Parlamento malato
di Furio Colombo (il Fatto, 13.01.2012)
"Un deputato come noi". Così l’on. Contento, a nome di tanti, ha concluso alla Camera la sua appassionata arringa in difesa dell’on. Nicola Cosentino, imputato (leggo dalle carte processuali) “di concorso in falso in atti pubblici, di concorso in falso bancario, di concorso nel tentativo di reimpiego di denaro di illecita provenienza, tutti reati aggravati dall’essere stati commessi per favorire le organizzazioni camorristiche di Casal di Principe”. È il ritratto perfetto.
Non di Cosentino, di cui la magistratura di Napoli chiede invano l’arresto. È il ritratto del Parlamento, che infatti è scattato in un applauso scrosciante, quando ha saputo che la Camera ha rifiutato l’arresto e vuole libero il suo camorrista.
È stato un applauso lungo, di vendetta e furore, come quando le donne di Napoli si precipitano in strada per strappare i loro uomini alla Polizia che li sta ammanettando.
A chi dici, a chi spieghi che la Camera dei deputati non è tutta così? Cosentino è restato o no, rispettabile, servito, se necessario, dai commessi, seduto in alto a destra in questa Camera del Parlamento della Repubblica, per volontà della maggioranza dei suoi deputati? Più in basso, vediamo vari imputati a piede libero (il più vistoso e imponente è l’on. Verdini) voltati verso la loro parte come direttori dell’orchestra e del coro.
Signore e signori, c’è poco da sbracciarsi a chiarire: il Parlamento è questo, e per forza non può avere rispetto. È un corpo malato che giace inerte immobilizzando e umiliando la Repubblica. E non serve che molti di noi ripetano: siamo perbene. Hanno vinto loro, anche ieri.
Ps: i sei voti radicali per Cosentino pesano, disorientano e portano tristezza. Tortora era innocente, non era un camorrista al potere. Tutta un’altra storia.
Il patto scellerato
Io so quali sono i suoi interessi, quelli che sono più remunerativi del danaro perché portano obbedienza
Onorevole Cosentino, lei per me è colpevole di cose che vanno al di là della fedina penale
di Roberto Saviano (la Repubblica, 13.01.2012)
Non tiri un sospiro di sollievo, Onorevole Cosentino, trattenga ancora il fiato. Non creda che questa congiura dell’omertà che si è frapposta tra lei e le richieste della magistratura, possa sottrarla dal dovere di rispondere di anni di potere politico esercitato in uno dei territori più corrotti del mondo occidentale. Non tiri un sospiro di sollievo, Onorevole Cosentino, perché quel fiato non dovrà usarlo solo per rispondere ai giudici. Il fiato che risparmierà lo deve usare per rispondere a chi ha visto come lei ha amministrato - e lo ha fatto nel peggiore dei modi possibile - la provincia di Caserta, plasmando una forma di contiguità, i tribunali diranno se giudiziaria ma sicuramente culturale, con la camorra.
Onorevole Cosentino, per quanto ancora con sicumera risponderà che le accuse contro di lei sono vacue accuse di collaboratori di giustizia tossicodipendenti. I pentiti non accusano nessuno, dovrebbe saperlo. I pentiti fanno dichiarazioni e confessioni; i pm ne riscontrano l’attendibilità ed è l’Antimafia a formulare l’accusa, non certo criminali o assassini. Lei, ribadisco, non è accusato da pentiti, lei è accusato dall’Antimafia di Napoli.
Ma anche qualora i tribunali dovessero assolverla, lei per me non sarebbe innocente. E la sua colpevolezza ha poco a che fare con la fedina penale. La sua colpa è quella di avere, per anni, partecipato alla costruzione di un potere che si è alimentato di voti di scambio, della selezione dei politici e degli imprenditori peggiori, il cui unico talento era l’attitudine al servilismo, all’obbedienza, alla fame di ricchezza facile. Alla distruzione del territorio.
