. Il famigerato emendamento sulla sicurezza viene utile sotto due aspetti: gli blinda un anno; e mettono paura le centomila cause che manda al diavolo per bloccare la sua. Non è discorso da cavaliere immacolato: li preoccupa la routine sconvolta?; gli garantiscano l’immunità, legando nel frattempo lo scomodo tribunale. Così parlano gli estorsori (art. 629 c. p.): «chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da 5 a 10 anni»; e nessuno se ne stupisce, tanto poca notizia fa Tortuga emersa nell’Olona. Che batta bandiera nera, è già chiaro quando i networks nascenti invadono l’etere, protetti da governanti complici, finché una vergognosa legge ad divum Berlusconem, cosiddetta Mammì (Oscar, ministro delle Poste), consacra il duopolio, ed è niente rispetto al séguito. Cade Craxi premier: affogano i tre del Caf, Craxi, Andreotti, Forlani; il pirata delle tv salta in politica, condottiero forzaitaliota; raddoppiando ogni volta la posta, oltre ad arricchirsi smisuratamente insegue l’en plein assoluto; se il colpo riesce, l’Italia sarà una signoria berlusconiana.
Non ha perso tempo. Venerdì 27 giugno Palazzo Chigi vota un ddl. a beneficio dei quattro presidenti: lui viene modestamente ultimo, dopo Quirinale, Palazzo Madama, Montecitorio; saranno immuni dal processo. Avviene nelle migliori corti europee, spiegano al pubblico i soliti piccoli Goebbels: gli elettori hanno diritto a un governo stabile; come può adempiere l’alto compito chi abbia addosso dei persecutori? Fandonie. I premier d’Europa non godono d’alcuno scudo, salvo l’eventuale autorizzazione a procedere quando siano parlamentari (in Francia e Olanda non lo sono) e viga tale ormai incongrua tutela, qui abolita dall’art. 1 l. c. 29 ottobre 1993 n. 3 (come in Belgio: altrove non è mai esistita, vedi Usa, Inghilterra, Svezia): risaliva ai tempi in cui oppositori scomodi rischiassero pressioni da una magistratura lunga mano del potere esecutivo; nell’Italia attuale il fine sarebbe inverso, lasciare impuniti gli uomini del re-padrone. Qualcosa della nient’affatto riguardosa prassi statunitense sappiamo dal caso Clinton-Levinski. Insomma, B. sarà l’unico capo del governo immune in quanto tale.
Il clou sta nell’art. 5: i processi restano sospesi finché dura la carica e la sospensione «non è reiterabile»; parrebbe uno sbarramento equo ma in cauda venenum, «salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura». Undici parole, soppesiamole. Due casi sono chiari: Il governo è affondato: dopo Primus viene Secundus; affonda anche lui; riappare Primus e perdurando la legislatura, rivive l’immunità. La seconda conclusione sicura è che a tali fini non valgano uffici diversi in legislature distinte, altrimenti un presidente del consiglio planerebbe au dessus de la loi 22 anni se, avendo governato per 5, nei 10 seguenti presiedesse Camera alta e Camera bassa, scalando infine Monte Cavallo.
L’art. 5 ammette il bis solo rispetto alla «nuova nomina» durante «la stessa legislatura»: ora, niente impedisce che l’ex premier guidi una Camera o tutt’e due o la Repubblica; nella quale ultima ipotesi verosimilmente cade il limite dell’immunità alla singola legislatura; eletto in termine, la conserva sette anni. Sappiamo dove miri B.: puntava al Colle già nel secondo governo; vuol salirvi con i poteri d’un De Gaulle o Bush, mettendo a Palazzo Chigi qualche commesso ubbidiente e revocabile; tale resta l’obiettivo ma c’è una deadline o termine finale, oltre cui l’Eldorado svanisce (metafora molto realistica perché nemmeno lui sa quanti miliardi gli pioverebbero in soprannumero politico); il tutto deve accadere nella XVI legislatura. I conti sono presto fatti: Camera e Senato durano 5 anni, prorogabili con una legge, «soltanto in caso di guerra» (art. 60 Cost., c. 2); evento improbabilissimo; il quinquennio spira nell’aprile 2013; poco dopo scadono i sette dell’attuale Presidente; il quale fissa l’elezione entro 15 giorni dalla riunione delle Camere nuove; l’art. 85. Cost, c. 3, gli proroga i poteri; idem qualora manchi meno di tre mesi allo scioglimento delle Camere.
