[...] Sulle conseguenze della sentenza Mills, come su molte altre cose, è tranchant nella video-intervista de l’Unità. «Penso che il presidente del consiglio dovrebbe dimettersi e che il Pd dovrebbe chiedere l’impeachment» [...]
Debora Serracchiani: «Il Pd deve chiedere l’impeachment»
di ma.ge. *
Sulle conseguenze della sentenza Mills, come su molte altre cose, è tranchant nella video-intervista de l’Unità. «Penso che il presidente del consiglio dovrebbe dimettersi e che il Pd dovrebbe chiedere l’impeachment».
Grata a Franceschini che ha creduto in lei. E però «diversa» dal Pd che l’ha scelta per farsi rappresentare alle europee nella lista Nord Est. Debora Serracchiani si sente così. Trentotto anni, avvocato del lavoro e segretaria cittadina del Pd a Udine, fino al 21 marzo scorso, non la conosceva nessuno. Poi è nata una stella.
All’assemblea nazionale dei circoli Pd, Debora, applauditissima, le ha cantate al segretario e ai vertici del partito. Il resto l’ha fatto la rete: migliaia di persone in poche ore si sono scaricate il video del suo intervento, su Facebook, che fino a due mesi fa Debora non sapeva nemmeno cosa fosse, è arrivata ad avere 8768 sostenitori.
Al mattino non pensa a quello che deve indossare. Il look non le interessa. Anche se la frangetta l’ha fatta litigare con il parrucchiere: «Alla fine me la sono tagliata da sola». Qualcuno, un po’ per la somiglianza fisica con l’attrice francese un po’ per la favola che diventa realtà, l’ha definita l’Amélie Poulain della politica. «Io veramente mi sento Debora Serracchiani, candidata del Pd alle europee», risponde lei, convita che in Europa potrà fare molto. E se non verrà eletta?
«Proverò a cambiare il Pd dall’interno, il partito che voglio io ancora non esiste». Quello che c’è, comunque - assicura Debora Serracchiani - ancora non l’ha piegata. Qualche suo fan la vedrebbe già candidata alla segreteria del Pd. Ecco Debora Serracchiani cosa risponde.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’Udc ha già dichiarato la sua indisponibilità a sostenerla
Di Pietro: ’’Ecco la mia mozione contro il premier’’. Franceschini: ’’Rinunci al lodo Alfano e si difenda’’
Il leader dell’Idv: ’’Il comportamento di Berlusconi compromette l’immagine del nostro Paese’’. Per la sua iniziativa di sfiducia occorrono però 63 deputati, quelli dell’Italia dei Valori sono solo 27. Leggi il testo integrale. Il segretario del Pd: il presidente del Consiglio ’’usa armi di ’distrazione’ di massa’’. Ma la mozione dipietrista rischia di essere un ’’boomerang, un regalo’’ al Cavaliere
Roma, 26 mag. (Adnkronos) - "L’immagine ed il prestigio internazionale del nostro Paese appaiono gravemente compromessi dal comportamento del presidente del Consiglio che pare privilegiare un proprio interesse privato a continuare a gestire una posizione di potere politico a dispetto dell’interesse nazionale dell’intero Paese". E’ uno dei passaggi chiave della mozione di sfiducia al premier preparata a Italia dei valori che lo stesso Antonio Di Pietro (nella foto) ha illustrato a Verona.
Il documento ruota tutto intorno al caso Mills nel chiedere "la sfiducia al governo presieduto dall’onorevole Silvio Berlusconi e lo impegna a rassegnare le dimissioni nelle mani del capo dello Stato". La mozione, però, ha davanti a sé una via parlamentare tutta in salita. Secondo il regolamento della Camera, infatti, per depositarla occorre il 10% delle firme dell’assemblea (63), mentre i deputati di Idv sono solo 27. Dichiaratosi indisponibile l’Udc, le firme utili dovrebbe fornirle il Pd, che però ha pronta una sua mozione di carattere più generale sulle responsabilità del premier ma senza la sfiducia.
Nel testo dell’Idv, comunque, si parte dal fatto che "i giudici hanno riconosciuto colpevole Mills ritenendo valido l’impianto dell’accusa secondo cui Mills fu corrotto ’con almeno 600mila dollari’ da Silvio Berlusconi per testimoniare il falso in due processi al fondatore della Fininvest". Ripercorrendo tutta la vicenda processuale con stralci di atti, e ricordando l’intervento del lodo Alfano, il testo dell’Idv sostiene che "è di tutta evidenza che pur trattandosi di una sentenza di primo grado, e dunque restando valido il principio della presunzione di innocenza, il caso ha assunto una valenza politica enorme, coinvolgendo direttamente il presidente del Consiglio in carica ed essendo le accuse in essa contenute di tale straordinaria gravità da destare eccezionale allarme nell’opinione pubblica".
