CONTRARIAMENTE A QUANTO ’PONTIFICAVA’ DEWEY NEL 1929 E HEIDEGGER NEL 1933, COSI’ SCRIVEVA, NEL 1939, ARTHUR S. EDDINGTON, L’ASTRONOMO E IL FISICO RELATIVISTA, CHE "NEL 1919 ORGANIZZO’ LE DUE FAMOSE SPEDIZIONI DI RILEVAMENTO DELL’ECLISSE SOLARE CHE FORNIRONO LA PRIMA CONFERMA SPERIMENTALE DELLA FORMULA DELLA RELATIVITA’ DI EINSTEIN PER LA DEVIAZIONE DELLA LUCE IN CAMPO GRAVITAZIONALE":
"Non è consigliabile, penso, tentare di descrivere una filosofia fondata sulla scienza con le etichette dei sistemi filosofici più vecchi. Accettare una tale etichetta, farebbe sì che lo scienziato prendesse parte a controversie per cui non ha alcun interesse, anche se non le condanna come completamente senza significato. Ma se fosse necessario scegliere una guida tra i filosofi del passato, non ci sarebbe nessun dubbio che la nostra scelta cadrebbe su Kant. Non accettiamo l’etichetta kantiana, ma, come riconoscimento, è giusto dire che Kant anticipò in notevole misura le idee a cui siamo ora spinti dagli sviluppi moderni della fisica"
Cfr. Arthur S. Eddington, Filosofia della fisica, Prefazione di Maurizio Mamiani, Bari, Laterza, 1984, p. VII, pp. X-XI, e p.215.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Sir Eddington, il genio che fece l’ esame a Einstein
50 anni fa scompariva il grande scienziato inglese Sir Arthur Stanley Eddington ritenuto uno dei dominatori dell’ astrofisica del 1900. misuro’ come si piega la luce delle stelle e poi cadde nel misticismo
di Patrizia Caraveo (Corriere della Sera, 24 aprile 1994) *
Genio della matematica, maestro delle stelle e baronetto per meriti scientifici. Questo era Sir Arthur Stanley Eddington, uno degli astrofisici piu’ famosi di questo secolo che scomparve esattamente cinquant’ anni fa. Personaggio schivo e timidissimo, quacchero osservante, accoppiava grande capacita’ matematica a una straordinaria intuizione fisica. E coniugava il tutto con eccezionali doti di divulgatore scientifico.
In una vita interamente dedicata al lavoro, scrisse ben tredici libri, la meta’ dei quali sono diventati dei classici. Il suo "Space Time and Gravitation", per esempio, uscito nel 1920 e tuttora in commercio, e’ considerato una delle migliori introduzioni alla teoria della relativita’ generale. Ma Eddington fu soprattutto uno dei dominatori dell’ astrofisica dei primi decenni del Novecento, lavoro’ in diversi campi e in tutti lascio’ un’ impronta indelebile. L’ antologia dei piu’ importanti lavori pubblicati in campo astronomico tra il 1900 e il 1975 contiene ben sei articoli di Eddington contro i quattro di Einstein e Hubble. Nessuno lo supera e nessuno lo eguaglia, solo a lui e’ stato riconosciuto il privilegio di aver scritto sei contributi fondamentali per lo sviluppo dell’ astrofisica.
Sin da piccolissimo dimostro’ eccezionale propensione per la matematica: prima di imparare a leggere sapeva gia’ le tabelline fino a 24X24. A scuola vinse gare matematiche e borse di studio e si laureo’ a Cambridge dove, mentre frequentava il secondo anno, si distinse per essere risultato il migliore in un difficilissimo esame di matematica del terzo anno. Finiti gli studi, nel 1906, gli venne offerto il posto di assistente al Royal Observatory con il compito di controllare la posizione di dodicimila stelle. Una sua iniziazione al problema dei moti delle stelle, allora materia di grande dibattito. Le sue ricerche culminarono nel libro "Il moto delle stelle e la struttura dell’ Universo", dove si disse d’ accordo con l’ idea che le nebulose a spirale fossero galassie esterne. Intanto era stato richiamato a Cambridge come professore, posto che occupera’ per il resto della sua vita.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Eddington aveva 32 anni e solo i buoni uffici dell’ astronomo reale lo salvarono dall’ essere internato come obiettore di coscienza. Negli stessi anni, Einstein a Berlino completava la Teoria della Relativita’ generale. Tra le nazioni belligeranti non c’ erano scambi di corrispondenza ma il fisico De Sitter, a meta’ strada nell’ Olanda neutrale, fece da tramite cosi’ che Eddington fu uno dei primissimi a venire a contatto con la nuova teoria. Capi’ l’ importanza rivoluzionaria del lavoro di Einstein e ne fu talmente affascinato da divenire la voce inglese della relativita’ .