Se tutto va secondo i suoi calcoli, dunque, B. diventa capo dello Stato, presiedendo il Csm: sono gesta da Nave dei folli (tema ricorrente nella pittura didascalica quattro-cinquecentesca), visto che animale da preda sia e cosa pensi dei magistrati (mestiere sporco, vi confluiscono gli affetti da turbe mentali; e progetta visite psichiatriche); saranno spettacoli d’una strabica Dike fescennina ma, svanita l’immunità, eccolo in tribunale sotto l’accusa d’avere pagato un testimone perché mentisse. Non può succedere: il suo mondo ha qualche aspetto psicotico, però Leviathan, alias Caimano, è azzannatore infallibile; molti deliri sono coerenti; e nelle psicosi «acted out» il delirante modifica l’ambiente adeguandolo a sé. Dovendo essere eletto in questa legislatura, presuppone l’esodo dell’attuale Presidente. I casi sono tre: morte (nessun precedente); impedimento da malattia (Antonio Segni); dimissioni (Giovanni Leone). In tal senso aveva accennato una mossa. Resta da dire che mostro sia in termini costituzionali il ddl. dei quattro presidenti (meglio denominabile «c’est Moi», maiuscolo), e l’argomento richiede discorsi terribilmente seri.
Immunità: la vittoria della Casta
di Elio Veltri *
I tre provvedimenti del governo sulla giustizia finiscono di raderla al suolo. Come sempre, per giustificarne l’approvazione si è chiamata in aiuto l’esperienza degli altri paesi senza la minima informazione per chi l’ha fatto e senza entrare nel merito, con il necessario puntiglio, da parte dei contraddittori che preferiscono i comizi ad una informazione precisa, tanto più necessaria dal momento che i cittadini sono assuefatti alla tv che, tranne lodevoli eccezioni, disinforma. Bene ha fatto l’Unità a ricordare sinteticamente cosa accade negli altri paesi europei e negli Stati Uniti riguardo alle alte cariche dello Stato. Questo giornale aveva pubblicato il libro "La legge dell’impunità", sul Lodo Schifani, nel quale ripercorrevo le vicende italiane dallo Statuto Albertino ed europee sulle prerogative dei parlamentari e dei governanti.
Ora desidero aggiungere che anche nei Paesi Bassi, in Belgio, Lussenburgo, Svezia, Finlandia, Danimarca e Portogallo, non esiste ombra di immunità né per il capo del governo né per i ministri.
Non solo, in nessun paese civile e democratico, sarebbe pensabile di introdurre leggi di salvaguardia assoluta delle alte cariche dello Stato mentre si svolge un processo per reati gravi come può essere quello per corruzione in atti giudiziari. La proposta del governo, come hanno spiegato noti costituzionalisti, è palesemente incostituzionale perché stravolge il principio cardine dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge( articoli 3 e 24) e, se proprio si volesse approvarla, bisognerebbe passare per le strettoie della legge costituzionale, con doppia lettura parlamentare e referendum nel caso mancasse la maggioranza dei due terzi.
Però, a quel punto, la legge non servirebbe più per le necessità immediate del capo del governo. Le ragioni che adducono anche autorevoli commentatori, penso all’articolo di Galli Della Loggia sul Corriere di oggi, a sostenere misure come quelle approvate a tempo di record dal governo, sarebbero da attribuire all’uso spregiudicato della obbligatorietà dell’azione penale e allo strapotere dei pm che non troverebbe il necessario contrappeso nella " terzietà" dei giudici.
