Una Chiesa dinamica, con lo sguardo aperto sul futuro, impegnata contro miseria e sottosviluppo È il quadro che emerge dalle Linee preparatorie alla II Assemblea speciale dei vescovi del Continente
Una «bussola» per l’Africa: pace, giustizia e perdono
Sono stati presentati ieri mattina in Vaticano «Lineamenta», tappa del cammino verso il prossimo Sinodo africano Arinze: una realtà ecclesiale viva che cerca di testimoniare la fede in modo sempre più approfondito
Da Roma Fabrizio Mastrofini (Avvenire, 28.06.2006)
Una Chiesa dinamica, in un contesto sociale complesso che sfida la testimonianza cristiana in molti campi. È la «fotografia» della realtà ecclesiale africana che emerge dai Lineamenta per la preparazione dell’Assemblea del Sinodo dei vescovi per l’Africa, la seconda dopo quella del 1994.
Questa volta il tema prescelto, approvato da Benedetto XVI, è «Voi siete il sale della terra...voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 13.14). Il testo è stato presentato ieri dal cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il culto divino e da monsignor Nikola Eterovic, Segretario generale del Sinodo dei vescovi.
Il documento presenta la realtà africana e le problematiche principali in cinque capitoli, nell’ambito generale della «nuova evangelizzazione», necessaria al continente.
Nel PRIMO viene descritta brevemente la situazione sociale, economica, politica, culturale e religiosa e viene esaminato anche il ruolo delle religioni e, in particolare, il rapporto tra il cristianesimo e l’islam. Si mettono in luce le difficoltà del cammino ecumenico e il ruolo favorevole che invece può svolgere la cultura di fondo, caratterizzata dalla religione tradizionale africana.
Il SECONDO capitolo presenta la realtà sempre attuale di Gesù, Salvatore anche dell’uomo africano, come la sorgente della Buona Notizia che illumina la complessa realtà africana e che orienta la Chiesa sul cammino della riconciliazione, della pace e della giustizia.
Il TERZO capitolo rileva che la Chiesa nella sua opera di evangelizzazione deve applicare la dottrina sociale alla realtà africana, anche perché in molti Paesi solo l’istituzione ecclesiale possiede l’autorità morale di parlare a tutta la società.
Il capitolo seguente, il QUARTO, rileva che l’annuncio di salvezza libera l’uomo in ogni sua dimensione e spetta a tutte le componenti della Chiesa intesa come famiglia di Dio e diventa sempre più urgente l’educazione del laicato cattolico, capace di promuovere il bene comune. Si ribadisce poi la condanna dei traffici indiscriminati di armi, in genere vendute dai Paesi ricchi, che, poi, vengono adoperate in guerre fratricide dai Paesi africani poveri che spendono in modo irresponsabile le poche risorse economiche che dovrebbero essere destinate alla promozione del benessere dei propri cittadini.
Infine il QUINTO capitolo insiste sull’importanza della celebrazione della Santa Messa, sull’adorazione dell’Eucaristia, sulle altre forme di preghiera della Chiesa. La Chiesa, famiglia di Dio, sacramento di salvezza, animata dallo Spirito Santo, ha delle risorse per poter cambiare la faccia della terra in un’Africa riconciliata, le cui popolazioni sappiano vivere in pace, incamminate verso il progresso equilibrato e il raggiungimento di una maggiore giustizia sociale.
Sui temi della giustizia e del ruolo della Chiesa, ha insistito il cardinale Arinze sottolineando come «le diocesi in Africa intraprendono concrete iniziative di solidarietà cristiana verso i poveri e i bisognosi. Molte Conferenze episcopali hanno delle commissioni per la giustizia e la pace, le quali aiutano anche nell’educare i cittadini sui loro diritti e doveri di voto.
