MARX E LA CRITICA DELL’ECONOMIA TEOLOGICO-POLITICA.
"SCORPIONE E FELICE". RIDENDO E SCHERZANDO, MARX TROVA "LA PIETRA FILOSOFALE" DEL SUO CAMMINO....
[...] un lampo che, affastellando pensieri su pensieri, illuminò il mio sguardo e apparve davanti ai miei occhi una configurazione luminosa. Il maggiorascato è la lisciviatrice dell’aristocrazia, poiché una lisciviatrice serve solo per lavare. Ma il lavaggio sbianca, dando così una pallida lucentezza al bucato. Allo stesso modo il maggiorascato inargenta il figlio primogenito della casa, dandogli così un pallido color argento, mentre agli altri membri imprime il pallido colore romantico della miseria [...]
[...] definiscimi che cos’è destra e che cos’è sinistra, e l’intero nodo della creazione sarà sciolto, Acheronta movebo, dedurrò con precisione dove andrà a stare la tua anima, da questo concluderò inoltre su quale livello tu sei ora, poiché quel rapporto originario apparirebbe misurabile, in quanto la tua posizione sarebbe determinata dal Signore [...]
Destra e sinistra non sappiamo dove sono
di Karl Marx (la Repubblica, 01.05.2011)
Manca la definizione, la definizione. Chi potrà definirla, chi potrà esaminare quale sia la parte destra e quale la sinistra? E tu dimmi, mortale, da dove viene il vento, oppure se sul volto di Dio c’è un naso, e io ti dirò che cos’è destra e che cos’è sinistra. Null’altro che concetti relativi, è come bersi la follia, la furiosa pazzia, insieme alla saggezza!
Oh! Vano è ogni nostro sforzo, illusione è la nostra nostalgia, fino a che non avremo penetrato che cos’è destra e che cos’è sinistra, giacché a sinistra metterà i capri, a destra invece gli agnelli. Se si gira, se prende un’altra direzione, poiché di notte ha fatto un sogno, allora i capri staranno a destra e i devoti a sinistra, secondo le nostre misere vedute. Perciò definiscimi che cos’è destra e che cos’è sinistra, e l’intero nodo della creazione sarà sciolto, Acheronta movebo, dedurrò con precisione dove andrà a stare la tua anima, da questo concluderò inoltre su quale livello tu sei ora, poiché quel rapporto originario apparirebbe misurabile, in quanto la tua posizione sarebbe determinata dal Signore.
Ma il tuo posto quaggiù può essere misurato secondo lo spessore del tuo capo, mi gira la testa, se comparisse un Mefistofele, diventerei Faust, poiché è chiaro che tutti noi, tutti siamo un Faust, in quanto non sappiamo quale parte sia la destra, quale la sinistra, la nostra vita è perciò un circo, corriamo tutt’intorno, cerchiamo da tutte le parti, finché cadiamo sulla sabbia e il gladiatore, la vita appunto, ci uccide, dobbiamo avere un nuovo redentore, poiché - tormentoso pensiero, tu mi rubi il sonno, mi rubi la salute, tu mi uccidi - non possiamo distinguere la parte sinistra dalla destra, non sappiamo dove si trovano...
Lotta di classe
Me ne stavo seduto pensieroso, misi da parte Locke, Fichte e Kant e mi dedicai a una profonda ricerca per scoprire in che modo una lisciviatrice può essere connessa al maggiorascato, quando mi trapassò un lampo che, affastellando pensieri su pensieri, illuminò il mio sguardo e apparve davanti ai miei occhi una configurazione luminosa.
Il maggiorascato è la lisciviatrice dell’aristocrazia, poiché una lisciviatrice serve solo per lavare. Ma il lavaggio sbianca, dando così una pallida lucentezza al bucato. Allo stesso modo il maggiorascato inargenta il figlio primogenito della casa, dandogli così un pallido color argento, mentre agli altri membri imprime il pallido colore romantico della miseria.
Chi fa il bagno nei fiumi, si getta contro l’elemento scrosciante, combatte la sua furia e lotta con braccia vigorose; ma chi siede nella lisciviatrice vi rimane chiuso e contempla gli angoli delle pareti. L’uomo comune, vale a dire colui che non ha la magnificenza del maggiorascato, combatte con la vita impetuosa, si tuffa nel mare rigonfio, e con il diritto prometeico ruba perle alle sue profondità; magnificamente gli compare davanti agli occhi l’interna configurazione dell’idea, e audacemente crea, ma il signore del maggiorascato fa soltanto cadere le gocce su di sé, teme di slogarsi le membra e perciò si siede in una lisciviatrice.
Trovata la pietra filosofale, trovata!
Autocoscienza
Giungemmo a una casa di campagna, era una bella notte, blu scura. Tu eri appesa al mio braccio e volevi staccarti, ma io non ti lasciavo, la mia mano ti legava, come tu avevi legato il mio cuore, e tu lasciasti che io ti tenessi.
