Approfondimento

Roma, Piazza Farnese, la giustizia, la Calabria: la serietà della società civile, la riduzione della stampa, l’errore di Grillo, lo scivolone di Di Pietro, la chiusura di "la Voce di Fiore", l’impegno dal basso

sabato 31 gennaio 2009.
 

Ieri ho visto almeno quattro anime alla manifestazione di Roma per la giustizia. C’era la società civile, composta, consapevole, solidale, reattiva. C’era Beppe Grillo, col suo copione di scena, riciclato e ripetitivo. C’era Antonio Di Pietro, politico, che ha definito mafioso il silenzio, quando occorre parlare. C’era la stampa, infine, pronta a selezionare, con successiva lavorazione, del materiale buono a squalificare l’evento.

Nella società civile c’erano Salvatore Borsellino, che ha esortato a resistere e lottare. C’era Sonia Alfano, a testimoniare la necessità d’un impegno civile costante. C’era Serenetta Monti, operativa, interattiva, rigorosa nell’enunciazione. C’erano i familiari di vittime della mafia, con le loro storie drammatiche e la voglia di rappresentarsi come Stato; da non confondere con certo potere immobile sulle emergenze e arrogante innanzi alla legge. C’era Pancho Pardi, a ribadire il significato autentico della parola "libertà". C’erano Carlo Vulpio e Marco Travaglio, a riferire fatti, il che è precisamente il primo obbligo dei giornalisti. C’eravamo Saverio Alessio e io, a denunciare l’abbandono della Calabria e il dominio delle coscienze attraverso i sistemi affaristici emersi nell’inchiesta Why not. C’era la piazza, fatta di persone comuni, di associazioni, movimenti, pensionati, giovani, lavoratori. Teste informate e pensanti.

C’era un problema serio, a motivo della convocazione in piazza, e cioè l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. "Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge" (articolo 25 della Costituzione repubblicana) e nessuno può sottrarsi all’iter della giustizia, approfittando di posizioni di potere. Nessuno.

Rientrava, nella civile protesta civile di Piazza Farnese, la sospensione del procuratore capo di Salerno, Luigi Apicella. Ancora, vi rientravano i provvedimenti disciplinari in capo ai magistrati che, per dovere costituzionale, hanno cercato la verità sui fondi concessi per lo sviluppo della Calabria, scomparsi, e su presunti ostacoli agli accertamenti. Ostacoli che Luigi De Magistris, già titolare di Why not, denunciò come interni alla Procura di Catanzaro, cui apparteneva.

L’effettiva destinazione dei fondi europei è l’oggetto di Why not, la scottante inchiesta giudiziaria sottratta a De Magistris con l’iscrizione, tra gli indagati, dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella.

Il resto è cosa nota a chi si documenta: l’invenzione dei media d’una guerra fra le procure di Salerno e Catanzaro, la disinformazione della stampa grossa e la conferma, da parte del Tribunale del Riesame di Salerno, della legittimità del "decretone" firmato da Apicella; in cui, per magistrati e politici di Catanzaro, sono ipotizzati reati gravissimi.

Questa realtà e la questione centrale - che riguarda, come ricordato, la sottrazione di fondi europei per lo sviluppo della Calabria, regione senza servizi dominata dalla ’ndrangheta e dal clientelismo politico -, sono state sapientemente adombrate. Grazie a un confronto politico in tv caratterizzato da atteggiamenti da spettacolo, slogan e chiacchiere di palazzo. Grazie alla mancanza di senso critico di buona parte della stampa, che ha tradito la propria missione, assoggettandosi all’imperio della lobby dei più forti. Grazie, come sempre, all’oscuramento dei governati, che, non essendo in parlamento, non hanno diritto di parola, nell’italietta dei furbi e dei tronisti.

Per questo motivo, la società civile è scesa in piazza. Per raccontare la situazione, per respingere semplificazioni e mistificazioni della politica, dell’informazione. Per questa ragione, a Roma sono arrivate coscienze civili da Messina, da Pordenone, da Cagliari, dalla Calabria e da altre località italiane. Perfino dalla Svizzera e dalla Francia.

