Sui Pacs l’Osservatore Romano e la Curia fanno ’’acrobazie’’. Ma, soprattutto, con un atteggiamento simile si entra nel campo dell’ ’’intolleranza religiosa’’, perche’ ’’le religioni non devono dire al fedele come devono vivere e votare’’.
In un’intervista al quotidiano online ’Affariitaliani.it’, don Andrea Gallo risponde all’Osservatore Romano che ieri ha attaccato le posizioni del ministro della famiglia Rosy Bindi definendole ’’acrobazie dialettiche a danno della famiglia’’. ’’Se vuole qualificarsi, la maggioranza deve rispettare i diritti delle minoranze. Quindi, stando soprattutto alla Magna Charta che e’ l’art. 2 della Costituzione che sfocia nell’art. 3, devono essere affrontati i diritti di quelli che oggi chiamano Pacs - dice - chi fa la scelta per i piu’ poveri, per i diritti, non sbaglia mai: intanto li ascolta, e non li caccia’’.
L’amore, prosegue, ’’non ha bisogno di registri civili, religiosi, o, come nel matrimonio cattolico, la presenza particolare del prete o le note dell’organo. E’ un impegno veramente grande, di liberazione, di annuncio per tutti’’. Dunque i Pacs non minano la famiglia.
’’Ammesso e non concesso che ci sia l’attacco al matrimonio - spiega Don Gallo - la coerenza dei cristiani non viene toccata, perche’ devono rispondere con dei si’ agli impegni presi davanti all’altare’’. Il messaggio alla Curia e’ chiaro.
’’Siete voi a fare acrobazie, qua c’e’ solo sofferenza. Io la penso come l’Abbe’ Pierre, vecchio ma sempre lucido, mi piace la definizione che ho letto in un suo libro: alleanza civile’’.
Le religioni, prosegue il sacerdote genovese, ’’non devono dire al fedele come devono vivere o come votare al referendum. Questa e’ intolleranza religiosa, quando si parla di fondamentalismi si parla solo di quello islamico, che e’ falso. Qui c’e’ bisogno invece di moderazione religiosa, bisogna bacchettare quelli che vogliono imporre come si adora Dio’’.
La difesa dei principi cristiani, conclude Don Gallo, ’’non deve preoccuparsi di essere aggredita’’: piuttosto, ’’i cristiani devono impegnarsi a testimoniare nella realta’ politica e sociale la loro coerenza. Solo cosi’ potranno dare un messaggio di buona novella, nel rispetto tuttavia di altre scelte laiche’’
* (Fonte: ITALIA TV Notizie/News - ITALIA TV Home Page 23/05/2006 - 16:00; --- www.ildialogo.org, Mercoledì, 24 maggio 2006)
«Per lui la Chiesa userà poco inchiostro»
di Antonio Mazzi (Corriere della Sera, 24 maggio 2013)
Caro direttore,
si è consumato anche il cuore di don Gallo. Uno alla volta ce ne stiamo andando senza chiasso e senza gloria. Dico «stiamo andando» perché, nel bene e nel male, faccio parte anch’io di quei pochi preti stimati più dai laici che dai cattolici. Le loro disobbedienze, il loro fuori «testo» hanno pesato e pesano molto di più dei rischi apostolici, delle appassionate e squilibrate scelte di campo per la difesa scriteriata degli ultimi e dei perdenti.
Noi siamo nati per camminare con Caino, per aspettare sull’uscio di casa il figliol prodigo, per cercare giorno e notte la pecorella smarrita. Noi siamo diventati grandi supplicando il Dio, del settanta volte sette, di lasciare qualche mese di ferie anche a Giuda. Esiste una categoria di persone che, se giudicate con il codice, con il testo dei comandamenti, non avranno mai speranza e collocazione dignitosa. Al massimo, secondo alcuni studiosi, moralisti, sociologi, meriterebbero l’alternativa al carcere e qualche programmino in comunità.
Tanti parleranno di lui perché, negli ultimi tempi, sono uscite biografie dell’uomo con il cappello e il sigaro. Il mondo ecclesiastico consumerà poco inchiostro. Per i funerali, come accade sempre, l’epigrafe sarà generosa.
Il papa Francesco diceva, qualche settimana fa, che vorrebbe un clero «con gli odori del gregge». Don Gallo questo odore lo spargeva in abbondanza, incurante di coloro che avevano rancurato (l’odore) e furbescamente raccolto in micro boccette «di elisir di pecora». Se lo spargevano (e se lo spargono) nei momenti giusti, nelle quantità giuste e nei luoghi adatti. La «tenuta» di questi profumi è sempre meno apprezzata e meno frequente. Aumentano invece, con abbondanza, i paludamenti da sinedrio, i discorsi da accademici e le analisi bibliche raffinate. Tanti sono i preti dispersi nelle università romane e rintanati nelle curie, nelle biblioteche e santuari. Questi preti la gente li capisce di più.
I don Gallo, invece, forse, verranno riconosciuti post mortem . Quando i ragionamenti scompariranno e riaffioreranno, invece, gli episodi eroici e profetici, carichi di altruismo, gratuità totale, misericordia radicale, tutto sarà più chiaro ed evangelico. Il cuore è un luogo senza regole, senza confini.
Il cuore osserva un solo comandamento: ama gli altri come te stesso, con la stessa «quantità» di amore con cui ama Dio. L’ha detto Cristo, l’ha detto Paolo, l’ha detto Francesco, l’ha detto Agostino. L’amore non fa peccati! Per don Gallo la paternità era legge, la parolaccia era carezza, la fede carnale, la speranza era Politica. Addio cappello sciupato: addio sigaro mai spento, addio parolaccia che affettava, come una lama affilatissima, l’egoismo, la borghesia e l’ipocrisia.
don Antonio Mazzi
E’ morto don Gallo
prete degli ultimi
Il sacerdote è mancato nella Comunità di San Benedetto. Aveva 84 anni. Le sue condizioni erano improvvisamente peggiorate dopo i tre giorni di ricovero in ospedale
di WANDA VALLI *
Don Andrea Gallo è morto. Se n’è andato il "prete degli ultimi", lui che aveva dato voce, conforto e speranza a chi era rimasto ai limiti o fuori della società. Ha ceduto il suo cuore, il cuore che tanta parte ha avuto nella sua storia di prete.