I vescovi, soprattutto quando riuniti in Conferenza, discutono delle questioni nazionali con coraggio e amore. I rifugiati e i profughi incontrano la Chiesa come una delle poche istituzioni in grado di prendersi cura di loro e di mettere un sorriso sui loro volti». Dalla conferenza stampa è emersa così l’immagine di una comunità ha detto Arinze - che cerca di vivere la propria fede in modo sempre più approfondita. «Una Chiesa non chiusa su se stessa ma che condivide gioie e speranze, problemi e sfide dell’intera società africana».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’EUROPA, IL CRISTIANESIMO ("DEUS CHARITAS EST"), E IL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO ("DEUS CARITAS EST").Una storia di lunga durata...
Quando la Chiesa amava tutti gli uomini esclusi gli africani
Il libro di un prete nigeriano svela il ruolo dei papi nella pratica dello schiavismo fino al 1839
di Rita Monaldi Francesco Sorti (La Stampa, 12.11.17
I papi hanno abusato della Bibbia per lucrare sul traffico di schiavi». Queste parole non vengono da qualche autore di thriller trash a base di scandali vaticani, ma da uno storico serio che sul tema vanta una doppia legittimazione. È nigeriano (quindi partie en cause) e soprattutto è un prete cattolico. Si chiama Pius Adiele Onyemechi ed esercita da 20 anni il suo ministero in Germania, nella regione del Baden-Württemberg.
La sua innovativa indagine The Popes, the Catholic Church and the Transatlantic Enslavement of Black Africans 1418-1839 (pp. XVI/590., €98 Olms, 2017), che tra gli storici già suscita discussioni, capovolge il vecchio dogma secondo cui il Papato è stato sostanzialmente estraneo alla più grande strage di tutti i tempi: la tratta degli schiavi. Una tragedia secolare che - come ricorda il grande scrittore danese Thorkild Hansen nella sua classica trilogia sullo schiavismo - ha seminato oltre 80 milioni di morti.
Una sorpresa
Proprio in questi mesi la prestigiosa Accademia delle Scienze di Magonza ha concluso un colossale progetto di ricerca sulla storia della schiavitù durato ben 65 anni, con la collaborazione di studiosi di primo piano come il sociologo di Harvard Orlando Patterson (egli stesso discendente di schiavi) e lo storico dell’antichità Winfried Schmitz. Quasi a suggello è arrivato il libro di don Onyemechi: una radiografia minuziosa del ruolo dei papi nel commercio di schiavi in Africa dal XV al XIX secolo, l’epoca dorata del business schiavistico.
Per la prima volta a suon di date, fatti e nomi don Onyemechi punta il dito su responsabilità morali e materiali, avviando un regolamento di conti col passato proprio nel momento in cui la Chiesa di Roma, nella sua tradizione secolare di sostegno ai più deboli, chiama alla solidarietà verso i migranti. Come riassume l’autore, i risultati «fortemente sorprendenti» venuti alla luce «affondano un dito nelle ferite di questo capitolo oscuro della Storia, e nella vita della Chiesa cattolica».
«La Chiesa», spiega il religioso, «ha abusato del passo biblico contenuto nel capitolo 9 della Genesi», in cui si afferma che tutti i popoli della terra discendono dai figli di Noè: Sem, Cam e Iafet. Dopo il diluvio, Cam rivelò ai fratelli di aver visto il padre giacere ubriaco e nudo. Noè maledisse Cam insieme a tutti i suoi discendenti, condannandoli a diventare servi di Sem e Iafet. La Chiesa allora affermò che gli africani sarebbero i discendenti di Cam. Pio IX, ancora nel 1873, inviterà tutti i credenti a pregare affinché sia scongiurata la maledizione di Noè pendente sull’Africa.
Documenti scomparsi
Nel nostro romanzo Imprimatur abbiamo reso noto il caso di Innocenzo XI Odescalchi (1676-1689), che possedeva schiavi, era in affari con mercanti negrieri e vessava i forzati in catene sulle galere pontificie. I documenti che lo provano, pubblicati nel 1887, sono poi misteriosamente scomparsi. Certo, nel Seicento i moderni diritti umani erano di là da venire, ma poi papa Odescalchi è stato beatificato nel 1956, e in predicato per la canonizzazione nel 2002.
