EU-ANGELO E COSTITUZIONE . "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-8). «Et nos credidimus Charitati...»

DIO PATRIA E FAMIGLIA. La Casa dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti e la casa dei "ragazzi di Salò" del catto-berlusconismo di oggi. Una nota di Ezio Mauro e di Gian Antonio Stella - a cura di Federico La Sala

mercoledì 10 settembre 2008.
 

[...] Stanno perfettamente insieme, nel rozzo bisogno di riaggiustare l’identità della destra dopo 14 anni, l’esaltazione dell’eroismo cieco e patriottico (dunque ingenuo e storicamente "innocente") di Salò con la riduzione del fascismo ad esperimento di modernizzazione autoritaria, travolto solo da un "esito" incongruo e tragico dovuto all’errore dell’innesto nibelungico col nazismo, le leggi razziali e la guerra. Si chiarisce l’aspetto tattico della svolta di Fiuggi, per la fretta dell’arruolamento belusconiano e la necessità conseguente di un cambio rapido di parole d’ordine e di riferimenti politici: una svolta appunto politicista, nient’affatto culturale, e tanto meno morale e storica, come confermano gli esiti odierni.

È facile, sotto il mantello, i numeri e la leadership altrui, diventare ministri e presidenti delle Camere. Più difficile diventare democratici convinti: e addirittura convincenti [...]


Democrazia e fascismo ai tempi della destra

di Ezio Mauro (la Repubblica, 10.09.2008)

NON c’è proprio nulla di "vecchio" o di "nostalgico", come si sono affrettati a dire in molti, nella polemica sulla doppia sortita sul fascismo e su Salò di due uomini di prima fila della destra italiana al governo, il sindaco di Roma e il ministro della Difesa: né francamente è interessante sapere se è per fascismo istintivo, naturale, antico, che nascono queste bestemmie istituzionali, o per la nuovissima incultura repubblicana, europea, occidentale che domina il berlusconismo indisturbato e regnante.

Al contrario, quelle frasi parlano di noi e di oggi, di ciò che siamo come Paese e come classe dirigente, come cultura nazionale e come pubblica opinione. Di questo vale la pena discutere, dunque, non delle piccole beghe tra Storace ed Alemanno che secondo alcuni sono l’unico movente e la spiegazione pacifica e rassicurante di una rivendicazione congiunta fatta davanti ai simboli della Repubblica, e non a caso da due "uomini nuovi" (se così si può dire) proiettati in competizione sul dopo-Fini, nel grembo berlusconiano che tutto concede e nulla vieta.

Stanno perfettamente insieme, nel rozzo bisogno di riaggiustare l’identità della destra dopo 14 anni, l’esaltazione dell’eroismo cieco e patriottico (dunque ingenuo e storicamente "innocente") di Salò con la riduzione del fascismo ad esperimento di modernizzazione autoritaria, travolto solo da un "esito" incongruo e tragico dovuto all’errore dell’innesto nibelungico col nazismo, le leggi razziali e la guerra. Si chiarisce l’aspetto tattico della svolta di Fiuggi, per la fretta dell’arruolamento belusconiano e la necessità conseguente di un cambio rapido di parole d’ordine e di riferimenti politici: una svolta appunto politicista, nient’affatto culturale, e tanto meno morale e storica, come confermano gli esiti odierni.

È facile, sotto il mantello, i numeri e la leadership altrui, diventare ministri e presidenti delle Camere. Più difficile diventare democratici convinti: e addirittura convincenti.

Nell’immaturità della svolta, due elementi appaiono soprattutto fragili, e tra loro collegati. L’orrore e la vergogna delle leggi razziali, insieme con la necessità di un accreditamento internazionale, hanno portato Fini e tutta la classe dirigente di An a periodizzare la loro presa di distanza dal fascismo dal 1938. Tutto ciò che è avvenuto in questo senso è naturalmente doveroso e positivo, a partire dal primo incontro tra Fini e Amos Luzzatto, presidente della comunità ebraica italiana, che "Repubblica" ospitò nel 2003 su richiesta dello stesso Luzzatto, perché il leader di An non poteva andare in Israele senza prima aver fatto i conti con gli ebrei italiani. E tuttavia questo forte passo in avanti (nell’assunzione di una responsabilità storica, e nel discostarsene, condannandola) ha un limite se resta isolato.