Don Andrea da un po’ non stava bene, ma aveva continuato, comunque e sempre, la sua vita piena di impegni, per i "suoi ragazzi" per la gente della Comunità di San Benedetto al Porto. Solo qualche giorno fa sono riusciti a convincerlo a farsi ricoverare in ospedale, per una serie di controlli.
Tre giorni con il "don" che scalpitava per tornare a casa. Alla fine c’era riuscito, a tornare in Comunità, ma appena arrivato le sue condizioni sono peggiorate: cuore e polmoni in tilt, una situazione che è scivolata via in fretta, con i suoi ragazzi" attoniti , i medici che lo seguivano disperati per quel paziente che stimavano e a cui volevano bene. Fino a ieri sera è stato cosciente, oggi pomeriggio si è addormentato per sempre.
Dio benedica don Gallo
di Bruno Gambardella *
Venerdì sera, dopo tanto tempo, ho avuto occasione di seguire in televisione su La7 Le invasione barbariche, il programma di Daria Bignardi che molti commentatori trovano un po’ troppo radicalchic, un salotto buono della sinistra ricca, elegante e paciona. Non so quanto siano ingenerose (o invidiose) certe critiche: a me il programma piace anche perché ospita spesso personaggi che non trovano quasi mai spazio nei programmi d’informazione più tradizionali.
Ho potuto ascoltare dopo un bel po’ di tempo don Gallo, uno dei pochi preti che mi fanno quasi arrossire per il mio acceso anticlericalismo. Don Andrea, a dire il vero, del prete cattolico "tradizionale" ha ben poco. Se pensiamo a quei sacerdoti arraffoni e affaristi che popolano il nostro Paese, tutti presi a fare la morale agli altri parlando da un pulpito personale fondato su ipocrisia e menzogna, l’uomo che di notte gira nei vicoli di Genova per tendere una mano a quelli che per altri sono rifiuti della società appare decisamente fatto di tutt’altra pasta.
Avevo comprato qualche mese fa il suo libro (Sono venuto per servire) e l’avevo letto tutto in poche ore, letteralmente preso dalla storia di quest’uomo che chiama i suoi ragazzi "drogati di merda" ma che poi li aiuta a ritrovare la dignità perduta e persino un lavoro. Vederlo e ascoltarlo però, sinceramente, fa tutto un altro effetto. Le sue parole, scandite con il tipico accento genovese, aprivano squarci nel cuore di chi, come me, non ama il cattolicesimo romano e i suoi vertici. Sentire dire a don Andrea "Io amo la mia chiesa, è casa mia, ma io devo portare il messaggio evangelico agli ultimi" mi ha fatto riflettere sulla possibilità che ci sia ancora qualcuno che, andando oltre il disgusto o la sofferenza per le incrostazioni del potere che soffocano il Vaticano, riusce a portare Cristo ai disperati pur continuando a sentirsi parte di quella comunità.
E’ stato commovente il ricordo di monsignor Romero, il vescovo di El Salvador ucciso dagli squadroni della morte fascisti mentre celebrava la messa in cattedrale. Don Gallo parteciperà alla celebrazione della beatificazione di Giovanni Paolo II solo se, contemporaneamente, sarà conclusa la procedura per innalzare alla gloria degli altari anche il vescovo che si era schierato con i poveri e aveva denunciato i loro aguzzini.
Avendo già letto il libro non mi hanno sorpreso le parole spese da don Andrea a difesa della Costituzione repubblicana, un testo che, come cittadino di uno stato laico, egli considera ancora più importante del Vangelo. Solo ascoltandolo, però, ho potuto percepire con nettezza l’amore per la libertà di coscienza, il desiderio di una maggiore giustizia sociale, la voglia di combattere ancora perché il testo base della nostra democrazia torni ad essere carne e sangue dell’Italia intera. La sua forza e il suo coraggio hanno lasciato il segno. In conclusione ha ricordato quel celebre verso del poeta-cantautore genovese Fabrizio De André: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior..
Uno come me ,che la pensa in un certo modo, dopo quei pochi minuti di intervista, ha potuto ritrovare una qualche fiducia negli uomini (persino in quelli che indossano un abito talare) e, con emozione, ha pensato: don Andrea, che Dio ti benedica!
* Il Dialogo, Domenica 03 Aprile,2011 Ore: 00:51: www.ildialogo.org
intervista a don Andrea Gallo
Abbiamo sbagliato, il tempio può crollare
a cura di Malcom Pagani (il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2010)
Annusa, fiuta, scava. Uomo tra i cani, cane tra gli uomini. Poi si getta con la tonaca e le nere falde del cappello, nell’inesausta pozzanghera dei guai. Dagli anni ‘20, don Andrea Gallo li ha prediletti, accarezzati, risolti. L’amico di Fernanda Pivano “Ho appena conosciuto don Gallo e sono già incinta”, il fratello maggiore di Vasco e Manu Chao, il confessore di De André, il curato che fronteggia lacrimogeni, ingiustizie di Stato e pseudo-scomuniche, al pianto preferisce da sempre la musica della barricata. Entrò in sacrestia nel ‘59 e oggi, l’ottantaduenne che irride l’anagrafe e ama le rose più del pane, si guarda indietro.
Il sigaro perennemente acceso che adora le sfumature della follia, perché riconosce sagome conosciute senza dimenticare tutti i divieti che dalla metà degli anni ‘50, lo hanno messo sotto la lente del conservatorismo ecclesiastico, costantemente a disagio con una pecora del gregge, perennemente nera. Antiproibizionista convinto: “Se la Marijuana è sopravvissuta al Diluvio Universale, significa che Noè le aveva trovato posto sull’Arca”, Don-Don come lo chiamano tra i carrugi, abituati al tono della sua voce e al dialetto imbastardito con il latino, non si è legato alla schiera dei vincenti, dei troppi che sanno sempre come andrà a finire.