Di simili contraddizioni don Onyemechi ne ha scovate a migliaia. Il commercio di schiavi in origine toccava Cina, Russia, Armenia e Persia; mercati internazionali si tenevano a Marsiglia, Pisa, Venezia, Genova, Verdun e Barcellona. Col tempo queste rotte sono tutte scomparse, tranne quelle africane. Come mai? Sarebbe stata la Chiesa a giocare il ruolo decisivo, raccomandando a sovrani e imperatori di «preferire» schiavi africani. Lo fecero vescovi e perfino Papi come Paolo V.
La giustificazione veniva non solo dalla Bibbia ma anche da Aristotele, per il quale alcuni popoli erano semplicemente «schiavi per natura». Una visione poi ripresa da San Tommaso e dall’influente facoltà teologica di Salamanca nel XV e XVI secolo. Padri della Chiesa come Basilio di Cesarea, Sant’Ambrogio, Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo e lo stesso Sant’Agostino invece giustificavano la schiavitù come frutto del peccato originale.
Il Portogallo
A metà del XV secolo il portoghese Niccolò V concesse al suo Paese di origine il diritto di evangelizzare, conquistare e deportare «in schiavitù perenne» gli africani, bollati come nemici della Cristianità insieme ai saraceni (che in verità erano ben più pericolosi e martoriavano, loro sì, i regni cristiani). I successori Callisto III, Sisto IV, Leone X e Alessandro VI non fecero altro che confermare e ampliare i diritti concessi al Portogallo. Altri Pontefici (Paolo III, Gregorio XIV, Urbano VIII, Benedetto XIV) nelle loro Bolle ufficiali si schierarono contro la schiavitù degli Indiani d’America, ma non contro quella degli africani.
Dallo schiavismo la Chiesa ha avuto un concreto ritorno economico. Attivissimi i missionari portoghesi e soprattutto i gesuiti, che compravano gli schiavi per impiegarli nelle loro piantagioni in Brasile e nel Maryland. Oppure li rivendevano con la loro nave negriera «privata», che trasportava la merce umana da Congo, Luanda e São Tomé verso il Brasile.
Don Onyemechi cita il contratto con cui nel 1838 il Provinciale dei Gesuiti del Maryland, Thomas Mulledy, vendette 272 schiavi africani. Prezzo: 115.000 dollari al «pezzo». L’evangelizzazione consisteva per lo più nel battezzare in fretta e furia gli schiavi prima di imbarcarli. Anzi, tutto il meccanismo faceva sì che essi venissero tenuti ben lontani dalla parola di Cristo. I profitti venivano reinvestiti in nuove campagne di aggressione e deportazione.
Riconoscimento tardivo
«Solo nel 1839 la Chiesa ha riconosciuto gli africani come esseri umani al pari di tutti gli altri», ricorda lo storico di origine nigeriana. Lo sancì una Bolla di Gregorio XVI, in verità piuttosto tardiva: i commerci di schiavi erano stati già aboliti da quasi tutti gli Stati tra 1807 e 1818 e gli Inglesi ne avevano preso le distanze sin dalla fine del Settecento.
Don Onyemechi ha lavorato su fonti originali nell’Archivio Segreto Vaticano e negli archivi di Lisbona (per decifrare i manoscritti lusitani ha imparato da zero il portoghese) e ha dato un contributo duraturo (realizzato con routine teutonica ogni giorno dalle 3 alle 8 del mattino) alla ricerca della verità storica. A Roma non dovrebbe riuscire sgradito, vista l’attenzione di papa Francesco - anche lui gesuita - per i popoli d’Africa.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
ABRAHAM LINCOLN E GLI STATI UNITI DI AMERICA, OGGI: LA LEZIONE DI STEVEN SPIELBERG.
UBUNTU: "Le persone diventano persone grazie ad altre persone".
"CHI" SIAMO: LA LEZIONE DEL PRESIDENTE MANDELA, AL SUDAFRICA E AL MONDO.