Io mormorai parole piene di nostalgia e dissi la cosa più alta e bella che un mortale possa dire, poiché non dissi nulla, ero sprofondato intimamente in me, vidi sorgere un regno, il cui etere fluttuava così leggero, eppure così pesante, e nell’etere c’era un’immagine divina, la bellezza stessa, come io un tempo l’avevo presagita - ma non riconosciuta - in audaci sogni fantasiosi, sfavillava lampi di spirito, sorrideva, e tu eri l’immagine.
Mi meravigliai di me stesso, poiché ero diventato grande attraverso il mio amore, imponente; vidi un mare infinito, in cui non mugghiavano più flutti, aveva guadagnato profondità ed eternità, la sua superficie era cristallo, e nel suo oscuro abisso erano appuntate tremule stelle dorate, che cantavano canzoni d’amore, che irradiavano ardore, e il mare stesso era caldo! Se quella strada fosse stata la vita!
Baciai la tua dolce, morbida mano, parlai d’amore e di te. Una nebbia leggera fluttuava sul nostro capo, il suo cuore andò in frantumi, pianse una grande lacrima, essa cadde fra noi, ma noi la sentimmo e tacemmo.
La miseria della filosofia
Giacevano davanti a me sul tavolo, proprio quando io mi lambiccavo il cervello sul perché l’ebreo errante sia un berlinese di nascita e non uno spagnolo, ma vedo che questo coincide con la controprova che devo fornire, per cui noi, per amor di precisione... non vogliamo fare nessuna delle due cose, ma ci accontentiamo dell’osservazione che il cielo sia negli occhi delle signore, ma che gli occhi delle signore non si trovano in cielo, da cui risulta che ad attrarci non siano tanto gli occhi quanto piuttosto il cielo, poiché non vediamo gli occhi, ma soltanto il cielo che è in essi.
Se ci attraessero gli occhi e non il cielo, allora ci sentiremmo attirati dal cielo e non dalle signore, poiché il cielo non ha un occhio solo, come è stato osservato sopra, ma non ne ha nessuno, bensì esso stesso è null’altro che un infinito sguardo d’amore della divinità, l’occhio mite e melodioso dello spirito di luce, e un occhio non può avere un occhio.
Il risultato finale della nostra ricerca, perciò, è che noi ci sentiamo attirati dalle signore e non dal cielo, perché non vediamo gli occhi delle signore, ma senz’altro il cielo che è in essi, sicché ci sentiamo dunque, per così dire, attratti verso gli occhi perché non sono occhi, e perché Aasvero, l’errante, è berlinese di nascita, poiché è anziano e malaticcio e ha visto molti paesi e molti occhi, ma continua pur sempre a sentirsi attirato non dal cielo, bensì dalle signore, ed esistono soltanto due magneti, un cielo senza occhio e un occhio senza cielo.
L’uno sta sopra di noi e ci attira verso l’alto, l’altro sotto di noi e ci attira nelle profondità. Ma l’Aasvero è attratto con forza verso il basso, altrimenti fluttuerebbe eternamente sulla terra? E fluttuerebbe eternamente sulla terra, se non fosse un berlinese di nascita e non fosse abituato alle distese di sabbia?
Traduzione Cristina Guarnieri © Editori Riuniti Srl
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Il romanzo Scorpione e Felice di Karl Marx con disegni e caricature di Friedrich Engels (153 pagine, 9,90 euro) che anticipiamo in queste pagine è pubblicato da Editori Riuniti e sarà in libreria il 25 maggio. L’introduzione è di Gabriele Pedullà con una nota di Claudio Magris
COLLOQUIO. Nasceva duecento anni fa l’autore del «Manifesto del partito comunista»: sul suo pensiero abbiamo interpellato il sociologo Immanuel Wallerstein, che ne rivendica l’attualità. Non può fare a meno di lui una sinistra globale che voglia rappresentare l’80% più povero degli abitanti della terra
«Il capitalismo non è eterno. E Marx è ancora necessario»
conversazione tra Marcello Musto e Immanuel Wallerstein (Corriere della Sera, La Lettura, 08.06.2018)
Immanuel Wallerstein, senior research scholar alla Yale University (New Haven, Usa) è considerato uno dei più grandi sociologi viventi. I suoi scritti sono stati molto influenzati dalle opere di Karl Marx ed egli è uno degli studiosi più adatti per riflettere sul perché quel pensiero sia ritornato, ancora una volta, di attualità
MARCELLO MUSTO - Professor Wallerstein, quasi trent’anni dopo la fine del cosiddetto «socialismo reale», in quasi tutto il globo tantissimi dibattiti, pubblicazioni e conferenze hanno come tema la persistente capacità da parte di Marx di spiegare le contraddizioni del presente. Lei ritiene che le idee di Marx continueranno ad avere rilevanza per quanti ritengono necessario ripensare un’alternativa al capitalismo?