Ha lavorato, Don Gallo, alla luce fioca delle tenebre, per portare in superficie i dimenticati. I suoi amici sono diseredati, no global, clochard, detenuti. Lui dice che riconosce le loro lettere dai caratteri e dalla carta. Gli scrivono e il prete “comunista” ricambia, portando in libreria (in testa alla classica, per quanto valga) “Così in terra, come in Cielo”(Mondadori,135pag.,17 euro), istantanea di più di mezzo secolo fuori dalle regole. “Ho scelto Gesù a vent’anni, venivo dalla Marina Militare e dall’esperienza partigiana fuga e reazione dall’educazione clerico-fascista che recitava stanca il trittico dogmatico Roma-Berlino-Tokyo. Fu don Bosco a cambiarmi l’esistenza”.
A proposito di don Bosco, tempo fa, ne parlò con Berlusconi.
Mi fermò eccitato dopo una trasmissione con Santoro su Mediaset. “Don Gallo, sono stato allievo di don Bosco anche io’. Risposi Mi raccomando non lo evochi, rischia di rigirarsi nella tomba. Credo che nel tempo gli sia accaduto davvero.
Se si guarda intorno, cosa vede?
Città che non saranno mai a misura d’uomo, differenze, odio, paura. Io sono nato sul mare, noi genovesi siamo sempre stati curiosi di accogliere gli stranieri. Quando dico messa, ammonisco i fedeli.
In che modo.
Li guardo negli occhi: ‘Se non siete pronti a recitare il Padre Nostro quando uscite, non lo fate. Il santo benedetto non fulmina nessuno. Loro mi interrogano con lo sguardo e io continuo: ‘Tutti quelli che incontrerete tra mezz’ora, i cinesi, gli africani, saranno vostri fratelli. Se non siete disposti all’abbraccio, non proferite verbo. In fondo il mio precetto è sempre lo stesso.
Dica.
Sono venuto per servire e non per essere servito. È un biglietto da visita che non ho mai sostituito. Puttane, spacciatori, criminali comuni. Lei non gira le spalle. Qualche anno fa, ero ancora molto giovane, mi è capitato anche di rubare.
Scherza?
La notte, per quelli come me è sempre lunghissima. Mi capita di rientrare tardi, di confessare tassisti verbosi alle tre di mattina. Una volta incrociai una vecchia conoscenza. Stava caricando casse su un furgone, mi vede e pronto fa: ‘Ma voi preti non faticate mai?’ Così senza replicare, accendo un sigaro e mi metto a sollevare bauli e a infilarli sul camioncino. Due minuti dopo, a sirene spiegate, arrivò la polizia.
Conseguenze?
Avevano avuto una soffiata ma fortunatamente, quel commissario mi conosceva molto bene. Provai a scherzare: ‘Rimettiamo tutto a posto, non c’è bisogno di arrabbiarsi’.
Se le chiedessero le coordinate del suo viaggio sentimentale in direzione ostinata o contraria?
Non saprei tracciare un diagramma ordinato. Non credo nelle regole che strozzano l’istinto, nella coercizione, nella repressione. Quando ogni cosa diventa illegittima, la vera rivoluzione è l’illegalità.
Cosa la immalinconisce di più?
L’ipocrisia, il fariseismo, l’indifferenza, il fascismo che leggo tra le linee, nei piccoli gesti quotidiani, nel disprezzo gratuito. Io sono un miracolato. Resistenza, democrazia, Concilio Vaticano secondo. Ho rischiato di diventar matto a forza di tragedie. Ma al tempo stesso non voglio correre il rischio di negare a chiunque mi si pari davanti, due diritti fondamentali: alla non sofferenza e al piacere.
Suo padre era semianalfabeta.
Ferroviere di Campo Ligure. Un giorno, in uno dei tanti sotto le spire del Regime, portai a casa la pagella. In fondo c’era scritto: ‘Andrea Gallo, ariano’. Lui scosse la testa. ‘Si sono sbagliati, noi siamo razza di Campo’. Era ignorante ma aveva capito tutto. Come quelle maschere del teatro genovese che in occasione del tributo a De André, cercarono di confinare i suoi amici in piccionaia. C’era tutta la città in doppio petto. Notabili, miliardari, signore incipriate. Dori Ghezzi mi aveva riservato centinaia di biglietti.
I dipendenti erano terrorizzati.
Mi misi in mezzo e lasciai proscenio libero ai miei tossici, ai miei santi bevitori. Pellicce e barboni, l’uno al fianco all’altro. Un bel delirio.
Insidiò persino le poltrone ministeriali.
C’era Giovanna Melandri, e quel ragazzo, poverino, era diventato bianco dalla paura: ‘Qui no, assolutamente no, c’è il ministro’. E io pronto: ‘Le mettiamo accanto una bagascia delle vecchie case e senz’altro, uscirà arricchita dalla commistione di generi’.
Questioni più serie. La Chiesa e l’incubo della pedofilìa.
Dio manda i segnali. Quello della pedofilìa nella chiesa, come avrebbe detto Papa Giovanni, è un segno dei tempi. Il mio pensiero va alle vittime, per le quali mi auguro ci sia almeno il risarcimento economico. Però, la vicenda è più complicata.
Dica.
Qui crolla il Tempio.
Le gerarchie hanno reagito.
Sì certo, ho ascoltato lo sdegno del Papa, ma io sto ai fatti e lui, senza voler gettare fango sul mio Pontefice successore di Pietro, a Monaco di Baviera era addirittura Arcivescovo. Ora Ratzinger grida, ma cosa gridi?
Duro.
E come dovrei essere? Nessun prelato da le dimissioni, fossimo stati all’epoca dei roghi, questi empi sarebbero stati bruciati. Io sono prete da oltre 50 anni e sento su di me la responsabilità di quella sciocca, ipocrita, demenziale educazione alla sessualità. Siamo tutti responsabili nella chiesa. Comunità parrocchiali e comunità religiose, seminari, tutti.
Le colpe hanno un’origine?