Perché se non c’è una condanna del fascismo come regime ("antiparlamentare, antiliberale e antidemocratico" come disse Mussolini nel ’25) si disconosce la sua stessa "natura", la sua opposizione al principio di uguaglianza attraverso l’elitismo da un lato e il razzismo dall’altro, e dunque si può separare - come appunto fa Alemanno - l’esito tragico del Ventennio dalla tragedia quotidiana che nasceva dalla sua stessa essenza liberticida, dal suo "odio per la democrazia", da quella che Turati chiamò l’"anticiviltà".

Non solo: concentrando il "male" del fascismo nel ’38, la condanna di quel male si risolve in un atto di contrizione personale a Yad Vascem, come se l’orrore supremo dell’Olocausto assorbisse in sé tutti gli altri scempi della democrazia compiuti dal regime, ogni altro gesto di riparazione, ogni legittima aspettativa degli italiani che avevano subito torti, abusi, violazioni della libertà. A partire dall’assassinio di Matteotti, per il quale nessun post-fascista ha sentito il bisogno nell’anniversario, ottant’anni dopo, di esprimere una condanna dal palazzo del governo, dopo che dal palazzo del governo Mussolini aveva impartito l’ordine di ammazzare un deputato d’opposizione.

Questo limite ha tre ragioni evidenti. La prima è la mancanza di un’autonoma necessità democratica degli uomini di An a chiudere per sempre la storia del loro passato, assumendo non solo la democrazia come contesto imprescindibile della vicenda odierna, ma i costruttori della democrazia - a partire dalla Resistenza - come Padri di una Repubblica condivisa e accettata nei suoi valori e nei suoi caratteri fondanti, tradotti nella Costituzione.

La seconda è il limite naturale del berlusconismo - una specie di autismo politico - che concepisce la sua grandezza nell’edificazione di sé e non nella costruzione di una moderna cultura conservatrice democratica e occidentale che il Paese non ha mai conosciuto, doroteo o fascista com’è sempre stato a destra. La terza è lo strabismo congenito degli intellettuali liberali e dei loro giornali, che non hanno mai incalzato la destra per spingerla a liberarsi dei suoi vizi storici e dei suoi ritardi culturali, risparmiando con avarizia ideologica evidente quel pedagogismo che per decenni hanno opportunamente dispiegato nei confronti dei ritardi e delle colpe del comunismo: e che esercitano ancora - naturalmente a senso unico - anche oggi che il comunismo è per fortuna morto ed è nata una sinistra di governo riformista.

Anzi, dovremmo dire che proprio le indulgenze della cultura italiana e del suo establishment compiacente, la permeabilità azionaria (salvo naturalmente la golden share berlusconiana) del Pdl dove contano solo fedeltà e rapporti di forza, non scommesse culturali e coraggio politico, la nuova predisposizione italiana verso il politicamente scorretto e il "non conforme", rendono possibile ciò che sta accadendo: non nel pensiero politico, che con ogni evidenza non c’è, ma nella prassi di governo della destra.

È come se il contesto italiano di oggi autorizzasse un passo indietro rispetto ai timidi passi avanti di più di un decennio fa. Oggi, in questa Italia, è evidentemente possibile onorare Salò e rimpiangerla. Oggi è possibile rivalutare il fascismo, poi incespicare in una correzione travagliata costruita con due "non" ("comprendere la complessità storica del fenomeno totalitario in Italia non significa non condannare...) per la difficoltà di dire con nettezza qualcosa di chiaro, di risolto, di comprensibile. Dire, soprattutto, cos’è oggi questa destra, in cosa credono i suoi uomini.

Bobbio aveva avvertito su questo possibile esito dello sforzo decennale del revisionismo per affermare un rifiuto dell’antifascismo in nome dell’anticomunismo: una nuova forma "aberrante" di equidistanza tra fascismo e antifascismo. È ciò che stiamo sperimentando in questo inizio di stagione, nella distrazione italiana del dopo-ferie, in un Paese in cui il senso comune - con i suoi pregiudizi - si è sostituito alla pubblica opinione (con la sua consapevole capacità di giudizio), la sinistra è prigioniera della sua subalternità culturale prima che politica, manca un principio di reazione perché non è in campo un pensiero alternativo al pensiero dominante: mentre si allarga ogni giorno, per conseguenza naturale, quella che i vecchi sudditi sovietici chiamavano la capacità di "digestione" della società.

