Lunedì 24 agosto, presso l’Istituto commerciale di San Giovanni in Fiore (Cosenza), si terrà alle 21 il dibattito “Cultura, politica, cultura politica”.
Voluto da un gruppo di esponenti della società civile del luogo e patrocinato dal Sindacato autonomo di polizia della provincia di Crotone, “sarà un’occasione - come spiega Roberto Bonina, fra gli organizzatori - per affrontare il tema del rapporto fra letteratura di denuncia e politica, al di là delle parti e possibilmente in una prospettiva unitaria per l’emancipazione del Mezzogiorno e della Calabria”.
Oltre agli onorevoli Angela Napoli (Pdl), Antonio Acri (Pd) e Luigi De Magistris (Italia dei Valori), all’iniziativa interverranno gli scrittori Orfeo Notaristefano, responsabile dell’area Informazione del Consiglio regionale del Lazio e autore di libri di approfondimento sulla ’ndrangheta, come “Cocaina Connection”, e Mauro Minervino, antropologo, saggista e critico letterario; recente l’uscita del suo “La Calabria brucia”, viaggio per le periferie della Calabria, che ha bisogno di riaccendersi in senso culturale, a partire dal basso.
Degli attori leggeranno alcuni passaggi dei due testi. Vincenzo Tiano, vicedirettore del laboratorio culturale antimafia “la Voce di Fiore”, che curerà la moderazione del dibattito, sostiene che, “mai come adesso, in Calabria c’è bisogno di confronti autentici che guardino alla situazione reale e con cui si possano individuare percorsi, culturali e politici, nel senso più nobile del termine, da seguire insieme, abolendo pregiudizi e vecchie resistenze”.
Dal canto suo, Gerardo Tangaro, esperto informatico che ha contribuito fortemente all’organizzazione, dichiara che “in questo momento la marginalità della Calabria, dipendente da certe logiche risapute, ha nella rete un grande nemico”. Il dibattito, che sarà trasmesso in diretta su vari blog, secondo Tangaro “è un momento per comunicare all’esterno un’immagine di quella società calabrese che vuole cambiare senza negare o nascondersi, con la fiducia nel potere della parola”.
Bonina, anche responsabile del Sap per la Polizia stradale di Crotone, invita “tutti a partecipare, trattandosi di un dibattito aperto, con la possibilità di esprimere la propria opinione”.
Sarà presente il segretario del Sap di Crotone, Eugenio Lucente e ci sarà un collegamento web in diretta con un gruppo antimafia di Fano, a nome del quale parlerà Fernanda Marotti, impegnata in importanti battaglie.
Franco Cimino, veterinario e membro dell’organizzazione, “si augura che anche la stampa segua con interesse la serata, in cui si affronterà una questione particolarmente importante per il futuro calabrese”.
Ai presenti verrà offerta, dall’associazione degli emigrati Heritage Calabria, una copia del dvd “L’Abate della speranza”, documentario sul teologo della storia Gioacchino da Fiore realizzato dal compianto regista Max Cavallo, cui sarà dedicata l’iniziativa. Confermata la partecipazione di gruppi della società civile provenienti dal Lazio e da diverse parti della Calabria.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
PARLARE AD AGOSTO (2009) DELL’UNITA’ D’ITALIA, SOTTO L’OMBRELLONE DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA"!!!
L’ANALISI.
Una parola legata al sentimento di colpa che si prova di fronte a un atto riprovevole
Lo stato di salute della democrazia e l’incapacità di provare vergogna
di GIANRICO CAROFIGLIO *
Un sintomo del grado di sviluppo della democrazia e in generale della qualità della vita pubblica si può desumere dallo stato di salute delle parole, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare. Dal senso che riescono a generare.
Oggi, nel nostro paese, lo stato di salute delle parole è preoccupante. Stiamo assistendo a un processo patologico di conversione del linguaggio a un’ideologia dominante attraverso l’occupazione della lingua. E l’espropriazione di alcune parole chiave del lessico civile. È un fenomeno riscontrabile nei media e soprattutto nella vita politica, sempre più segnata da tensioni linguistiche orwelliane.
L’impossessamento, la manipolazione di parole come verità e libertà (e dei relativi concetti) costituisce il caso più visibile, e probabilmente più grave, di questa tendenza.
Gli usi abusivi, o anche solo superficiali e sciatti, svuotano di significato le nostre parole e le rendono inidonee alla loro funzione: dare senso al reale attraverso la ricostruzione del passato, l’interpretazione del presente e soprattutto l’immaginazione del futuro.