Tutte queste crociate moralistiche per la fecondazione assistita, quest’aborto ancora incasellato come se chi scegliesse quest’opzione fosse un omicida, un assassino senza patria, un reietto. E poi il resto.
Quale resto?
I casi Welby ed Englaro. Puro oscurantismo. Tornando al discorso di prima, la Chiesa offre l’impressione di essere contro la sessualità che al contrario, è un grande dono di Dio. Bisogna assumersi le proprie responsabilità.
E lei?
Magari ho sbagliato anche io. Non sono un pedofilo, ma quando ho parlato con i ragazzini cosa ho davvero trasmesso loro?
Come ne uscirà la Chiesa?
Stiamo assistendo al suo crollo, ad anni di silenzio che deflagrano in un ambito vergognoso ed è persino scontato che poi la devianza scoppi. E’ tutto un sistema da cambiare. Nella Chiesa madre, come nelle famiglie più praticanti. Ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio
Una Riforma?
Arriva la riforma, un capovolgimento, una rivoluzione, oppure no?
Come è possibile che non la caccino?
Perché sono a casa mia e ho il diritto di dire quello che penso. I miei capi, che non dovrebbero conoscere solo il comando, ma la consapevolezza di essere padri (conosco anche il diritto canonico). Comunque, io sono stato il primo a suggerirgli il mio allontanamento.
Coraggioso.
Mandatemi via. Glielo ricordo sempre. In ogni famiglia esistono i figli degeneri, diseredati, io sono pronto a obbedire. Non devono far altro che decidere pubblicamente, annunciandolo sul giornale: ‘Don Gallo stia zitto’ e io per un anno lo farei. Zitto.
Difficile crederle.
La prima lettera di Pietro dice che è meglio obbedire a Dio che agli uomini, a me, le garantisco, non mi mandano via.
Perché?
Semplice. Non sono nessuno, non ho cariche, non conto nulla.
La sua allergia alle gerarchie è nota.
Le racconto una cosa. Era il ventesimo anno di pontificato di Wojtyla ed eravamo in tv con David Sassoli. Presi la parola: ‘Santità complimenti per le celebrazioni, tutte meritate, ma già che son qui, mi permetta una domanda’.
Gelo in studio.
Un certo imbarazzo. Poi parto: ‘Perché ha ucciso i miei maestri della teologia della liberazione? Sassoli era preoccupatissimo: ‘Andrea ti distruggono’. Non accadde. Pur di non concedere lusso e diritto di riflettere su ciò che si ignora o peggio indagare, preferiscono non punirmi.
Don Gallo e suoi primi cinquant’anni di... messe
di Filippo Gentiloni (il manifesto, 31 gennaio 2010)
Da salesiano festeggia i suoi 50 anni di messe oggi con una celebrazione nella chiesa di Don Bosco a Sampierdarena («è da qui che son partito») e domani con un’altra messa e una festa in piazza al Carmine per ricordare 39 anni esatti dell’insurrezione del quartiere contro il cardinale Siri che aveva deciso che quel viceparroco troppo comunista andava tolto di lì. Ne nacque anche una canzone che ora gira in rete «Mi hanno rubato il prete». Stiamo parlando di Don Andrea Gallo, 81 anni il prossimo 18 luglio, fondatore della Comunità di San Benedetto.
A Sampierdarena ci sarà anche monsignor Luigi Bettazzi, vescovo del Concilio Vaticano II, altro prete anomalo. Per dargli il permesso di venire pare che la chiesa ci abbia messo qualche settimana. Ma la festa si farà e Don Gallo ha promesso di parlar poco e far sentire invece i suoi ragazzi, quelli vissuti nella comunità, quelli che hanno bussato alla porta di Mura degli zingari, i mille incontri di tanti anni passati a occuparsi degli ultimi, come ripete spesso: «Sarà un incontro dedicato a un cammino iniziato nel ’65 nei salesiani di don Bosco quando fui accolto dalla diocesi di Genova. Sarà ripercorrere una storia d’amicizia, ricordare che siamo un’assemblea che vuole tenere le porte aperte a chi è in difficoltà, a chi non ha casa, a chi si sente perduto. La nostra è una comunità di base ecclesiale in comunione col vescovo».
Don Gallo alle sue messe invita tutti, atei compresi, come tanti ne entrano nelle sue messe domenicali celebrate col «permesso» del parroco di San Benedetto: «Vengano credenti e non credenti, siamo un popolo di Dio che si vuole sporcare le mani» - spiega mescolando come sempre cronaca ed evangelizzazione. «Vogliamo essere attenti ai diritti di tutti, ripartendo dagli ultimi. E vogliamo parlare di Concilio Vaticano II mica perché abbiamo nostalgia del passato, ma per ribadire che il Concilio è continuità della tradizione, una tradizione che non è ripetizione ma che si vuole nutrire dei bisogni e delle speranze dell’uomo contemporaneo. Per questo Roncalli parlava di perenne giovinezza della chiesa. Per questo la comunità sarà il 4 febbraio col Dal Molin a Vicenza, per questo partecipiamo alle lotte contro la privatizzazione dell’acqua e siamo contro ogni xenofobia, razzismo, omofobia».
Per la festa del Carmine («ci vado anch’io, ho abitato là» confessa Amanzio Pezzolo un vecchio camallo, a lungo viceconsole della Compagnia unica quando si chiamava Culmv) la gente del quartiere ha rispolverato anche una rassegna di foto dell’occupazione della chiesa l’1 e 2 luglio ’70 quando Don Gallo fu cacciato dopo cinque anni di onorato servizio. Era arrivato nel dicembre del ’65. L’incarico alternativo affidatogli dalla curia fu l’isola di Capraia, lui rifiutò e se ne tornò dai suoi genitori a Certosa. Poi l’8 dicembre del ’70 finì che lo nominarono «cappellano feriale e festivo nella chiesa di San Benedetto e impiegato a tempo ridotto alla Caritas, dalle 15 alle 18», come ricorda ancora in questi giorni quasi con divertimento.