Tutti i ragionamenti che si fanno prescindono dalla situazione del nostro paese del tutto peculiare a causa della quantità e qualità dei reati che determinano illegalità diffusa, corruzione penetrante e criminalità organizzata, la più grande multinazionale del paese, che non hanno riscontro in nessun altro paese democratico europeo e degli altri continenti. Perciò, quando si scrive, sarebbe necessario sapere di cosa si parla e, soprattutto, come ci si comporta nei paesi ai quali si fa sempre riferimento quale esempio di civiltà. Ometto di citare il più grande studioso liberale, Maranini, a proposito dei poteri della magistratura e del suo ruolo a salvaguardia della democrazia, previsti dalla Costituzione, perché l’ho fatto più volte: altro che metastasi di cui parla il Presidente del consiglio che si dichiara liberale a tutto tondo! Noi abbiamo introdotto nel nostro processo il sistema accusatorio nel 1989 mutuandolo dal sistema anglosassone.
Negli USA le condanne, soprattutto per i reati che il decreto bloccaprocessi considera meno gravi, sanzionati con pene inferiori a 10 anni di carcere, come corruzione, falso in bilancio, evasione fiscale ecc, che incidono direttamente sull’economia e sugli affari condizionandoli e danneggiano gli utenti e i risparmiatori, sono feroci. Scattano dopo il primo grado di giudizio, gli imputati vengono portati in tribunale con le manette ai polsi, la prescrizione e le attenuanti generiche non esistono e gli anni di carcere sono inferiori solo a quelli previsti per gli omicidi più crudeli. Quanto al potere dei magistrati inquirenti sono inimmaginabili e nessuno osa criticarli.
Vogliamo fare un esempio concreto? Rileggiamoci i poteri che il Martin Act del 1921 conferisce al Procuratore dello Stato di New York, ampiamente usati anche nei giorni scorsi per le frodi sui mutui sub-prime: il magistrato può decidere se l’inchiesta deve essere segreta o resa pubblica; scegliere se una frode deve essere repressa attraverso un’azione penale o civile; impedire a una impresa o società di svolgere attività nello Stato per tutto il periodo delle indagini; obbligare i testimoni a rinunciare ad un avvocato e a rispondere alle domande considerando le mancate risposte come accertamento della frode avvenuta ecc. Cosa diciamo che l’America ha un sistema giudiziario barbaro e indegno di un paese civile e che è civilissima solo quando bombarda l’Iraq? Forse possiamo dire che in quel paese la certezza della pena esiste e per tutti.
Nel decreto bloccaprocessi la corruzione è considerata un reato minore ed è stata introdotta nell’elenco dei reati intercettabili solo perché Bossi si è impuntato. Ora, basta leggere le graduatorie di Trasparency International sul rapporto quasi matematico tra corruzione e competitività delle imprese e dell’economia, per sapere che il nostro paese è al 41° posto per la corruzione e al 49° per la competitività: un disastro. Si continua a parlare, anzi a straparlare di economia e di competitività ma il rapporto viene ignorato e nessuno ne spiega le ragioni. Quindi, tenuto conto che l’Italia non compete e gli imprenditori di altri paesi da noi non investono, la corruzione dovrebbe essere uno dei reati di grandissimo allarme sociale e più sanzionati. Se poi è corruzione in atti giudiziari ancora di più. Non ci si fida delle statistiche di Trasparency? Non importa. Basta leggere il rapporto del commissario anticorruzione che è alle dipendenze della presidenza del Consiglio. La situazione viene considerata catastrofica e molto più grave rispetto a tangentopoli. Però il governo ha deciso che il paese avrà un futuro luminoso con una economia straordinariamente solida, anche in presenza di un sistema di corruzione diffusa e penetrante.
