Editoriale

Dopo le batoste, dalla Calabria, terra dell’abbocco, il Pdl tenta la resurrezione di Berlusconi al secondo giorno?

venerdì 1 luglio 2011.
 

In Calabria sono spesso avvenuti processi politici o sociali decisivi; dopo nel resto d’Italia. Il compromesso storico fra Dc e Pci fu a San Giovanni in Fiore (Cosenza), prima che a Roma. Ancora, la penetrazione della ‘ndrangheta nella sfera pubblica, partita a livello circoscritto, è oggi realtà transregionale.

Dopo il voto referendario, la politica, specie a sinistra (?), sembra chiusa in dinamiche di mera tattica e strategia, nella difesa dello statu quo ante e, di fatto, nell’irresponsabile rinuncia a costruire l’alternativa a Berlusconi, causa di se stesso.

Il Pd è dentro l’immobilismo e le contraddizioni di Bersani; Sel, con scarsa risolutezza, s’affida, remissiva, all’oratoria e all’immagine di Nichi Vendola; IdV rischia di passare, suo malgrado, solo come il partito della lotta al Cavaliere (dei vip, dei vizi, delle lobby, dei colpi ai princìpi dell’ordinamento e alle istituzioni). Casini ha gioco facile in questo quadro e può oscillare a piacimento, per convenienza. Fini è in crisi, la Lega regge: abbagliata dal potere, sa imbonire col folklore gli agricoltori padani. Un’invettiva contro Roma, schizofrenica ma efficace, basata sull’infondatezza delle tasse, la "pancia" e le “ragioni” del Nord trainante.

Se questo è vero, Berlusconi, benché il popolo non ne legga più la storia in termini agiografici, potrebbe rapido tornare in auge. Nonostante la recente batosta di Milano, di Napoli, del quorum e dei quattro «sì». Ed è proprio in Calabria, nel piccolo, nel locale, che il Pdl sperimenta un nuovo posizionamento, complice la sinistra (?), miope ad kalendas, incapace, "repressiva", inattendibile.

In controtendenza rispetto al dato nazionale, il centrodestra ha vinto a Reggio Calabria, a Cosenza, a Catanzaro e in altri comuni importanti. Come Rossano (Cosenza), Siderno (Reggio Calabria), San Giovanni in Fiore.

Per certo, ha avuto il suo effetto, a riguardo, la fama di concretezza del governatore regionale Giuseppe Scopelliti, figura piacente d’un sempiterno Pdl, abile nel proporsi innovativo con gli uomini di sempre, che devono alla subordinazione e al familismo di molti calabresi il loro enorme consenso, confermato ogni volta. Su tutti, privi di squalifiche penali, i fratelli Antonio e Pino Gentile da Cosenza e l’ex missino ed ex An Michele Traversa, dominus di Catanzaro. Per non parlare dell’ex consigliere regionale Santi Zappalà, berlusconiano, già sindaco di Bagnara (Reggio Calabria), rito abbreviato e quattro anni di reclusione per corruzione elettorale, aggravata dalle modalità mafiose (qui un link sulla predetta operazione estetica del Pdl calabrese, che sfrutta mediaticamente l’icona Scopelliti per proclamarsi altro dal sistema).

Nelle dinamiche politiche calabresi, generalmente ossevate con spiazzante leggerezza, San Giovanni in Fiore torna ad essere centrale. Lì ha vinto Antonio Barile, biografia forzista e pidiellina, vicino al popolo, attento a laboratori politici continui (società civile per cause comuni, primarie dei partiti con regole condivise, dibattiti organizzati da giovani) e legato a centinaia di disoccupati, nel tempo assistiti dallo Stato con varie misure. Ad uso elettorale, prima che per tamponare situazioni d’emergenza, pure esistenti, o placare un disagio sociale sfociato in incendi del municipio, blocchi stradali e della nettezza urbana. Destra e sinistra coinvolte in questa fabbrica dei voti: da Gianni Alemanno, da ministro delle Politiche agricole, a Giovanni Dima (entrambi del Pdl), da assessore regionale all’Agricoltura; da Agazio Loiero (Pd), da presidente della Regione Calabria, al suo vice Nicola Adamo (ex Pd?).

Barile ha condotto la propria campagna elettorale dichiarandosi candidato alternativo al sistema; nella sua visione incarnato da Mario Oliverio (Pd, attuale presidente della Provincia di Cosenza) e adepti, considerati un esercito di politici, amministratori, funzionari e militanti pronti a ostacolare dissenso, opposizione e alternativa. Anche con mezzucci.