Colloquio con don Gallo
"L’Islam? Il più bel regalo di compleanno"
"Il vero peccato è il consumismo che ci ha cambiati tutti:
ne parlavamo spesso con Fabrizio De Andrè"
di Wanda Valli *
La foto di don Bosco, il sigaro spento, il fazzoletto rosso al collo. La fede e la speranza, la testardaggine e il sorriso. Don Andrea Gallo, è tutto qui, nei simboli più cari, nei vezzi, nel carattere, lui prete di strada per scelta, che oggi compie 80 anni. Alla vigilia, li racconta nella comunità di San Benedetto, in una piccola stanza con i mobili arraffati, regalati, raccattati, con il ventilatore che non funziona e il caldo che entra dalla finestra aperta, vicino a don Bosco incorniciato e appeso al muro. Andrea Gallo è seduto alla scrivania, il pensiero va al suo mese del destino: «mi è successo tutto a luglio, la mia mamma ricordava che ero nato alle 13 di un 1928 rimasto nella storia perché caldissimo. A luglio c’è la festa della Madonna del Carmine, la svolta della mia vita, perché sono arrivato qui nel 1964, accolto da Siri, a luglio del 2001, c’è stato il G8, adesso la sentenza».
Già, la sentenza, ma prima parliamo di festa, di questi 80, magnifici, anni. Un regalo che vorrebbe? Lui strapazza il sigaro, disegna su un foglio stelle, righe, cerchi, sul regalo non ha dubbi: «Ecco, vorrei che si smettessero i litigi per dare la moschea ai fratelli islamici. Genova l’ha sempre avuta, sin da quando era la Repubblica, perché adesso no? Sono colpito come uomo prima di tutto, perché come Einstein che, a chi gli chiedeva la razza, rispose umana, io credo alla fratellanza». Ancora un desiderio: «a spegnere la candelina avrei voluto il mio vescovo, il cardinale Bagnasco, amo la chiesa e la vorrei in grado di cambiare, oltre che gloriosa e penitente».
Don Gallo, mai pentito di essere diventato prete? Lui quasi si stupisce: «io nella chiesa mi sento a casa, e allora mai, mai, mai pentito», magari avrà qualcosa di cui pentirsi? «No, tornassi indietro vorrei essere ancora più coerente con il Vangelo, per star vicino alla gente. Non ho mai avuto nemmeno ammonizioni canoniche, il nostro cartellino giallo». Buffa storia, la sua, don Gallo, prete di strada e di cardinali? «Ma no, è che anche Siri si divertiva con me. Mi ricordo il ’68, un giorno mi chiama e mi dice, senti un po’ quando andate in corteo nominate i vostri santi, ce n’è uno che non conosco. E io, dica Eminenza. Siri "Ho Chi Min" chi è?", capito? Siri era così».
Dal ’68 al luglio del 2001, con il G8, i migranti, e poi la sentenza su Bolzaneto, tre giorni fa. Che effetto le ha fatto? «Nessuno, una grande ammirazione per il lavoro dei pubblici ministeri, eccezionale, ma io facevo parte del Comitato dei garanti del Genoa Social Forum, tante volte ho sentito dire in aula "mi avvalgo della facoltà di non rispondere" e quindi nessuna sorpresa. Perciò avevo chiesto, più volte, la Commissione d’inchiesta, il governo di Berlusconi di allora la rifiutò, era nel programma del governo Prodi e non si è fatto niente lo stesso. Così la ferita rimane, ora si sa che è successo qualcosa di illegale, ma chi era ministro lo è rimasto e allora i giovani pensano "può succedere di nuovo". Volete far esplodere nuove frange di violenza?».
Sul G8, don Gallo non riesci a fermarlo, lui che si è fatto i cortei nel 2001, che ricorda i lacrimogeni «ci sono volute due ore per rivederci bene», lui che incalza: «qual era il grido del G8 dopo Porto Alegre? I giovani chiedevano, è possibile costruire un nuovo mondo? ecco perché resta la ferita. Qui, in questa stanza, è venuto Monicelli, nel luglio del 2001, è venuto Scola e tutti mi domandavano: riusciremo a togliere la paura del futuro ai nostri ragazzi». E lei come rispondeva, don Gallo? «Osare la speranza, era il motto della mia brigata partigiana». Com’è finito a far la guerra da ragazzino? «Per mio fratello Dino. Lui era tenente del genio, di stanza a Milano. Io andavo al Nautico, tutto casa, scuola, regole fasciste. L’8 settembre mio fratello sparisce, lo rivediamo qualche mese dopo, a casa. Annuncia «sono con i partigiani». Lui era un comandante io, a 17 anni, gli sono andato dietro, il mio nome di battaglia era "Nan" facevo un po’ di tutto».
Poi finisce la guerra, «ricordo la gioia delle donne che potevano votare per la prima volta, la gioia di un paese. E vedere a 80 anni che la democrazia è subordinata alla sicurezza: no, no, non ci siamo». Torniamo agli 80 anni, alla festa di Genova per lei. A chi penserà? «Vorrei dedicarla tutti i miei collaboratori, a chi fa volontariato, vorrei ricordare due persone speciali, Bianca Costa e padre Antonio Balletto». Che cosa teme per la società, per l’Italia? «L’indifferenza, e sono gramsciano in questo. Gramsci che dice "io vivo perché sono partigiano". E allora, siamo in tempesta, ma abbiamo la bussola, eccome, i primi dodici articoli della Costituzione, e per noi cristiani, il Vangelo. L’indifferenza nasce negli anni ’80 con il consumismo che ci ha fiaccato».
Oggi un pensiero andrà alla madre, scomparsa a «99 anni e mezzo». Andrea Gallo la ricorda con il sorriso.« Una mattina di primavera ci disse, ho deciso di partire. Dove vai? In paradiso. Poco prima di partire per quel viaggio, aveva sete. Le chiesi mamma, acqua o moscato? E lei, lucidissima, moscato. Le bagnarono le labbra, mamma salutò ognuno di noi. Si addormentò. Lo raccontavo a don Balletto, gli ultimi giorni, sono riuscito a farlo ridere». Con lui festeggerà, da casa, l’ultima testimone della sua nascita: «mia zia Adelina, sorella di mamma. Aveva 17 anni quando sono nato io», e il fratello Dino, i due nipoti. E chissà che dall’Australia non arrivi, via cielo, la benedizione del cardinal Bagnasco. Al suo prete di lotta e di strada.