Anche i tempi dei processi incidono sull’economia. Quelli del processo penale perché dovrebbe sanzionare i reati economici e finanziari; quelli del processo civile perché incide direttamente sugli affari e la Banca Mondiale su 175 paesi monitorati ci mette al 168 posto; quello tributario perché riguarda l’evasione fiscale e forse non molti sanno che su 100 euro di evasione accertata dalla Guardia di Finanza lo Stato ne incassa 1,28. Io non parlo di etica perchè so bene che suscita una sorta di allergia. Sto parlando di economia che sembra costituire la preoccupazione maggiore dei gruppi dirigenti di questo paese. Qualcuno pensa davvero in buona fede che i tempi della giustizia dipendono dai magistrati fannulloni che non lavorano? Ci sono anche quelli.
Ma i processi non si fanno e la certezza della pena non esiste perché le leggi approvate negli ultimi 20 anni hanno puntato diritto al cuore della prescrizione dal momento che i gruppi dirigenti di questo paese rifiutano i controlli di legalità. Se si vuole davvero ridurre drasticamente i tempi dei processi è necessario cambiarne la struttura. Altrimenti si fa demagogia e si mente sapendo di farlo. Le proposte del governo costituiranno una formidabile istigazione a delinquere e a rendere il paese più illegale di quello che è.
* l’Unità, Pubblicato il: 30.06.08, Modificato il: 30.06.08 alle ore 9.04
Messaggio del presidente del consiglio alla federazione italiana tabaccai
"Bisogna riformare una giustizia che delude le aspettative"
Berlusconi: "Polemiche strumentali
vado avanti, nell’interesse di tutti" *
ROMA - "Tante polemiche strumentali finiscono col mettere in secondo piano l’interesse collettivo". Silvio Berlusconi, in un messaggio inviato al convegno della Federazione italiana tabaccai, torna sulle dure polemiche sollevate dalle sue iniziative in materie di giustizia. E lo fa riaffermando le scelte prese, assicurando "ogni sforzo perchè l’interesse di pochi non prevalga su quello di quasi tutti" e insistendo "nella direzione che era indicata nei programmi e si incarna nella nostra azione". Nessuna frenata, nessun passo indietro. Nonostante il clima politico rovente, nonostante gli inviti "alla cautela" di Bossi, il presidente del Consiglio va avanti. "Il governo ha scelto di mettere la sicurezza e l’ordine pubblico fra le priorità della propria azione, compresa la volontà di ridare efficienza e forza credibile ad una giustizia che, troppo spesso, delude le aspettative in essa legittimamente riposte" spiega Berlusconi.
Lontani i tempi del dialogo con l’opposizione. "Alcuni atteggiamenti e alcune posizioni sono volgari violenti e contro il dialogo" dice il ministro delle attività produttive Claudio Scajola. Mentre Walter Veltroni annuncia, in una lettera all’Unità, il via ad un viaggio attraverso l’Italia.
* la Repubblica, 30 giugno 2008.
Il presidente della Repubblica ha festeggiato i suoi 83 anni sull’isola Appello alle forze politiche. I messaggi di auguri di Fini e Schifani
Napolitano, compleanno a Capri
"Auspico clima sereno in politica" *
CAPRI (Napoli) - Nel giorno del suo ottantatreesimo compleanno, festeggiato a Capri, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lancia un appello alle forze politiche: "Auspico un clima più sereno e costruttivo nella politica italiana e nella vita istituzionale".
Il capo dello Stato, che è stato avvicinato dai giornalisti all’uscita dell’hotel "La Palma" dell’isola azzurra - dove ieri ha brindato poco prima della mezzanotte, con la moglie Clio e con pochi amici - ha detto di aver ricevuto numerose telefonate. "Gli auguri più graditi naturalmente sono stati quelli dei miei figli", ha dichiarato.
