Giorgio Colli è in Rete (con Socrate)
Il pensatore che ha curato le opere di Nietzsche diffidava della parola scritta. Invitava gli allievi a dialogare tra loro e con i grandi del passato. Ora rivive grazie a un sito
di Edoardo Camurri (Corriere La Lettura, 27.01.2013)
«Prima regola di saggezza della vita: non farsi prendere dalla rabbia di fronte alla stupidità e alla debolezza degli uomini. Ciò reca grave danno» scriveva Giorgio Colli ne La ragione errabonda. Quaderni postumi, un testo a cura del figlio Enrico uscito per Adelphi nel 1982.
Giorgio Colli è stato uno dei più grandi filosofi del Novecento, ma (consentitemi una certa brutalità) la stupidità e la debolezza degli uomini non hanno ancora permesso di riconoscerlo fino in fondo come tale.
Colli giganteggia davanti a Heidegger, potrebbe dare del tu a Nietzsche e può concedersi il sovrano disprezzo (ma senza rabbia, anzi con sprezzatura) nei confronti di una contemporaneità ridotta spesso a essere luogo d’appuntamento delle menti ordinarie. Giorgio Colli, come ricordava il suo allievo e collaboratore Mazzino Montinari, è il filosofo meno convegnabile che ci sia.
Ora, se le cose stanno così, potrebbe sorprendere che l’interesse per Giorgio Colli stia riemergendo; e non in Cina (dove ormai è diventata una moda giornalistica andare a caccia della fortuna postuma di alcuni grandi pensatori, per esempio Tocqueville e Leo Strauss) o negli Usa (dove serve sempre un nuovo strumentista per suonare la grancassa dell’Italian Theory) ma sul web, grazie a un sito rinato qualche mese fa e che, poco per volta, ma con un ritmo abbastanza impressionante, sta mettendo online gran parte dei materiali presenti nell’Archivio Colli di Firenze: giorgiocolli.it.
L’iniziativa è paradossale e affascinante insieme. Ne parliamo con Alberto Banfi, quarantaquattro anni, bibliotecario per ragazzi a Seregno, che da anni ha iniziato a lavorare insieme a Enrico Colli (morto il 30 luglio del 2011) proprio a questo progetto. «Grazie al web - dice - è possibile raccogliere quell’interesse per Colli che altrimenti è difficile catalizzare attraverso le scuole, le istituzioni, i giornali e i media tradizionali; parliamo di un filosofo che ha trovato pochissimo spazio nell’università e nella critica».
A complicare le cose, e a renderle perciò ancora più interessanti, è il fatto che Giorgio Colli ha scritto pochissimo, preferendo un lavoro diretto con gli amici e con i collaboratori: «Colli aveva capito che l’unico modo per fare cultura, in quel periodo, era il lavoro editoriale» spiega Banfi spingendo ancora più in là un paradosso che si può riassumere così: rivive sul web un grande filosofo inattuale la cui unica concessione culturale alla contemporaneità erano le grandi fatiche editoriali (per dirne una: Colli curò per l’Adelphi appena fondata da Luciano Foà, Roberto Bazlen e Roberto Calasso l’edizione critica dell’opera completa di Friedrich Nietzsche; e sul sito è possibile leggere una parte dell’affascinante corrispondenza con Luciano Foà a proposito di questo incredibile progetto editoriale nato alla fine degli anni Cinquanta).
Viene in mente un passo che si legge nel suo Dopo Nietzsche (Adelphi) e che può essere applicato a lui stesso: «Nietzsche - scrive Colli - attacca Socrate come se fosse vivo, come se lo vedesse dinanzi a sé. Questo è il grande fascino della sua inattualità. Essere fuori del tempo ma avvicinare il passato, trattare l’assente come presente».
Il web, chi lo studia lo ripete spesso, è capace infatti di trattare l’assente come presente, in una sospensione del tempo che sembra poco per volta erodere il pregiudizio collettivo nei confronti della storia e del progresso. Considerazioni abbastanza conturbanti anche se, lo ammetto, arrivano dopo l’entusiasmo per l’immediato, cioè per lo spettacolo che si prova davanti a tutto il materiale che si può trovare sul sito web dell’archivio Giorgio Colli.