Ma lo stesso Bobbio avvertiva che alla base della repubblica (e probabilmente della sua tenuta nel lungo dopoguerra) c’era un sentimento civile condiviso: un’"idea comune della democrazia". È’ ciò che oggi manca ed è la dominante della fase che stiamo vivendo. Proverei a dare questa definizione: in Italia oggi si contrappongono due diverse idee della democrazia. Non c’è bisogno di giudizi roboanti o di etichette improprie. È sufficiente guardare la realtà. Da un lato c’è un’idea repubblicana, nazionale ed europea che potremmo definire di democrazia costituzionale, che si riconosce nello Stato moderno, nella divisione dei poteri e nel principio secondo cui la sovranità "risiede" nel popolo. Dall’altro lato c’è l’idea di una democrazia che potremmo chiamare demagogica, una sorta di autoritarismo popolare continuamente costituente di un ordine nuovo, quasi una rivoluzione conservatrice che sovverte l’eredità istituzionale mentre la governa: in nome di un populismo che crea se stesso come un potere sovraordinato agli altri, nella prevalenza della decisione rispetto alla regola, anzi nella teorizzazione della nuova libertà post-politica che nasce proprio dalla rottura delle regole, perché il nuovo mondo si gerarchizza spontaneamente nella subordinazione volontaria al demiurgo.

Ce n’è abbastanza (basta pensare ai richiami impliciti ma evidenti del futurismo, del dannunzianesimo, dell’irrazionalismo, del nazionalismo, della restaurazione rivoluzionaria) perché l’istinto fascista nascosto ma conservato voglia fare la sua parte, si agiti sotto la cenere di una fiamma mai spenta, chieda di partecipare al banchetto costituente di questa "destra realizzata" che cerca una forma compiuta in Italia, una definizione che vada oltre l’orizzonte biografico berlusconiano e il limite biologico del suo titanismo. Così come si capiscono le responsabilità di tutto questo.

Si capisce meno, se questa è la partita, cosa faccia chi per definizione sta dall’altra parte del campo. Se questo, tutto questo è destra (qualcuno può ancora avere dubbi?) si può rinunciare ad essere sinistra, col Pd, sia pure sinistra finalmente risolta, e capace di parlare all’intero Paese? Non solo: quell’idea comune della democrazia - che in gran parte coincide con la civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri, dunque è di per sé "costituente" dell’identità civile del Paese - non si può declinare e costruire già dall’opposizione, con il rischio di scoprire magari che quel sentimento è già maggioranza nella coscienza dei cittadini?



-  Cautela a onorare i «ragazzi di Salò»
-  Ignazio La Russa sarebbe più prudente se conoscesse la storia di Hans Schmidt

di Gian Antonio Stella(Corriere della Sera, 10.09.2008)

Ignazio La Russa ha mai sentito parlare di Hans Schmidt? Se conoscesse la sua storia, forse ci andrebbe più cauto, prima di stupirsi per le polemiche sul suo omaggio ai soldati di Salò e di lagnarsi di «una forma di razzismo culturale» che impedirebbe addirittura di parlare (bum!) a chi è di destra.

Alberto Asor Rosa, anni fa, spiegò benissimo le cose: «Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buona fede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, chè di queste non ce ne sono. Non ce ne importa nulla che i bravi "ragazzi di Salò" non sapessero cosa difendevano, insieme con l’onore della patria. Capita, talvolta, nella storia di trovarsi dalla parte sbagliata».

In quel 1944 in cui i repubblichini affiggevano sui muri manifesti grondanti di croci uncinate («Arruolatevi nella legione SS italiana. L’Italia si riscatta solo con le armi in pugno» oppure «Operai italiani arruolatevi! La grande Germania vi proteggerà! »), Schmidt morì nel nome della democrazia, della libertà, della resurrezione dell’Italia occupata dai nazisti.