* la Repubblica-Genova, 17 luglio 2008.
* Don Gallo compie 80 anni gli auguri di Manu Chao e Carotone
FAMILY DAY. DON GALLO: MANIFESTAZIONE ARROGANTE E INTRANSIGENTE *
"GESU’ NON VA A TRATTARE CON GLI ALTRI, MA VA AD OFFRIRE PROPOSTE, QUINDI IL NON VOLER RISPETTARE I DIRITTI DELLE MINORANZE NON E’ FEDELTA’ EVANGELICA".
Roma - "Dissento e non partecipero’ a questa manifestazione arrogante, intransigente, criminalizzante e che aumenta lo scontro tra clericali e anticlericali".
Don Andrea Gallo, fondatore e animatore della comunita’ di San Benedetto al Porto di Genova, anche nel caso del Family day non ha paura di far sentire la sua voce ’fuori dal coro’. "In nome dell’amore e della famiglia cristiana, in cui credo- sottolinea Don Gallo- ci si raduna in piazza a negare il diritto di altre espressioni d’amore, compreso il rispetto per gli omosessuali". Il prete sostiene che si e’ voluta creare una "nuova figura di cattolico, intransigente e arrogante", e attacca anche i vescovi che si sono alleati: "Questa posizione di non mitezza, di non moderazione, di non temperanza, e’ una posizione di mancanza di fedelta’ al Vangelo".
Fedelta’, secondo Don Gallo, sarebbe invece "il rispetto dei diritti delle minoranze, anche degli omosessuali: i tempi si evolvono ed e’ ignorante definire la societa’ priva di valori". Nessuno, dice, "vuole impedire la parola ai vescovi, non esistono chiese acefale", tuttavia, ricorda, "Gesu’ non va a trattare con gli altri, ma va ad offrire proposte, quindi il non voler rispettare i diritti delle minoranze non e’ fedelta’ evangelica".
*
LETTERA APERTA A DON GALLO, GENOVA
Che colpa hanno quegli innocenti? di Maurizio Blondet
Reverendo don Andrea Gallo, le scrivo - premetto - in forma personale, da cristiano qualunque, senza autorità alcuna, da cattolico laico, che vale dunque quanto il due di picche: metto le mani avanti perché e possibile che mi smentiscano personaggi togati, magari con i titoli ecclesiastici a posto. Ho letto quanto lei ha non già "confessato" (come scrivono benevoli alcuni giornali) ma "rivendicato" su tutta la stampa nazionale: di aver cioè aiutato ad abortire almeno quattro giovanissime prostitute albanesi, inviandole da un medico suo amico. Leggo anche la sua giustificazione: i protettori delle prostitute le prendevano a pugni e calci nella pancia per provocare l’aborto. "Dovevo lasciare che a interrompere le gravidanze fossero i papponi albanesi a pugni e calci?", si chiede lei. Apprendo inoltre che lei ha fondato una comunità d’aiuto a barboni, prostitute e tossicomani, dove dispensate "bevande calde, ma anche siringhe e profilattici", perché, lei dice, "un preservativo e l’unico rifugio che in certi casi possiamo offrire." Si metta nei miei panni di cristiano qualunque, e capisca la mia ripugnanza. Non capita spesso di scrivere a un prete che rivendica il merito di quattro delitti, anzi "delitti abominevoli", come la Chiesa definisce gli aborti. E che, alle frettolose orecchie di chi ascolta, rivendica questi peccati e delitti come parte dell’opera di "carità" che svolge tra gli esseri più tragicamente emarginati della società. Come tanti cristiani non troppo aggiornati, vedo ancora nel prete una figura di Cristo. M’immagino che un sacerdote si chieda, nei momenti difficili della vita: che cosa farebbe Gesù al posto mio? E con tutto il rispetto, non vedo Gesù - che pure frequentava prostitute - indirizzarle a medici abortisti, e men che meno offrire all’adultera, come "solo rifugio in certi casi", un preservativo. Mi pare anzi una bestemmia orribile. E mi fa indovinare che la carità che lei esercita, caro don Andrea, non appare come quella di Cristo: e il "bene" come forse lo intendono le Usl, i consultori radicali, certo buonismo assistenziale di Stato, quegli organi (spesso inadempienti) per i quali il compito e salvaguardare la "salute", o il "benessere" dei propri utenti, fino a concedere l’aborto legale e pagato dal pubblico denaro se la salute della madre e in pericolo.
Tale e la confusione nel mondo post-cristiano che lei, don Andrea, aderisce senza il minimo dubbio a quest’idea del "bene", come certi "operatori" dipendenti da quegli enti burocratici. Ma lei non ha giurato fedeltà a questi enti, don Andrea. Lei ha nelle mani il potere sacramentale perché l’ha giurata a Cristo, per il quale il bene non è la "salute" ma la salvezza eterna. Il bene di Cristo e più duro, severo, radicale e paradossale del suo, e delle burocrazie di cui lei condivide non so quanto i fini, don Andrea; il bene di Cristo non e contro la sofferenza, ma contro il peccato, non per questa vita ad ogni costo ma contro la morte spirituale. Io non so cosa avrebbe fatto Cristo al suo posto, davanti a una richiesta d’aiuto di una povera ragazza albanese che il suo protettore prende a pugni e calci per farla abortire. Ma son sicuro che la vita di quella prostituta - nel suo infinito valore - non varrebbe a sancire la soppressione, come uno zero, di quella vita innocente che la disgraziata porta in seno.
