[...] «Ciò che sta accadendo è assolutamente intollerabile. Da un punto di vista giuridico però la questione è complessa. E dopo una consultazione comparata dei codici e della nostra Carta costituzionale, sono arrivato alla conclusione che, nonostante la gravità dei comportamenti, non esiste uno strumento penale efficace per far desistere il Presidente del Consiglio dal dire quello che sta dicendo» [...]
Il giurista
Intervista a Carlo Federico Grosso
«Il premier offende ma il vilipendio scatta solo con l’ok di Alfano»
«Berlusconi denuncia continuamente il potere giudiziario. È gravissimo. Ma per il codice l’accusa scatta solo se lo vuole il Guardasigilli»
di Claudia Fusani (l’Unità, 18.04.2011)
Professor Grosso, ci si interroga sulle continue esternazioni del Presidente del Consiglio contro la magistratura. Un potere dello stato, l’esecutivo, contro un altro potere, quello giudiziario definito a più riprese dal premier “eversivo”. Tutto questo senza conseguenze?
«Ciò che sta accadendo è assolutamente intollerabile. Da un punto di vista giuridico però la questione è complessa. E dopo una consultazione comparata dei codici e della nostra Carta costituzionale, sono arrivato alla conclusione che, nonostante la gravità dei comportamenti, non esiste uno strumento penale efficace per far desistere il Presidente del Consiglio dal dire quello che sta dicendo».
Berlusconi accusa quotidianamente la magistratura di compiere attività «eversiva» contro di lui. Ripete che «vogliono farlo fuori con i processi».
«Se crede che la sue accuse abbiano un fondo di verità abbia il coraggio di denunciare nelle sedi opportune, che non sono i comizi elettorali, indicando situazioni, particolari e persone». Se invece sono campate in aria.... «Allora queste ripetute esternazioni vanno inquadrate in un contesto di delegittimazione sistematica e continua di un potere dello stato contro un altro potere dello stato. Politicamente e giuridicamente questo è molto grave».
Cosa è possibile fare?
«Ho consultato i codici alla ricerca di strumenti adeguati. Ma non ne ho trovati. Prendiamo l’articolo 283 del codice penale che riguarda gli attentati agli organi dello Stato. E’ stato modificato nel 2006. Prima recitava: “Chiunque commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni”. La modifica ha inserito “con atti violenti” e ha abbassato la pena a cinque anni”».
La violenza delle parole non è assimilabile ad atti violenti? «Direi di no». Perchè fu modificato?
«Su imput leghista. In quegli anni il Carroccio aveva guai giudiziari per l’articolo 283.... Più in generale si può dire che nel capitolo del codice dedicato ai delitti contro la persnalità dello stato, non mi pare ci possa essere nulla di riferibile alla situazione attuale. Lo dico meglio: la delegittimazione per quanto sistematica ma sempre a parole purtroppo non è sufficiente per far scattare un’incriminazione di questo genere. La dico ancora meglio: lo Stato ha scaricato la pistola». Roberto Lassini, l’ideatore dei manifesti “Fuori le Br dalle procure”, è stato indagato per vilipendio. «Certo, l’articolo 290, ci stavo arrivando, vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e dell’ordine giudiziario».
Reato d’opinione...
«Che punisce con la multa faccio notare la mula da 1000 a 5000 euro chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le assemblee legislative o il Governo o la Corte costituzionale o l’ordine giudiziario. In ogni caso per procedere è necessaria la richiesta di autorizzazione del ministro di Grazia e Giustizia».
Codice penale spuntato?
«Resterebbe forse spazio per la diffamazione. Comunque anche qui poca cosa. Più in generale quando si verificano situazioni di contrasto anche fortissime tra poteri dello stato il codice penale è strumento improprio».
E la Carta costituzionale?
«Ci sono i poteri che la Carta riconosce al Presidente della Repubblica. Egli ha il potere di vigilare sul buon funzionamento degli organi costituzionali. La vigilanza si può però specificare solo con strumenti di moral suasion efficaci se i destinatari sono propensi ad ascoltare. Il Presidente può anche inviare i messaggi alla Camere che però non ne sono vincolate». Anche il Quirinale quindi, pur in un momento così drammatico, ha strumenti spuntati? «Il Presidente oggi è forse l’unico riferimento morale forte di questo paese. L’auspicio è che questa forza morale e il suo indiscutibile prestigio riescano a disinnescare il dramma istituzionale che il Paese sta vivendo».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
La menzogna come bandiera
di BARBARA SPINELLI *
DUE mesi prima della marcia su Roma, l’8 agosto 1922, Luigi Einaudi prese la penna e disse quel che andava detto nelle ultime ore della democrazia. Disse alcune cose semplici, profetiche: che "è più facile sperare di risolvere con mezzi rapidi ed energici un problema complesso, che risolverlo in effetto". Che l’idea di sostituire il politico con uomini provenienti dalle industrie, dalla "vita vissuta", è favola perniciosa.