Secondo l’Idv, "in queste condizioni, l’interruzione del processo a carico del presidente del Consiglio appare non solo totalmente inutile ma, addirittura, dannosa, nei limiti in cui non consente un preciso accertamento dei fatti e delle responsabilità, cosa che viceversa sarebbe assolutamente doverosa nell’interesse dello stesso presidente del Consiglio, sia nei confronti dell’opinione pubblica che ha il diritto di essere certa dell’onestà di chi la governa e rappresenta". "Proprio in questa direzione si muoveva la richiesta avanzata dalle opposizioni, in maniera costruttiva, nell’interesse generale del Paese, al presidente del Consiglio di rinunciare alla sospensione del processo prevista dal lodo Alfano", si legge ancora nel documento che contiere alcuni stralci di articoli della stampa internazionale che si è occupata del caso.
La conclusione, è che "nei prossimi mesi in Italia si terranno importanti vertici internazionali, a cominciare dal G8, in questo contesto appare a dir poco inopportuno che a presiedere tali riunioni sia un presidente del Consiglio che una sentenza di un tribunale italiano, per quanto di primo grado, ha riconosciuto colpevole di corruzione in atti giudiziari volta a celare fatti di una enorme gravità". Quindi, la sfiducia.
"A noi dell’Italia dei valori l’opposizione del giorno dopo interessa ben poco - spiega Di Pietro illustrando la mozione -. Non possiamo accettare i cosiddetti ’consigli’ di chi ci dice che ’la mozione di sfiducia a Berlusconi è inutile perché siete una minoranza’’. ’’Questa è l’idea di un perdente che ha smesso di nuotare perché la riva è lontana, e quindi è già morto e fa morire la democrazia", aggiunge.
Il leader dell’Idv ha presentato la lettera inviata a Dario Franceschini del Pd e a Pier Ferdinando Casini dell’Udc in cui spiega le ragioni dell’iniziativa e in cui sottolinea che "la mozione di sfiducia che vi chiediamo di sostenere non ha lo scopo di battere ora, subito a tavolino la maggioranza di Berlusconi. Ha un obiettivo più grande, più importante, che inizia oggi e che dovrà durare nel tempo, ovvero avviare un percorso parlamentare congiunto che metta in discussione la credibilità della leadership di Silvio Berlusconi nelle aule e nelle piazze del paese".
"Diamo dunque il via oggi, insieme, ad una nuova azione di resistenza contro questa deriva populistica, sostenendo la mozione di sfiducia - auspica infine Di Pietro - Con un’opposizione unita, anche una scontata posizione minoritaria è una battaglia vinta. Quello che conta è portare uniti tale battaglia in Parlamento, fare in modo che questa sia la mozione di tutte le opposizioni".
Riguardo alla mozione del Pd, Di Pietro e i capigruppo di Camera e Senato, Massimo Donadi e Felice Belisario, annunciano: ’’Siccome un bicchiere d’acqua fresca con questo caldo non fa male, la firmeremo ’’.
Quando la Padania gli dava del mafioso *
di ro.ro. *
Era il 1998, appena undici anni fa. Silvio era sceso in campo da appena 4 anni. Lo aveva fatto per difendere la libertà, contro la gioiosa macchina da guerra di Occhetto. Aveva vinto, ma non governato. Dopo qualche mese la Lega mandò a casa il suo governo, sotto la spinta della protesta di piazza.
Martedì 7 luglio 1998 Berlusconi imprenditore viene condannato a due anni e nove mesi, in primo grado, dal tribunale di Milano (Milàn per il Carroccio). Il collegio del Tribunale presieduto dal presidente della VII sezione penale Francesca Manga, dopo oltre sei ore di camera di consigli, aveva ritenuto il nostro futuro presidente del Consiglio colpevole di corruzione nei confronti di alcuni ufficiali della Guardia di Finanza. Lo stesso giorno da Palermo arriva la notizia che Berlusconi, il «boss di Forza Italia» è sotto inchiesta per «riciclaggio di capitali di Cosa Nostra».
Basta e avanza. La Padania, quotidiano della Lega, il giorno dopo esce con un titolo a nove colonne: «Mafia, camorra politica, Finanza». La foto di prima, che raffigura Silvio pelato e preoccupato, recita: «Berlusconi e Cosa Nostra. Cavaliere, risponda a 11 domande e potrà scagionarsi».