Hans era un giovane di trent’anni di Treptow-Köpenick, un municipio berlinese e aveva militato giovanissimo nel partito operaio socialista e socialista era rimasto. Sua moglie si chiamava Else, la figlioletta Eva. I nazisti ne diffidavano. Ma ormai, a guerra persa, mettevano in divisa tutti.

Arruolato come marconista, nel 1944 era a Albinea, a una decina di chilometri da Reggio Emilia, dove l’esercito hitleriano aveva un centro di trasmissioni. Fin dal primo giorno, quel ragazzo che portava il più tedesco di tutti i nomi tedeschi, non aveva avuto dubbi sulla parte con cui stare. Era riuscito a mettersi in contatto con i partigiani italiani, aveva passato loro armi, munizioni, informazioni. Finché, nell’agosto di quel penultimo anno di guerra, aveva messo a punto con altri quattro soldati anti-nazisti un piano per consegnare la postazione militare alla Resistenza.

Non si sa chi li tradì. Fatto sta che poche ore prima del colpo di mano, Hans Schmidt, Erwin Bucher, Erwin Schlunder, Karl-Heinz Schreyer e Martin Koch furono arrestati. Hans ed Erwin furono torturati per ore e ore prima di essere finiti con una pistolettata in faccia.

I loro amici vennero fucilati. «La domenica del 27 agosto fu una giornata silenziosa», avrebbe raccontato don Alberto Ugoletti, parroco di Albinea, «Nessuno poteva avvicinarsi al Comando. Si tendevano le orecchie, si guardava... Alle sei e mezzo del pomeriggio si udirono tre scariche di mitraglia. (...) Scendevano le tenebre quando si posero i cadaveri nella fossa. Prima di ritirarmi mi sono avvicinato al comandante chiedendo se potevo avere i nomi. Mi rispose seccamente di no. Uscendo un soldato mi si avvicinò: domattina ritorni sulla tomba e sotto le zolle troverà dei biglietti col nome. Sono figli di un dio ignoto, prete».

Così morì, insieme coi suoi amici, Hans Schmidt. Il «nostro » Hans Schmidt. In tutta la guerra non aveva sparato un colpo. Un po’ dell’onore tedesco, però, lo salvò lui. E a nessun ministro della difesa di Berlino verrebbe mai in mente di onorare chi, pensando di difendere la Germania, lo torturò a morte.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  EU-ANGELO E COSTITUZIONE . "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-8). «Et nos credidimus Charitati...»
-  LA LINGUA D’AMORE DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI E LA COSTITUZIONE.

-  "Deus caritas est". Sul Vaticano, in Piazza san Pietro, il "Logo" del Grande Mercante!!!
-  Caro BENEDETTO XVI ... Messa in latino? Ma quale latino?! Quello a "motu proprio"?
-  "Sàpere aude!". Faccia come insegna CONFUCIO. Provveda a RETTIFICARE I NOMI.
-  Segua FRANCESCO !!! E ri-mediti sulla ’sollecitazione’ (Un "Goj") di Luigi Pirandello ... a Benedetto XV.

-  ITALIA 2008: GIORNO DELLA MEMORIA (LEGGE 211, 20 LUGLIO 2000).
-  LAGER DI WIETZENDORF, 1944. Basilica di S. Ambrogio, Natale 2000: il Presepio degli Internati Militari Italiani.
-  In memoria di Enzo Paci e a onore del Cardinale Martini.

-  LA SVOLTA DI SALERNO... E LA LOTTA PER LA LIBERTA’ E LA DEMOCRAZIA, OGGI!

-  IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS. Per un riorientamento antropologico, e teologico-politico....
-  IL SOGNO "INFANTILE", DEVASTANTE E GOLPISTA, DI "FORZA ITALIA" E DELLA CHIESA "CATTOLICA" E’ FINITO!!!
-  1948- 2008: LA COSTITUZIONE ITALIANA E’ GIOVANE E SALDA E, CON LE SUE RADICI DANTESCHE ED ETERNE, NON HA PAURA DELLE SFIDE DELL’AVVENIRE!!!


Rispondere all'articolo

Forum