La ritengo personalmente responsabile di aver preso decisioni che hanno devastato risorse pubbliche, impedito che nelle nostre terre la questione rifiuti fosse gestita in maniera adeguata. Io so chi è lei: ho visto il sistema che lei ha contribuito a produrre e a consolidare che consente lavoro solo agli amici e alle sue condizioni. Ho visto come pretendevate voti da chi non aveva altro da barattare che una "x" sulla scheda elettorale.
Sono nato e cresciuto nelle sue terre, Onorevole Cosentino, e so come si vincono le elezioni. So dei suoi interessi e con questo termine non intendo direttamente interessi economici, ma anche politici, quegli interessi che sono più remunerativi del danaro perché portano consenso e obbedienza. Interessi nella centrale di Sparanise, interessi nei centri commerciali, nell’edilizia, nei trasporti di carburante, so dei suoi interessi nel centro commerciale che si doveva edificare nell’Agro aversano e per cui lei, da quanto emerge dalle indagini, ha fatto da garante presso Unicredit per un imprenditore legato ad ambienti criminali.
Onorevole Cosentino, per anni ha taciuto sul clan dei casalesi e qualche comparsata ai convegni anticamorra o qualche fondo stanziato per impegni antimafia non possono giustificare le sue dichiarazioni su un presunto impegno antimafia nato quando le luci nazionali e internazionali erano accese sul suo territorio.
Racconta che don Peppe Diana sia suo parente e continua a dire essere stato suo sostenitore politico. La prego di fermarsi e di non pronunciare più quel nome con tanta disinvoltura. È un uomo già infangato per anni, i cui assassini sono stati difesi dal suo collega di partito Gaetano Pecorella, peraltro presidente della commissione bicamerale sulle ecomafie e membro della Commissione Giustizia. Perché non è intervenuto a difendere la sua memoria quando l’Onorevole Pecorella dichiarava che il movente dell’omicidio di Don Diana "non era chiaro" gettando, a distanza di anni, ancora ombre su quella terribile morte?
Come mai questo suo lungo silenzio, Onorevole Cosentino? Sono persuaso che lei sappia benissimo quanto conti questo silenzio. È il valore che ha trattato in queste ultime ore con i suoi alleati politici. È questo suo talento per il silenzio a proteggerla ora. E’ scandaloso che in Parlamento si sia riformata una maggioranza che l’ha sottratta ai pubblici ministeri. Ma in questo caso nessuno, nemmeno Bossi - anche al prezzo di spaccare la Lega - poteva disubbidire agli ordini di un affannato Berlusconi.
Perché lei, Onorevole Cosentino, rappresenta la storia di Forza Italia in Campania e la storia del Pdl. E lei può raccontare, qualora si sentisse tradito dai suoi sodali, molto sulla gestione dei rifiuti, e sulle assegnazioni degli appalti in Campania. Può raccontare di come il centro sinistra con Bassolino, abbia vinto le elezioni con i voti di Caserta e come magicamente proprio a Caserta il governo di centro sinistra sia caduto due anni dopo. Lei sa tutto, Onorevole Cosentino, e proprio ciò che lei sa ha fatto tremare colleghi parlamentari non solo della sua parte politica. Sì perché lei in Campania è stato un uomo di "dialogo". Col centro sinistra ha spartito cariche e voti.
Onorevole Cosentino, so che il fiato che la invito a risparmiare in questo momento lo vorrebbe usare come fece con Stefano Caldoro, suo rivale interno alla presidenza della Regione. Ha cercato di far pubblicare dati sulla sua vita privata. Ha cercato di trovare vecchi pentiti che potessero accusarlo di avere rapporti con le organizzazioni criminali. Pubblicamente lo abbracciava, e poi lanciava batterie di cronisti nel tentativo di produrre fango.