L’arcivescovo Eterovic anticipa i contenuti dell’«Instrumentum laboris» che il Papa consegnerà ai vescovi
Il sinodo e la speranza degli africani
di Giampaolo Mattei
Il Papa porterà il sinodo a casa dei cattolici africani consegnando "con un gesto straordinario" l’Instrumentum laboris, il documento di lavoro per l’assemblea di ottobre, ai vescovi del continente durante la messa del 19 marzo a Yaoundé. Il fatto che poi il sinodo si svolgerà in Vaticano farà in modo che i problemi dell’Africa non siano marginalizzati come questioni locali, ma riconosciuti come centrali nella vita della Chiesa universale.
A sei mesi e mezzo dall’apertura questi sono già giorni decisivi per la struttura, la composizione e l’agenda stessa del sinodo che dovrà dar voce a esperienze di riconciliazione e attese di pace e giustizia. Che l’Africa faccia bene a puntare molto sull’assemblea è una convinzione che l’arcivescovo Nikola Eterovic, segretario generale del Sinodo dei vescovi, esprime in questa intervista a "L’Osservatore Romano" alla vigilia del viaggio del Papa in Africa.
Può anticipare i contenuti dell’Instrumentum laboris?
Il documento - approvato a gennaio dal consiglio speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi - mette in luce tante speranze, ma non tace le sfide, non nasconde problemi scottanti, gravi. Ha una dimensione ecclesiale piena e, di conseguenza, va a toccare le questioni centrali per la vita delle persone a cominciare proprio dalla giustizia, dalla pace, dalla riconciliazione. Evangelizzazione e promozione umana vanno sempre insieme. Non dimentichiamo però che si tratta di un documento di lavoro per l’assemblea di ottobre. È un testo preparato sul campo dopo un’ampia consultazione: è stato redatto infatti sulla base delle risposte ai Lineamenta, diffusi capillarmente anche in diverse lingue locali.
E il gesto del Papa di presentare il documento in Africa?
È straordinariamente importante che Benedetto XVI, durante il suo primo viaggio in Africa, consegni personalmente l’Instrumentum laboris ai rappresentanti delle trentasei conferenze episcopali del continente. Come è significativo che presieda, sempre il 19 marzo, la riunione del consiglio sinodale speciale per l’Africa. In quella occasione gli presenteremo un quadro particolareggiato della realtà africana. Ma soprattutto attendiamo la sua parola. Il viaggio del Papa in Camerun e Angola ha eccezionalmente anche questa valenza di preparazione diretta al sinodo di ottobre. Sicuramente il gesto di Benedetto XVI porterà ancora più attenzione sull’Instrumentum laboris e anche sul sinodo.
Quali i punti centrali del documento?
Innanzitutto bisogna ribadire che il testo è frutto di una grande collaborazione. Non cala dall’alto. Il cuore di tutto è l’annuncio di Cristo. Si nota, in particolare, l’influsso positivo dell’ultimo sinodo sulla parola di Dio per i tanti riferimenti biblici, a partire proprio dai concetti di giustizia, pace e riconciliazione. Il dialogo è indicato come irrinunciabile: particolare attenzione viene posta ai rapporti con l’islam rilevando che in alcune regioni ci sono aspetti positivi, ma in altre non mancano problemi. Si affrontano inoltre questioni come le malattie o la schiavitù. Il testo suggerisce anche un esame di coscienza su quanto è stato fatto dopo il primo sinodo africano del 1994 e su quanto ancora resta da fare: propone una verifica e costituisce anche un incoraggiamento. È evidente, infatti, che una Chiesa riconciliata al suo interno è più credibile nell’annunciare la riconciliazione.
Il testo che cosa mette più in luce?
La speranza. Esaminando in profondità la realtà dell’Africa abbiamo riscontrato tanti elementi che inducono alla speranza. La Chiesa nel continente è sempre in prima linea quando si tratta di riconciliazione, pace, giustizia, educazione, sanità.
Dopo Yaoundé il lavoro di preparazione per il sinodo entrerà nell’ultima fase. Ci sarà una metodologia diversa rispetto all’assemblea del 2008?
Il metodo è lo stesso, come stabilito dal regolamento sinodale, ma sarà applicato alla realtà dell’Africa. Ora restano da fare i passi più istituzionali, organizzativi. In particolare, la composizione dell’assemblea con i vari membri: quelli nominati dal Papa e quelli scelti dalle conferenze episcopali, gli esperti e via dicendo.