Fu proprio la relativita’ che gli regalo’ uno dei momenti piu’ intensi della sua vita quando, nel 1919, fu a capo di una delle spedizioni organizzate per ottenere la prima verifica sperimentale della teoria della relativita’ generale: la misura della deflessione gravitazionale della luce.
La teoria di Einstein prevede che la massa del Sole possa deviare il cammino dei raggi luminosi che gli passano abbastanza vicino. Si trattava di misurare con grande accuratezza la posizione apparente di alcune stelle quando queste si fossero trovate vicino al disco del sole e quando invece fossero ben lontane da esso. Tale misura prevede l’ oscuramento del sole e deve quindi essere compiuta durante un’ eclissi totale. Nonostante il cielo parzialmente coperto, la misura venne fatta il 29 maggio 1919 e confermo’ in pieno le previsioni della nuova teoria.
A chi, anni dopo, si congratulava con lui per aver saputo pianificare, nonostante gli anni bui della guerra, una spedizione cosi’ azzeccata, Eddington rispondeva di aver avuto ben poco merito, visto che era talmente sicuro dell’ esattezza della teoria da non aver mai veramente sentito il bisogno di verificarla.
I risultati vennero presentati in un meeting della Royal Society il 6 novembre 1919, dove sembra abbia avuto origine il detto che "nel mondo solo tre uomini capiscono la relativita’ ". Chiudendo la riunione, il presidente, confesso’ di non avere ancora capito il vero significato della teoria di Einstein. Mentre la sala si vuotava, Eddington venne avvicinato da Ludwig Silberstein, autore di uno dei primi libri sulla relativita’ , che gli disse: "Professor Eddington, lei deve essere una delle tre persone che capiscono la relativita’ ", includendo nella triade se stesso, ovviamente, oltre ad Einstein e allo stesso Eddington. Davanti al silenzio del suo interlocutore, Einstein aggiunse: "Non sia modesto, professor Eddington", al che gli venne risposto: "Al contrario, sto cercando di pensare chi possa essere il terzo".
Ma Eddington non aveva ancora dato il meglio di se’ . Infatti e’ nella fisica delle stelle che il suo contributo originale e’ stato straordinario con una serie di articoli compendiati nel suo famosissimo libro sulla struttura interna delle stelle, pubblicato nel 1926. Scopri’ e spiego’ l’ importanza della pressione di radiazione all’ interno delle stelle, derivo’ la relazione tra la massa di una stella e la sua luminosita’ , calcolo’ la luminosita’ massima per una stella di una data massa, avanzo’ l’ ipotesi che le nane bianche fossero stelle densissime, intui’ che la sorgente di energia delle stelle e’ la conversione di materia in energia, secondo la legge di Einstein E>MC2.
Il limite di Eddington, l’ approssimazione di Eddington, la luminosita’ di Eddington, l’ universo di Eddington - secondo Lemaitre - sono la testimonianza della sua grandezza, ma nessuno, nemmeno i piu’ grandi, sono immuni da pecche: verso la fine della vita divenne mistico e si convinse di essere in grado di risolvere problemi fondamentali della fisica con il solo ragionamento, senza bisogno di evidenza sperimentale. E opinione di molti che il suo ultimo libro "Fundamental Theory" getti un’ ombra sulla sua grandezza. Freeman Dyson sostiene che l’ idea di calcolare le costanti della natura basandosi su principi fondamentali e’ stata per Eddington quello che l’ alchimia fu per Newton. Quest’ ultimo, piu’ saggio, tenne per se’ le sue idee, mentre Eddington le pubblico’ . Postume, bisogna aggiungere.
Caraveo Patrizia
* Archivio storico: Corriere della Sera, 24 aprile 1994 - Pagina 34
Fisica.
Nuovi colpi di scena sullo spazio-tempo sono attesi dalla prossima missione dell’Asi: perché l’universo accelera?
