San Giovanni in Fiore (Cosenza) - Tony arriva dal Canada, chiede di visitare l’Abbazia florense, entra e ne rimane affascinato. Come Alessandro e Lucia, romani, e tanti altri. Decine di migliaia, ogni anno, dall’Italia e dall’estero.
Chi visita il monumento manifesta uno stupore incredulo: edificato nel ‘200, sempre ne riflette il rigore, l’altezza e la trascendenza; ma la cripta è chiusa, dato che l’impianto elettrico non funziona da mesi. Lo spiega il custode, Antonello Laratta, che riferisce della denuncia d’una signora, caduta per le scale a causa del buio. Silenzio e indifferenza generale, innanzi alle contraddizioni.
Le ossa di Gioacchino da Fiore, nella navata a sinistra dell’altare barocco, giacciono in un’oscurità che dimostra la lontananza della politica e della gente. Perché Gioacchino e la sua Abbazia sono così abbandonati? Quanto ne sa la diocesi?
Da dietro, una luce opaca illumina appena le spoglie del monaco, in penombra, senza il richiamo al passo della Divina Commedia in cui Dante cita “il calavrese abate Giovacchino, di spirito profetico dotato” (“Paradiso”, canto XII).
Ai cori notturni non si accede almeno dalla fine degli anni ’80, quando ebbi il privilegio di vederli grazie allo studioso Alfredo Prisco e al compianto don Vincenzo Mascaro; a cui - anche per l’intelligenza di ex Dc e Pci, tra i quali Tonino Straface, Domenico Foglia, Emilio Greco e Tonino Acri - si deve il “miracolo” della riapertura dell’Abbazia. Erano altri tempi: di là dallo scontro, pure acceso, maggioranze e opposizioni sapevano convergere per il bene comune.
Il restauro con fondi europei della chiesa è ancora fermo. La vicenda è gravissima: a lungo, ai lavori sono mancate le autorizzazioni delle soprintendenze, con interrogazioni al ministro dei Beni culturali dei deputati Angela Napoli (Fli) e Franco Laratta (Pd), l’indignazione del Nobel Dario Fo, del critico d’arte Vittorio Sgarbi, dell’abate don Germano Anastasio, dello scrittore Marcello Veneziani, degli europarlamentari dell’Italia dei Valori Gianni Vattimo, Sonia Alfano e Luigi de Magistris (oggi sindaco di Napoli, ndr); di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, della testata “la Voce di Fiore”, del movimento delle “Agende rosse” e dell’Associazione nazionale familiari vittime di mafia.
La magistratura sta cercando le responsabilità. Il monumento fu sequestrato dalla Procura di Cosenza per presunti danni, per i quali vennero iscritti nel registro degli indagati il rup Pasquale Tiano e i direttori dei lavori, Domenico Marra, Giovanni Belcastro e Salvatore Marazita. La giunta comunale del socialista Antonio Nicoletti difese strenuamente le proprie scelte, benché l’Autorità di vigilanza sui Lavori pubblici rilevò l’assegnazione irregolare degli incarichi tecnici; senza, cioè, una procedura pubblica. Leggendo gli atti del municipio, si trova la delibera n. 883/1996, con cui l’esecutivo di Riccardo Succurro (allora sindaco di centrosinistra, oggi presidente del Centro internazionale di studi gioachimiti, ndr) recepì l’affidamento della progettazione agli stessi professionisti da parte del parroco di allora, don Franco Spadafora; indagato per altra questione, relativa a un traffico illecito di opere sacre.
Impenetrabile la procura e valendo per tutti la presunzione d’innocenza, a prescindere da eventuali procedimenti in corso, sopra l’Abbazia florense e sul riconoscimento del profetismo di Gioacchino da Fiore pesano ancora ostacoli arcani e la rimozione collettiva. Come la vicenda della casa di riposo nel complesso badiale; in passato iniziativa di carità della Chiesa, a cui il Comune di San Giovanni in Fiore concedeva i locali in comodato, e oggi attività imprenditoriale di privati. Di mezzo ci sarebbe una cessione dell’attività da parte della Diocesi cosentina, voce su cui nessuno degli interessati ha mai chiarito pubblicamente. La comunità non sa se c’è un atto in proposito, né quale sia, all’occorrenza, l’accordo tra le parti. Esiste un contenzioso civile fra il Comune e la società che gestisce la struttura, ma le carte sembrano segrete. Se la nuova giunta le mostrasse, e l’assessore Mario Iaquinta vorrebbe farlo, farebbe un bene alla Calabria e non solo.