IMMANUEL WALLERSTEIN - Esiste una vecchia storia su Marx che dice che ogni volta che si cerca di buttarlo fuori dalla porta, lui rientra dalla finestra. È quanto sta accadendo in questi anni. Marx è ancora fondamentale per quanto scrisse a proposito del capitalismo. Le sue osservazioni furono molto originali e completamente diverse da ciò che affermarono altri autori. Oggi affrontiamo problemi rispetto ai quali egli ha ancora molto da insegnarci e tanti editorialisti e studiosi - non certo solo io - trovano il pensiero di Marx particolarmente utile in questa fase di crisi economica e sociale. Ecco perché, nonostante quanto era stato predetto nel 1989, assistiamo alla sua rinnovata popolarità.
MARCELLO MUSTO - La caduta del Muro di Berlino ha liberato Marx dalle catene degli apparati statali dei regimi dell’Est Europa e da un’ideologia sideralmente lontana dalla sua concezione di società. Qual è il motivo centrale che suscita ancora tanta attenzione verso l’interpretazione del mondo di Marx?
IMMANUEL WALLERSTEIN - Io credo che, se chiedessimo a quanti conoscono Marx di riassumere in una sola idea la sua concezione del mondo, la maggior parte di essi risponderebbe «la lotta di classe». Io leggo Marx alla luce del presente e per me «lotta di classe» significa il perenne conflitto tra quella che io chiamo la «sinistra globale» - che ritengo possa ambire a rappresentare l’80% più povero della popolazione mondiale - e la «destra globale» - che rappresenta l’1% più ricco. Per vincere questo scontro bisogna conquistare il restante 19%; bisogna cercare di portarlo nel proprio campo e sottrarlo a quello dell’avversario. Viviamo in un’era di crisi strutturale del sistema mondo. Credo che il capitalismo non sopravvivrà, anche se nessuno sa con certezza da che cosa potrà essere sostituito. Io sono convinto che vi siano due possibilità. Una prima è rappresentata da quello che chiamo lo «spirito di Davos». L’obiettivo del Forum economico mondiale di Davos è quello di imporre un sistema sociale nel quale permangano le peggiori caratteristiche del capitalismo: le gerarchie sociali, lo sfruttamento e, soprattutto, il dominio incontrastato del mercato con la conseguente polarizzazione della ricchezza. L’alternativa è, invece, un sistema più democratico e più egualitario di quello esistente. Per tornare a Marx, dunque, la lotta di classe costituisce lo strumento fondamentale per influire sulla costruzione di ciò che, in futuro, sostituirà il capitalismo.
MARCELLO MUSTO - Le sue riflessioni circa la contesa per ricevere il sostegno politico della classe media ricordano Antonio Gramsci e il suo concetto di egemonia. Tuttavia, credo che per le forze di sinistra la questione prioritaria sia come ritornare a parlare alle masse popolari, ovvero quell’80% a cui lei fa riferimento, e come rimotivarle alla lotta politica. Questo è particolarmente urgente nel «Sud globale», dove è concentrata la maggioranza della popolazione mondiale e dove, negli ultimi tre decenni, a dispetto del drammatico aumento delle diseguaglianze prodotte dal capitalismo, partiti e movimenti progressisti si sono indeboliti. Lì l’opposizione alla globalizzazione neoliberista è spesso guidata dai fondamentalismi religiosi e da partiti xenofobi, un fenomeno in crescita anche in Europa. La domanda è se Marx può aiutarci in questo scenario. Libri di recente pubblicazione offrono nuove interpretazioni della sua opera. Essi rivelano un autore che fu capace di esaminare le contraddizioni della società capitalista ben oltre il conflitto tra capitale e lavoro. Marx dedicò molte energie allo studio delle società extra-europee e al ruolo distruttivo del colonialismo nelle periferie del sistema. Allo stesso modo, smentendo le interpretazioni che assimilano la concezione marxiana della società comunista al mero sviluppo delle forze produttive, l’interesse per la questione ecologica presente nell’opera di Marx fu ampio e rilevante. Infine, egli si occupò in modo approfondito di numerose tematiche che molti studiosi spesso sottovalutano o ignorano quando parlano di lui. Tra queste figurano le potenzialità emancipatrici della tecnologia, la critica dei nazionalismi, la ricerca di forme di proprietà collettive non controllate dallo Stato, o la centralità politica della libertà individuale nella sfera economica e politica: tutte questioni fondamentali dei nostri giorni. Accanto a questi «nuovi profili» di Marx - che suggeriscono come il rinnovato interesse per il suo pensiero sia un fenomeno destinato a proseguire nei prossimi anni - potrebbe indicare tre delle idee più conosciute di Marx a causa delle quali questo autore non può essere accantonato?
