Il postulatore Slawomir Oder: processo dai tempi rapidi ma nel pieno rispetto del diritto canonico
Il mondo a Roma per Wojtyla
Lunedì si chiude la fase diocesana della causa di beatificazione. Al mattino la liturgia presieduta da Ruini, alle 17.30 la Messa di suffragio celebrata da Benedetto XVI
Da Roma Gianni Santamaria (Avvenire, 28.03.2007)
Ci sarà un motivo in più il 2 aprile per ricordare il secondo anniversario della morte di Giovanni Paolo II. Proprio in quella data, infatti, sarà chiusa - con una cerimonia solenne alle 12 nella basilica di San Giovanni in Laterano, presieduta dal cardinale vicario Camillo Ruini - la fase diocesana del processo di canonizzazione, che per un Papa ha la sua naturale sede a Roma.
Lo ha annunciato ieri il Vicariato dell’Urbe, che per spiegare i particolari dell’atteso evento ha organizzato una conferenza stampa, cui hanno preso parte tre monsignori: Slawomir Oder, postulatore della causa, Mauro Parmeggiani, segretario generale del Vicariato, e Gianfranco Bella, vicario giudiziale del Tribunale ordinario diocesano. Quello per Papa Wojtyla è stato un processo che si è svolto «con grande rapidità, ma questo non ha significato mancanza di serietà», ha tenuto a precisare il postulatore, che ha ricordato come, dopo la dispensa papale ai cinque anni previsti dalla morte all’apertura di una causa, «c’è stata l’osservanza di tutte le norme canoniche previste per gli altri processi». Il monsignore polacco ha anche fatto sapere che non sarà saltato il "gradino" della beatificazione.
Il cardinale Stanislaw Dziwisz, a lungo segretario del Pontefice, che di recente aveva auspicato una diretta canonizzazione, «esprimeva naturalmente la sua convinzione personale e un suo grande desiderio, diffuso nel popolo di Dio», ha spiegato Oder. «Il mio desiderio sarebbe lo stesso - ha aggiunto -. Però, come operatore della giustizia, posso dire che il diritto canonico va rispettato». Per Wojtyla sono state finora ascoltate 130 testimonianze. Oder ha poi precisato la differenza di «grado» e «intensità» tra beatificazione e canonizzazione: la prima «è un atto autorevole e definitivo, ma non coinvolge l’infallibilità del Papa, la canonizzazione, invece, sì».
Il 2 aprile nella Basilica non ci sarà posto per tutti e sarà allestito un maxischermo in piazza. «Sarà un evento che attirerà l’attenzione dei media di tutto il mondo. Quel giorno verranno sigillate le carte, i documenti e le testimonianze che saranno poi trasmesse alla Congregazione delle cause dei santi per l’esame», ha sottolineato Parmeggiani. Nel pomeriggio, alle 17,30, ci sarà anche la Messa di suffragio in Vaticano, presieduta da Benedetto XVI, alla quale parteciperanno il cardinale Dziwisz e il presidente della Repubblica polacca Lech Kaczynski.
Nello stesso giorno il vescovo della diocesi francese in cui vive la suora miracolata (vedi articolo a fianco) trasmetterà gli atti relativi all’Inchiesta diocesana su questa guarigione alla stessa Congregazione. Pastore e religiosa saranno a Roma il giorno prima e parteciperanno alla Messa delle Palme con Benedetto XVI. La suora sarà anche in San Giovanni il giorno successivo. «Posso ritenermi un postulatore fortunato», ha detto Oder riguardo alla questione del miracolo, visto che molti altri processi canonici restano fermi per lungo tempo in assenza dell’evento inspiegabile per la scienza, che apre la via degli altari alla persona per intercessione della quale esso è avvenuto. Oder ha confermato che molte sono le segnalazioni di fatti del genere che giungono alla postulazione: coppie sterili che hanno un figlio oppure guarigioni da tumori. Non li ha presentati al vaglio delle apposite commissioni vaticane, perché «la Congregazione per le cause dei santi è molto severa nel valutare la guarigione totale dal cancro e questo avrebbe richiesto anche 8-10 anni di attesa».
Ora il lavoro passa all’apposito Collegio dei relatori della Congregazione vaticana, che prepara la Positio super virtutibus et martyrio. Un relatore ha l’incarico particolare di seguire la Positio super miraculis. Infine, dopo un Congresso di teologi, il Papa autorizza l’eroicità delle virtù e dichiara la persona "venerabile". In presenza di un miracolo accertato il Papa decide di proporre il culto del beato.
la rivista
«Totus tuus» anche in russo E presto in arabo e in cinese
«Totus Tuus», la rivista ufficiale della postulazione della causa di beatificazione di Giovanni Paolo II, ha ora anche un’edizione in russo, che si affianca alle altre sei che già vengono pubblicate nelle principali lingue del mondo. Lo ha annunciato ieri il postulatore monsignor Slawomir Oder illustrando ai giornalisti la cerimonia del prossimo 2 aprile, quando in Vicariato si chiuderà la fase diocesana del processo. Oder ha anche anticipato che sono allo studio un’edizione in cinese e una in arabo della pubblicazione. «Abbiamo pensato - ha detto - che è bello arrivare con la rivista laddove il Papa non poté arrivare di persona e portare lì il suo messaggio». La rivista, in italiano, si può leggere anche on-line sul sito del vicariato di Roma www.vicariatusurbis.org. Nelle pagine internet dedicate alla postulazione si trovano informazioni sulla causa e anche le modalità per sostenerla e per abbonarsi al bollettino.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
“DUE COLOMBI”, “DUE SOLI”. A KAROL J. WOJTYLA - GIOVANNI PAOLO II, in memoriam
Esce il libro di Peluffo sul Presidente. Ecco il racconto della visita al Pontefice il quale gli disse: «Lei è stato eletto il giorno della Madonna di Fatima e del mio attentato»
Ciampi e Karol, uniti dal 13 maggio
Wojtyla amava l’Italia, era cosciente della crisi etica della politica italiana e vedeva con simpatia il patriottismo del Capo dello Stato. Ad Assisi lo invitò ad accendere una lucerna per la pace, assieme ai capi delle grandi religioni
di Paolo Peluffo (Avvenire, 20.06.2007)
L’uscita allo scoperto avvenne per caso, il 19 ottobre del 1999 al termine della prima udienza ufficiale da Giovanni Paolo II. In realtà si trattava già della quarta volta che Ciampi e Karol Wojtyla avevano occasione di incontrarsi dopo l’elezione del Presidente. La prima volta era stata il 17 giugno, all’imbrunire di una giornata straordinariamente luminosa d’inizio estate, il Santo Padre era di rientro dal suo viaggio in Polonia, durante il quale aveva avuto una caduta in bagno, ferendosi alla fronte. L’incidente aveva destato preoccupazione sulla salute del Papa.