Nella favola i non-politici "trasporteranno al governo i metodi di azione che sono loro familiari; faranno marciare le ferrovie; licenzieranno gli inetti; incuteranno un sano terrore agli altri". Ma è una chimera, e la macchina s’incepperà: "Il problema da risolvere non è già di trovare dei grandi industriali disposti a governare la cosa pubblica con la mentalità industriale. Essi non potranno fare che del male. Saranno degli straordinari improvvisatori". Saranno audaci, ma il primo impulso di simili audaci è di semplificare quel che è complesso: "di tagliare i nodi gordiani, di mandare a spasso il giudice che non decide un processo in ventiquattro ore, di ordinare ai direttori delle banche di emissione di far scendere il cambio del dollaro a 10 lire e così via".
Gli italiani tuttavia erano attratti dalla chimera, allora come oggi. Il fatto è che si sentivano abbattuti, tristi: erano "come malati che non trovano tregua alle loro sofferenze da qualunque lato si voltino". La via della dittatura pareva così rapida, e brillante, mentre com’era "noiosa, fastidiosa, minuta, la via della legalità costituzionale, sotto il maligno sguardo di giornali avversari e infidi"! È a questo punto che Einaudi, che nel ’48 sarà il secondo Presidente della Repubblica, ricorda come esista una sola salvezza dall’errore e il disastro che è la dittatura: la discussione, essenza della democrazia. Al cittadino triste e malato ci si rivolge con fiducia, non trattandolo come un triste, un malato. Meglio informarlo bene e aiutarlo a discutere sul vero e il falso, piuttosto che dargli verità preconfezionate per sedarlo. Meglio una pluralità di poteri, che il potere apparentemente efficace di uno solo.
Sono saggezze che tanti italiani hanno difeso lungo il tempo, ma che si sfaldano quando viene meno la discussione libera. Si sfaldano da quasi un ventennio e spesso vien da pensare che siamo nella stasi più totale, ma non è così: ultimamente qualcosa si è incrinato ancor più vistosamente. Accusato di reati commessi prima e dopo essere entrato in politica, il premier ha smesso di presentare le leggi che si fa cucire sulla propria persona come utili per l’intero Paese. I suoi seguaci, politici o giornalisti, hanno cominciato a dire apertamente, senza remore, che sì, il Parlamento deve mobilitarsi per mettere il capo sopra la legge e le corti. Il capo è quel conta, e i suoi eventuali reati sono bazzecole, da non evocare. Di bene pubblico nessuno parla più, l’inganno si disfa e tutto ruota attorno a un privato che governando gode di meritati privilegi.
È cosa sana e buona, rispondere a un attacco giudiziario ad personam con leggi ad personam. Lo stesso Berlusconi ha citato il mitico mugnaio prussiano che nel ’700 decise di veder riconosciute le proprie ragioni, e ai soprusi di Federico il Grande replicò: "C’è pur sempre un giudice a Berlino". Solo che Berlusconi non è un mugnaio, diffida d’ogni giudice, ed essendo Re assoluto pensa di non dover rispondere dei propri soprusi, di potersi fare giustizia da sé. Perfino l’apologo sulla giustizia del mugnaio è riuscito a riscrivere, trasformandolo in apologo dell’impunità.
Altra incrinatura visibile, da settimane, è nel linguaggio dei potenti. I giudici che indagano sui reati sono chiamati ufficialmente brigatisti (Berlusconi davanti alla stampa estera, 13 aprile). Il loro scopo è sovvertire lo Stato, violare la sovranità del popolo elettore. Egualmente eversore è chiunque dissenta: giornalisti, intellettuali, coi quali non si discute. È lunga la lista dei neo-terroristi, e in cima a tutti sta ora Asor Rosa. Probabilmente anche il cardinale Tettamanzi disarticola lo Stato, avendo detto domenica scorsa al Duomo che davvero paradossali sono questi giorni in cui tocca domandarsi: "Perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come "guerra" le loro azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni?". Siamo, insomma, davanti a un salto di qualità importante, a qualcosa che somiglia a una vigilia: tanto esibiti, innalzati come stendardi, sono inganni e paradossi.