Tra i messaggi ricevuti, quelli della seconda e della terza carica dello Stato. Il presidente del Senato, Renato Schifani, gli ha inviato il seguente messaggio: "Caro Presidente, desidero inviarle, nella felice occasione del suo compleanno, anche a nome dei colleghi senatori, i più sinceri auguri. Il suo costante impegno nella difesa delle istituzioni democratiche e del dialogo tra le forze politiche costituisce esempio prezioso per il nostro lavoro quotidiano. Voglia accogliere, caro Presidente, i sensi della mia più alta stima e considerazione". Ecco invece il testo del presidente della Camera, Gianfranco Fini: "Mi è gradita l’occasione per confermarle la mia sincera gratitudine per l’alto impegno da lei profuso a difesa e garanzia della nostra Costituzione e delle istituzioni repubblicane che rappresenta.".
Alla domanda di un giornalista su quale augurio rivolgesse alla politica italiana Napolitano ha replicato: "Debbo solo ripetermi: il mio auspicio è per un clima più sereno e costruttivo nella politica italiana e nella vita istituzionale". Lungo il percorso a piedi per via Krupp Napolitano è stato salutato da gruppetti di turisti: anche alcuni di loro gli hanno rivolto gli auguri.
* la Repubblica, 29 giugno 2008.
Intervista al segretario del Pd Walter Veltroni. "L’Italia sull’orolo del baratro
ma ancora una volta chi lo governa si occupa dei suoi problemi personali"
"Paese al collasso, dialogo finito"
Berlusconi? "Pensa solo a sè"
E nel Pd stop alla costruzione di steccati. "Votati dal 34% perchè andati soli"
di MASSIMO GIANNINI *
ROMA - "L’Italia vive la crisi più drammatica dal dopoguerra in poi. Berlusconi prende in giro i cittadini, e si occupa solo dei suoi affari personali. Ora basta, il dialogo è finito". Walter Veltroni va all’attacco. Se mai è esistito, il "Caw" è archeologia repubblicana. Tra maggioranza e opposizione è guerra aperta. Il leader del Pd denuncia la "crisi devastante in cui versa il Paese", e punta il dito contro il Cavaliere.
Onorevole Veltroni, da cosa nasce questo suo allarme? "La crisi ha origini antiche. Ma oggi quello che sconcerta è il capovolgimento delle priorità. L’Italia vive la condizione più drammatica dal dopoguerra. Siamo in piena stagnazione. I consumi crollano: quelli finali sono a -2,3%, a -4% nel Mezzogiorno. Per la prima volta siamo passati dal 6,4 al 7,1% nel tasso di disoccupazione. La produttività è -0,2%, il Pil ristagna al +0,1%. Il Paese è fermo".
Ma è fermo da anni. "Sì, ma ora si sommano due circostanze. La prima è la sconcertante manovra del governo. Ora che sale la nebbia degli spot, finalmente viene fuori la realtà. C’è una prima novità, devastante: le tasse aumentano, dello 0,2% nel 2010. E nonostante la promessa elettorale sul calo della pressione fiscale sotto il 40% del Pil, nel 2013 arriverà al 42,9%. Poi c’è la seconda notizia, non meno clamorosa: l’esito della famosa Robin Hood Tax. Dei 5 miliardi presi sa quanto va alla famosa carta per i poveri? 290 milioni di euro quest’anno, 17 l’anno prossimo e 17 l’anno successivo. Briciole. Nel frattempo, aumentano di circa 300 euro le spese nelle famiglie: 180 euro per benzina gas e luce, 100 euro per i generi alimentari. Poi c’è una terza notizia: si riduce la spesa per gli investimenti, 10 miliardi in meno da qui al 2011. Vogliono dare le armi ai vigili urbani, vogliono mettere i vigilantes, ma intanto riducono le spese per gli straordinari delle forze di sicurezza: 800 milioni in meno per la polizia, 800 milioni in meno per i carabinieri, e tagliano 150 mila persone nella scuola. Ecco l’Italia vera: sull’orlo del precipizio".