Che tipo di domande? «Signor Berlusconi, chi le diede nel 1968 l’equivalente di 32 miliardi d’oggi per acquistare i terreni?». E poi? «Per quale motivo, cavaliere, fece amministrare importanti quote della Fininvest alla società Par.Ma.Fid di Milano? Sapeva che gestiva anche i patrimoni di boss mafiosi?». Inoltre: «Tra il ‘68 e il ’79 Berlusconi eseguì aumenti di capitale per centinaia di miliardi. Soldi di chi?». E ancora: «Lei, signor Berlusconi, certamente rammenta che il 4 maggio 1977 a Roma fondò l’Immobiliare Idra col capitale di 1 euro. Questa società, che oggi possiede beni immobili pregiatissimi in Sardegna, l’anno successivo - era il 1978 - aumentò il proprio capitale a 900 milioni. Signor Berlusconi, da dove arrivarono gli 899 milioni (4 miliardi d’oggi fonte Istat) che fecero la differenza?».
Bei tempi.
Un leader in fuga dalla verità
di GIUSEPPE D’AVANZO *
È giusto ricordare che, se Silvio Berlusconi non si fosse fabbricato l’immunità con la "legge Alfano", sarebbe stato condannato come corruttore di un testimone che ha protetto dinanzi ai giudici le illegalità del patron della Fininvest. Condizione non nuova per Berlusconi, salvato in altre occasioni da norme che egli stesso si è fatto approvare da un parlamento gregario.
Le leggi ad personam, è vero, sono un lacerto dell’anomalia italiana che trova il suo perno nel conflitto di interessi, ma la legislazione immunitaria del premier è soltanto un segmento della questione che oggi l’Italia e l’Europa hanno davanti agli occhi. Le ragioni della condanna di David Mills (il testimone corrotto dal capo del governo) chiamano in causa anche altro, come ha sempre avuto chiaro anche il presidente del consiglio. Nel corso del tempo, il premier ha affrontato il caso "All Iberian/Mills" con parole definitive, con impegni che, se fosse coerente, oggi appaiono temerari: "Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l’esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario" (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17). Nove anni dopo, Berlusconi è a Bruxelles, al vertice europeo dei capi di Stato e di governo. Ripete: "Non conoscevo Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l’Italia" (Il sole24ore. com; Ansa, 20 giugno 2008, ore 15,47). È stato lo stesso Berlusconi a intrecciare consapevolmente in un unico destino il suo futuro di leader politico, "responsabile di fronte agli elettori", e il suo passato di imprenditore di successo. Quindi, ancora una volta, creando un confine indefinibile tra pubblico e privato. Se ne comprende il motivo perché, nell’ideologia del premier, il suo successo personale è insieme la promessa di sviluppo del Paese. I suoi soldi sono la garanzia della sua politica; sono il canone ineliminabile della "società dell’incanto" che lo beatifica; quasi la condizione necessaria della continua performance spettacolare che sovrappone ricchezza e infallibilità.
Otto anni fa questo giornale, dando conto di un documento di una società internazionale di revisione contabile (Kpmg) che svelava l’esistenza di un "comparto estero riservato della Fininvest", chiedeva al premier di rispondere a qualche domanda "non giudiziaria, tanto meno penale, neppure contabile: soltanto di buon senso. Perché questi segreti, e questi misteri? Perché questo traffico riservato e nascosto? Perché questo muoversi nell’ombra? Il vero nucleo politico, ma prima ancora culturale, della questione sta qui perché l’imprenditorialità, l’efficienza, l’homo faber, la costruzione dell’impero ? in una parola, i soldi ? sono il corpo mistico dell’ideologia berlusconiana" (Repubblica, 11 aprile 2001). Berlusconi se la cavò come sempre dandosi alla fuga. Andò a farsi intervistare senza contraddittorio a Porta a porta per dire: "All Iberian? Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità".
La scena oggi è mutata in modo radicale. Se il processo "All Iberian" (condanna e poi prescrizione) aveva concluso in Cassazione che "non emerge negli atti processuali l’estraneità dell’imputato", le motivazioni della sentenza che ha condannato David Mills ci raccontano il coinvolgimento "diretto e personale" di Silvio Berlusconi nella creazione e nella gestione di "64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest". Le creò David Mills per conto e nell’interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle "fiamme gialle" corrotte), Mills mentì in aula per tener lontano Berlusconi dai guai, da quella galassia di cui l’avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio "enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali", come si legge nella sentenza.