Ciampi aveva deciso di essere lui ad accoglierlo a Ciampino. Avevano fatto insieme duecento metri sulla pista, tra l’aereo di Stato e l’elicottero presidenziale che lo attendeva per riportarlo in Vaticano. Aveva il suo bastone. Parlò a lungo con il Presidente. Venimmo presentati anche noi, uno per uno. Karol Wojtyla ebbe una parola per ciascuno. Si erano poi visti anche con donna Franca dieci giorni dopo, nella cappella privata del pontefice, in Vaticano, dove avevano partecipato alla Messa del Santo Padre e poi alla prima colazione, con latte e marmellata. Lì scattò la grande simpatia anche verso la signora, per la sua straordinaria umanità e per il ruolo della sposa che interpretava in modo così forte.
Fu in quella occasione che il Papa ricordò al Presidente e alla signora che la sua elezione a larghissima maggioranza era avvenuta il 13 maggio, giorno della Madonna di Fatima: «Si ricordi, che Lei è stato eletto il giorno della Madonna di Fatima, il giorno dell’attentato contro di me e ha giurato fedeltà al suo Paese il giorno del mio compleanno... Ci chiamiamo Carlo tutti e due...».
Donna Franca s’inginocchiava sempre davanti al Papa che la tirava su con forza. Il protocollo stabilito da Ciampi prevedeva un inchino della testa, in segno di rispetto, senza inginocchiarsi, per segnalare la dignità repubblicana. La religione è per Ciampi un fatto intenso, ma privato.
Ricordo la sua arrabbiatura, la prima domenica dopo l’elezione a Presidente, perché un settimanale era riuscito a fotografarlo mentre prendeva l’ostia in una messa a Santa Severa, in maglione. Si arrabbiò terribilmente. Lo giudicava irriguardoso per il luogo, la Chiesa, per un atto al quale lui attribuiva un valore intimo, ma che non avrebbe mai ripetuto in pubblico. Infatti ogni volta che partecipava a una messa, in quanto Presidente rifiutava sempre la comunione. Si infastidiva se il sacerdote insisteva. Diceva al capo del Cerimoniale: «Diteglielo che non posso, non mi offrano l’ostia». La signora in questo senso seguiva il suo modo di essere più profondo: «Voi fate come volete - ci diceva - ma io di fronte a un uomo come il Papa, con quella carica umana, con quegli occhi, ma come si fa a non inginocchiarsi?». Venne poi la visita ufficiale. Era la prima volta che indossavamo il frac. Ci sembrò un tuffo nell’Ottocento, ma nell’insieme facevamo far bella figura alla Repubblica, con le nostre insegne verdi. Solo chi era già da tempo al Quirinale faceva bella mostra delle decorazioni pontificie. La salita verso il palazzo apostolico fu piacevole, eravamo accompagnati dai gentiluomini del Papa, c’era il principe Prospero Colonna, il principe Windisch Graetz e anche amici come Angelo Balducci e Luigi Roth.
L’incontro durò più del previsto. Ci furono i discorsi nella biblioteca. E poi il Presidente e la signora s’intrattennero a lungo in piedi con il Santo Padre. Lui li accompagnò fin fuori dallo studio. E lì, davanti alla porta, nel vano-finestra del corridoio era posizionata una telecamera fissa della tv vaticana che riprese, galeotta, la celebre frase di donna Franca: «Santità, la prego, non si strapazzi...». Quel Santità, non si strapazzi prese da solo la scena dell’incontro. L’incontro con il Papa ebbe al centro la difesa della famiglia, un punto sul quale il Presidente si trovava fortemente d’accordo.
Ma la discussione venne portata dai coniugi Ciampi sulla questione dei new media, che li angosci avano profondamente. «Questi ragazzi - diceva la signora - vengono lasciati per ore davanti alla televisione. I genitori hanno da fare. Lavorano. Escono la sera. Vanno a ballare; a cena con gli amici. I ragazzi a volte hanno una donna di servizio che non se ne occupa per niente. E poi con Internet? Ma chi li controlla? Con chi parlano?». Uscendo verso il corridoio, il Santo Padre prese Ciampi per il braccio e gli chiese: «Ma lei è davvero così preoccupato per le nuove tecnologie?». Il risultato di quell’incontro fu un ragionamento che il Presidente fece tre giorni dopo, nel discorso al Louvre, durante la sua prima visita a Parigi, il 21 ottobre 1999: «I media televisivi, le tecnologie satellitari e via cavo, Internet hanno allargato a dismisura le possibilità di accesso dei giovani a informazioni le più disparate. Ma hanno aperto altresì varchi non vigilati a messaggi negativi che mettono a rischio il percorso formativo dei giovani».
Anche Karol Wojtyla amava davvero l’Italia. Se ne preoccupava. Seguiva ogni sera i dibattiti televisivi, insieme a monsignor Stanislao, oggi cardinale arcivescovo di Cracovia. A quanto mi raccontava il Presidente, lui si arrabbiava per le continue risse politiche, per una curiosa tentazione nichilistica che attraversava la classe dirigente italiana; la difficoltà di vivere il sentimento di appartenenza nazionale, l’interesse nazionale come un dovere. Esso era invece più diffuso nel popolo. Per questo, Karol Wojtyla aveva visto con simpatia il patriottismo di Ciampi. Ne seguiva in televisione ogni intervento, ogni discorso.