Segretario, non la vede un po’ troppo nera? "Niente affatto. Questa è la fotografia del Paese, attraversato da impoverimento, insicurezza e paura. E la nostra destra che fa? Chiede le impronte dei bambini rom, una cosa che solo a sentirla fa venire i brividi. Vara una manovra che truffa i cittadini. Inventa il reato di immigrazione clandestina, che il premier definisce impraticabile dopo aver firmato il ddl che lo contiene. Inventa la bufala dei mutui, che costa 13 mila euro in più a famiglia. Mette in scena la farsa dei rifiuti, con Bossi e Calderoli che chiedono alle Regioni di prendere i rifiuti. Perché non l’hanno chiesto prima? Anche i rifiuti sono diventati merce elettorale? E infine rilancia le leggi ad personam. Questo, alla fine, genera un’inquietante caduta dello spirito pubblico. Nel momento più drammatico della storia italiana, di cosa stiamo parlando dall’inizio della legislatura? Del decreto per Rete4, della norma sposta-processi, del Lodo Schifani. Lo trovo intollerabile".
Sul Lodo Schifani o Alfano qual è la valutazione del Pd? "Non do valutazioni finché c’è di mezzo quell’emendamento al decreto sulla sicurezza. Se non si stralcia la norma blocca-processi, non discutiamo del resto. Dopodiché, sul Lodo io chiedo: è la priorità di un’Italia che non sa come arrivare alla fine del mese? E poi aggiungo: c’è bisogno di disciplinare questo tema adesso, in modo così scandalosamente segnato dalla preoccupazione contingente di una delle 4 cariche istituzionali, che vuole una norma per sé e non una norma per la democrazia? E quale principio stabiliamo: un’alta carica dello Stato, che poi magari diventa un’altra alta carica dello Stato, può compiere qualsiasi tipo di reato senza essere perseguibile per un tempo illimitato? No, a tutto questo io dico no. Se c’è un’esigenza di garanzia generale, allora studiamo pure una norma. Ma intanto come disegno di legge costituzionale, e poi la facciamo scattare dalla prossima legislatura. Così si fa, nelle democrazie europee".
Quindi su questo in Parlamento sarà battaglia? "Sarà battaglia su questo, ma sarà battaglia su tutto. Noi vogliamo combattere per ristabilire una gerarchia delle priorità. Qui di urgente non ci sono i decreti salva-processi del premier, ma i disagi di milioni di italiani. Per questo voglio la grande manifestazione d’autunno".
Di Pietro, dal quale siete sempre più divisi, obietta: se c’è davvero l’emergenza democratica, è ridicolo aspettare l’autunno. "Ho parlato dell’autunno perché su alcune questioni sociali, che Di Pietro non sa neanche dove stiano di casa, sarà quello il momento più critico. Detto questo non mi spaventa avere idee diverse su come fare opposizione. Io non vivo col problema che c’è uno che urla più di me, perché sono un riformista e so che per un riformista c’è sempre uno che urla più di te. Ma so anche che quelle urla poi si perdono nell’aria. E so che quelli che alla fine cambiano davvero le cose sono i riformisti. Vivere con la paura del nemico a sinistra è qualcosa di cui ci dobbiamo liberare per sempre".