Onorevole Cosentino, so che in queste ore sta pensando a quanti affari potrebbe perdere, all’affare che più degli altri in questo momento le sta a cuore. Più del centro commerciale mai costruito, più dei rifiuti, più del potere che ha avuto sul governo Berlusconi. Mi riferisco alla riconversione dell’ex aeroporto militare di Grazzanise in aeroporto civile.
Si ricorda la morte tragica di Michele Orsi, ammazzato in pieno centro a Casal di Principe? Si ricorda la moglie di Orsi cosa disse? Disse che lei e Nicola Ferraro eravate interessati alla morte di suo marito. Anche in quel caso ci fu silenzio. Michele Orsi aveva deciso di collaborare con i magistrati e stava raccontando di come i rifiuti diventano soldi e poi voti e poi aziende e poi finanziamenti e poi potere.
Lei si è fatto forte per anni di un potere basato sull’intimidazione politica e mi riferisco al sistema delle discariche del Casertano che a un solo suo cenno avrebbero potuto essere chiuse perché la maggior parte dei sindaci di quel territorio erano stati eletti grazie al suo potere: il destino della monnezza a Napoli - cui tanto si era legato Berlusconi - era nelle sue mani.
Onorevole Cosentino, non tiri un sospiro di sollievo, conservi il fiato perché le assicuro che c’è un’Italia che non dimenticherà ciò che ha fatto e che potrebbe fare. Non si senta privilegiato, non la sto accusando di essere il male assoluto, è solo uno dei tanti, ahimè l’ennesimo. Lei per me non è innocente e non lo sarà mai perché la camorra che domina con potere monopolistico ha trovato in lei un interlocutore. Non aver mai portato avanti vere politiche di contrasto, vero sviluppo economico in condizioni di leale concorrenza e aver difeso la peggiore imprenditoria locale, è questo a non renderle l’innocenza che la Camera dei Deputati oggi le ha tributato con voto non palese.
Onorevole Cosentino prenderà questo atto d’accusa come lo sfogo di una persona che la disprezza, può darsi sia così, ma veniamo dalla stessa terra, siamo cresciuti nello stesso territorio, abbiamo visto lo stesso sangue e abbiamo visto comandare le stesse persone, ma mai, come dice lei, siamo stati dalla stessa parte.
Ci pensano Bossi e i Radicali a salvare Cosentino
Alla Camera 309 deputati contrari 298 favorevoli
di Paola Zanca (il Fatto, 13.01.2012)
Sul banco da deputato ha un farmaco contro l’influenza. È senza voce, febbricitante. Ma contro la tosse insistente che gli ha rovinato la giornata, per Roberto Maroni non c’è medicinale che tenga. Il primo attacco gli è venuto poco prima di entrare in Aula a votare sull’arresto di Nicola Cosentino. Non sapeva ancora come sarebbe andata a finire ma il groppo in gola è arrivato in anticipo. Marco Milanese, il deputato Pdl che al carcere preventivo è sfuggito quest’estate, lo ha braccato per una ventina di minuti. Ha provato in tutti i modi a convincerlo che mandare in galera un collega non ha senso, che i giudici non hanno prove contro di lui, lo vogliono solo far parlare. Ma l’ex ministro dell’Interno non ha cambiato idea.
VOTA SÌ, e lo fa con il dito indice, lo stratagemma che rende palese il voto. Ma è il solo a farlo: sui 309 che hanno detto no all’arresto del coordinatore del Pdl campano resterà il segreto. L’unica certezza è che tra loro ci sono i sei radicali. E che sono stati determinanti. Senza il loro “no”, ora, Cosentino sarebbe in carcere. “Scorretti”, li bolla Rosy Bindi, presidente del Pd, il partito entro le cui liste sono stati eletti. “Inaccettabile”, replicano i Radicali, che le nostre scelte siano “criminalizzate” solo perché “diverse” dal “conformismo imperante”. Su loro cala la rabbia, ma non il mistero: attorno ai 51 voti che hanno salvato Cosentino (al di fuori di Pdl, Responsabili, Noi Sud e parte del gruppo misto), invece, è un fiorire di congetture. Sicuramente lì dentro c’è la Lega, ma il peso che il Carroccio ha avuto nella decisione è tutto da vedere.