Se le nostre parole non funzionano - per cattivo uso o per sabotaggi più o meno deliberati - è compito di una autentica cultura civile ripararle, come si riparano meccanismi complessi e ingegnosi: smontandole, capendo quello che non va e poi rimontandole con cura. Pronte per essere usate di nuovo. In modo nuovo, come congegni delicati, precisi e potenti. Capaci di cambiare il mondo.
Proviamo allora a esercitarci in questo compito di manutenzione con una parola importante e più di altre soggetta allo svuotamento (e alla distorsione) di significato di cui dicevamo. Proviamo a restituire senso alla parola vergogna. Nell’accezione che qui ci interessa la vergogna corrisponde al sentimento di colpa o di mortificazione che si prova per un atto o un comportamento sentiti come disonesti, sconvenienti, indecenti, riprovevoli.
E’ una parola da ultimo molto utilizzata al negativo: per escludere, sempre e comunque, di avere alcuna ragione di vergogna o per intimare agli avversari - di regola con linguaggio e toni violenti - di vergognarsi. La forma verbale "vergognatevi" è oggi spesso utilizzata nei confronti di giornalisti che fanno il loro lavoro raccogliendo notizie, formulando domande e informando il pubblico. Sembra dunque che vergognoso sia vergognarsi. La vergogna e la capacità di provarla appaiono qualcosa da allontanare da sé, una sorta di ripugnante patologia dalla quale tenersi il più possibile lontani.
Sulla questione Blaise Pascal la pensava diversamente, attribuendo alla capacità di provare vergogna una funzione importante nell’equilibrio umano. Nei Pensieri leggiamo infatti che "non c’è vergogna se non nel non averne". In tale prospettiva è interessante soffermarsi sull’elencazione, che possiamo trovare in qualsiasi dizionario, dei contrari della parola. Troviamo parole come cinismo, impudenza, protervia, sfacciataggine, sfrontatezza, sguaiataggine, spudoratezza, svergognatezza.
Volendo trarre una prima conclusione, si potrebbe dunque dire che il non provare mai vergogna, cioè il non esserne capaci, è patologia caratteriale tipica di soggetti cinici, protervi, sfacciati, spudorati. Al contrario, la capacità di provare vergogna costituisce un fondamentale meccanismo di sicurezza morale, allo stesso modo in cui il dolore fisiologico è un meccanismo che mira a garantire la salute fisica. Il dolore fisiologico è un sintomo che serve a segnalare l’esistenza di una patologia in modo che sia possibile contrastarla con le opportune terapie. La ritardata o mancata percezione del dolore fisiologico è molto pericolosa e implica l’elevato rischio di accorgersi troppo tardi di gravi malattie del corpo.
Così come il dolore, la vergogna è un sintomo, e chi non è capace di provarla - siano singoli o collettività - rischia di scoprire troppo tardi di avere contratto una grave malattia della civilizzazione.
Qualsiasi professionista della salute mentale potrebbe dirci che le esperienze vergognose, quando vengono accettate, accrescono la consapevolezza e la capacità di miglioramento, e in definitiva costituiscono fattori di crescita. Quando invece esse vengono negate o rimosse, provocano lo sviluppo di meccanismi difensivi che isolano progressivamente dall’esterno, inducono a respingere ogni elemento dissonante rispetto alla propria patologica visione del mondo, e così attenuano il principio di realtà fino ad abolirlo del tutto.
Come ha osservato una studiosa di questi temi - Francesca Rigotti - l’azione del vergognarsi è solo intransitiva e non può mai essere applicata a un altro. Io posso umiliare qualcuno ma non posso vergognare nessuno. Sono io che mi vergogno, in conseguenza di una mia azione che avverto come riprovevole. Pertanto la capacità di provare vergogna ha fondamentalmente a che fare con il principio di responsabilità e dunque con la questione cruciale della dignità.
Diversi autori si sono occupati alla vergogna. La parola è presente in alcuni bellissimi passi di Dante e ricorre circa trecentocinquanta volte in Shakespeare. Ma è davvero interessante registrare cosa dice della vergogna Aristotele nell’Etica Nicomachea. "La vergogna non si confà a ogni età, ma alla giovinezza. Noi infatti pensiamo che i giovani devono essere pudichi per il fatto che, vivendo sotto l’influsso della passione, sbagliano, e lodiamo quelli tra i giovani che sono pudichi, ma nessuno loderebbe un vecchio perché è incline al pudore, giacché pensiamo che egli non deve compiere nessuna delle cose per le quali si ha da vergognarsi".
Fonte: la Repubblica, 28 luglio 2009