Ma di fronte a Berlusconi che continua a bastonarvi ha senso continuare a restare appesi al "dialogo", come fosse la nuova ideologia della legislatura? "Lei ha ragione. Il dialogo ha senso solo se dà risultati concreti. Secondo un sondaggio Ipsos, il 71% degli italiani è favorevole al dialogo tra maggioranza e opposizione, purché risolva i problemi. È questo, oggi, che è venuto meno. Berlusconi, alla Camera il primo giorno, ha parlato di un clima nuovo nei rapporti tra maggioranza e opposizione. Io prudentemente risposi "vedremo se alle parole corrisponderanno i fatti". Oggi rivendico la giustezza di quella scelta: pensi che regalo sarebbe stato per Berlusconi, se di fronte alle sue aperture l’opposizione avesse detto: no, io con te non ci parlo perché sei Berlusconi. Sarebbe stato il suo alibi perfetto. Invece noi abbiamo detto: se c’è la disponibilità a fare riforme istituzionali nell’interesse del paese noi siamo pronti. Nessuno può dire che noi abbiamo avuto un atteggiamento pregiudiziale. Ma proprio per questo oggi possiamo avere la libertà totale di dare i giudizi più severi sull’operato del premier".
Ma in queste condizioni ha ancora senso, il dialogo? "No. In queste condizioni il dialogo è finito. È finito perché loro non sono in grado di votare un presidente della commissione di vigilanza se non facendo trattative che noi non facciamo. È finito perché loro sanno procedere solo per strappi, come hanno fatto sulla giustizia. È finito perché Berlusconi è tornato ad essere ciò che è...".
Il Caimano? "Non ho mai dato giudizi personali e continuo a non darli. Mi limito a osservare che il modo in cui Berlusconi ha condotto la campagna elettorale, e poi le cose che ha detto in Parlamento, e poi quelle che sta facendo ora, sono una somma di doppiezze, indistinguibili e inconciliabili. E sono una somma zero per il Paese".
Lei boccia legittimamente il governo, ma parla come se nel Pd fossero tutte rose e fiori. In realtà, dalla sconfitta del 13 aprile, non le pare che siate usciti confusi, sfibrati, divisi? "Ho già detto che la sconfitta c’è stata, ed è stata dura. Ma oggi, a chi accusa dall’interno il gruppo dirigente, rispondo citando Roberto D’Alimonte sul "Sole 24 Ore". Il risultato delle elezioni non poteva essere un punto d’arrivo, ma solo un punto di partenza. Come tale, è stato tutto sommato un buon risultato, ottenuto in condizioni difficili, su cui si può costruire con pazienza, intelligenza e umiltà. Invece quello che appare oggi è un partito ripiegato su se stesso. Eppure, rispetto alle elezioni che avevamo vinto per modo di dire nel 2006, al Senato noi siamo cresciuti del 6%, alla Camera del 2%. Abbiamo il 34% dei voti, cioè siamo agli stessi livelli del Labour in Inghilterra, dell’Spd in Germania, dei socialdemocratici in Svezia".
Verissimo. Ma il Pd resta minoranza nel Paese. E ora oscilla paurosamente sulle alleanze. "Sa perché abbiamo preso quel 34%? Perché siamo andati liberi, ed è una scelta di cui mi piace assumermi fino in fondo la responsabilità. L’Unione era un’esperienza finita, forse già prima del voto del 2006. Oggi c’è qualcuno che ha nostalgia con quelle riunioni di maggioranza con tredici partiti? Se c’è lo dica, si faccia avanti".
C’è chi le obietta: andare da soli non vuol dire coltivare il mito dell’autosufficienza. "Questo è un vizio da vecchia politica politicante: attribuire agli altri una posizione che non hanno, per poi poter polemizzare. Io non sono contro le alleanze a priori, ma ho sempre detto, e lo ripeto oggi, che l’alleanza si fa sui programmi, sulle scelte concrete. Quindi, dalla sinistra radicale a Casini, va bene tutto quello che è convergenza di programma. Ma ferma restando l’idea di fondo: mai più l’unione, che è la principale contraddizione rispetto all’Ulivo. Mai più partiti di lotta e di governo. Quella roba il Paese non la sopporta più".