IMMANUEL WALLERSTEIN - Innanzitutto, Marx ci ha insegnato meglio di chiunque altro che il capitalismo non corrisponde al modo naturale di organizzare la società. Già in Miseria della filosofia , pubblicato quando aveva solo 29 anni, schernì gli economisti che sostenevano che le relazioni capitalistiche si fondavano su «leggi naturali, indipendenti dall’influenza del tempo». Marx scrisse che gli economisti avevano riconosciuto il ruolo svolto dagli esseri umani nella storia quando avevano analizzato le «istituzioni feudali, nelle quali si trovavano rapporti di produzione del tutto differenti da quelli della società borghese». Tuttavia, essi mancarono di storicizzare il modo di produzione da loro difeso e presentarono il capitalismo come «naturale ed eterno». Nel mio libro Il capitalismo storico ho tentato di chiarire che il capitalismo è un sistema sociale storicamente determinato, contrariamente a quanto impropriamente sostenuto da alcuni economisti. Ho più volte affermato che non esiste un capitalismo che non sia capitalismo storico e, a tal proposito, dobbiamo molto a Marx. In secondo luogo, vorrei sottolineare l’importanza del concetto di «accumulazione originaria», ossia l’espropriazione della terra dei contadini che fu alla base del capitalismo. Marx capì benissimo che si trattava di un processo fondamentale per la costituzione del dominio della borghesia. È un fenomeno che persiste ancora oggi. Infine, inviterei a riflettere di nuovo sul tema «proprietà privata e comunismo». In Unione Sovietica, in particolare durante il periodo staliniano, lo Stato deteneva la proprietà dei mezzi di produzione. Ciò non impedì, però, che le persone fossero sfruttate e oppresse. Tutt’altro. Ipotizzare la costruzione del «socialismo in un solo Paese», come fece Stalin, costituì una novità mai considerata in precedenza, men che mai da Marx. La proprietà pubblica dei beni di produzione rappresenta una delle alternative possibili, ma non è l’unica. Esiste anche l’opzione della proprietà cooperativa. Tuttavia, se vogliamo costruire una società migliore, è necessario sapere chi produce e chi riceve il «plusvalore» - altro pilastro fondamentale della teoria di Marx. È questo il tema centrale. Va completamente mutato quanto si viene a determinare nei rapporti capitalistici di produzione.
MARCELLO MUSTO - Il 2018 coincide con il bicentenario della nascita di Marx e nuovi libri e film vengono dedicati alla sua vita. Quali sono gli episodi della biografia di Marx che lei considera più significativi?
IMMANUEL WALLERSTEIN - Marx trascorse una vita molto difficile, in perenne lotta contro una povertà terribile. Fu molto fortunato ad avere incontrato un compagno come Friedrich Engels, che lo aiutò a sopravvivere. Marx non ebbe nemmeno una vita affettiva semplice e la sua tenacia nel portare a compimento la missione che aveva assegnato alla propria esistenza - ovvero la comprensione del meccanismo di funzionamento del capitalismo - è davvero ammirevole. Marx non pretese né di spiegare l’antichità, né di definire come avrebbe dovuto essere la futura società socialista. Volle comprendere il suo presente, il sistema capitalistico nel quale viveva.
MARCELLO MUSTO - Nel corso della sua vita, Marx non fu soltanto lo studioso isolato dal mondo tra i libri del British Museum; fu un rivoluzionario sempre impegnato nelle lotte della sua epoca. Da giovane, a causa della sua militanza politica, egli venne espulso dalla Francia, dal Belgio e dalla Germania e, quando le rivoluzioni del 1848 vennero sconfitte, fu costretto all’esilio in Inghilterra. Fondò quotidiani e riviste e appoggiò, in tutti i modi, le lotte del movimento operaio. Inoltre, dal 1864 al 1872 fu il principale animatore dell’Associazione internazionale dei lavoratori, la prima organizzazione transnazionale della classe operaia, e nel 1871 difese strenuamente la Comune di Parigi, il primo esperimento socialista della storia.
IMMANUEL WALLERSTEIN - Sì, è vero, è essenziale ricordare la militanza politica di Marx. Egli ebbe un’influenza straordinaria nell’Internazionale, un’organizzazione composta da lavoratori fisicamente distanti tra loro, in un’epoca in cui non esistevano mezzi che potessero agevolare la comunicazione. Marx fece politica anche attraverso il giornalismo, impiego che svolse per tanta parte della sua vita. Certo, lavorò come corrispondente del «New-York Daily Tribune» prima di tutto per avere un reddito, ma considerò i propri articoli - che raggiunsero un pubblico molto vasto - come parte della sua attività politica. Essere neutrale non aveva alcun senso ai suoi occhi - il che non vuol dire che mancò di rigore nelle sue analisi. Fu sempre un giornalista impegnato e critico.
MARCELLO MUSTO - Lo scorso anno, in occasione del centesimo anniversario della rivoluzione russa, alcuni studiosi sono ritornati a discutere sulle distanze tra Marx e alcuni suoi autoproclamatisi epigoni che sono stati al potere nel XX secolo. Qual è la maggiore differenza tra loro e Marx?
IMMANUEL WALLERSTEIN - Gli scritti di Marx sono illuminanti e molto più sottili e raffinati di molte interpretazioni semplicistiche delle sue idee. È sempre bene ricordare che fu lo stesso Marx, con una famosa boutade , ad affermare dinanzi ad alcune interpretazioni del suo pensiero: «Quel che è certo è che io non sono marxista». Marx, a seguito dei suoi continui studi, non di rado mutò idee e opinioni. Si concentrò sui problemi che esistevano nella società del suo tempo e, a differenza di tanti che si sono richiamati al suo pensiero, fu profondamente antidogmatico. Questa è una delle ragioni per le quali Marx è una guida ancora così valida e utile.