Il colmo, a mio parere, è stato raggiunto con l’elogio, da parte di un giornale del potere berlusconiano, del Grande Inquisitore di Dostoevskij (Il Foglio, 16-4). Nelle Lamentazioni che si recitano alla vigilia della Croce e della Resurrezione, Geremia parla di abominio, di panno immondo, e c’è un elemento di abominio nell’allegra difesa di una delle più nere leggende della letteratura. Come pretesto si è scelto il libro di Franco Cassano, L’Umiltà del Male (Laterza). La leggenda narra di Gesù che torna sulla Terra - con la sua mitezza, con i suoi messaggi di libertà - e per la seconda volta, quindici secoli dopo la sua morte, è giustiziato.
Ma il libro è stravolto, usato in difesa del nostro premier. L’Inquisitore non è forse santo ma di certo è più attento alle umane debolezze di quanto lo sia stato Cristo, perché sa quanto il male sia radicato nell’uomo e come difficile sia estirparlo e dare pace ai mortali infelici invece che tormento e angoscia. Sa che l’uomo non sopporta la libertà che Cristo gli ha dato: che la salvezza la troverà inginocchiandosi davanti all’autorità, commettendo le colpe che vuole ma col consenso delle gerarchie ecclesiastiche, le quali prenderanno su di sé il castigo patteggiando con Satana. Le parole che ho letto sabato sul quotidiano berlusconiano sono stupefacenti.
È scritto che il cardinale gesuita di Siviglia (l’Inquisitore), "impartisce (a Gesù) una lezione appassionata e tragica di umiltà del male e di teologia della storia e nella storia, spiegandogli che il suo aristocratismo etico, la sua bontà naturale e santa, non riesce a fare i conti, come riesce invece e bene la sua chiesa gerarchica, con la natura radicale del peccato umano". Gesù non ha la boria e la iattanza dei neopuritani che oggi avversano Berlusconi, ma in fondo appartiene anch’egli a una minoranza etica, che non ama gli uomini come li ama e li aiuta la Chiesa. Solo la Chiesa e l’Inquisitore amano davvero, perché tengono conto dei "bisogni umili delle maggioranze relativamente indifferenti, di coloro che non sono tra gli eletti, che per insicurezza chiedono protezione e sogni, magari anche rivolgendosi ad agenti del male, e che praticano la tutela del proprio interesse legittimo nelle forme e nei modi possibili alla creatura umana sofferente".
Se Gesù non diventa un brigatista, è solo perché nel momento decisivo (un momento musicale, vien definito) tace e bacia l’Inquisitore, a suo modo assoggettandosi. Così vengono distorti sia Gesù sia Dostoevskij: con il suo bacio, infatti, Gesù non s’assoggetta affatto; non accetta il parere dell’Inquisitore e i consigli di Satana. Il bacio è dato perché l’Inquisitore ha detto la verità, su se stesso e la Chiesa (la Chiesa gerarchica, non la Chiesa-popolo di Dio). Perché ancora una volta, come sempre ha fatto, Gesù restituisce all’uomo, compreso il malvagio, la piena libertà di scegliere, ragionando, tra il bene e il male. Dostoevskij almeno lo racconta così: il vecchio Inquisitore sussulta, "il bacio gli arde nel cuore" anche se resiste nella sua idea.
Non ho mai letto elogi simili del Grande Inquisitore, e mi domando cosa li renda possibili: oggi, qui in Italia. Forse perché siamo oltre la constatazione che l’umanità è fatta di un legno storto. La stortura non è constatata, ma incensata, addirittura cavalcata. Una sfiducia radicale negli uomini permette agli inquisitori odierni di trasformare il male e l’ingiustizia in vanti personali messi trionfalmente in mostra. L’uomo è malvagio. Inutile, assurdo, scommettere sulla sua libertà come fece Cristo, perché questa libertà la creatura umana vuole consegnarla, in cambio di protezione e sogni (di "felici canzoni infantili e cori e danze innocenti", scrive Dostoevskij) a chi usa le tre grandi forze necessarie al controllo delle coscienze: il miracolo, il mistero, l’autorità.
Per questo si giunge sino a sfoderare la menzogna come bandiera. Si dice senza temere smentite che Berlusconi è stato sempre assolto nei processi. È un falso: su 16 processi, solo 3 lo hanno assolto, gli altri o sono stati prescritti o è stato abolito il reato con leggi ad hoc. Si dice che i suoi processi iniziarono appena entrò in politica. È un falso: cominciarono prima, e fu colpa di tutta la classe politica accogliere chi era gravemente indagato. Da allora mentire è divenuto possibile, fino alle escrescenze odierne. Da allora la democrazia ha smesso di essere discussione e separazione dei poteri, intrisa com’è di paure, ricatti, silenzi inauditi. La macchina non ha funzionato, ma resta l’illusoria speranza in un audace, che infranga le leggi e permetta agli uomini deboli, inermi, di consegnargli la loro libertà in cambio di favole e favori.
* la Repubblica, 19 aprile 2011