Il 24 gennaio 2002 si tenne ad Assisi la cerimonia interreligiosa, ideata tanti anni fa dalla Comunità di Sant’Egidio e dai frati della Basilica, che negli anni era diventata un evento fondamentale di preghiera per la pace tra i popoli. Quando giungemmo ad Assisi, già diluviava. Nella piazza antistante la Basilica Superiore, era stata costruita una grande tensostruttura che garantiva al pubblico una copertura parz iale. Il Papa assisteva seduto sul sagrato alla cerimonia delle preghiere delle diverse confessioni cristiane e delle altre religioni presenti. Al termine della preghiera, si svolse il rito, antico e commovente, della luce.
Ciascun rappresentante religioso, aveva in mano una lucerna a olio, accesa. Uno dopo l’altro ci si recava nel centro della piazza dove era posizionato un grande tripode, e vi si posizionava la lucerna che, insieme alle altre, veniva a costituire una sorta di unica fiamma che rappresentava l’umanità. La cerimonia volgeva al termine, quando Giovanni Paolo II, con un gesto chiamò monsignor Stanislao che, a sua volta, chiamò il capo del Cerimoniale vaticano, il quale chinò l’orecchio verso il Papa, e poi, sorridendo, si diresse dritto dritto verso Ciampi che sedeva in prima fila, tra il pubblico. «Il Santo Padre la prega di aggiungere anche Lei una lucerna al fuoco della pace» disse il monsignore al Presidente, mentre qualcuno portò l’ultima lucerna. Ciampi la prese in mano e, camminando lentamente, la ripose per ultimo sul tripode di Assisi.
Il Santo Padre spirò la sera del 2 aprile 2005, poco dopo le 9,45. Da giorni, il Presidente e donna Franca venivano informati direttamente dal Palazzo Apostolico, senza alcuna mediazione. Li chiamava monsignor Stanislao. Da lui seppero prima dell’estrema unzione, poi del coma. Nel pomeriggio del 2 aprile, si capiva che l’agonia del Papa volgeva al termine. Cominciò, con dolore, a scrivere un possibile messaggio che sentiva di dover fare per quell’uomo, quel suo coetaneo, che gli era stato così vicino in quegli anni. Non volle registrare nulla. Il suo messaggio è uno dei documenti più profondi delle convinzioni del Presidente Ciampi.
Stanislao volle che Ciampi e donna Franca fossero i primi laici a vedere la salma, che guardammo tutti in tv esattamente in quel momento che venne aperta la Sala Clementina. La salma così dimagrita per la sofferenza e la disidratazione, fece un’impressione enorme. Donna Franca si inginocchiò. Poi andò a parlare con le suore polacche che da anni assistevano il Papa e che lei salutava ogni volta che veniva invitata a pranzo in Vaticano irrompendo in cucina e trattenendosi a chiacchierare con loro. Le esequie del Santo Padre furono uno di quegli eventi mondiali che hanno scosso e fatto riflettere, ma forse non abbastanza. Il Presidente era in posizione d’onore, con donna Franca, accanto a Stanislao e al presidente polacco Kwasniewski, come uno di famiglia. Rimane in tutti l’immagine della folla immensa, l’immagine del vento che sfoglia all’impazzata le pagine del Vangelo sulla bara.
Deporre i poveri dalla croce: cristologia della liberazione
di ADISTA *
Importante iniziativa di Adista che ha tradotto e messo a disposizione gratuitamente il libro "Deporre i poveri dalla croce: cristologia della liberazione" edito dalla Commissione Teologica Internazionale della ASETT, Associazione Ecumenica dei Teologi/ghe del Terzo Mondo, in risposta alla notificazione vaticana sulle opere di Jon Sobrino.
Care lettrici, cari lettori,
segnaliamo un’importante novità sul nostro sito. Si può leggere finalmente anche in italiano, scaricandolo gratuitamente dalla home page di www.adista.it, il libro digitale "Bajar de la cruz a los pobres: cristología de la liberación" ("Deporre i poveri dalla croce: cristologia della liberazione") della Commissione Teologica Internazionale della ASETT, Associazione Ecumenica dei Teologi/ghe del Terzo Mondo.
La traduzione italiana, curata da Adista, dell’originale spagnolo (che, insieme alla traduzione in inglese, è disponibile agli indirizzi www.eatwot.org/TheologicalCommission e http://www.servicioskoinonia.org/LibrosDigitales) è presentata dal teologo Carlo Molari e presenta due contributi in più: di Aloysius Pieris e dello stesso Molari (è possibile leggere l’originale )
Il libro della Asett è la risposta di circa 40 teologi della liberazione alla Notificazione vaticana sulle opere di Jon Sobrino (autore dell’epilogo del libro), ma non solo: è una difesa, appassionata e potente, della cristologia della liberazione, quella che Leonardo Boff, nel prologo, definisce "una teologia militante che lotta per ’far scendere dalla croce i poveri’".
È questa voce potente quella che è oggi offerta anche al pubblico italiano, attraverso un nuovo metodo che l’Asett ha voluto sperimentare: quello di un libro digitale, libero e gratuito, che, scrive José María Vigil, coordinatore della Commissione Teologica Internazionale della Asett/Eatwot, "può essere regalato e inviato da chiunque per posta elettronica e che potrà anche essere stampato su carta mediante il procedimento della "stampa digitale", un metodo che permette di stampare su carta quantità minime di esemplari (5, 10, 20...), a un prezzo praticamente uguale a quello di un libro normale".