Luca Paolini dice che ci sono almeno 25/30 camicie verdi che hanno votato “no”, come lui del resto: “Sono molti quelli che non se la sono sentita di dire sì alle manette. Molti di più di quelli che si vogliono far credere”. Avrebbero riflettuto sulle parole che Umberto Bossi (che al voto non si è fatto vedere) ha pronunciato solo poco prima, in una riunione convocata alle 11. A dir la verità, mentre Paolini illustra in Aula la sua arringa in difesa di Cosentino (cita perfino Mastella, per un leghista un tempo sarebbe stata un’eresia) dai banchi del Carroccio applaudono in pochissimi. Lui è di spalle, non vede i suoi compagni di partito, sente solo battere le mani.
A un certo punto lo sveglia Roberto Simonetti: “Coglione! Non lo vedi che ti applaude solo il Pdl? ”. Maroni non alza la testa dal suo I-Pad. È visibilmente nervoso, dice che la base non capirà. Lo trattano da sconfitto, ma i suoi raccontano un’altra storia: “Cosentino l’hanno salvato i reguzzoniani (dal nome del capogruppo fedelissimo di Bossi, ndr) I nostri ’no’ sono stati 42”. Quindi, chi lo ha salvato Cosentino? “I voti sono arrivati dall’Udc e dal Pd’’, accusa Maroni in persona. Si sarebbero spaventati, spiegano dietro le quinte, perchè avevano paura che con l’arresto il Pdl avrebbe staccato la spina al governo Monti (lo aveva minacciato Fabrizio Cicchitto solo l’altro ieri). Casini e Bersani negano con forza: noi siamo stati compatti.
A MONTI, in verità, pare che del voto su Cosentino non interessi un granché. I banchi del governo, pieni fino a un paio di ore prima per l’informativa “europea” del premier, sono stati deserti per tutto il resto della seduta. Quelli del Pdl, al contrario, si sono riempiti solo quando Monti se n’è andato. Berlusconi è arrivato qualche minuto prima che si aprisse la votazione.
Non ha partecipato alla processione di abbracci e pacche sulle spalle che ha sfilato per due ore sotto allo scranno di Cosentino quando ancora non si sapeva che fine avrebbe fatto: Amedeo Laboccetta, Bruno Cesario, Mariastella Gelmini, Nunzia De Girolamo, Maria Rosaria Rossi, Claudio Scajola, Francesco Pionati. Al microfono si sperticano le sue lodi: “Nicola Cosentino, eterno indagato mai processato”, dice il Pdl Maurizio Paniz. “Noi siamo amici di Nicola Cosentino”, scandisce Arturo Iannaccone di Noi Sud.
Poi Gianfranco Fini dichiara aperta la votazione. Si alzano le mani di chi ha problemi con la tessera elettronica. Urlano “Io! ” “Qui! ”. In ballo c’è la libertà del loro collega. “Onorevoli colleghi, calma! C’è tutto il tempo! ”, si stupisce il presidente della Camera. Poi il tabellone si accende: 309 no, 298 sì. L’ex detenuto Alfonso Papa, che in Parlamento è tornato da due giorni, si commuove e corre ad abbracciarlo.
Quattro deputati campani escono dall’Aula gongolando: “Anna’ passà sul nostro cadavere! ”. Un altro capannello attorno a Denis Verdini: “Adesso che abbiamo i numeri possiamo tornare”. Roberto Maroni esce quasi per ultimo. Dice: “Non so se l’elettorato della Lega capirà”. Poi si allontana: “Scusate, sono senza voce”.