Tony il canadese si chiede come sia possibile che un monumento così bello e prezioso, che riassume la storia dell’utopia gioachimita, non venga restituito alla collettività. Come sia possibile che interessi particolari possano spuntarla sulle ragioni della fede, dello spirito, dell’arte e della cultura. Come sia possibile immaginare che il restauro della chiesa prosegua in questo caos e senza un progetto di riqualificazione complessiva, che dovrebbe partire dalla piena disponibilità di tutto il complesso badiale.
Nel mentre, un gruppo di giovani intende proporre l’Abbazia come patrimonio dell’Unesco. Forse è giunto il momento di recuperare l’unità politica e civile di una volta. Quando comunisti e democristiani se le davano a ripetizione e poi, insieme, vedevano lontano. Quando padre Antonio Pignanelli, che aveva la tempra e il carisma di don Peppe Diana, per amore del suo popolo non taceva mai. E riempiva la piazza.
Emiliano Morrone, già su il Crotonese del 10 settembre 2011, a pag. 20
Una vita di preghiera nelle Serre calabresi
San Bruno, il fondatore dell’Ordine dei Certosini
di Maurizio Schoepflin *
Talvolta quelle che siamo soliti definire radici cristiane dell’Europa assumono i caratteri di fili invisibili che uniscono spiritualmente località lontane fra loro centinaia e centinaia di chilometri. È il caso della celebre città tedesca di Colonia, situata nella parte centro-occidentale della Germania, e di Serra San Bruno, piccola località calabrese in provincia di Vibo Valentia. All’origine di questo profondo collegamento si trova una delle grandi figure della santità medievale, Bruno, il fondatore dell’Ordine certosino, a cui è stato di recente dedicato un bel volume di vari autori intitolato San Bruno e i certosini. Una vita di preghiera nelle Serre calabresi (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2020, pagine 160, euro 14).
Originario della terra renana, ove nacque intorno al 1030, Bruno andò a studiare a Reims e qui acquistò grande prestigio, divenendo ben presto un punto di riferimento della scuola e della chiesa, anche per la sua opposizione coraggiosa e decisa alla rilassatezza morale di vari prelati, che proprio per questo non esitarono a rendergli la vita difficile.
Fu in quei momenti di difficoltà e sofferenza che avvertì una forte attrazione per la vita monastica e, dopo aver rinunciato all’offerta di diventare vescovo, al termine di un breve periodo di peregrinazione si stabilì in una zona montana assai boscosa, nella regione francese del Delfinato, non lontano da Grenoble. Il massiccio dove Bruno fondò il primo monastero era denominato Cartusia, termine che è all’origine dell’italiano “certosa”.
Correva l’anno 1084 e si cominciò a lavorare all’edificazione della chiesa, l’unico edificio in pietra dell’intero complesso, che venne consacrata il due settembre del 1085. I monaci iniziarono subito a vivere in pressoché totale solitudine, lontani dal mondo, in un clima di grande austerità e fervore.
Qualche tempo dopo, Bruno dovette abbandonare la Certosa: il Pontefice Urbano ii, che da giovane era stato suo allievo a Reims, lo desiderava a Roma e il Nostro, seppur con una certa sofferenza, obbedì prontamente. Il suo animo restò comunque tutto preso dal fascino della vita eremitica, e quando il Papa lo volle nominare vescovo di Reggio Calabria preferì rifiutare, accettando invece di buon grado la donazione di un terreno sito nella località chiamata Torre, a circa 850 metri di altitudine, nell’attuale Calabria centromeridionale. Qui fondò l’eremo di Santa Maria e andò ad abitarvi, trascorrendo le giornate nella preghiera, nel silenzio e nella solitudine, fino a che la morte non lo colse la domenica 6 ottobre 1101.
Il libro descrive bene il forte e fecondo rapporto stabilitosi tra il santo e la terra calabrese, che lo annovera tra i suoi più eminenti figli adottivi. In una lettera inviata all’amico Rodolfo il Verde, prevosto di Reims, egli scrive: «In territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali molto colti che, in una perseverante vigilanza divina “attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli subito appena bussa”, abito in un eremo abbastanza lontano da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini. Della sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole, che si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi descriverà in modo consono l’aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili».
Sono parole che fanno apprezzare la viva sensibilità di Bruno per la bellezza del creato e la grande importanza che egli attribuisce all’ambiente naturale ai fini di una piena realizzazione dell’ideale monastico e contemplativo.