Ho trovato per esempio innamorevole la ricostruzione che Clara Valenziano, scrittrice, prima moglie di Valentino Parlato, ha fatto degli anni di Lucca quando, immediatamente dopo la guerra, Giorgio Colli insegnava filosofia in un liceo di quella città e i suoi allievi la studiavano secondo lo spirito più classico dei grandi greci: «Molto presto fu deciso, per dare basi più solide alle nostre discussioni, di organizzare la lettura di testi. L’autore più letto fu Platone. Ed è comprensibile che, quando a Lucca si seppe che leggevamo il Simposio e ci banchettavamo su, la cosa fosse considerata deplorevole: del resto era vero che quasi sempre qualcuno finiva sbronzo».
Il Simposio li rese famosi. «Anzi, malfamati» precisa la Valenziano che poi aggiunge: «Fu il primo dialogo che leggemmo, l’Alcibiade, ad aiutarmi a capire quello che Colli intendeva quando diceva che dovevamo formare "una comunità di amici uniti dal vincolo della conoscenza e da una particolare qualità dell’anima". È il passo dove Socrate dice che come un occhio, se vuol guardare se stesso, deve specchiarsi nell’occhio - sede della vista - di un altro, così l’anima, se vuol conoscere se stessa, deve guardare nell’anima - sede del sapere - di un altro: deve specchiarsi, manifestarsi, esprimersi».
La rievocazione di quell’esperienza filosofica, come si dice, vale il viaggio. Come vale la pena sorprendersi leggendo sempre sul sito il diario del 1944 dove il ventisettenne Giorgio Colli confidava come buon proposito: «Preparare sin d’ora il sistema filosofico definitivo» (può fare sorridere, ma è l’unica ambizione vera dei grandi filosofi).
Giorgio Colli diffidava della comunicazione scritta; si legge nella sua Filosofia dell’espressione (Adelphi): «Qualcosa di sinistro appartiene alla scrittura: chi legge si sente spinto ad abbreviare i passaggi, a saltare qualcosa, come per un’oppressione innaturale di fronte a una struttura macchinosa. La parola viva richiama direttamente l’universale, mentre di fronte allo scritto, che dovrebbe richiamarlo indirettamente, si salta lo stadio della parola o meglio si confonde in una cosa sola parola e universale».
Diffido delle teorizzazioni sul web, ma è eccitante pensare che l’aristocratica diffidenza di Giorgio Colli nei confronti della scrittura in nome di una comunità di eletti e di eguali con la quale fare filosofia possa essere attraversata dalla freccia di una comunità 2.0 di appassionati di Giorgio Colli. Anche se il maestro è assente, importante è trattarlo come presente. Guardarsi negli occhi. Anche attraverso un sito web.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
"CHI SIAMO NOI IN REALTA’?" (NIETZSCHE).
LA FIGURA DEL "CHI": IL NUOVO PARADIGMA.
Federico La Sala
Un altro pensiero, un’altra vita. La via di Giorgio Colli
di Federico Ferrari (Antinomie, 16/12/2020)
Nella sua villa a San Domenico di Fiesole, Giorgio Colli ha vissuto, solitario, la sua esperienza nel pensiero. Sul suo tavolo ha intessuto, nell’arco della sua breve esistenza (1917-1979), un interrotto dialogo con i grandi scrittore e pensatori di Occidente e d’Oriente. Primi tra tutti i Presocratici, Platone, Aristotele, Spinoza, Kant, Schopenhauer e, naturalmente, Nietzsche. Il suo lavoro filologico è stato tra i più alti del Novecento. Ma le migliaia di carte ammassate, le decine di migliaia di volumi letti, non sono mai stati per lui il fine ultimo.
Non c’è alcun dubbio che la parola di Colli, la sua rara parola scritta (tra il suo primo libro, Physis kryptesthai philei. Studi sulla filosofia greca [1948], e il secondo, Filosofia dell’espressione [1969], passano ventun anni), indicasse sempre un “aldilà” della parola. Questa ulteriorità, talvolta, sembra far segno in direzione di una sapienza, di cui la filosofia, l’amore per la sapienza, sarebbe solo una forma di decadenza. Come per il Wittgenstein del Tractatus, la filosofia sembra configurarsi solo come una scala per arrivare a ciò che trascende la parola, a quell’agire e sentire silenzioso che si apre all’approssimarsi di ciò di cui non si può parlare. Wittgenstein chiamava questa dimensione il mistico. E, sicuramente, Colli non avrebbe trovata indegna questa parola.