Per scaricare il libro, clicca qui
* IL DIALOGO, Mercoledì, 06 giugno 2007
La sua piazza commossa, come due anni fa
La Messa del Papa nel ricordo di Giovanni Paolo II: «Ci accompagna dalla casa del Padre» «Nel giorno della sua morte il profumo della fede, della speranza e della carità del Papa riempì San Pietro, la Chiesa e si propagò nel mondo intero
Da Roma Salvatore Mazza (Avvenire, 03.04.2007)
Davvero sembra di sentirlo. Il profumo. Quel profumo del suo amore, che «ha riempito tutta la casa». Un amore per Cristo «senza riserve e senza risparmio». Così che «il profumo della fede, della speranza e della carità del Papa riempì la sua casa, riempì Piazza San Pietro, riempì la Chiesa e si propagò nel mondo intero». I trentamila fedeli raccolti ieri sera in piazza San Pietro, per la Messa in occasione del secondo anniversario della morte di Papa Wojtyla, applaudono quando Benedetto XVI pronuncia queste parole nel ricordare il suo predecessore. Sono parole commosse, che nascono da un affetto personale che Papa Ratzinger non ha mai nascosto. «Quello che è accaduto dopo la sua morte - aggiunge - è stato, per chi crede, effetto di quel "profumo" che ha raggiunto tutti, vicini e lontani, e li ha attratti verso un uomo che Dio aveva progressivamente conformato al suo Cristo».
Era previsto che la celebrazione dovesse svolgersi all’interno della Basilica. Il bel tempo, e l’annunciato afflusso di gente - assolutamente inusitato per un normale pomeriggio feriale - ha poi fatto spostare la messa sulla piazza, riempitasi quando già il Papa sta ricordando lo «spendersi generoso, senza riserve» di Wojtyla, la «dimensione di universalità» donatagli da Dio e che nella sera del suo trapasso «ha raggiunto la massima espansione». Una morte che «il mondo intero ha vissuto con una partecipazione mai vista nella storia». Ed egli, oggi, «dalla casa del Padre non cessa di accompagnare il cammino della Chiesa». Proprio come il giorno delle esequie di Giovanni Paolo II, la celebrazione di ieri è iniziata con la processione dei cardinali guidata da Ratzinger, usciti con i paramenti viola del tempo liturgico dal Portone di Bronzo del Palazzo apostolico. Sono quaranta i porporati attorno all’altare, tra i quali Stanislaw Dziwisz, oggi arcivescovo di Cracovia, che per 40 anni fu segretario personale di Papa Wojtyla, e che dopo aver celebrato ieri mattina la messa nelle Grotte vat icane, alla fine del rito presieduto da Benedetto XVI sarebbe tornato accanto alla tomba di Giovanni Paolo II per recitare il Rosario con 100 giovani italiani.
Sul sagrato ci sono poi il presidente polacco Lech Kaczynski, diplomatici e uomini politici. C’è suor Marie Simon-Pierre, la religiosa francese di 46 anni, la cui guarigione dal morbo del Parkinson è il «miracolo», attribuito all’intercessione di Karol Wojtyla, adesso sottoposto all’attenzione della Congregazione delle Cause dei Santi. E poi c’è quella che è stata la "famiglia" di Giovanni Paolo II: le suore polacche, suo Tobiana in testa, il cameriere Angelo Gugel, l’allora comandante della Vigilanza pontificia Camillo Cibin, «ombra» del Papa ovunque. Benedetto XVI ricorda i «ben 27 anni» nei quali Giovanni Paolo II è stato «padre e guida sicura nella fede, zelante pastore e coraggioso profeta di speranza, testimone infaticabile e appassionato servitore dell’amore di Dio». E traspare, dai numerosi accenni personali, come anch’egli si senta affettivamente parte di quella famiglia: «Certo - dice parlando del "profumo" dell’amore di Wojtyla - ne abbiamo approfittato noi che gli siamo stati vicini, e di questo ringraziamo Iddio...».
Ma, ha aggiunto, «è proprio vero: l’intenso e fruttuoso ministero pastorale, e ancor più il calvario dell’agonia e la serena morte dell’amato nostro Papa, hanno fatto conoscere agli uomini del nostro tempo che Gesù Cristo era veramente il suo "tutto"». E se «il suo Pontificato si è svolto nel segno della "prodigalità", dello spendersi generoso senza riserve»..., in completo abbandono alla volontà del Signore, davvero «"Servo di Dio" egli è stato, e così lo chiamiamo ora nella Chiesa, mentre speditamente progredisce il suo processo di beatificazione..."Servo di Dio": un titolo - sottolinea Benedetto XVI - particolarmente appropriato per lui».
INTERVISTA
"Wojtyla santo, non subito"
Il Prefetto delle cause: sarà giudizio accurato, proprio come avrebbe voluto lui
di GIORGIO TOSATTI *
CITTA’ DEL VATICANO.Oggi in piazza San Pietro (ore 17,30, messa di Benedetto XVI) ci sarà per Giovanni Paolo II il popolo del «santo subito», ma per vedere il papa polacco sugli altari ci vorrà ancora del tempo; ce lo dice il cardinale José Saraiva Martins, il prefetto delle Cause dei Santi, cioè la maggiore autorità in materia. E’ alla sua Congregazione che da domani andranno tutti i documenti del processo del pontefice scomparso esattamente due anni fa. «Se fossi Giovanni Paolo II vorrei un’inchiesta rigorosissima. So che ci sono quelli che dicono: Santo, subito, in fretta, presto. Ma io penso che Giovanni Paolo II direbbe invece di fare un processo molto accurato: in modo che chi ha voglia di vedere chi era veramente Papa Wojtyla, fra dieci, venti o cento anni, possa andare agli archivi e trovare tutti i documenti necessari per comprendere, capire pienamente la sua grandezza. Penso che Giovanni Paolo II vorrebbe proprio questo».
Ma secondo lei, era veramente santo?
«Per me è un santo, un vangelo vivente, dai miei contatti con lui ho sempre avuto quest’impressione; e cioè che era un uomo che viveva proprio, proprio in un altro mondo: nel mondo della santità. Quella fede profonda, quell’immergersi nella preghiera, nella sua cappella privata, a volte con gli ospiti che invitava a pranzo...Per me non c’è nessun dubbio che era un santo, un santo vero».
Fra quanto tempo sarà dichiarato beato?