Per tale ragione bene hanno fatto gli autori a destinare varie pagine del libro - oltre a molte eloquenti suggestive illustrazioni - alla Certosa calabrese, alla sua lunga storia e alla terra dove sorse. Un’opportuna attenzione viene pure riservata alla vita certosina, scandita dai momenti e dai gesti che le sono propri, nonché caratterizzata dalle sue più tipiche componenti spirituali e materiali: la liturgia eucaristica, l’incessante orazione, il rigoroso orario quotidiano, l’umile cella del monaco, il giardino, il lavoro, lo studio, il canto e altro ancora.
Da oltre novecento anni la testimonianza dei certosini e delle certosine (il ramo femminile dell’ordine nacque intorno al 1150 nel sud della Francia) continua a essere una luce splendente sulla via della spiritualità cristiana. All’origine del ricco contributo offerto dalla tradizione certosina alla Chiesa nella sua interezza sta proprio la fisionomia spirituale del fondatore, a cui il libro dedica alcune dense pagine, dalle quali si apprende che al centro della vita interiore di Bruno era situato un ardente, esclusivo amore per Dio: la scelta della solitudine fu da lui operata per vivere tale amore in maniera davvero radicale.
Bruno sottolinea in particolare la bontà e la dolcezza divine, che diventano motivo di gioia autentica, quella che il vero cristiano assapora nel silenzio e nella pace dell’eremo, lontano dal frastuono e dagli affanni mondani. La lunga storia dell’ordine certosino, come è comprensibile, ha conosciuto momenti di crisi e di appannamento, ma l’esigenza interiore avvertita da Bruno è rimasta intatta nella sua significativa importanza.
Particolarmente eloquente è il motto dei certosini che suona Stat Crux dum volvitur orbis (“La Croce resta salda mentre il mondo gira”). Così commentò quelle parole tanto brevi quanto significative Benedetto XVI nell’omelia pronunciata durante la Messa celebrata alla Certosa di Serra San Bruno il 9 ottobre 2011: «La Croce di Cristo è il punto fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita in una certosa partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele».
* L’ Osservatore Romano, 25 agosto 2020 (ripresa parziale).
Calabria 2020: programmi di carta, ribrezzo e il ruolo dei giornalisti
di Emiliano Morrone (Da Iacchite -1 Novembre 2019)
Le elezioni regionali sono vicine, di là dalla data ufficiale che tarda ad arrivare. Tra di noi giornalisti, che per mestiere conosciamo fatti e retroscena, sale il sentore che il risultato delle urne riproponga schemi e metodi risaputi. Intendo dire che i programmi di cambiamento potrebbero restare teorici, virtuali, di carta. Fosse così, non capiremmo le differenze di contenuti tra i vari contendenti. Questo voto, lo pensiamo in tanti, sarà condizionato in larga misura dai sentimenti più popolari che i social registrano da tempo: sfiducia, disincanto, ribrezzo, rassegnazione.
È assai probabile che cresca il “partito” degli astensionisti, sia perché a Roma - secondo canone - non si muove foglia, sia perché il dibattito politico, non soltanto regionale, è fermo alla ricandidatura o al ritiro del governatore Mario Oliverio, al suo scontro muscolare con il Pd; all’accordo tra “gialli” e “rossi” che a cicli lunari appare «così vicino così lontano», per citare un capolavoro del cinema; all’incerta riunificazione del centrodestra calabrese, Lega compresa, nel nome di qualche “Varenne” su cui scommettere per occupare le poltrone di comando.
A poche settimane dai comizi elettorali, da parte dei consiglieri regionali uscenti, e in generale degli eletti, non c’è un ragionamento articolato sulle urgenze e sulle priorità, in sintesi sulle misure concrete per colmare il divario tra la Calabria e il resto dell’Italia, dell’Europa. Né si sente un solo discorso sull’emigrazione attuale, fenomeno e prospettiva che coinvolge molti giovani laureati e perfino i loro genitori, con tutte le conseguenze economiche e culturali che ne derivano. In Calabria manca il lavoro, sia perché gli apparati pubblici sono stracolmi di dipendenti e ancora bellamente disorganizzati; sia - aspetto che diversi sindaci faticano a realizzare - per il grande caos sulle assunzioni in ambito sanitario, eterodiretto da un manipolo di burocrati dei ministeri vigilanti; sia perché l’iniziativa privata da noi risente, a sud del Sud, della carenza di interventi infrastrutturali e di agevolazioni fiscali vantaggiose.