MARCELLO MUSTO - Per concludere, che messaggio le piacerebbe trasmettere a quanti, nella nuova generazione, non hanno ancora letto Marx?
IMMANUEL WALLERSTEIN - La prima cosa che vorrei dire ai più giovani è di leggere direttamente gli scritti di Marx. Non leggete su Marx, ma leggete Marx. Solo pochi - fra tutti quelli che parlano di lui - hanno veramente letto le opere di Marx. È una considerazione che, peraltro, vale anche per Adam Smith. In genere, con la speranza di risparmiare tempo, molte persone preferiscono leggere a proposito dei classici del pensiero politico ed economico e, dunque, finiscono per conoscerli attraverso i resoconti di altri. È solo uno spreco di tempo! Bisogna leggere direttamente i giganti del pensiero moderno e Marx è, senza dubbio, uno dei principali studiosi del XIX e XX secolo. Nessuno gli è pari, né per la molteplicità delle tematiche da lui trattate, né per la qualità della sua analisi. Alle giovani generazioni dico che è indispensabile conoscere Marx e che per farlo bisogna leggere, leggere e leggere direttamente i suoi scritti. Leggete Karl Marx!
BERLINO.
Agitatore, rivoluzionario, profeta inflessibile della lotta di classe. Così è rimasto nella memoria del mondo. Invece no: fu soprattutto teorico e scienziato, politologo e pensatore sempre curioso, attentissimo persino alle scienze naturali.
Karl Marx, arrivano gli inediti
"So solo che non sono marxista"
Migliaia di pagine ancora da catalogare
Centinaia di volumi ancora da pubblicare
Analisi e profezie ancora da studiare
Nell’anno della crisi, viaggio (con sorpresa) negli archivi del padre del comunismo
di Andrea Tarquini (la Repubblica, 08.01.2012)
Agitatore, rivoluzionario, profeta inflessibile della lotta di classe. Così è rimasto nella memoria del mondo. Invece no: fu soprattutto teorico e scienziato, politologo e pensatore critico sempre curioso, attentissimo persino alle scienze naturali e alle nuove tecnologie. Credeva nella democrazia e nella libertà di parola molto più di quanto non si pensi, le riteneva irrinunciabili. E la crisi odierna del capitalismo attuale lui l’aveva a suo modo prevista, molto più di come ce lo tramandarono le dittature totalitarie realsocialiste. Riemerge dal passato come un moderno newlabourista, un progressista tedesco o un liberal americano dai suoi scritti di migliaia di pagine ingiallite ma spolverate con cura in un bel palazzo neoclassico qui a Berlino, al numero 22/23 della Jaegerstrasse.
Qui nella splendida Mitte a un passo da Gendarmenmarkt, la piazza delle cerimonie prussiane e del Kaiser, forse la più bella della capitale. Eccoci al quarto piano della Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften, l’Accademia delle scienze che rivede la sua opera e un volume dopo l’altro ne prepara la pubblicazione completa: 114 tomi, di qui al 2020 e chi sa come allora sarà il mondo. «Certo lui lo aveva studiato e previsto molto meglio di come ci fu detto dai poteri che lo usarono post mortem», spiega il dottor Gerald Hubmann, responsabile a fianco del professor Manfred Neuhaus del grande lavoro. Ma insomma, di chi stiamo parlando? Di Karl Marx, proprio lui. Qui i suoi scritti, volumi, appunti, epistolari, vengono studiati, riletti in modo critico e pubblicati passo dopo passo. E lui, «il vecchio barbone» come lo chiamarono affettuosi e riverenti generazioni di militanti di sinistra, insieme a Friedrich Engels torna attuale in un’altra luce.
È un tuffo nella storia, quello in Jaegerstrasse 22/23. Un tuffo sereno nella doccia fredda inquietante della crisi del mondo globale. I volumi, rieditati in versione critica e scientifica, uno dopo l’altro si accatastano nelle stanze degli accademici. Mega, come "grande" in greco antico, si chiama il progetto dell’opera completa di Marx ed Engels rivista in modo critico. Mega in tedesco è una sigla: Marx-Engels GesamtAusgabe. Frugando nelle carte consunte dal tempo si scoprono cose che i contemporanei di Marx vollero ignorare, e che il marxismo-leninismo ufficiale preferì censurare. Le Tesi su Feuerbach, spiega Hubmann, non furono all’inizio parte de L’ideologia tedesca. Vi furono inserite solo dopo, e il tutto, secondo Marx, era solo una collezione di appunti «destinata ai topi». Appunti di agitazione politica consegnati ai manoscritti suoi dell’epoca, tutti a penna con correzioni e cancellature, i disegnini di volti spesso femminili magari schizzati da Engels accanto. Slogan politici trasformati in ortodossia nell’Urss. Insomma: la teoria secondo cui l’esistenza materiale determina la coscienza, base del materialismo storico, spiega Hubmann, era un’idea in cui Marx non credeva. Guardi qui, dice mostrando un volume riedito, Marx disse: «Tutto quello che so è che non sono un marxista».