Ma la via di Colli, il suo percorso intellettuale, non era una forma di ascesi, intesa come un tentativo di liberarsi dal mondo. Mi pare, al contrario, che si possa dire che Colli intendesse l’esercizio filosofico esattamente come preparazione a una nuova vita, qui e ora. Se si dava un senso alla pratica del pensiero e alla dismisura a cui il pensiero espone, questo consisteva, per Colli, nel disvelare la vita sotto un’altra e più intensa luce.
Il fine della pratica di pensiero è, in fondo, la comprensione o, forse, piuttosto, la percezione di una dimensione di immediatezza della vita. L’esistere è alogico, aniconico, perfino amouson, per usare il neologismo empedocleo, così caro a Colli. Nemmeno la Musa può dire quel fondo immediato, privo di ogni mediazione possibile, in cui la vita e il suo senso, nascosto nella sua assoluta visibilità, si mostra.
Giorgio Colli ha mostrato una via. Direi che quasi nessuno lo abbia seguito. Ma la via è lì e i sassolini che ha disseminato, instancabilmente, nell’arco della sua vita permettono a chiunque abbia un minimo di attenzione di ripercorrerla. La sua azione culturale non è stata vana.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
WITTGENSTEIN E "IL MISTERO PROFONDO": UNA QUESTIONE TUTTA DA RIAPRIRE, SUL FILO DELL’ARCHIVIO RITROVATO
FLS
Giorgio Colli
La filosofia stana tutte le apparenze
di Pietrangelo Buttafuoco (Il Fatto, 08.02.2019)
La totalità si esprime nell’immediatezza. Nulla che possa essere già conosciuto può farsi ri-conoscere e solo l’espressione, dunque - l’istante nell’immediato, la freccia che scocca dall’arco di un dio - avvia il fondamento della sapienza.
L’immediatezza è nell’espressione, è l’oralità pre-alfabetica della misteriosa origine del logos ed è l’insegnamento di Giorgio Colli (Torino, 16 gennaio 1917, San Domenico di Fiesole, 6 gennaio 1979). Filosofo, traduttore dell’Organon di Aristotele e della Critica della Ragion Pura di Immanuel Kant, nonché - consegnandosi alla memoria del mondo intero - curatore con l’allievo Mazzino Montinari dell’edizione critica delle Opere di Friedrich Nietzsche, Colli torna oggi per tramite degli atti di un convegno (Trame nascoste) cui hanno preso parte i suoi autorevoli allievi e studiosi tra i quali Franco Volpi, Carlo Sini, Sossio Giametta e Ferruccio Masini.
Il nostro più grande patrimonio è la filosofia alla radice della quale c’è la stupefacente sapienza greca. La conoscenza, sempre rivolta al discorso - che è lo scorrere delle parole - è coincisa con la vecchia poesia cui Platone con l’invenzione del dialogo ha offerto la navicella per sopravvivere al naufragio (magnifico l’intervento di Sini) verso un mondo nuovo che non sa saziarsi, assoggettati a Socrate, il demoniaco, “colui che ragiona troppo, che pensa troppo, che parla troppo (sebbene sia capace, come si sa, di misteriosi silenzi)”. Giorgio Colli - un profondo conoscitore del mondo greco e, conseguentemente, di Nietzsche - dalla nettezza dell’autenticità rischiara l’oscurità che s’avvolge intorno al dominio delle apparenze e della fallace rappresentazione.
Una rigorosa autenticità teoretica - “il logos autentico non riconosce come suo oggetto l’agire” - che porta a negare qualunque predominio del politico sulla conoscenza che prescinde, come si legge nella relazione di Enrico Piergiacomi, “dall’utilità e cerca al suo posto qualcosa di più essenziale”. L’autore del Dopo Nietzsche fa propria la sentenza Physis kriptesthai philei, ovvero “la natura ama nascondersi” e da qui rinnova la propria fedeltà (lo annota Giuliano Campioni) a “una superiore sfera originaria cui si lega il sapiente per poi riportare la verità agli uomini”. La contemplazione gioiosa dell’esistenza, pur con tutto il suo dolore, è amministrata da Dioniso. Sofocle descrive il dio come il “custode del transito delle parole notturne” e lo sconfinare nella sacralità di soggetti puri, quali sono i filosofi, nell’elaborazione teoretica di Colli rimanda alla perfetta politicità degli oggetti puri, in un agone che “suscita e porta a pieno sviluppo quanto di meglio e di eccellente v’è nella natura dell’uomo”.