E inoltre: il Servizio sanitario regionale vive il suo momento peggiore. Nel merito: i conti non tornano, il che è un vecchio problema alquanto ignorato, e l’indirizzo gestionale non ha timone, bussola, rotta; intanto poiché la normativa sul commissariamento del governo si è rivelata inattuale, inadeguata, inadatta a garantire il rientro dal disavanzo sanitario e soprattutto il diritto alla salute. Tuttavia essa è per molti versi divenuta un dogma: un po’ perché il parlamento non esamina e non discute più le questioni di sistema; un po’ perché i parlamentari, ridotti in virtù dell’eco interminabile della «Casta» (di Stella e Rizzo), sono comunque espressione di un meccanismo elettorale che ne sminuisce e comprime prerogative e funzioni.
Nel contesto calabrese noi giornalisti dovremmo essere più presenti ed incisivi sul piano della critica e dell’opinione, malgrado le nostre differenti sensibilità cercando di mantenere, ce lo impone la deontologia, un ruolo esterno al “gioco” delle parti politiche. Il guaio, passatemi il termine, è che siamo come monadi isolate: ognuno di noi cammina per conto proprio e non riusciamo a fare squadra. Eppure abbiamo risorse, conoscenze, esperienze che ci consentirebbero di, fatemelo dire, dare una scossa, se vogliamo una raddrizzata a larga parte della politica nostrana, che talvolta ci considera e tratta come puri microfoni della propria irrinunciabile vanità.
L’ABBAZIA FLORENSE E IL DELIRIO TOTALE A SAN GIOVANNI IN FIORE (CS)
di Emiliano Morrone (Fb., 31.10.2018).
Sul Quotidiano del Sud di oggi leggo della forte preoccupazione di un cronista locale per la sorte degli anziani della casa di riposo privata e accreditata "Villa forensia", data la recentissima sentenza con cui il giudice civile di Cosenza ha stabilito che i locali in cui si trova, dentro l’Abbazia florense del XIII secolo, sono del Comune di San Giovanni in Fiore (Cs) - che, in dissesto finanziario, non ha mai ricevuto un centesimo da codesta occupazione - e vanno dunque liberati.
La causa è andata avanti per 11 anni, durante i quali c’è stata una costante battaglia civile, parallelamente all’inteso procedimento, che in prima persona ho con amici contribuito ad alimentare, coinvolgendo intellettuali di fama, da Gianni Vattimo a Cosimo Damiano Fonseca, Vittorio Sgarbi e Marcello Veneziani, nonché giornalisti, esponenti politici di diversi schieramenti, attivisti del bene comune e più in generale, per dirla con De Andrè, "voci allenate a battere il tamburo", tra cui Beppe Grillo.
Del caso, su cui sono state presentate ben 5 interrogazioni parlamentari, si sono occupati colleghi (non solo calabresi) di livello, che come me hanno raccontato l’incredibile paradosso della rsa dentro un monumento di enorme valore religioso ed artistico, simbolico per l’intera Calabria e legato all’opera profetica dell’abate Gioacchino da Fiore, che riteneva possibile l’affermazione della giustizia in questo mondo, al contrario del neoplatonismo su cui si basa il catechismo cattolico.
Mi lascia di stucco che miei concittadini, pure con buoni strumenti interpretativi, la buttino sul pietismo; sul presunto disagio degli anziani della casa di riposo prodotto dalla riferita sentenza; sulla tesi, suggestiva quanto infondata, dell’abbandono dei "vecchietti" conseguente al loro spostamento presso altra sede, che i titolari della struttura potranno individuare e attrezzare; sulla professionalità, che nessuno mette in dubbio, degli operatori della rsa e sui danni all’economia di San Giovanni in Fiore, che si spopola - questo è il corollario - perché qualcuno fa guerra a residenze sanitarie assistenziali.
Se per davvero ci fossero i marziani, osservandoci dall’esterno direbbero che siamo in preda al delirio totale. In altri luoghi non ci sono né l’Abbazia florense né il Centro studi giochimiti, che ha sede dentro lo stesso complesso badiale, né figure come Gioacchino da Fiore, la cui posterità è impressionante.
Eppure, di là dai colori politici, altrove si fa a gara per valorizzare il patrimonio artistico e culturale, che in Calabria è in genere ritenuto un peso da levarsi il prima possibile.