Il Papa ha già nominato, a metà febbraio, tre presidenti delegati, il relatore generale e due segretari speciali. Sei ruoli-chiave affidati a pastori di altrettante nazioni: Nigeria, Senegal, Sud Africa, Ghana, Angola e Ciad.
Benedetto XVI ha nominato presidenti delegati i cardinali Arinze, Sarr e Napier; relatore generale il cardinale Turkson; e segretari speciali l’arcivescovo Franklin e il vescovo Djitangar. Sono nomine che abbracciano le varie realtà dell’Africa, rappresentative di esperienze e storie diverse. Dei tre presidenti, ad esempio, uno è da anni a servizio diretto della Santa Sede con una ricchissima esperienza, uno è di area francofona e l’altro anglofona.
Alla luce dell’Instrumentum laboris, che idea si è fatta del prossimo sinodo?
C’è urgenza di riconciliazione, pace e giustizia. In Africa ci sono diversi conflitti, come ha ricordato più volte Benedetto XVI. Non si può stare con le mani in mano. Ma la crescita quantitativa della Chiesa africana deve essere anche qualitativa. Dai Lineamenta è emerso chiaramente che i cattolici africani non sono chiusi in se stessi. Lo confermano tutti gli indici decisamente in attivo. L’impressione più netta è quella di una grande vitalità. La Chiesa, insomma, vuol contribuire a una crescita della società applicando la dottrina sociale alle diverse situazioni.
Rispetto al sinodo del 1994 sarà una nuova generazione di vescovi a essere protagonista dell’assemblea.
Dal 1994, riguardo ai vescovi, in Africa c’è stato un enorme ricambio. Il sessanta per cento è stato nominato dopo il primo sinodo mentre un altro venticinque per cento ha cambiato sede. Ma è tutta la Chiesa africana a essere particolarmente dinamica. La Chiesa universale, in uno scambio di doni, si aspetta dai cattolici africani proprio il dinamismo e la gioia della fede, la testimonianza di amore per la vita e la famiglia. L’Africa nel suo dna ha il senso dell’alleanza con Dio, il senso del mistero, mentre l’occidente tende a rinnegare la fede o a relegarla a fatto privato. Sono convinto che il sinodo susciterà nuovo fervore per l’evangelizzazione e la promozione umana. Non solo in Africa.
(©L’Osservatore Romano - 16 - 17 marzo 2009)
Africa: alto rischio analfabetismo
Secondo un rapporto dell’Unesco, dell’agenzia dell’Onu per l’educazione e la scienza, la metà dei bimbi analfabeti vive in Africa
DAKAR La maggior parte dei bambini analfabeti del mondo, vive in Africa sub-sahariana. Esattamente si tratta di 38 milioni di bambini che non si sono mai seduti dietro ad un banco di scuola. Lo dice un rapporto annuale dell’Unesco, l’agenzia dell’Onu per l’educazione e la scienza, presentato oggi a Dakar.
Il dato si riferisce al 2004 e specifica che il 53% di questi 38 milioni di piccoli senza scolarizzazione è formato da femmine.
Michelle Neuman, consigliere per l’educazione e la protezione della prima infanzia dell’Unesco, nel presentare il rapporto, ha precisato inoltre che l’80% dei bambini analfabeti vive in ambiente rurale.
«L’Africa - ha detto la Neuman - ha bisogno anzitutto di insegnanti formati e deve assumere 1,6 milioni di insegnanti. È una sfida enorme».
Secondo il rapporto Unesco, «i bambini che hanno un percorso prescolare (quando sono fra i tre e i sei anni) hanno maggiori possibilità di compiere un percorso scolastico», ha detto la Neuman, aggiungendo che la scolarizzazione è anche un mezzo per «ridurre le ineguaglianze sociali».
I programmi dell’Unesco diretti alla prima infanzia combinano educazione, nutrizione, vaccinazioni, salute, igiene e protezione, e costituiscono «un investimento redditizio»,, ha sottolineato il commissario dell’agenzia delle Nazioni Unite.
* La Stampa, 27.11.2006