Da Radio Padania e Radicale
La base gli dice “venduti” e urla “vergogna”
di Elisabetta Reguitti (il Fatto, 13.01.2012)
Chi l’avrebbe detto? Militanti radicali e leghisti insieme, uniti nella lotta nel-l’insulto dopo il “no” della Camera all’arresto di Cosentino. Lanciano improperi ai rispettivi leader di partito. Frasi “contro” pronunciate all’unisono rimbalzate ieri dalle frequenze di Radio Radicale così come da Radio Padania.
I leghisti, per la verità, stravincono per la qualità delle pittoresche frasi con le quali hanno dato del “venduto” al loro capo massimo Umberto Bossi come Franco da Bergamo che ha poi aggiunto un elegante: “Buffoni”. Più diplomatici i radicali nella loro danza del malcontento. “Vergogna” scrive un utente. E ancora “vero che adesso Cosentino vi permetterà di trasmettere stereo in Campania? ” oppure ancora “complimenti, avete iniziato bene il 2012”, siete disgustosi”.
L’apice della prosa padana è però: “Il salvataggio di un altro mafioso! Stronzi, non vi voterò più” che farebbe il paio con il Giulio-pensiero da Milano che domanda: “Cosentino è un altro rospo per il federalismo? ” Ma torniamo alle voci. Carlo da Brescia irrompe sul conduttore di Che aria tira (costretto a difendere il voto-salvagente degli onorevoli leghisti). “Cosentino era da arrestare. Come capiterebbe a tutti gli altri poveri cristi. Altro che privilegio perché è un parlamentare”. Da Varese un giovane padano non ha dubbi: “Avete salvato un altro camorrista nonostante aveste letto le carte”. Il commento suscita la reazione del “sobrio” conduttore di Radio Padania che chiede: “Scusi ma se vengo a cena con lei che è uno stronzo, divento uno stronzo pure io? ” (inteso come curioso caso di transfert visto che Cosentino sarebbe, tra l’altro, andato a cena con mafiosi).
Che il dissenso non fosse gradito in Lega era chiaro già da tempo ma ieri, in diretta radio, i militanti contrari alla scelta di “coscienza” per il non-arresto di Cosentino, uscita da via Bellerio (un cambio di indicazione avvenuto alla vigilia del voto, voluto dal “cerchio magico” e annunciato dallo stesso Bossi) si sono presi in ordine, prima dell’ignorante e poi del cretino. Povera Lega salvata dal satellite (che secondo il conduttore ieri non funzionava bene) in grado però di interrompere quel rosario di parolacce. Solo Ciro da Napoli riesce a dire: “Ringrazio Bossi e il trota per aver salvato Cosentino”. Il partenopeo si prende del “cefalo” dal giornalista della radio padana che, alla fine, dopo avere trascorso un pomeriggio in difesa finalmente abbassa la guardia e stremato ammette: “Io sono solo contento che i vari Papa, Cosentino e Tedesco non facciano parte della Lega”. Ma come? Non erano solo degli onorevoli perseguitati dalla magistratura?
La giustizia presa a sberle
di Gian Carlo Caselli (il Fatto, 14.01.2012)
In Italia la Camera, per “salvare” dall’arresto un suo componente, prende a sberle la magistratura farfugliando di “fumus persecutionis” e altre amenità pur di rendere meno indigeste strategie che riducono la politica a baratto. In Italia la Camera, per “salvare” dall’arresto un suo componente, prende a sberle la magistratura farfugliando di “fumus persecutionis” e altre amenità pur di rendere meno indigeste strategie e alleanze che riducono la politica a mortificante baratto. Nello stesso tempo, a Londra, lord Phillips di Worth Matraves, presidente della Suprema Corte, ha stabilito che nella sua aula chiunque sarà libero di abbandonare gli antichi paramenti. Basta quindi con parrucche e forse anche con toghe e bavaglini di pizzo. La modernità contro una tradizione che risale al Seicento. Con la motivazione (così Andrea Malaguti su La Stampa) che “il processo va reso accessibile a chiunque”; - deve essere “un confronto tra uomini, non tra raffinati aristocratici scelti per rappresentare una plebaglia muta”.