Sia sincero. Non coglie segnali di malessere dentro il Pd? Ci sarà un motivo se "Europa" definisce l’ultima assemblea costituente "un funerale di prima classe"? "Un segnale di malessere è il fatto che la nostra gente non è contenta di vedere che nel Pd si vanno costruendo recinti e steccati che non dovrebbero esistere. Abbiamo convocato per la terza volta in sei mesi un congresso, perché quando un’assemblea costituente riunisce 2800 persone è come fosse un congresso. Ditemi: quale partito italiano o europeo ha una vita democratica di questa dimensione? E perché la stessa critica non viene fatta ad An, o a Forza Italia? Non si dovevano sciogliere nel Popolo della libertà? La nostra forza, la forza del Pd, sta nell’essere capaci di riconoscere un pluralismo interno di idee, non di strutture. Un pluralismo di contributi intellettuali e di valori, non di casematte organizzate".
La dica pure, la parola maledetta: correnti. Le Fondazioni non sono correnti? La dalemiana Red non è una corrente? "Non lo so, non me ne occupo. Io non faccio correnti, perché la mia unica "corrente" è il popolo del Pd, sono quei 3 milioni e mezzo di cittadini che hanno votato alle primarie".
E di Parisi che la invita a dimettersi cosa mi dice? "Ho stima intellettuale per Parisi. Ma provo nei suoi confronti una delusione umana. Mi sarebbe molto piaciuto che estraesse il suo dardo fiammeggiante nel momento in cui Prodi dopo la vittoria del 2006 fu assediato dai partiti, che lo costrinsero a fare un governo di cento persone. Allora mi sarebbe piaciuto che Arturo si alzasse in piedi e dicesse "se è così io non ci sto". Ma non l’ha detto".
Nel Pd c’è chi dice: se vanno male le europee del 2009 Veltroni è finito. E c’è persino chi pensa che lei potrebbe crollare prima. Cosa risponde? "Rispondo che fa sempre più rumore un albero che cade, piuttosto che la foresta che cresce. Io mi occupo di far crescere la foresta. Gli altri, se vogliono, si occupino di logorare me e il Pd in previsione delle europee. Io farò il contrario. Lavorerò per preparare, fin dal prossimo autunno, l’alternativa forte e credibile a un governo che sta portando l’Italia al collasso. La luna di miele tra Berlusconi e il Paese sta finendo. Tocca a noi proporre alla gente un’altra idea dell’Italia".
* la Repubblica, 29 giugno 2008
Dopo il "magnaccia" rivolto ieri al Cavaliere, in riferimento alle intercettazioni
il leader dell’Idv non fa marcia indietro: "Obbliga il Parlamento a fare leggi per lui"
Di Pietro, niente scuse a Berlusconi
"Lui deve chiederle agli italiani"
ROMA - Il giorno dopo la bufera scatenata dalle sue dichiarazioni su Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro non chiede scusa al premier, per averlo definito "un magnaccia". Anzi. Infatti il leader dell’Italia dei valori, ospite di Lucia Annunziata nel programma tv In mezz’ora, sostiene che è il Cavaliere a doversi "scusare con gli italiani, perché in campagna elettorale ha detto che si sarebbe attivato per farli stare bene. E invece sta obbligando il Parlamento a fare leggi che servono a lui per suo interesse".
"Il mio sarà pure un linguaggio crudo - aggiunge Di Pietro - ma il suo è un insulto agli italiani perché quando ha un processo in corso si fa una legge per farsi salvare". Quindi "è il premier che si deve scusare con gli italiani anche perché non può fare telefonate al direttore della rete pubblica per cui noi paghiamo il canone per dire piazza questo, piazza quello".
Ieri il presidente del Consiglio, dalla Sardegna, ha reagito a quel "magnaccia" di Di Pietro dicendo ai suoi amici presenti "è un mascalzone". Mentre il suo avvocato difensore nonché parlamentare del suo partito, Nicolò Ghedini, ha annunciato querele.
* la Repubblica, 29 giugno 2008.