Ancora, per aver scritto dell’Abbazia florense fui querelato insieme a Carmine Gazzanni dall’allora dirigente dell’Ufficio legale della Provincia di Cosenza, Gaetano Pignanelli, oggi capo di gabinetto della Presidenza della Regione Calabria. Il Gip di Cosenza archiviò perché Gazzanni e io avevamo scritto il vero, e cioè che Pignanelli, ai tempi responsabile dell’Ufficio legale del Comune di San Giovanni in Fiore, aveva prodotto un "parere non vero", servito alla rsa per l’esercizio dell’attività.
Inoltre un vescovo, infine condannato per rivelazione di segreto istruttorio, mi intimò, tramite il suo avvocato, di cancellare da un mio servizio giornalistico ogni riferimento al suo assistito. Gli risposi che non l’avrei mai fatto e che, invece, avrei ospitato per dovere professionale una replica dell’alto prelato, che non arrivò mai. Finì che colleghi giornalisti del posto scrissero contro di me, accusandomi d’aver agito per invidia, data la nomina del sacerdote, originario di San Giovanni in Fiore, a vescovo della Chiesa.
Anche questa è la Calabria, oltre alle sue straordinarie ricchezze seppellite, e dobbiamo ripetercelo. Prendano nota i miei (pochi) lettori che mi seguono da altre regioni.
«In Calabria il negazionismo ha due facce»
di Emiliano Morrone*
Possiamo ripeterci che la Calabria è bellezza, incanto, magia; agricoltura, gastronomia, olio e vini eccellenti. Possiamo esaltare l’umanità, l’accoglienza e la generosità del suo popolo. Possiamo dirci dell’antica tradizione della nostra terra, delle fatiche, dei sacrifici e del talento di giuristi locali, medici, accademici, imprenditori e artigiani, emigrati o residenti. Possiamo compiacerci ricordando la scuola pitagorica di Crotone, l’utopismo di Gioacchino da Fiore e Tommaso Campanella, la carità di Francesco di Paola, i natali dello scrittore Corrado Alvaro, del “Nobel” Renato Dulbecco, dello stilista Gianni Versace o del filosofo Ermanno Bencivenga. A compendio possiamo sbandierare le origini calabresi di uno degli intellettuali più famosi, Gianni Vattimo, o di artisti come Steven Seagal, Raul Bova, Chick Corea e John Patitucci.
Nulla cambierebbe la realtà: la Calabria è forse l’ultima regione d’Europa per servizi, diritti e indicatori economici, ma sta in cima per tasso di spopolamento. Qui comandano la ’ndrangheta, la massoneria deviata e una politica immorale che spesso lega cosche e logge. L’amministrazione pubblica è attraversata dalla corruzione; gli incarichi illegittimi fioccano in libertà e buona parte della burocrazia obbedisce ai governanti di turno e relativi faccendieri: “trucca” concorsi, istruttorie, autorizzazioni, concessioni e perfino bilanci. La sanità agonizza, il mare puzza, la montagna brucia, le strade crollano e i paesi muoiono. In Calabria la fantasia supera la realtà: vige un diritto speciale che, plasmato alla bisogna, aggira e sotterra le norme comuni. Non di rado i concorsi sono una farsa, i peggiori occupano posti di responsabilità e i migliori sono respinti, isolati e indotti a partire.
La recente operazione “Stige” (della Dda di Catanzaro) ha confermato la pervasività dell’organizzazione criminale e l’adesione, le aderenze politiche diffuse. E ha ribadito che l’economia è alterata da un sistema, di connivenze, violenza e favori, che aumenta le disparità e la massa proletaria, divisa, costretta alla sopravvivenza e resa inabile alla rivolta.
Il negazionismo ha di solito due facce. La prima è quella dei conservatori integrali, che alle spalle alimentano l’odio verso chi scrive, racconta, denuncia, esorta, ammonisce; la seconda, più ingannevole, è quella degli apologeti, i quali, traendo lauti benefici dal ruolo raggiunto, dipingono una Calabria da sogno, immaginaria, mitica, unica. Della regione costoro decantano le potenzialità, che restano proiezioni, suggestione e motivo di orgoglio posticcio, strumentale al mantenimento dei rapporti di forza vigenti. Per battere la ’ndrangheta strutturata e culturale occorre demolire due assunti falsi e propagandistici, pure utilizzati tra gli ingenui. Il primo è che siamo perfetti e non potremmo vivere meglio; il secondo è che la Calabria è la prima al mondo in quanto a paesaggio, storia e natura.
Abbiamo tanto, sì. Ma abbiamo perduto la memoria, a causa della cementificazione dei luoghi e dello spirito, della distruzione dei simboli e della capacità di giudizio.