«Un volume dopo l’altro», spiega ancora Hubmann, «noi curatori di Mega scopriamo un altro Marx. Non un "cane morto", non un ideologo del passato, bensì un politologo e scienziato attuale. Un uomo che continuò a ricercare con curiosità fino alla vecchiaia e seppe vedere e prevedere le radici della crisi di oggi. Studiò nei suoi tardi anni l’evoluzione del capitalismo, da capitalismo industriale a sistema sempre più basato sul credito e sulla finanza e quindi esposto alle sue oscillazioni e alle sue incertezze», a crisi ingovernabili a danno di tutti. La svolta, la sua fase dopo Il Capitale, cominciò con lo studio dell’economia americana: i grandi spazi, l’esigenza di costruire in fretta ferrovie e altre infrastrutture, la crescente fame di materie prime, il boom dell’agricoltura, spiegano gli accademici, imposero la crescente dipendenza dell’economia reale dal credito: serviva sempre più denaro. Mega, II/13: ecco le analisi di Marx anziano sui nuovi processi di circolazione del capitale, sul suo sviluppo col turbo come sistema sempre più finanziario. Sembra di leggere pagine sulla crisi dei nostri giorni, invece sono vecchie di un secolo e mezzo.
È un caso, un accidente della storia, se il progetto Mega ha potuto vedere la luce. Opere, carteggi, epistolario e appunti di Marx ed Engels erano in mano all’archivio della Spd. Dopo la rivoluzione bolscevica, nacque un fitto lavoro comune di scienziati socialdemocratici tedeschi e del Pcus per sistematizzarle. Parte del materiale fu portata a Mosca, altra parte restò nella vivace Berlino della fragile Repubblica di Weimar. Furono le radici dell’opera completa, ma i drammi di quegli anni le seccarono. La ricerca di quegli scienziati e filosofi cadde troppo presto sotto l’occhio sospettoso della Nkvd, la polizia segreta di Stalin. Al dittatore, racconta Hubmann, non piacque scoprire certe pagine critiche, certi appunti sull’esigenza della libertà di parola e del libero confronto tra forze politiche e sociali. Meno che mai gli piacque scoprire che Marx ed Engels avevano scritto molto più di Lenin e non teorizzavano un totalitarismo né tantomeno i gulag. Con la brutale svolta autoritaria in Urss gli scienziati marxisti finirono male. A cominciare dal loro capo David Rjazanov, giustiziato per tradimento nel 1938, poco prima del patto Hitler-Stalin. Altri finirono sorvegliati e solo la grande fama li salvò dal plotone d’esecuzione. Fu il caso di György Lukács, il padre ungherese del marxismo critico.
Ma se Mosca piangeva, Berlino non rideva. Venne il ’33, la democrazia di Weimar fu rovesciata da Hitler. Gli archivi della Spd si salvarono per caso: i socialdemocratici, sfidando la Gestapo, li portarono da amici accademici olandesi. «Chi sa perché, ma anni dopo narra Hubmann nell’Olanda occupata, Gestapo e polizia collaborazionista non pensarono mai di frugare nei sotterranei dell’accademia di Amsterdam, non scoprirono mai quanto avrebbero volentieri distrutto». Venne il 1945, la disfatta dell’Asse e la Guerra fredda con la Germania divisa. Urss e Ddr ripresero il lavoro di edizione completa dopo la morte di Stalin, ma Breznev lo bloccò: troppi manoscritti critici, troppe pericolose idee di invito al dubbio. Il lavoro fu congelato fino all’89 della caduta del Muro di Berlino. «E per quanto possa sembrare strano», notano i professori di Jaegerstrasse, «se lavoriamo liberi e con rigore scientifico al Mega lo dobbiamo anche a Helmut Kohl, certo non sospetto di simpatie marxiste. Il cancelliere della riunificazione che amava la storia, decise che, magari sottotono, la ricerca su quelle tonnellate di manoscritti che la Ddr aveva chiuso in cantina avrebbe dovuto riprendere nella Germania unita».
Sono passati più di vent’anni da quell’ennesima svolta in cui i manoscritti ingialliti dei due barbuti riuscirono a sopravvivere. Adesso il lavoro continua, diviso tra Berlino, Amsterdam e Mosca. Con l’interesse crescente dei preparatissimi scienziati ufficiali cinesi, che forse vi cercano nuove idee per la futura prima potenza mondiale. Scoprono anche loro un altro Marx. L’uomo che perseguitato quasi ovunque in Europa si guadagnò da vivere come corrispondente del New York Daily Tribune.
Rivediamo quelle pagine: narrava come un grande inviato le scosse politiche e sociali o le crisi economiche dell’Europa di allora, persino i primi movimenti operai in Italia o Spagna. Non c’erano le comunicazioni moderne: Marx ed Engels inviavano gli articoli a New York col piroscafo, dovevano scriverli pensando a non farli invecchiare. Jenny Marx, l’amata moglie, teneva la contabilità d’ogni spedizione. Cominciò anche a conservare i più curiosi, incredibili scritti del marito anziano. Karl aveva rinunciato alla politica, annotava la sua fiducia nel libero dibattito e confronto tra idee e forze politiche. E prese a studiare le scienze: ecco appunti e schizzi perfetti sulla geologia, sulla fisica, sui primi passi della scienza nucleare.