NON PORTANO parrucche i deputati italiani che a maggioranza hanno “salvato” l’onorevole Cosentino e prima ancora avevano disinvoltamente approvato, tra l’altro, leggi “ad personam” finalizzate a sottrarre il processo al giudice naturale (legge Cirami), oppure ad allontanare indefinitamente nel tempo la celebrazione di un dibattimento (lodo Schifani).
Ecco allora che anche senza una parrucca in testa si può essere “parrucconi”, cioè personaggi arroccati intorno ai propri privilegi, incapaci di corrispondere adeguatamente alla pretesa di equità e giustizia che i cittadini esprimono appellandosi al principio di legalità, della legge eguale per tutti. Finendo così per considerare i cittadini, invece che sovrani (la sovranità appartiene al popolo), appunto una “plebaglia muta”: da liquidare con stanchi ritornelli sui teoremi dei magistrati, sul loro accanimento persecutorio contro il politico di turno e via salmodiando all’infinito.
Una politica, questa, che sembra amare il masochismo, perché non fa che gonfiare il discredito e la sfiducia che già dilagano nei suoi confronti. Si potrebbe persino essere tentati di chiedere ai parlamentari italiani di indossare proprio le bianche parrucche (rigorosamente di crine di cavallo) che in Inghilterra si vogliono abolire: per coerenza, vista l’atmosfera un po’ irreale e molto, molto vecchia (precostituzionale?) in cui certe decisioni della maggioranza della Camera vanno a incastonarsi. E chissà mai che le parrucche - per assurdo - non contribuiscano al recupero di alcuni valori.
PERCHÉ oggi è certamente roba da medioevo, ma storicamente quest’abbigliamento - a volte proprio con la sua ridondanza - ha avuto una funzione precisa: ricordare e riaffermare il noto paradosso del costituzionalista inglese, secondo cui l’esercito e la flotta dell’Inghilterra hanno una sola funzione, rendere possibile che il giudice emani le sue sentenze. Perché la legalità è il cemento della convivenza civile, è il freno a egoismi e onnipotenze, è il prevalere delle regole condivise. E con una parrucca in testa, forse, diventerebbe più difficile indulgere all’idea - terribilmente italiana - di una giustizia “à la carte” valida per gli altri ma mai per sé.
Il network che salva i casalesi
di Nando Dalla Chiesa (il Fatto, 14.01.2012)
Ma è stato “solo” un istinto di casta quello che ha portato il Parlamento a sottrarre Nicola Cosentino alle leggi della Repubblica? A salvarne uno per completare il suicidio collettivo? Dietro, in realtà, c’è dell’altro. Ma è stato “solo” un istinto di casta quello che ha portato il Parlamento a sottrarre Nicola Cosentino alle leggi della Repubblica? A salvarne uno per completare il suicidio collettivo? Chi conosce un po’ storia e personaggi del Parlamento italiano sa quanto questo istinto sia potente. L’idea che domani possa capitare a me o a te, a qualcuno dei nostri. L’idea che la nostra dignità costituzionale ci ponga al di sopra delle leggi. L’idea che tutto questo si possa chiamare “garantismo”. Lo stesso a cui non per nulla si è appellata la Lega del cappio e di Roma ladrona. Ma dietro il caso Cosentino c’è altro. C’è la storia di lealtà e solidarietà che si radicano nelle fibre più intime del potere. Fibre invisibili, inconfessate. E forse, per iniziare a capire, conviene tornare a quella riunione segreta venuta a galla nel luglio del 2010 e che proiettò sull’Italia l’immagine di qualcosa di simile a una nuova P2; una P3, come si disse. In quella riunione a Roma si erano trovati in otto. Ripassiamo i nomi. C’era Denis Verdini, vero coordinatore del Pdl, referente della cricca dei costruttori. C’era Marcello Dell’Utri, ispiratore del progetto di Forza Italia e poi condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa.