Barile ha ripetutamente affermato la propria indipendenza e distanza dalle appendici berlusconiane, conquistando l’appoggio e l’entusiasmo d’una società civile impegnata, idealmente di sinistra ma stanca delle limitazioni e delle vendette politiche di Oliverio. "La Voce di Fiore" ha espresso con chiarezza la sua posizione in proposito (qui il link).

Smarcandosi dal quesito sul legittimo impedimento, Barile ha detto che avrebbe votato contro la privatizzazione dell’acqua e contro le centrali nucleari. Con la difficoltà di non scontentare certi elettori pidiellini del posto, che ritengono esatta e insindacabile ogni trovata di Berlusconi. Anche se li mandasse al rogo.

Barile è diventato sindaco perché non c’era alternativa della stessa potenza elettorale. Aveva, infatti, il vento dalla sua: il popolo, non più solo quello dei disoccupati in perenne rivolta; gli stessi che, quando con amici organizzamo la manifestazione apartitica in difesa dell’Abbazia florense, dissero: "Potrebbe pure cadere il monumento, non ce ne frega".

Barile, presentatosi come aperto, movimentista, espressione del popolo, si è smentito al primo atto. La sua giunta ha come vicesindaco Battista Benincasa, del Pdl. Eppure, qualche giorno prima aveva dichiarato che non si sarebbe basato sui numeri e le logiche tradizionali della politica.

Ora, è pacifico e legittimo che un sindaco eletto democraticamente faccia come gli pare. Ma non è corretto gabbare il popolo: avesse detto da principio d’essere del Pdl e di agire secondo i dettami del suo partito, sarebbe stato trasparente. E forse avrebbero avuto altri strumenti, per comprenderne l’orientamento, i tanti sostenitori che lo hanno aiutato reputandolo super partes. Noi avevamo preannunciato il pericolo, anche per i liberali lontani dal berlusconismo modello Garnero, alias Santanchè.

Di Barile avevamo sondato l’irrequietezza, rispetto a narrazioni oggettive e pubbliche della vicenda berlusconiana. Si legga Mangano, Dell’Utri, Mills. L’avevamo visto scivolare in difese d’ufficio del Capo; stile Ghedini, insospettabilmente simpatico.

L’altra scelta indicativa di Barile, in ordine all’esecutivo di San Giovanni in Fiore, è la nomina, quale assessore ai rapporti coi disoccupati, di Franco Spina. Si tratta di uno dei leader di quel gruppo che, per quanto ingannato dall’intera classe politica calabrese, ha costantemente espresso il proprio disprezzo verso le istituzioni, imprecando in tutti i consigli comunali degli anni passati e impedendo le attività pubbliche con pesanti azioni di forza.

Tutti, a prescindere dal titolo di studio e dalle condizioni economiche e sociali, hanno il diritto di governare. Ma non costituisce un esempio, specie in Calabria, la predetta decisione di Barile; il quale, peraltro, ha partecipato con diritto di tribuna, garantito a tutti, a diverse nostre iniziative per la cultura della legalità.

Io temo, e spero che ne sia consapevole, che Barile sia la pedina di un centrodestra, quello calabrese, che ambisce a riabilitare Berlusconi, alle corde, compattando un popolo troppo a lungo maltrattato dalla sinistra. Un popolo che non ha colore; che, pure a queste latitudini meridiane, ha garantito il raggiungimento del quorum ai referenda. Un popolo che ha compreso bene i salti e le acrobazie della politica e si ritrova unito su questioni che toccano l’ambiente, la vita, il futuro. Un popolo che la sinistra calabrese, spaccata, litigiosa e vorace, non riesce più a convincere; mentre quella nazionale appare intontita e non sa ripartire al di là di Berlusconi.

Festeggiando il successo elettorale, io non mi sarei fatto accompagnare, fossi stato in Barile, né da Pino Gentile né da alcuni personaggi, del popolo, dalle dubbie frequentazioni.

Due sono le possibilità, non ne vedo altre: o Barile, avendo il favore popolare, si sgancia dal Pdl, i cui maggiorenti sono il sistema a tutti gli effetti, oppure, cosciente, si mette a servizio della resurrezione di Berlusconi. Al secondo giorno.

Carmine Gazzanni


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