Bravo Einstein, avevi ragione
Test della Nasa e uno italiano confermano la teoria della Relatività
di Barbara Gallavotti (La Stampa/TuttoScienze, 11.05.2011)
Sono passati 52 anni da quando alcuni ricercatori cominciarono a sognare sfere perfette, con le quali verificare la correttezza della Relatività di Albert Einstein. Juri Gagarin non era ancora andato nello spazio, Fidel Castro aveva appena preso L’Avana e la Barbie era una bambolina appena messa in commercio. Dopo oltre mezzo secolo, la Nasa ha annunciato che il sogno si è realizzato: i ricercatori hanno concluso l’analisi dei dati dell’esperimento «Gravity Probe B» e le ipotesi di Einstein risultano confermate. Missione compiuta, dunque, alla modica cifra di 760 milioni di dollari, i cui ultimi spiccioli si devono a una compagnia privata e alla nuova università dell’Arabia Saudita. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista «Physical Review Letters».
In 52 anni, però, possono accadere molte cose, non solo alle bamboline, ma anche agli interrogativi della fisica. Così le risposte arrivate da «Gravity Probe B» hanno perso molto dello smalto che avrebbero avuto 50 anni fa. Perché nel frattempo un piccolo Davide italiano ha battuto il vetusto Golia con un esperimento a costo quasi zero, e perché le frontiere della conoscenza si sono spostate più avanti, trascinando con loro alcuni dei grandi interrogativi posti da Einstein. Così l’annuncio della Nasa non riesce a far battere i cuori. Eppure, la storia di «Gravity Probe B» non manca di un lato eroico, perché ci ricorda che la Grande Scienza è costellata di imprevisti e non sempre tutto va come ci si aspetterebbe, ma questo non è un buon motivo per non tentare...
Il cuore dell’esperimento sono quattro sfere perfette, grosse quanto palline da ping pong e poste in orbita intorno alla Terra. Sono state pensate per essere giroscopi estremamente precisi, in modo tale che, una volta messe in rotazione, mantenessero inalterato il loro asse. Gli unici eventuali cambiamenti di direzione avrebbero dovuto essere quelli dovuti agli effetti della teoria della Relatività che si volevano verificare, in particolare quelli dati dalla deformazione dello spaziotempo dovuta alla presenza della Terra (cioè di un corpo dotato di massa) e dal fatto che questa gira su se stessa e ciò fa sì che lo spazio-tempo subisca una minuscola torsione.
Una volta in orbita, «Gravity Probe B» ha preso dati per 17 mesi dal 20 aprile 2004. Si poteva sperare di avere i risultati in breve tempo, se non fosse sorto un imprevisto: le sfere erano perfette dal punto di vista geometrico, ma accumulavano sulla superficie cariche elettriche e questo rovinava le loro prestazioni, introducendo nelle misure un errore tre volte più grande di ciò che si voleva verificare. Come misurare la lunghezza di una formica con un righello che porta segnati i centimetri invece che i millimetri. «Gravity Probe B» è incorso insomma nella bestia nera degli esperimenti destinati a svolgersi in orbita: un evento non calcolato, dovuto al fatto che non possono essere provati qui sulla Terra e, quando arrivano lassù, è troppo tardi per eventuali modifiche. I ricercatori quindi sono stati costretti a un laborioso lavoro di «pulizia» dei dati che li ha tenuti impegnati fino ad oggi.
Nel 2004, però, il Davide italiano scoccava i micidiali tiri della sua fionda. La quale era una sorgente di luce laser diretta verso due satelliti «Lageos», posti in orbita negli ultimi decenni del ’900 per eseguire alcune misure sul comportamento della crosta terrestre. I due satelliti hanno una superficie riflettente e i ricercatori italiani, guidati da Ignazio Ciufolini dell’Università di Lecce, hanno utilizzato la misura del tempo che la luce laser impiega per tornare indietro in modo da localizzare con precisione la loro posizione. Grazie a questa informazione hanno poi stimato la deformazione dello spazio-tempo dovuta alla Terra in rotazione. È l’effetto gravito-magnetico, proprio uno degli aspetti della Relatività che «Gravity Probe B» si proponeva di verificare. «Le nostre conclusioni sono state poi confermate da diverse analisi indipendenti dei dati orbitali dei “Lageos”, grazie alla collaborazione di gruppi dell’Agenzia Spaziale Tedesca e delle Università del Maryland e del Texas», spiega Ciufolini.