Ho visto il collega napoletano Gianluca, ho visto gli instancabili ragazzi di Energia Messinese, ho visto Emanuela, che continua a sperare; ho visto Teresa, che ha preso un giorno di permesso per partecipare. Ho visto redattori di Antimafia 2000, ho visto Susanna, che è venuta dal Nord, ho visto Francesco, che m’ha ricordato Andrea Parodi. Ho visto Emilio, giornalista che pubblicherà la sua tesi su Kierkegaard. Ho visto amici di Pino Masciari. Ho visto Nino, che denuncia quotidianamente il malaffare in Calabria, ho visto Orfeo, che crede nelle "piccole azioni positive". Ho visto Bartolo, che ironizza sui guai, Giuseppe, cugino di Francesco Fortugno, e l’onnipresente Raffaele. Ho visto gli inamovibili Chicco e Jessica e tantissimi altri, di cui sono amico pure su Facebook.

Di questo assieme di idealità e responsabilità civili, di saperi, giudizi critici e storie individuali, di questo popolo capace di esprimere pensiero e azione concreti, la stampa non ha tenuto conto. Ci ha censurati, ci ha degradati a cosa eversiva, il che è in primo luogo una contraddizione di termini.

Il giorno dopo Piazza Farnese non ho letto una sola riga sui giornali, circa i contenuti che la società civile, artefice della manifestazione, ha dato con le sue voci, rappresentative d’un movimento variegato, unito dalla necessità di giustizia certa e democrazia vera.

Quotidiani e tg hanno attribuito l’iniziativa all’Italia dei Valori, hanno enfatizzato una frase di Di Pietro, che ha detto: "Napolitano ci sembra poco arbitro". Da qui, hanno dedotto una grave offesa al presidente della Repubblica, ché nel Belpaese ancora non è lecito esprimere opinioni sul comportamento delle istituzioni. E la politica, a ruota, ha tacciato di eversività l’autore della proposizione e l’intera piazza. Da Grillo, che seguita ad argomentare il dramma nazionale con "Psiconano", "Topo Gigio", "i-Pod nano" e la prospettiva delle energie rinnovabili e d’una "descrescita serena", la stampa ha ricavato il qualunquismo dell’intera manifestazione. In cui la società civile ha chiarito, ancora una volta annullata e delegittimata dai giornalisti, che il popolo è sovrano, è portatore di diritti, come sancito dalla Costituzione.

Gli stessi motivi dell’assenza di "Ammazzateci tutti" e "Casa della Legalità" a Roma, articolati sui rispettivi siti, ribadiscono comunque le priorità del Paese: legalità e giustizia.

Beppe Grillo, poteva anche ascoltare gli argomenti esposti dalla base, riverberandone i messaggi essenziali. La stampa avrebbe dovuto tacere, e sarebbe stato inaccettabile, o riportare. Invece, Grillo ha ridotto il problema della legalità a vecchi e comici nomignoli affibbiati a potenti; ha ridotto la questione dell’ingegneria sociale a numero, lamentando, dietro il palco, che bisognava essere in 40.000; poi ripetendolo al quotidiano "il manifesto". Ha poi dichiarato alla stampa, bombardato di fotografie e pubblicità, che oggi bisogna parlare di economia, perché è questo ciò che interessa. Allora, gli ricordo che la rivoluzione deve essere morale e culturale, come diceva Paolo Borsellino. E gli rammento che questo è un processo lento, per cui si deve attendere, e intanto informare, ragionare, incontrare. Gli ricordo che una signora che ha cervello, Loretta Napoleoni, nel suo libro Economia canaglia ha spiegato perché ci troviamo nel disastro. Se non si capisce che dietro ci sono le mafie, e che le mafie non sono soltanto lo spettacolo dell’orrore mostrato nelle fiction, non si può estirpare il male dalla radice, non si può cambiare il mondo.

Le mafie italiane fatturano, secondo le stime accreditate, 130 miliardi di euro all’anno. E i loro beni sequestrati hanno un valore di 1000 miliardi di euro. Che poi non si vendano e lo Stato non riprenda ciò che gli appartiene è un discorso più scomodo e pesante, caro Grillo, della storia ignobile di "Topo gigio" e, per citare "Alan Ford", "AntenMan". Davvero vogliamo credere che le mafie sono altra roba dalle lobby della politica e dell’economia? Davvero facciamo passare questo messaggio? Davvero dobbiamo tacere sulle connessioni e le collusioni? E la storia di Catanzaro, sotto quale specie ricade? E la vicenda di "Europaradiso" a Crotone? Non s’è forse ricordata in Piazza Farnese, SuperBeppe? Lì c’era un certo Salvatore Aracri, secondo il pm Pierpaolo Bruni vicino all’armatissima cosca dei Russelli, di base a Papanice (Crotone), capace, per il magistrato, di condizionare il consiglio comunale di Crotone e alti vertici dei palazzi nazionali ed europei. Allo scopo di ottenere i permessi e i fondi pubblici necessari a edificare un immenso villaggio turistico proposto dal miliardario israeliano David Appel, già sotto accusa, in Grecia, per una grossa faccenda che riguardava pure Ariel Sharon.