Ed ecco, infine ma non ultimo, la scoperta forse più affascinante. Marx ed Engels, nell’Europa del capitalismo senza internet né jet di linea, crearono una rete di scambi epistolari internazionali. Con leader operai, con politici, con scienziati, gente d’ogni corrente di pensiero o tendenza: a suo modo, dicono soddisfatti gli accademici di Jaegerstrasse, fu il primo social network. Funzionò per anni. Bentornato, caro vecchio Marx, e scusaci: troppi opposti estremismi del Ventesimo secolo ti avevano tramandato male. Arrivederci al 2020. Forse ci servirai quando chi sa che volto avrà il capitalismo.
Mercato senza sviluppo la causa della crisi
di Karl Marx (la Repubblica, 08.01.2012)
L’enorme quantità e la varietà delle merci disponibili sul mercato non dipendono soltanto dalla quantità e dalla varietà dei prodotti, ma sono in parte determinate dall’entità della parte di prodotti prodotti come merci, che dovranno dunque essere immessi nel mercato per la vendita in qualità di merci. La grandezza di questa parte delle merci dipenderà, a sua volta, dal grado di sviluppo del modo di produzione capitalistico che produce i propri prodotti solo come merci e dal grado in cui tale modo di produzione domina in tutte le sfere della produzione. Deriva da qui un grande squilibrio nello scambio tra paesi capitalistici sviluppati, come l’Inghilterra, per esempio, e paesi come l’India o la Cina. Questo squilibrio è una delle cause delle crisi.
Causa totalmente trascurata dagli asini che si accontentano di studiare la fase dello scambio di un prodotto con un altro prodotto e che scordano che il prodotto non è pertanto in alcun caso merce scambiabile in quanto tale.Questo costituisce anche la spina nel fianco che spinge gli inglesi, tra gli altri, a voler stravolgere il modo di produzione tradizionale esistente in Cina, in India eccetera, per trasformarlo in una produzione di merci e, in particolare, in una produzione basata sulla divisione internazionale del lavoro (vale a dire, nella forma di produzione capitalistica). Riescono in parte in questo intento, per esempio, quando danneggiano i filatori della lana o del cotone svendendo i loro prodotti o rovinando il loro modo di produzione tradizionale, che non è in grado di competere con il modo di produzione capitalistico o con il modo capitalistico di immettere le merci sul mercato. Anche se il capitale produttivo, per sua stessa natura, è disponibile sul mercato, vale a dire è offerto in vendita, il capitalista può (per un periodo di tempo lungo o breve, secondo la natura della merce) tenerlo lontano dal mercato se le condizioni non gli sono favorevoli o al fine di speculare o altro. Il capitalista può sottrarre il capitale produttivo al mercato delle merci, ma in un momento successivo sarà costretto a riimmetterlo. Ciò non ha effetti al fine della definizione del concetto, ma è importante nell’osservazione della concorrenza.
La sfera della circolazione delle merci, il mercato, è in quanto tale distinta anche fisicamente dalla sfera della produzione, esattamente come sono distinti temporalmente il processo di circolazione e l’effettivo processo di produzione. Le merci ora pronte restano depositate nei magazzini e nei depositi dei capitalisti che le hanno prodotte (eccetto il caso in cui siano vendute direttamente) quasi sempre solo in modo passeggero prima di essere spedite verso altri mercati. Per le merci si tratta di una stazione di preparazione dalla quale saranno immesse nell’effettiva sfera di circolazione, esattamente come i fattori della produzione disponibili restano in attesa, in una fase preparatoria, prima di essere convogliati nell’effettivo processo di produzione.
La distanza fisica tra i mercati (considerati dal punto di vista della loro localizzazione) e il luogo del processo di produzione delle merci all’interno di uno stesso paese, e successivamente fuori da esso, costituisce un elemento importante, perché è proprio la produzione capitalistica a far sì che per una buona parte dei suoi prodotti il mercato sia costituito dal mercato mondiale. (Le merci possono essere anche acquistate per essere ritirate immediatamente dal mercato, ma questo elemento dovrebbe essere esaminato altrove, così come la menzione precedente alle merci che i produttori tengono lontane dal mercato).
Conseguentemente, occorre che il mercato si espanda in continuazione. Inoltre, in ogni singola sfera della produzione, ogni capitalista produce secondo il capitale che gli è offerto, indipendentemente da ciò che fanno gli altri capitalisti. Tuttavia, non sarà il suo prodotto, bensì il prodotto totale del capitale investito in quella particolare sfera di produzione a costituire il capitale produttivo, il quale offre in vendita questa e ogni singola altra sfera di produzione. È un dato di fatto empirico che nonostante la dilatazione della produzione capitalistica porti a un incremento, a una moltiplicazione del numero delle sfere di produzione, ovvero delle sfere di investimento del capitale, nei paesi a produzione capitalistica avanzata, questa variazione non tenga mai il passo con l’accumulo del capitale stesso.