Un volume prezioso e anche di elegante fattura è Trame nascoste. Due giornate di studi su Giorgio Colli a cento anni dalla nascita. Il libro, con Appunti filosofici 1947 e altri scritti dello stesso Colli, raccoglie l’esito di un convegno a cura di Clemente Tafuri e David Beronio tenuto a Genova il 13 e 14 aprile 2017 nell’ambito di Testimonianze ricerca azioni, un appuntamento del Teatro Akropolis e, siccome risalendo a Dioniso l’approdo è il teatro, una segnalazione a parte la merita, tra le relazioni, quella di Marco Martinelli, drammaturgo, regista e filologo.
*
AA. VV. Trame nascoste. Studi su Giorgio Colli Pagine: 726 Prezzo: 35 Editore: Akropolis Libri
ORIENTARSI NEL PENSIERO:"SAPERE AUDE!". KANT, NIETZSHE, E " UN GRANDE GENIO SENZA CORAGGIO" ... *
Il metodo di Heidegger per imparare a pensare
di Armando Torno (Il Sole-24 Ore, 23.02.2018)
Adelphi ha ristampato in una “nuova edizione ampliata” il saggio che Martin Heidegger intitolò “Nietzsche” (pp. 1040, euro 28). La prima traduzione italiana risale al 1994 [pp. 1034], l’edizione originale è del 1961.
A dire il vero, questo libro non è una monografia del più grande filosofo del Novecento sul pensatore-chiave del mondo contemporaneo. L’opera, composta da testi scritti tra il 1936 e il 1946, utilizza come titolo il nome di Nietzsche ma indica - usiamo le parole dello stesso Heidegger - “la cosa in questione nel suo pensiero”. Dove “cosa” va intesa come la metafisica dell’Occidente, la gabbia speculativa che è stata adoperata per secoli e che in Nietzsche si manifesta in una sua ultima espressione. O, meglio, in una forma esasperata.
Queste pagine non contengono quindi l’analisi di un particolare sistema utilizzando uno schema tradizionale ma, pur esaminando parti del lascito di Nietzsche (e anche di altri, quali Platone, Protagora, Descartes, Schelling o Kierkegaard), intraprendono una sorta di lotta per svincolarsi dalla ricordata metafisica. Heidegger, insomma, combatte una battaglia ricorrendo al filosofo che per primo l’aveva tentata.
In una nota Roberto Calasso pone in evidenza il fatto che Heidegger, che non ha nulla da condividere con i manipoli dei critici di Nietzsche, sia l’unico che gli “risponda”.
Del resto, come scriveva nella postfazione Franco Volpi, nel secolo scorso Nietzsche ha suscitato al tempo stesso “entusiasmi e attirato anatemi”; ha inoltre ispirato “atteggiamenti, mode culturali e stili di pensiero, ma al tempo stesso provocato reazioni e rifiuti altrettanto risoluti”.
Heidegger, è il caso di aggiungere, non è stato da meno. Se si consultano le tante storie della filosofia che circolano, in ciascuna di esse si può trovare una definizione che lo riguardi; ma tutte, ci si accorge ben presto, gli stanno strette.
Anche la recente polemica, che si fondava su un presunto antisemitismo di Heidegger, non ha tenuto conto del fatto che tra i suoi allievi vi sono stati alcuni tra i migliori intellettuali ebrei del secolo scorso, come prova il caso di Karl Löwith; o, guardando oltre, basterà ricordare Leo Strauss, anch’egli esule dalla Germania per le leggi razziali, che applicò il metodo heideggeriano di decostruzione storica in alcuni suoi importanti scritti. Entrambi, insieme a molti altri, tra cui il cattolico Romano Guardini, furono affascinati da Heidegger.
E anche chi leggerà, meditandolo, il suo “Nietzsche” difficilmente potrà restare indifferente. Vi troverà non la descrizione di un pensiero (anche se non manca) ma un metodo per imparare a pensare. Cosa che non si nota in molti filosofi dei nostri talk show.
*
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
HEIDEGGER, KANT, E LA MISERIA DELLA FILOSOFIA - OGGI.
L’APOLOGIA DEL MENTITORE ISTITUZIONALIZZATO E LA FILOSOFIA ITALIANA. Nella scia di Constant, Kant, Hobbes e Mendiola. Una nota di Armando Torno su "una questione oziosa e irrisolta"
ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA: LA CARESTIA AVANZA!!! Benedetto XVI "cambia la formula dell’Eucarestia"! «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!! Note di Gian Guido Vecchi e di Armando Torno
MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIU’ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIU’ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA
Federico La Sala