Ti ricordo, Beppe, che nelle complesse vicende di Catanzaro ci sono in mezzo, secondo la magistratura, il vicepresidente dell’autorità garante della Privacy, Giuseppe Chiaravalloti, e un membro della commissione parlamentare Giustizia, l’onorevole Giancarlo Pittelli. Su di loro si pronuncerà la giustizia.

A me fa molta rabbia che la Calabria sia uscita di scena, a Piazza Farnese. Mi fa rabbia perché, con umiltà e senza guardare a numeri e riflettori, Saverio Alessio e io, che siamo nessuno e non abbiamo appartenenze partitiche, continuiamo a spiegare il perché dello spopolamento della nostra regione, della sparizione della società civile calabrese. E per questo passiamo per esaltati. Mi fa rabbia perché diciamo che il caso calabrese è il caso dell’Italia tutta, e non abbiamo sostegno, se non dalle voci dell’antimafia civile e da pochi coraggiosi parlamentari. Mi fa rabbia perché la nostra terra, povera e disgraziata, è in questo momento terra d’affari, lo ha dimostrato Why not, e indifferenza disumana. Mi fa rabbia perché il popolo di Piazza Farnese, come quello della manifestazione a Cosenza dopo l’avocazione delle indagini di Why not, ha compreso la situazione e, con la sua partecipazione alla causa della giustizia, ha ugualmente aderito alla causa calabrese. Dalla morte di Fortugno non è cambiato nulla in Calabria. La dipendenza delle masse dalla politica zittisce la società. La televisione del "Grande fratello" l’addormenta. E noi, da calabresi e italiani, possiamo assistere serafici allo sfacelo, alle semplificazioni e alle strumentalizzazioni di chi potrebbe aggregare o fare luce?

Nel 2007, con lo sfortunatissimo libro "La società sparente", lanciammo un allarme dalla Calabria, dove per Natale spariscono, e non se ne ha più notizia, giovani corrieri della droga. Sono i ragazzi che non hanno alternativa; che per guadagnare si affiliano alla ’ndrangheta, piuttosto che allo Stato. Così come spariscono, e per sempre, migliaia di giovani che hanno studiato e non tornano più in Calabria. Il 60,5% degli occupati fra i laureati calabresi tra il 2001 e il 2004, dato Svimez, lavora fuori. Questi non sono processi e fenomeni che, unitamente all’assistenzialismo devastante perpetuato da chi comanda, garantiscono alla ’ndrangheta la gestione del territorio e la realizzazione di enormi progetti d’affari coi poteri occulti? Quale reazione, in un contesto simile? Vogliamo, SuperBeppe, interrogarci? E perché, tu, noi, gli altri, i familiari di vittime della mafia e moltissimi ancora, siamo scesi in Piazza Farnese? Vogliamo ripetercelo che anche questo è Sud? Mi risponderai, stavolta? Possiamo cambiare linguaggio e organizzare una reazione civile su programmi e obiettivi, continuando assieme a informare come Dio comanda? Vogliamo costruire realmente dal basso? Abbiamo la capacità di comprendere la necessità di rimanere uniti, per evitare altre vittime e perdite? Possiamo imparare da Piazza Farnese e coordinarci, incontrarci tutti, mantenere alto il livello di vigilanza? Possiamo dare impulso, di là dai numeri - che comunque a Piazza Farnese erano notevoli, per una manifestazione organizzata in rete e in pochi giorni -, a un’alternativa civica e civile?

Domani chiuderà "la Voce di Fiore", il laboratorio culturale antimafia a cui abbiamo dedicato tempo degli amici calabresi emigrati, Saverio e io. Non abbiamo raggiunto l’obiettivo minimo di sopravvivenza, ma faremo ugualmente un’iniziativa per la nostra terra e proseguiremo altrimenti nell’impegno in cui crediamo. La risposta di chi ci ha sostenuto e Piazza Farnese sono argomenti più che validi. Per proseguire dal basso.

Emiliano Morrone


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