«Non si può sapere. Dipende dal tempo che ci vorrà per fare la “positio”; non sappiamo quanto tempo ci metterà il postulatore».
Che cos’è la “positio”?
«Quando arriva la documentazione, il “postulatore” (chi promuove la causa, N.d.r.), sotto la guida di un relatore deve elaborare la cosiddetta “positio”. E cioè fare una scelta oculata di tutti quei documenti, molte volte ci sono ripetizioni inutili, e pubblicarli in maniera sistematica ed organica. Questa è la “positio”. E poi comincia il compito dei teologi».
Che cosa devono cercare?
«Devono vedere se il candidato ha praticato nella sua vita quotidiana, le virtù cristiane non in un modo qualsiasi, ma veramente in grado eroico. E la parola eroico deve essere presa qui nella pienezza del suo significato. Veramente eroico. E questo devono dircelo i teologi, se davvero Giovanni Paolo II è stato un eroe del cristianesimo, della fede. Quanto ci vorrà? Non si può onestamente prevedere, perché non dipende da noi».
A due anni dalla morte, che cosa sente di papa Wojtyla?
«Che continua a essere molto amato dal popolo di Dio, incarnato da queste file (accenna verso la finestra su piazza San Pietro, N.d.R.) immense, quotidiane. Il popolo non lo ha dimenticato, continua a considerarlo un santo. E’ chiarissimo, ed è una convinzione profonda, sofferta; molte volte aspettano ore ed ore sotto il sole, sotto la pioggia per poter visitare la tomba. Non è la tomba di un uomo, di un sacerdote, ma è la tomba di un santo».
Un suo ricordo personale di Giovanni Paolo II.
«Ho molti ricordi, ma uno personalissimo riguarda il viaggio fatto a Fatima per beatificare i due pastorelli, Giacinta e Francesco. Nel viaggio di ritorno era felicissimo, felicissimo, mi diceva così, e non lo dimenticherò mai: "Finalmente ho fatto quello che dovevo fare. Ho beatificato Giacinta e Francesco”. Era una cosa che sentiva di dover fare».
Fatima, papa Wojtyla ne era devoto. E’ stato detto tutto?
«Ho visto il foglio manoscritto, prima che lo pubblicassero, e non c’era niente di più di quello che è stato detto. Con Giovanni Paolo II suor Lucia aveva un grande rapporto, si scrivevano spesso. E anche suor Lucia, come Giovanni Paolo II, viveva in un’atmosfera assolutamente sovrannaturale. Io metterei la mano sul fuoco che è santa, davvero».
* La Stampa, 2/4/2007 (8:22) -
WOJTYLA: GRANDE ATTESA PER LE CELEBRAZIONI DI DOMANI
’Santo subito’, chiese il popolo dei fedeli al momento della morte di Giovanni Paolo II. A due anni da quell’evento la macchinadella Chiesa ufficializza la posa della prima pietra che va in questa direzione. Si chiude domani, giorno della scomparsa di Karol Wojtyla, la fase diocesana della sua causa di beatificazione, che ha avuto inizio il 29 giugno 2005.
Gia’ questa mattina in piazza San Pietro, dove Benedetto XVI ha presieduto la messa della Domenica delle Palme, l’atmosfera di attesa era palpabile. Erano in molti i fedeli giunti dalla Polonia che sventolavano le bandiere bianco-rosse del loro Paese, cosi’ come erano numerosi gli striscioni dedicati a Giovanni Paolo II esposti al fianco di quelli scritti per celebrare la XXII Giornata Mondiale della Gioventu’.
Roberto e Valentina, una coppia di Firenze, hanno scritto su un telo ’La tua luce illumina la nostra vita, grazie Karol’. ’Siamo venuti per la Domenica delle Palme - dice Roberto - e adesso torniamo subito a Firenze perche’ dobbiamo svolgere i riti di preparazione al matrimonio, ma domani saremo di nuovo qui per le celebrazioni dedicate a Wojtyla’.
Margareth, una ragazza polacca, spiega in un ottimo inglese che e’ arrivata da Varsavia insieme a un gruppo di amici con i quali da due anni a questa parte, in occasione del 2 aprile, compie un pellegrinaggio a Roma. ’Quando abbiamo saputo della morte di Giovanni Paolo II organizzammo il viaggio spontaneamente - spiega- mentre ora siamo un gruppo organizzato. Domani torneremo qui con una statua a grandezza naturale di Giovanni Paolo II scolpita da un’artista che fa parte della compagnia: spero solo che le forze dell’ordine ce la facciano portare fin dentro la Piazza’.
La devozione nei confronti del Papa polacco diventa ancor piu’ evidente nelle Grotte Vaticane, dove si trova la sua tomba. A parte rare eccezioni, i numerosi fedeli che si recano negli ambienti nei quali sono conservate le spoglie di altri pontefici romani, si soffermano solo di fronte davanti alla sua lapide, sulla quale in molti lasciano biglietti e fiori e dove un addetto e’ spesso costretto a sollecitare il transito per evitare che il lungo serpente dei visitatori si blocchi.
* la Repubblica, 01.04.2007
Già scelto il miracolo che lo renderà prima beato e poi santo
Wojtyla, folla per primo passo per la santità
Lunedì si chiude il processo di beatificazione del pontefice scomparso due anni fa: decine di migliaia di persone a Roma *
ROMA - E’ il primo passo verso la beatificazione. Il popolo di Wojtyla è già arrivato a Roma e, in attesa degli importanti appuntamenti del secondo anniversario della morte del papa polacco, ha affollato piazza San Pietro per la domenica delle Palme, celebrata da Benedetto XVI. Lunedì, 2 aprile, a due anni esatti dalla scomparsa di Wojtyla, si chiuderà la fase diocesana del processo di beatificazione, tappa cruciale per portare presto Giovanni Paolo II agli onori degli altari, e nel pomeriggio,in piazza san Pietro, Ratzinger celebrerà una solenne messa in onore del suo predecessore.