*Giornalista
CALABRIA
Papa: "Impegno dei cattolici in politica"
E sulla criminalità: "Ferisce il tessuto sociale"
Benedetto XVI celebra la messa a Lamezia Terme. Parla di ndrangheta, di disoccupazione. E lancia un messaggio sui cattolici in politica: "Il loro impegno sia per interessi non di parte" *
LAMEZIA - La Calabria è "una terra dove la disoccupazione è preoccupante, dove una criminalità spesso efferata ferisce il tessuto sociale". Lo ha detto il Papa nell’omelia della messa celebrata con tutti i vescovi della regione nell’area industriale ex Sir di Lamezia Terme, davanti a 40 mila persone. Ma Ratzinger ha fatto anche un riferimento al ruolo dei cattolici in politica, pronunciando parole che saranno senz’altro lette alla luce del dibattito su un nuovo partito dei cattolici. Ratzinger si è augurato "una nuova generazione di uomini e donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte, ma il bene comune". Lo ha chiesto dopo aver ricordato l’impegno della Chiesa a educare attraverso la dottrina sociale e lo studio della Bibbia. "Nuova generazione" è la stessa espressione che Benedetto XVI ha usato nel 2007 a Cagliari, incitando per la prima volta i cattolici a preparare una nuova generazione che si impegnasse a livello sociale e politico.
L’emergenza calabrese. La Calabria è "una terra dove la disoccupazione è preoccupante, dove una criminalità spesso efferata ferisce il tessuto sociale, una terra in cui si ha la continua sensazione di essere in emergenza", ha detto Ratzinger. "Se osserviamo questa bella regione - ha aggiunto Bendetto XVI che aveva appena sorvolato il territorio - riconosciamo in essa una terra sismica non solo dal punto di vista geologico, ma anche da un punto di vista strutturale, comportamentale e sociale; una terra, cioè, dove i problemi si presentano in forme acute e destabilizzanti". "All’emergenza - ha detto ancora il Papa - voi calabresi avete saputo rispondere con una prontezza e una disponibilità sorprendenti, con una straordinaria capacità di adattamento al disagio. Sono certo che saprete superare le difficoltà di oggi per preparare un futuro migliore. Non cedete mai alla tentazione del pessimismo e del ripiegamento su voi stessi. Fate appello alle risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane; sforzatevi di crescere nella capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico".
* la Repubblica, 09 ottobre 2011
Domani la visita pastorale del Papa in Calabria *
“Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno: cammina!”. Questo il motto scelto per la visita pastorale che il Papa effettuerà domani a Lamezia Terme-Serra San Bruno. L’intera Calabria attende con trepidazione l’arrivo del Pontefice, previsto per le 9.15 all’aeroporto internazionale di Lamezia. Poi il trasferimento nella periferia della città, dove verranno celebrati la Santa Messa e l’Angelus. Nel pomeriggio, Benedetto XVI sarà a Serra San Bruno: dopo il saluto alla popolazione locale, la visita alla Certosa per la celebrazione dei Vespri con i monaci.
Sul clima di attesa, sentiamo la nostra inviata in Calabria, Emanuela Campanile: Preparativi febbrili, emozione e speranza. E’ così che Lamezia Terme - ma sarebbe meglio dire, la Calabria tutta - sta vivendo l’arrivo di Benedetto XVI previsto per domenica 9 ottobre. Bandiere dello Stato Pontificio un po’ ovunque, sui balconi, nei crocicchi, lungo il percorso che il Papa seguirà dall’aeroporto alla periferia industriale della città. Ed è proprio qui, in questa vasta area - prevedono accoglierà più di 100 mila persone - che è stato allestito il palco per la celebrazione della Santa Messa e dell’Angelus: 46 metri su cui è stato posizionato, in un angolo, un grande secolare ulivo. Oggi poi, sulla copertura del palcoscenico verrà issata una croce in metallo di 18metri ispirata alla croce molto più antica del monatero di sant’Elia di Cortale.
Ma l’attesa coinvolge anche Serra San Bruno dove il Papa si recherà nel pomeriggio per pregare insieme ai monaci della Certosa. Si tratta, e lo dicono in molti qui a Lamezia, di un evento storico, di una esperienza unica soprattutto per i giovani, veri destinatari del messaggio di fede e speranza che Benedetto XVI porterà in questa terra afflitta da mali storici ma mai privata della sua profonda spiritualità. Ecco perchè la Calabria, come ricodato dall’Arcivescovo Metropolita di Reggio Calbria-Bova e Presidente della CEC Mons. Vittorio Mondello, è pronta ad accogliere il successore di Pietro come roccia sicura a cui aggrapparsi.