Traduzione di Guiomar Parada
Perché Marx sopravvive alla fine del comunismo
Hobsbawm: capì per primo la globalizzazione
di Antonio Carioti (Corriere della Sera, 19.05.2011)
Marx non è morto. Chi voleva rottamare l’opera del barbuto filosofo tedesco, padre del materialismo storico, si deve ricredere. Lo afferma convinto lo storico inglese Eric Hobsbawm nel libro Come cambiare il mondo, che in Gran Bretagna ha avuto un notevole successo ed è appena uscito in Italia da Rizzoli. Al di là dei dati statistici per cui su Google Karl Marx si trova alla pari con Charles Darwin, mentre batte nettamente Immanuel Kant, Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud, è la crisi dell’economia globale, secondo Hobsbawm, a dimostrare che si tratta ancora di una lettura altamente istruttiva. Estensione planetaria dei mercati, con il conseguente sconvolgimento dei modi di vita tradizionali; concentrazione della ricchezza in poche mani; instabilità patologica del capitalismo, con scossoni sempre più minacciosi.
Tutti indizi evidenti, scrive Hobsbawm, del fatto che Marx è «un pensatore per il XXI secolo» . Inoltre lo storico britannico pensa che il fallimento del sistema sovietico non abbia affatto segnato una rude smentita per Marx, ma anzi lo abbia liberato da un’identificazione deleteria con il regime leninista. Pur non ritenendo che i suoi seguaci ne abbiano falsificato le teorie, Hobsbawm sottolinea i limiti delle soluzioni che adottarono. A suo avviso «bisogna porre le stesse domande che si pose Marx, rifiutando al contempo le risposte dei suoi vari discepoli» .
In Italia questo libro trova terreno fertile, dato che persino alla Luiss, università della Confindustria, si organizzano convegni annuali sul filosofo di Treviri per iniziativa di Corrado Ocone, autore del saggio Karl Marx (Luiss University Press). Mentre nelle librerie abbondano volumi come Marx di Stefano Petrucciani (Carocci), La forma filosofia in Marx di Paolo Vinci (manifestolibri), Karl Marx di Nicolao Merker (Laterza), Marx. Istruzioni per l’uso di Daniel Bensaid (Ponte alle Grazie). Ad esempio Diego Fusaro, autore del saggio Bentornato Marx (Bompiani), è per molti versi in sintonia con Hobsbawm: «Oggi Marx - sostiene - è un naufrago, scampato all’incorporazione del suo pensiero nello stalinismo, ma anche alla demonizzazione di chi gli addebita il Gulag. Inoltre è un segnalatore d’incendio, che ci mostra come la società capitalista sia ambigua, sospesa tra grandi promesse di emancipazione e concreta negazione di tali prospettive per gran parte dell’umanità, e produca una profonda alienazione, per cui nel nostro mondo i protagonisti non sono gli uomini, ma le merci, con i loro riflessi incantatori e feticisti» .
Discorsi condivisi solo in parte da Luciano Pellicani, autore di libri come Miseria del marxismo (Sugarco) e, più di recente, Anatomia dell’anticapitalismo (Rubbettino). «Marx- osserva- fu un geniale analista del capitalismo, che capì la globalizzazione con 150 anni di anticipo: tutti gli siamo intellettualmente debitori. Dicendo questo, però, Hobsbawm scopre l’acqua calda. Poi ci sono i limiti dell’opera marxiana: è vero che il capitalismo vive crisi continue, ma esse sono parte del suo eccezionale dinamismo, mentre non sono mai sfociate nel collasso generale ipotizzato da Marx. Lo stesso recente crac finanziario ha evidenziato i difetti del fondamentalismo di mercato tipico degli Stati Uniti, ma non ha certo annullato gli enormi progressi resi possibili dal capitalismo» .
Fusaro è invece molto severo verso la società presente: «Il grande misfatto del capitalismo è la manipolazione illimitata della natura umana. Marx riprende la visione della filosofia greca per cui l’uomo ha delle potenzialità multiformi, mentre il capitalismo lo riduce all’unica alienante dimensione del lavoro produttivo. Lo hanno dunque clamorosamente frainteso i sovietici, creando un capitalismo di Stato volto alla crescita economica smisurata, incurante di ogni senso del limite. Molto più vicini al concetto aristotelico di misura, essenziale nel pensiero marxiano, mi sembrano i discorsi del Papa in difesa della natura umana» . Al contrario Pellicani nega che Lenin e Stalin abbiano tradito il maestro: «Abolizione della proprietà privata, eliminazione del mercato, concentrazione dei mezzi produttivi nelle mani dello Stato sono ricette indicate da Marx. Il fatto è che nella sua opera c’è una teoria critica del capitalismo, ma nessuna idea precisa di come far funzionare il socialismo. Lui pensava che sarebbe sorto spontaneamente dalla storia, ma non è stato così. E chi ha cercato di edificarlo per via rivoluzionaria ha prodotto disastri» .