FOLLA - Decine di migliaia di persone da tutto il mondo hanno invaso Roma per ricordare il loro eroe. Altre ne arriveranno ancora domani, e tra di loro anche il presidente polacco, Lech Kaczynski, e il cardinale di Cracovia, Stanislao Dziwisz, già segretario del defunto pontefice. Tra gli innumerevoli presenti, i riflettori dei mass media internazionali si concentreranno inevitabilmente su una suora francese, Marie Simon-Pierre, 46 anni, la cui guarigione inspiegabile dal morbo del Parkinson è attribuita all’intercessione di Wojtyla. È lei la miracolata prescelta (tra i tanti beneficiari di prodigi già attribuiti a Karol Wojtyla) per chiudere la pratica di beatificazione di Giovanni Paolo II. «Ero malata ed ora sono guarita. Spetta però alla chiesa pronunciarsi e riconoscere che è un miracolo»: ha testimoniato la religiosa in una conferenza stampa nei giorni scorsi a Aix-en-Provence.
CANONIZZAZIONE - La giornata di lunedì avrà inizio alle 12.00, nella basilica di San Giovanni in Laterano, quando il cardinale Camillo Ruini chiuderà ufficialmente, con una cerimonia in latino, la fase diocesana del processo di beatificazione e tutte le carte saranno consegnate dal postulatore Slawomir Oder alla Congregazione per le cause dei Santi. In una intervista televisiva, Ruini ha rivelato che già durante il conclave del 2005, i cardinali sottoscrissero una petizione perchè il futuro Papa concedesse una deroga per cominciare subito la causa di canonizzazione di Wojtyla, senza attendere i cinque anni prescritti dopo la morte. Deroga che Benedetto XVI firmò immediatamente. «Il processo diocesano - ha spiegato ancora il vicario di Roma - è stato impegnativo per la quantità di testimonianze ascoltate, ma allo stesso tempo è stato in discesa: un fiume in piena per l’unanime sentire popolare e per la convinzione che in Giovanni Paolo II abbiamo veramente trovato un uomo di Dio». Nella fase diocesana sono stati ascoltati circa 130 testimoni, a favore e contro. Due censori teologi hanno esaminato tutti gli scritti pubblici di Karol Wojtyla prima e dopo l’elezione. Una commissione di storici ha vagliato una mole di scritti privati, appunti, testi per esercizi spirituali, conferenze. La commissione storica ha lavorato a Cracovia e a Roma e ha steso la relazione finale. Parallelamente andava avanti la procedura per l’accertamento del miracolo, tra l’altro con una perizia psichiatrica e una calligrafica sulla suora francese. Domani il postulatore Oder consegnerà tutto il materiale, tramite notaio, alla Congregazione vaticana che dovrà concludere il processo per portare Wojtyla agli onori degli altari.
PASSAGGIO INTERMEDIO - Il cardinale Dziwisz avrebbe voluto saltare il passaggio intermedio della beatificazione ed arrivare immediatamente alla santificazione. Beato è colui che si venera a livello locale, santo invece è colui che riceve gli onori di tutta la Chiesa universale. Da Roma, gli è stato risposto che non ci saranno altre deroghe. Il processo tuttavia andrà avanti molto veloce. E il popolo del «Wojtyla santo subito» non ha da temere. Lunedì sarà dunque una grande festa.
* Corriere della sera, 01 aprile 2007
IL VIAGGIO DEL PAPA *
Vivere da convertiti segno che parla a tutti
L’omelia alla Messa davanti al Sacro Convento «Il peccato impediva a Francesco di vedere nei lebbrosi i propri fratelli: l’incontro con Cristo lo aprì a una misericordia più grande della filantropia»
Benedetto Xvi
Pubblichiamo ampi stralci dell’omelia tenuta dal Papa domenica ad Assisi.
Cari fratelli e sorelle,
che cosa ci dice oggi il Signore, mentre celebriamo l’Eucaristia nel suggestivo scenario di questa piazza? Oggi tutto qui parla di conversione, come ci ha ricordato monsignor Domenico Sorrentino (...). La Parola di Dio appena proclamata ci illumina, mettendoci davanti agli occhi tre figure di convertiti. La prima è quella di Davide. Il brano che lo riguarda, tratto dal secondo libro di Samuele, ci presenta uno dei colloqui più drammatici dell’Antico Testamento. Al centro di questo dialogo c’è un verdetto bruciante, con cui la Parola di Dio, proferita dal profeta Natan, mette a nudo un re giunto all’apice della sua fortuna politica, ma caduto pure al livello più basso della sua vita morale. (...) L’uomo è davvero grandezza e miseria (...). «Tu sei quell’uomo»: è parola che inchioda Davide alle sue responsabilità. Profondamente colpito da questa parola, il re sviluppa un pentimento sincero e si apre all’offerta della misericordia. Ecco il cammino della conversione.
Ad invitarci a questo cammino, accanto a Davide, si pone oggi Francesco. Lui stesso (...) guarda ai suoi primi venticinque anni come ad un tempo in cui «era nei peccati» (cfr 2 Test 1: FF 110). Al di là delle singole manifestazioni, peccato era il suo concepire e organizzarsi una vita tutta centrata su di sé, inseguendo vani sogni di gloria terrena.(...) Gli sembrava amaro vedere i lebbrosi. Il peccato gli impediva di dominare la ripugnanza fisica per riconoscere in loro altrettanti fratelli da amare. La conversione lo portò ad esercitare misericordia e gli ottenne insieme misericordia. Servire i lebbrosi, fino a baciarli, non fu solo un gesto di filantropia, una conversione, per così dire, «sociale», ma una vera esperienza religiosa, comandata dall’iniziativa della grazia e dall’amore di Dio (...).
Nel brano della Lettera ai Galati, emerge un altro aspetto del cammino di conversione. A spiegarcelo è un altro grande convertito, l’apostolo Paolo. (...) «D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (6,17). (...) Nella disputa sul modo retto di vedere e di vivere il Vangelo, alla fine, non decidono gli argomenti del nostro pensiero; decide la realtà della vita, la comunione vissuta e sofferta con Gesù, non solo nelle idee o nelle parole, ma fin nel profondo dell’esistenza, coinvolgendo anche il corpo, la carne. (...) Francesco di Assisi ci riconsegna oggi tutte queste parole di Paolo, con la forza della sua testimonianza. (...) Egli si innamorò di Cristo. Le piaghe del Crocifisso ferirono il suo cuore, prima di segnare il suo corpo sulla Verna. Egli poteva veramente dire con Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me».