* RADIO VATICANA, Chiesa > notizia del 08/10/2011 12.00.09:
http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/articolo.asp?c=527182
A LAMEZIA TERME, POLEMICHE PER I COSTI DELLA VISITA DEL PAPA
36307. LAMEZIA TERME-ADISTA. La visita del papa vale «molto di più delle somme che saranno spese»: «Un evento del genere e la storia stessa della Chiesa non si possono ridurre certo ad una mera valutazione economica». Con queste parole, nel luglio scorso, mons. Luigi Cantafora, vescovo di Lamezia Terme, cercava di placare sul nascere le possibili polemiche circa i fondi stanziati dalle amministrazioni locali per la visita di Benedetto XVI in Calabria il 9 ottobre. Parole scelte non a caso, a margine di un incontro con il governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, ed il presidente del consiglio regionale, Franco Talarico, volto a delineare, tra le altre cose, i termini economici della visita papale. Stanziamento previsto: più di 1 milione di euro tra Comune, Regione e Provincia (Lameziatermenews, 6/8). Spese che, come è accaduto nei mesi scorsi per la Sicilia e il Veneto (v. Adista nn. 71/10 e 35/11 ), non passano certo inosservate.
E così già ai primi di settembre la federazione provinciale dell’Unione Sindacale di Base (Usb) emetteva un comunicato in cui esprimeva le proprie perplessità: «Non troviamo scandaloso che l’amministrazione comunale si accinga ad onorare al meglio la presenza del papa a Lamezia», vi si legge. «Per moltissimi cittadini cattolici quel giorno sarà un evento da ricordare ed è giusto che l’amministrazione comunale si adoperi affinché l’accoglienza sia degna dell’evento e faccia, quindi, tutto il possibile perché ciò avvenga. Il punto però è proprio questo», proseguiva: «Che faccia tutto il possibile, ma non che vada oltre, soprattutto in un periodo come questo». Gli Enti locali interessati, già in profonda difficoltà per i tagli del governo, incalzava l’Usb, «hanno deciso di ridurre ulteriormente i propri fondi, destinandoli alla visita del papa»: «Ma siamo sicuri che il modo migliore per onorare il papa ed il pensiero religioso che lui rappresenta, sia quello di far pagare un così alto tributo alla comunità?».
Interrogativi diffusi - come si può evincere anche dai numerosi commenti apparsi sulla pagina facebook del sindaco di Lamezia, Gianni Speranza - che hanno indotto l’amministrazione comunale a sottolineare, in un comunicato dello scorso 17 settembre, l’«assoluta sobrietà» con la quale si «sta affrontando la visita pastorale del papa». Una sobrietà quantificabile in: 500mila euro (ma i lavori sono stati aggiudicati con un ribasso del 40%, per cui si tratterà di 300mila euro) stanziati per la sistemazione dell’area destinata alla celebrazione della Messa e dell’Angelus, che dovrà accogliere circa 120mila persone; 150mila euro di contributo alla Curia, ente titolare dell’organizzazione, «per compartecipazione all’allestimento»; altre spese al momento «non quantificabili» per il servizio navette messo a disposizione dei fedeli gratuitamente.
Quanto alle «spese relative alla viabilità cittadina, quindi a totale beneficio della città, e quelle per il terreno della concattedrale e per il restauro delle altre chiese - si legge ancora -, sono cifre già previste ed impegnate, che rientrano nella normale amministrazione e che in ogni caso si sarebbero effettuate» (per quanto riguarda il restauro delle chiese in questione si tratta, secondo quanto ha dichiarato a Adista lo staff del sindaco, di uno stanziamento di 140mila euro). «Molto meno rispetto ad altre città italiane che hanno organizzato eventi simili», si fregia l’amministrazione comunale. Ma il sindaco, è la replica della federazione provinciale dell’Usb, dimentica «che proprio per la visita del capo della chiesa cattolica, il Comune di Lamezia ha deliberato, in aggiunta a quelli già detti, altri 690mila euro per il restauro di tre chiese cattoliche, per un totale di 1 milione 340mila euro sborsati dal Comune da quando è stata annunciata la visita papale». (i. c.)