Glielo devo dire, in forma strettamente personale: le sue parole mi atterriscono, don Andrea. Lei dice: "Dovevo aspettare che a interrompere la gravidanza fossero i papponi a calci e a pugni?". Non so se lei invochi qui lo stato di necessita che anche secondo la Chiesa, secondo la dura idea del bene che ha la Chiesa, potrebbe in certe situazioni giustificare l’omicidio: ammesso per salvare la propria vita o quella di un innocente. Ma qui è l’innocente che lei ha incoraggiato ad uccidere. Per paradosso sarebbe stato più comprensibile, don Andrea, se avesse giustificato l’ammazzamento del magnaccia che prende a pugni e calci la sua donna, e poi avesse affrontato il giudizio dei tribunali umani. Invece e stata soppressa la sola vita innocente nella tragedia in cui lei s’impanca a "far del bene", e senza rischiare nulla: anzi col beneplacito della legge e della mentalità corrente. Si vesta dei miei panni di cristiano due-di-picche: uno dei tanti che la Chiesa mette in guardia, pubblicamente e nei confessionali, dal peccato abominevole dell’aborto e dal preservativo, come lesione alla vita e provi a capire. Chiedo troppo? Chiedo scusa per la lunghezza!
Caro BIASI..................... life out of Balance: KOYAANISQATSI !!! Metti i piedi per terra e non soffiare contro il Vento!!! Sali, risali a San Giovanni in Fiore: solo SALUTE te ne potrà venire!
IL GALLO CANTA e ha già cantato due volte!!! VIVA, VIVA IL TESTIMONE DI GEnOVA!!!!VIVA I TESTIMONI DI GEnOVA!!!
VIVA GIOACCHINO:VIVA, VIVA SAN GIOVANNI IN FIORE !!! fls
Per fortuna la realtà della Chiesa non è quella che vorresti far apparire, caro Federico !La Chiesa non è spaccata fra opposti estremismi, insobordinata e ribelle come alcuni suoi "Testimoni di Genova" (vedi anche Don Baget Bozzo). La Chiesa vera, autentica, è quella che puoi ammirare in questi giorni in Polonia, nella terra di Giovanni Paolo II !
Pace e Bene.
I Dico dell’anno 400
di Gian Carlo Caselli *
Scherza coi fanti e lascia stare i santi. So bene che queste parole sono un condensato di prudenza e saggezza. So anche che in un clima di forte tensione su «Pacs», «Dico» e «unioni di fatto» (caratterizzato da ferme prese di posizione d’Oltretevere e preoccupate reazioni dei difensori della laicità dello Stato) affrontare temi così arroventati con propositi di leggerezza e distacco - senza indossare questa o quell’altra armatura - può essere rischioso per le tante suscettibilità in agguato. Tutto vero. Per cui fin da subito mi pento e mi dolgo se mi permetto di dire che non so se esista davvero una lobby contro la famiglia nel riconoscere le coppie di fatto.
Ma se mai esistesse, la si potrebbe ricollegare ad un autorevole precedente storico.
Un singolare precedente: quasi un cavallo di Troia in terra... fidelium. Perché si tratta del canone di un Concilio. Per la precisione il canone 17 del primo Concilio di Toledo (anno 400 d.C.) Dunque, un precedente da sgranare tanto d’occhi, da non crederci: perché sono stati addirittura dei Vescovi in Concilio a stabilirlo.
Nel canone 17 del primo Concilio di Toledo si legge: «Si quis habens uxorem fidelis concubinam habeat, non communicet: ceterum is qui non habet uxorem et pro uxore concubinam habeat, a communione non repellatur, tantum ut unius mulieris, aut uxoris aut concubinae, ut ei placuerit, sit conjunctione contentus; alias vero vivens abijciatur donec desinat et per poenitentiam revertatur». È un latino facile. In sostanza dice che la convivenza sessuale è lecita soltanto quando sia con una sola donna. Ma precisa che la convivenza sessuale con una sola donna è consentita (e perciò non comporta scomunica) non solo quando si tratta di «moglie», ma anche quando si tratta di «concubina tenuta come fosse moglie». In altre parole, per la Chiesa del 400 c’erano alcune unioni di fatto, non costituenti matrimonio, considerate legittime perché sostanzialmente assimilabili al matrimonio.
Impossibile, ovviamente, trarne insegnamenti vincolanti o anche solo utili per la stagione che stiamo oggi vivendo in Italia. Dopo milleseicento e passa anni tutto cambia. Uomini, leggi, canoni, principi, rapporti fra Stato e Chiesa, dottrine e prassi. La «flessibilità» di una quindicina di secoli fa potrebbe oggi apparire semplicemente anacronistica. Ma ricordarla si può. E chissà che non possa contribuire - anche solo per un attimo - a svelenire il dibattito, preferendo ai toni da guerra di religione quelli di un più pacato confronto. Magari ironizzando sul fatto che in Spagna un po’ di «zapaterismo» - si direbbe - sembra aleggiare già nell’anno 400. Addirittura in un Concilio.
* l’Unità, Pubblicato il: 24.02.07, Modificato il: 24.02.07 alle ore 10.09
(Agenzia Fides) Taluni cattolici tendono a ritenere l’impegno politico e legislativo come svincolato dalla dottrina morale e sociale della Chiesa cattolica e ancor più dalla loro appartenenza alla Chiesa: un dualismo nella coscienza. E’ necessario allora riproporre i contenuti essenziali di due documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicati rispettivamente nel 2002 e 2003: la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica e le Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali.
Cosa sia la persona umana in quanto uomo e donna e come l’essere insieme di uomo e donna possa ricevere una forma giuridica non è più, nella cultura dominante, un dato univoco. Il relativismo gnoseologico e morale ha intaccato anche l’antropologia filosofica e teologica e si sono delineate nuove opinioni, che portano ad una dissoluzione dell’immagine dell’uomo, le cui conseguenze possono essere estremamente gravi, anzi già si intravedono nello scivolamento dal dibattito sulle coppie di fatto, a quello sulla fecondazione artificiale, al cosiddetto “matrimonio” tra omosessuali con possibilità di adozione di bambini.