C’ERA FLAVIO Carboni, uomo P2, con la sgradevolezza di essere stato condannato in primo grado (ma poi assolto) per l’omicidio del “banchiere di Dio” Roberto Calvi. C’era il governo, nella persona del magistrato e sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. C’era un altro esponente del ministero della Giustizia, nella persona di Arcibaldo Miller, capo degli ispettori ministeriali. Poi Antonio Martone, avvocato generale della Cassazione e già presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Infine c’erano due signori campani sconosciuti alla quasi totalità dei cittadini italiani. Uno era Pasquale Lombardi, l’altro Arcangelo Martino.
Il primo autonominatosi giudice tributario, in quanto membro di commissioni tributarie, ed ex sindaco di un paese irpino. Il secondo “imprenditore” e piuttosto anonimo ex assessore socialista. Che cosa accomunava i due? Essere stati tra gli sponsor più intransigenti della candidatura di Cosentino a presidente della Regione Campania. Bene. Che ci facevano insieme persone tanto diverse? Note e sconosciute, interne ed esterne alle istituzioni? Secondo quanto sostengono i carabinieri, si stavano occupando di due cose: a) pilotare nel verso giusto la sentenza della Corte costituzionale sul lodo Alfano; b) salvare la Mondadori dal suo spaventoso debito verso l’erario. Insomma, stavano lavorando per “Cesare”, come lo chiamavano, che sempre secondo i carabinieri era Silvio Berlusconi. Uno scenario inquietante: magistrati misti a personaggi che, direttamente o indirettamente, evocano comunque all’osservatore l’ombra, nell’ordine, della Cricca, di Cosa Nostra, della P2 e dei Casalesi. Tutti insieme per concordare come influenzare l’organo supremo della giurisdizione repubblicana. Ecco, i due sponsor di Cosentino fanno parte di quel ristrettissimo nucleo di persone che in quel momento (nemmeno due anni fa) rappresenta il potere politico vero, un gradino sotto Cesare. Ne spartiscono e ne custodiscono i segreti. È a queste stanze che bisogna andare per capire le ragioni del suicidio di una classe politica. Al network micidiale di poteri che opera a Roma all’ombra dei Palazzi istituzionali, con i quali ha frequentazioni continue (Lombardi era un vero accalappiatore di alti magistrati e consorti in convegni “scientifici” da officiare in località di lusso).
DI QUA gli ambienti più contigui alla sfera illegale del Paese. Di là una pletora di magistrati distaccati ai ministeri, consiglieri di Stato, magistrati Tar, che amministrano i poteri di governo assai più dei sottosegretari e di quasi tutti i ministri, unica eccezione quelli che possono incidere sulle loro carriere. Questi due mondi si incrociano di frequente, non tutti con tutti, si capisce. Non sempre per progettare o commettere reati, a volte solo, “innocentemente”, per sistemare un figlio o trovare una casa. Ma garantendo sempre la possibilità di passare facilmente da un estremo all’altro del network.
Per capirsi: i Casalesi avranno anche dato un impulso formidabile alla fase della cosiddetta camorra-impresa, disseminando i loro capitali in attività economiche di ogni tipo in tutto il paese, da quelle immobiliari a quelle commerciali, e mescolandosi con ogni tipo di potere, accumulando un grande potere di ricatto. Ma è a quel network che bisogna andare. È quel luogo inafferrabile - abitato non dalle “multinazionali” ma da persone spesso mediocri e sconosciute - che unendosi allo spirito di casta ha rovesciato i pronostici salvando Cosentino. E ci ha consegnato questa terribile immagine dello Stato: carabinieri, polizia e magistrati (quelli regolarmente accusati dai colleghi del network di volere “far carriera”) che arrestano uno dopo l’altro tutti, ma proprio tutti, i capi dei Casalesi; e il Parlamento che mette in salvo il loro referente politico.