Articolo tratto da
ADISTA
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BENEDETTO XVI A SERRA SAN BRUNO
I dettagli sulla visita del Papa *
Ultimi ritocchi al programma della visita del papa Benedetto XVI. Il 9 ottobre, il Papa giungerà nella cittadina in elicottero alle ore 17.15 proveniente da Lamezia Terme. A Serra San Bruno rimarrà solo due ore e gli spazi dedicati all’incontro con la popolazione sono assai ristretti. Alle 17.30 incontrerà la popolazione nel piazzale antistante la certosa. Alle 17.45 entrerà in certosa dove, nella chiesa conventuale, celebrerà i Vespri e incontrerà la comunità religiosa dei certosini. Alle 19.15 lascerà la certosa per raggiungere il campo sportivo da dove, a bordo di un elicottero, raggiungerà l’aeroporto di Lamezia Terme per poi proseguire, subito dopo, in aereo, per Roma. Benedetto XVI si sposterà per le vie del centro abitato a bordo della papamobile sulla quale ci sarà ad accompagnarlo soltanto l’arcivescovo monsignor Bertolone.
(fonte Gazzetta del Sud)
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http://www.serrasanbruno.net/:
NOTE SUL TEMA:
Gioacchino invita Benedetto XVI a correre ai ripari..iL DIO AMORE DELL’EVANGELISTA GIOVANNI: "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-16). non è IL DIO MAMMONA DEL VANGELO DI BENEDETTO XVI : "DEUS CARITAS EST"(2006)!!!
Federico La Sala
Mario, cerca di far capire ai tuoi colleghi che è solo sano se la cittadinanza apprende lo stato di fatto delle cose da fonti ufficiali. E’ un DIRITTO, in primis. E’ bene non lavorare "ad imitatio" altrimenti diventa demagogico, offensivo, inutilmente giaculatorio e scorretto nei confronti dei cittadini e del passato stesso.
Con la fiducia di sempre.
Giusi
MEMORIA GIOACHIMITA:
IL TERZO REGNO SARA’ IL REGNO DELLO SPIRITO SANTO: "TERTIUS IN CHARITATE".
Caro Emiliano
ben detto e ben fatto!!! A quanti hanno abbandonato Gioacchino da Fiore e l’Abbazia florense, non è male ricordare che Gioacchino non è "un cane morto"! Al contrario, qui e ora, Gioacchino invita Benedetto XVI a correre ai ripari.
M. saluti,
Federico La Sala
trovare una soluzione...gli dissi che nessuno ci ha’ mai aiutati a non emigrare ne’ i Politicanti ne’; i capi religiosi e non avendo neanche una certa istruzione o mezzi di sostentamento...No’ nessuno ha’ mai fatto niente; per il nostro bello paese da quando Gioacchino lo fondo.
Espresse un certo senzo di rammarico il Presidente, ripetendo le mie stesse parole...nessuno ha’ mai fatto niente per il nostro paese; no’ niente, aprendo le braccia con le mani aperte; Poi aggiunsi...almeno che lei Mister President farebbe qualche cosa.
Rimase stupito e perplesso e si auto-esaminava nel suo stesso intimo...e poi chiedendomi: Come! Cosa! Quando! Dissi...Potrebbe far si che qualche cosa si potrebbe fare se lei avrebbe qualche idea o escogitasse un proggetto che rientresse a far parte della sua promessa di "Yes We Can" Inoltre, continuerebbe a dimostrare che apprezza L’abate Gioacchino...imitando il suo esempio di fondare un nucleo di persone o... nazioni per un proposito unito e pacifico; questo adempierebbe anche delle profezie di Gioacchino riguardo alla Giustizia che sara’ volenterosamente praticata da tutti con piacere e soddisfazione.
Il Presidente disse prontamente: cosa ci servirebbe al paese...dammi una idea croncreta e visibile, senza che io intervenga personalmente!
Non ci crede ma! lei potrebbe fare aumentare il turismo al nostro paese, nella Sila e l’Abbazia stessa di Gioacchino da Fiore, facendo si che L’Abbazia potrebbe essere finita di restaurare e poi lei che suggerirebbe al capo della chiesa cattolica il papa stesso di Proclamare Gioacchino da Fiore come Santo e far diventare L’Abbazia un santuario di pellegrinaggio.
Potrebbe fare questo privatamente per l’inizio ma quando tutto sara’ deciso lei si potrebbe dichiarare che sia stato il benefattore, suggeritore per promuovere questa bella idea. Ci Guardammo a vicenda senza parole...ne’ di approvazione ne’ di; disaccordo; come se fosse qualche cosa impossibile che si avveresse.
Tratto dal mio libro... Gioacchino Obama ed Io WWW.Blurb.com Cordiali saluti a tutto lo staff.