Nella valutazione di tali opinioni erronee, la dottrina cattolica innanzitutto riafferma l’incondizionatezza della dignità umana e dei diritti umani, quali valori che precedono qualsiasi giurisdizione statale e che rinviano, quanto all’origine, al Creatore: viene cioè riaffermato il valore permanente del Decalogo. In tal senso risulta importante, come ha fatto Giovanni Paolo II, l’analisi del rapporto tra libertà e natura dell’uomo: “Si deve comprendere il vero senso della legge naturale. Essa si riferisce alla natura propria e originale dell’uomo, alla natura della persona umana, che è la persona essa stessa nell’unità dell’anima e del corpo, delle sue inclinazioni d’ordine spirituale e biologico e di tutte le altre caratteristiche specifiche necessarie al perseguimento del fine”.
In secondo luogo, poiché in certo senso è cambiata la fede nella Rivelazione, in quanto il relativismo porta a non percepire l’ordine naturale come fonte di razionalità, oggi paradossalmente la Chiesa è chiamata a difendere la ragione prima della fede; quindi il nesso tra la ragione e la fede al fine di sanare la separazione mortale tra il pensiero e l’etica; come pure a mettere in rilievo l’aspetto razionale della natura umana come ha fatto Giovanni Paolo II nel suo commento all’enciclica Humanae vitae. In proposito, basterebbe portare quanti sostengono la ‘naturalità’ dell’omosessualità a porsi la domanda: perché nel mondo esistono uomini e donne, e non soltanto gli uni o soltanto gli altri? Dinanzi a questa evidenza, l’omosessualità appare come un tentativo impossibile di omologazione della natura umana sull’uno o sull’altro sesso fino ad annullare quella differenza evidente, pronti a ripristinarla poi nel momento in cui si deve rivendicare il “diritto alla differenza” al fine di ottenere il riconoscimento giuridico.
Conviene a questo punto poter dire quello che significa il termine “diritto”: se esso è personale, se si tratta di un diritto civico, o di un diritto di una minoranza attiva, e mostra di costituirsi in gruppo di pressione non implica necessariamente il riconoscimento del diritto. La riflessione si colloca qui sul terreno del diritto, della filosofia del diritto. Per quanto concerne la rivendicazione gay di un matrimonio omosessuale, è utile sapere e dire che si tratta di una minoranza che non rappresenta affatto l’insieme delle persone omosessuali, ma che pretende di rappresentarli e trova appoggi politici per imporre le sue vedute. Dunque, i leaders gay e quant’altri, per assurdo, finiscono senza accorgersi per riaffermare la differenza, nel momento in cui postulano il “matrimonio”, l’unione o il patto tra loro. Dunque, in contraddizione con quanto da loro presupposto, ossia che lo Stato e la società siano incompetenti in merito alla loro unione perché ritenuta appartenente alla sfera privata delle relazioni interpersonali affettive, finiscono per richiedere proprio allo Stato quel riconoscimento giuridico pubblico, anche per noti motivi di convenienza economica. Se di “sfera privata” trattasi, lo Stato dovrebbe restare fuori sempre. Analogo discorso vale per le cosiddette coppie di fatto.
Di fronte alla realtà che non pochi cattolici hanno adottato un’idea “liberal” di coscienza, individualistica, rifiutando invece quella comunionale, che vede il cristiano e la Chiesa come un solo corpo, data la gravità della materia e l’urgenza del momento, è necessario far luce anche sulle manipolazioni delle percentuali del fenomeno, sul fatto che la tendenza omosessuale sia innata o sia un “terzo genere” , quasi una condizione naturale e normale della persona, e su tutti gli altri aspetti misconosciuti, ponendo soprattutto l’attenzione nel dimostrare il fatto fondamentale che la dignità umana risiede nella capacità sovrana dell’uomo di decidere delle sue azioni e di porre atti liberi, non certo solo nell’orientamento omosessuale o eterosessuale; che esso, in sé, sia una anomalia psicologica (neurosi, ecc).
Il fenomeno ha una psicogenesi e sociogenesi complessa, la quale potrebbe al limite dar luogo ad alterazioni ormonali o funzionali (ma questo fino adesso non è dimostrato e sembra improbabile). In termini generali va affrontata in una prospettiva di terapia e cambiamento. Se ci sono l’impegno e le motivazioni giuste, esistono buone prospettive terapeutiche.
L’azione da parte dei cattolici, dovrebbe partire dal richiamare l’attenzione sugli articoli in merito del Catechismo della Chiesa Cattolica; poi dovrebbe sottolineare l’importanza della grazia di Dio per influire positivamente sulla libertà della persona e sui suoi atti, al fine di rafforzarla nella virtù; la grazia non resta senza effetto nell’aiutare a resistere alle tentazioni omosessuali. Ancora, dovrebbe sganciare le idee sull’omosessualità da altre convinzioni giuste presenti nella coscienza (rispetto, uguaglianza, discriminazione ingiusta...). Infine, dovrebbe segnalare gli studi seri e aperti alla prospettiva di cambiamento e alla conversione che riguardano le persone omosessuali, come tutti i cristiani, criticando e mettendo in guardia da quelli difformi. La verità sull’omosessualità va detta con carità, rompendo l’indifferenza.
Infine, tutta la questione deve portare a dimostrare l’inseparabilità dei diritti dai valori. Assistiamo a questo paradosso. Le autorità invocano i “valori”, ma poi chi li pratica è trattato con una certa sfiducia. Chi poi li fa propri è trattato a volte persino come uno squilibrato o un oscurantista. La sana mentalità umana esiste ancora, anche se c’è stata una progressiva erosione concettuale del diritto. Bisogna andare all’origine illuministica del diritto europeo. C’erano valori riferiti alla ragione umana e alla religione, non solo per debito storico ma per ragioni filosofiche. E’ sempre stato chiaro che il diritto alla libertà individuale è decisivo. Ma è inevitabile, se non si vuole il disfacimento dello Stato, che il soggettivismo abbia dei limiti. La società deve continuamente stabilire delle regole se vuole sopravvivere. La natura umana, in seguito al peccato originale, è ferita, non vede sempre con chiarezza ciò che è necessario per sopravvivere. Ci vuole, oltre alla ragione umana, la luce della Rivelazione, anche se non è politicamente corretto.