E veniamo al cuore evangelico dell’odierna Parola di Dio. Gesù stesso, nel brano appena letto del Vangelo di Luca, ci spiega il dinamismo dell’autentica conversione, additandoci come modello la donna peccatrice riscattata dall’amore. (...) A scanso di equivoci, è da notare che la misericordia di Gesù non si esprime mettendo tra parentesi la legge morale. Per Gesù, il bene è bene, il male è male. La misericordia non cambia i connotati del peccato, ma lo brucia in un fuoco di amore. Questo effetto purificante e sanante si realizza se c’è nell’uomo una corrispondenza di amore, che implica il riconoscimento della legge di Dio, il pentimento sincero, il proposito di una vita nuova. (....) Che cosa è stata la vita di Francesco convertito se non un grande atto d’amore? Lo rivelano le sue preghiere infuocate, ricche di contemplazione e di lode, il suo tenero abbraccio del Bimbo divino a Greccio, la sua contemplazione della passione alla Verna, il suo «vivere secondo la forma del santo Vangelo» (2 Test 14: FF 116), la sua scelta della povertà e il suo cercare Cristo nel volto dei poveri. È questa sua conversione a Cristo, fino al desiderio di «trasformarsi» in Lui, diventandone un’immagine compiuta, che spiega quel suo tipico vissuto, in virtù del quale egli ci appare così attuale anche rispetto a grandi temi del nostro tempo, quali la ricerca della pace, la salvaguardia della natura, la promozione del dialogo tra tutti gli uomini. Francesco è un vero maestro in queste cose. Ma lo è a partire da Cristo. È Cristo, infatti, «la nostra pace» (cfr Ef 2,14). (...)
Non posso dimenticare, nell’odierno contesto, l’iniziativa del mio predecessore di santa memoria, Giovanni Paolo II, il quale volle riunire qui, nel 1986, i rappresentanti delle confessioni cristiane e delle diverse religioni del mondo, per un incontro di preghiera per la pace. Fu un’intuizione profetica e un momento di grazia, come ho ribadito alcuni mesi or sono nella mia lettera al vescovo di questa città in occasione del ventesimo anniversario di quell’evento. La scelta di celebrare quell’incontro ad Assisi era suggerita proprio dalla testimonianza di Francesco come uomo di pace, al quale tanti guardano con simpatia anche da altre posizioni culturali e religiose. Al tempo stesso, la luce del Poverello su quell’iniziativa era una garanzia di autenticità cristiana, giacché la sua vita e il suo messaggio poggiano così visibilmente sulla scelta di Cristo, da respingere a priori qualunque tentazione di indifferentismo religioso, che nulla avrebbe a che vedere con l’autentico dialogo interreligioso.
Lo «spirito di Assisi», che da quell’evento continua a diffondersi nel mondo, si oppone allo spirito di violenza, all’abuso della religione come pretesto per la violenza. Assisi ci dice che la fedeltà alla propria convinzione religiosa, la fedeltà soprattutto a Cristo crocifisso e risorto non si esprime in violenza e intolleranza, ma nel sincero rispetto dell’altro, nel dialogo, in un annuncio che fa appello alla libertà e alla ragione, nell’impegno per la pace e per la riconciliazione. Non potrebbe essere atteggiamento evangelico, né francescano, il non riuscire a coniugare l’accoglienza, il dialogo e il rispetto per tutti con la certezza di fede che ogni cristiano, al pari del Santo di Assisi, è tenuto a coltivare, annunciando Cristo come via, verità e vita dell’uomo (cfr Gv 14,6), unico Salvatore del mondo. (...)
Ai giovani: «Come il Poverello, cercate la vera felicità»
Il discorso tenuto a Santa Maria degli Angeli: «Siamo qui per imparare a incontrare Cristo. Anche noi siamo chiamati a riparare la Chiesa» «Centrare la vita su se stessi è una trappola mortale: possiamo essere noi stessi solo se ci apriamo, nell’amore, a Dio e ai fratelli»
Benedetto Xvi
Pubblichiamo ampi stralci delle parole rivolte da Benedetto XVI ai giovani sul piazzale della basilica di Santa Maria degli Angeli.
Carissimi giovani, grazie per la vostra accoglienza, così calorosa, sento in voi la fede, sento la gioia di essere cristiani cattolici. Grazie per le parole affettuose e per le importanti domande che i vostri due rappresentanti mi hanno rivolto. (...)
Questo momento del mio pellegrinaggio ha un significato particolare. San Francesco parla a tutti, ma so che ha proprio per voi giovani un’attrazione speciale. (...) La sua conversione avvenne quando era nel pieno della sua vitalità, delle sue esperienze, dei suoi sogni. Aveva trascorso venticinque anni senza venire a capo del senso della vita. Pochi mesi prima di morire, ricorderà quel periodo come il tempo in cui «era nei peccati» (cfr. 2 Test 1: FF 110).
A che cosa pensava, Francesco, parlando di peccati? Stando alle biografie, ciascuna delle quali ha un suo taglio, non è facile determinarlo. Un efficace ritratto del suo modo di vivere si trova nella Leggenda dei tre compagni, dove si legge: «Francesco era tanto più allegro e generoso, dedito ai giochi e ai canti, girovagava per la città di Assisi giorno e notte con amici del suo stampo, tanto generoso nello spendere da dissipare in pranzi e altre cose tutto quello che poteva avere o guadagnare» (3 Comp 1,2: FF 1396). Di quanti ragazzi anche ai nostri giorni non si potrebbe dire qualcosa di simile? Oggi poi c’è la possibilità di andare a divertirsi ben oltre la propria città. (...) Si può «girovagare» anche virtualmente «navigando» in internet. Purtroppo non mancano - ed anzi sono tanti, troppi! - i giovani che cercano paesaggi mentali tanto fatui quanto distruttivi nei paradisi artificiali della droga. Come negare che sono molti i ragazzi, e non ragazzi, tentati di seguire da vicino la vita del giovane Francesco, prima della sua conversione? Sotto quel modo di vivere c’era il desiderio di felicità che abita ogni cuore umano. Ma poteva quella vita dare la gioia vera? Francesco certo non la trovò. (...) La verità è che le cose finite possono dare barlumi di gioia, ma solo l’Infinito può riempire il cuore. Lo ha detto un altro grande convertito, Sant’Agostino: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Confess. 1,1).