Oggi, quindi, i risultati di «Gravity Probe B» non fanno altro che confermare qualcosa che già in larga parte conoscevamo. E nella scienza le conferme sono fondamentali, ma non hanno l’impatto della prima scoperta. Nel frattempo i ricercatori guardano avanti, verso analisi sempre più precise: «Entro pochi mesi partirà la missione “Lares”, sotto la responsabilità dell’Agenzia Spaziale Italiana, che consentirà di eseguire nuove e sempre più precise misure dell’effetto gravito-magnetico», aggiunge Ciufolini. Perché, se nel corso dei decenni la Relatività ha trovato innumerevoli conferme, restano aperti molti grandi quesiti ai quali non riusciamo a rispondere. Ad esempio perché l’Universo sembra accelerare la sua espansione. Oppure come si concilia la teoria della Relatività con la meccanica quantistica, che descrive ciò che accade nel mondo dell’infinitamente piccolo.
Grandi domande la cui risposta potrebbe essere nascosta in impercettibili pieghe dello spazio-tempo. Pieghe che forse non sfuggiranno al prossimo esperimento.
Per fortuna l’uomo non vede tutto. Per esempio le onde radio
di Edoardo Boncinelli (Corriere della Sera, 21.06.2011)
Dal punto di vista astratto e speculativo questo è quasi certamente il secolo della complessità e «di fronte alle sfide della complessità assistiamo a una proliferazione di metodi per semplificare» , tanto le cose del mondo che quelle umane. Con tale affermazione inizia l’interessante libro La semplessità di Alain Berthoz (Codice Edizioni, traduzione di Federica Niola, pagine 224, e 25), un grande studioso della neurobiologia del movimento. Molte delle semplificazioni che ne derivano sono però banali se non puerili, perciò «a complemento delle teorie della complessità bisogna gettare le basi di una teoria della semplessità che, in qualche modo, contenga una parte di complessità».
Il nostro autore introduce così il termine semplessità, inglese simplexity: «La semplessità è complessità decifrabile, perché fondata su una ricca combinazione di regole semplici» e rappresenta la strategia adottata dagli esseri viventi per affrontare con successo le sfide poste dalla complessità del mondo. E ancora: «La parola riassume, a mio parere, una necessità biologica comparsa nel corso dell’evoluzione per permettere la sopravvivenza degli animali e dell’uomo sul nostro pianeta: nonostante la complessità dei processi naturali, il cervello deve trovare una serie di soluzioni, e queste soluzioni derivano da principi semplificativi» .
Quella che l’autore ci propone non è una teoria solida e compatta, ma piuttosto uno schema di spiegazione che può preludere a una vera e propria concezione esplicativa generale. Si procede per flash e per accenni, ma questo costituisce proprio il fascino del libro. Si viene infatti guidati con mano sicura all’esplorazione dei «trucchi» del vivente, di come cioè gli esseri viventi percepiscono le cose, si orientano, si muovono, agiscono, esplorano il mondo e lo concettualizzano.
Non rovineremo al lettore il piacere di questa lettura, una delle più interessanti che si possano immaginare, ma toccheremo solo alcuni punti. Prendiamo ad esempio la percezione, ovvero la capacità di renderci conto del mondo circostante. Noi non percepiamo tutto, per esempio non vediamo tutto, ma solo quello che ci riguarda direttamente e che ci serve per progettare le nostre azioni. Fondamentale è questo concetto: noi percepiamo per poter agire. Percepire e agire sono una cosa sola, un’unica esigenza biologica; se non percepiamo correttamente non possiamo agire in maniera congrua e se non agiamo in maniera congrua e appropriata è inutile percepire.
Così, per riprendere il discorso di poco sopra, se vedessimo tutto non potremmo vedere niente e fare niente. È noto che i nostri occhi sono sensibili soltanto a quello che noi chiamiamo luce, che rappresenta solo un piccolissimo segmento di tutte le possibili onde elettromagnetiche. Sembra una limitazione, ma cerchiamo di immaginarci che cosa vedremmo se fossimo sensibili per esempio alle onde radio. Ogni stanza del nostro mondo è piena di onde radio, come si può verificare con una radiolina o con un telefono portatile. Se le vedessi, ogni ambiente sarebbe opaco, come pieno di una fitta nebbia: io vedo perché questa nebbia non la vedo. Un elemento di grossa semplificazione del reale, una semplificazione costruttiva, ma solo un preambolo alla concettualizzazione e alla coscienza. I viventi sono un miracolo e noi un miracolo nel miracolo.