Sempre lo stesso testo biografico ci riferisce che Francesco era piuttosto vanitoso. (...) Nella vanità, nella ricerca dell’originalità, c’è qualcosa da cui tutti siamo in qualche modo toccati. Oggi si suol parlare di «cura dell’immagine», o di «ricerca dell’immagine». (...) In certa misura, questo può esprimere un innocente desiderio di essere ben accolti. Ma spesso vi si insinua l’orgoglio, la ricerca smodata di noi stessi, l’egoismo e la voglia di sopraffazione. In realtà, centrare la vita su se stessi è una trappola mortale: noi possiamo essere noi stessi solo se ci apriamo nell’amore, amando Dio e i nostri fratelli.
Un aspetto che impressionava i contemporanei di Francesco era anche la sua ambizione, la sua sete di gloria e di avventura. (...) La stessa sete di gloria lo avrebbe portato nelle Puglie, in una nuova spedizione militare, ma proprio in questa circostanza, a Spoleto, il Signore si fece presente al suo cuore, lo indusse a tornare sui suoi passi, e a mettersi seriamente in ascolto della sua Parola. È interessante annotare come il Signore abbia preso Francesco per il suo verso, quello della voglia di affermarsi, per additargli la strada di un’ambizione santa, proiettata sull’infinito (...).
Cari giovani, mi avete ricordato alcuni problemi della condizione giovanile, della vostra difficoltà a costruirvi un futuro, e soprattutto della fatica a discernere la verità. Nel racconto della passione di Cristo troviamo la domanda di Pilato: «Che cos’è la verità?» (Gv 18,38). (...) Anche oggi, tanti dicono: «ma che cosa è la verità? Possiamo trovarne frammenti, ma la verità come potremmo trovarla?» È realmente arduo credere che questa sia la verità: Gesù Cristo, la Vera Vita, la bussola della nostra vita. E tuttavia, se cominciamo, come è una grande tentazione, a vivere solo secondo le possibilità del momento, senza verità, veramente perdiamo il criterio e perdiamo anche il fondamento della pace comune che può essere solo la verità. E questa verità è Cristo. La verità di Cristo si è verificata nella vita dei santi di tutti i secoli. I santi sono la grande traccia di luce nella storia che attesta: questa è la vita, questo è il cammino, questa è la verità. (...).
Sostando questa mattina a San Damiano, e poi nella Basilica di Santa Chiara, dove si conserva il Crocifisso originale che parlò a Francesco, ho fissato anch’io i miei occhi in quegli occhi di Cristo. È l’immagine del Cristo Crocifisso-Risorto, vita della Chiesa, che parla anche in noi se siamo attenti, come duemila anni fa parlò ai suoi apostoli e ottocento anni fa parlò a Francesco. La Chiesa vive continuamente di questo incontro.
Sì, cari giovani: lasciamoci incontrare da Cristo! Fidiamoci di Lui, ascoltiamo la sua Parola. (...) Ad Assisi si viene per apprendere da san Francesco il segreto per riconoscere Gesù Cristo e fare esperienza di Lui. (...)
Proprio perché di Cristo, Francesco è anche uomo della Chiesa. Dal Crocifisso di San Damiano aveva avuto l’indicazione di riparare la casa di Cristo, che è appunto la Chiesa. (...) Noi tutti siamo chiamati a riparare in ogni generazione di nuovo la casa di Cristo, la Chiesa. (...) E come sappiamo, ci sono tanti modi di riparare, di edificare, di costruire la casa di Dio, la Chiesa. Si edifica poi attraverso le più diverse vocazioni, da quella laicale e familiare, alla vita di speciale consacrazione, alla vocazione sacerdotale. (...) Se il Signore dovesse chiamare qualcuno di voi a questo grande ministero, come anche a qualche forma di vita consacrata, non esitate a dire il vostro sì. Sì non è facile, ma è bello essere ministri del Signore, è bello spendere la vita per Lui! (...)
Sono felice, carissimi giovani, di essere qui, sulla scia dei miei predecessori, e in particolare dell’amico, dell’amato Papa Giovanni Paolo II. (...)
Se oggi il dialogo interreligioso, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, è diventato patrimonio comune e irrinunciabile della sensibilità cristiana, Francesco può aiutarci a dialogare autenticamente, senza cadere in un atteggiamento di indifferenza nei confronti della verità o nell’attenuazione del nostro annuncio cristiano. Il suo essere uomo di pace, di tolleranza, di dialogo, nasce sempre dall’esperienza di Dio-Amore. (...)
Cari giovani, è tempo di giovani che, come Francesco, facciano sul serio e sappiano entrare in un rapporto personale con Gesù. È tempo di guardare alla storia di questo terzo millennio da poco iniziato come a una storia che ha più che mai bisogno di essere lievitata dal Vangelo. Faccio ancora una volta mio l’invito che il mio amato Predecessore, Giovanni Paolo II, amava sempre rivolgere, specialmente ai giovani: "Aprite le porte a Cristo". Apritele come fece Francesco, senza paura, senza calcoli, senza misura. Siate, cari giovani, la mia gioia, come lo siete stati di Giovanni Paolo II. Da questa Basilica dedicata a Santa Maria degli Angeli vi do appuntamento alla Santa Casa di Loreto, ai primi di settembre, per l’Agorà dei giovani italiani.
* Avvenire, 19.06.2007