È la conclusione che ha reso necessaria l’immunità. Berlusconi temeva questo esito perché, una volta dimostrato il suo governo personale sulle 64 società off-shore, si può oggi dare risposta alle domande di otto anni fa, luce a quasi tutti i misteri della sua avventura imprenditoriale. Si può comprendere come è nato l’impero del Biscione e con quali pratiche. Lungo i sentieri del "group B very discreet della Fininvest" sono transitati quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l’approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come "i politici costano molto? ed è in discussione la legge Mammì"). E ancora, il finanziamento estero su estero a favore di Giulio Malgara, presidente dell’Upa (l’associazione che raccoglie gli inserzionisti pubblicitari) e dell’Auditel (la società che rileva gli ascolti televisivi); la proprietà abusiva di Tele+ (violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le "fiamme gialle"); il controllo illegale dell’86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l’acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. Sono le connessioni e la memoria che sbriciolano il "corpo mistico" dell’ideologia berlusconiana: al fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c’è la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.
Questo è il quadro che dovrebbe convincere Berlusconi ad affrontare con coraggio, in pubblico e in parlamento, la sua crisi di credibilità, la decadenza anche internazionale della sua reputazione. Magari con un colpo d’ala rinunciando all’impunità e accettando un processo rapido. Non accadrà. Il premier non sembra comprendere una necessità che interpella il suo privato e il suo ufficio pubblico, l’immagine stessa del Paese dinanzi al mondo.
Prigioniero di un ostinato narcisismo e convinto della sua invincibilità, pensa che un bluff o qualche favola o una nuova nebbia mediatica possano salvarlo ancora una volta. Dice che non si farà processare da questi giudici e sa che non saranno "questi giudici" a processarlo. Sa che non ci sarà, per lui, alcun processo perché l’immunità lo protegge. Come sa che, se la Corte Costituzionale dovesse cancellare per incostituzionalità lo scudo immunitario, le norme sulla prescrizione che si è approvato uccideranno nella culla il processo. Promette che in parlamento "dirà finalmente quel che pensa di certa magistratura", come se non conoscessimo la litania da quindici anni. Finge di non sapere che ci si attende da lui non uno "spettacolo", ma una risposta per le sue manovre corruttive, i metodi delle sue imprese, i sistemi del suo governo autoreferenziale e privatistico.
S’aggrappa al solito refrain, "gli italiani sono con me", come se il consenso lo liberasse da ogni vincolo, da ogni dovere, da ogni onere. Soltanto un potere che si ritiene "irresponsabile" può continuare a tacere. Quel che si scorge in Italia oggi ? e non soltanto in Italia ? è un leader in fuga dalla sua storia, dal suo presente, dalle sue responsabilità. Un leader che non vuole rispondere perché, semplicemente, non può farlo.
* la Repubblica, 20 maggio 2009
Berlusconi: «Parlamento dannoso e inutile» *
«Adesso diranno che offendo il Parlamento ma questa è la pura realtà: le assemblee pletoriche sono assolutamente inutili e addirittura controproducente». È un passaggio dell’intervento del premier Silvio Berlusconi all’assemblea di Confindustria nel quale il presidente del Consiglio ha sottolineato come le modalità di voto spingano i molti parlamentare a seguire le indicazioni di voto dei capigruppo.
«Avete un governo che per la prima volta è retto da un imprenditore e da una squadra di ministri che sembrano membri di un Cda per la loro efficienza. Dobbiamo però fare i conti con una legislazione da ammodernare perchè il premier non ha praticamente nessun potere e dovremo arrivare ad un ddl di iniziativa popolare perchè non si può chiedere ai capponi e ai tacchini di anticipare il Natale». Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ribadisce, davanti alla platea di Confindustria, la necessità di rafforzare i poteri del presidente del Consiglio. «Il presidente del Consiglio - aggiunge Berlusconi - non ha nessun potere perchè la Costituzione è stata scritta dopo il ventennio fascista e quindi tutti i poteri sono stati dati al Parlamento e non al premier».
Poi l’affondo sulla giustizia: «La giustizia penale è una patologia nel nostro sistema. I giornali oggi dicono che non è possibile criticare i giudici, ma criticare i giudici è un diritto di ogni cittadino». A questo passaggio la platea ha applaudito. «È come se Mourinho fosse l’arbitro di una partita Milan-Inter».
«Metteremo tutto il nostro impegno nella riforma della giustizia penale e non ci fermeremo fino alla divisione delle carriere», ha annunciato il premier, attaccando "certa" magistratura e affermando la sua determinazione a fare la riforma della giustizia «nell’interesse dei cittadini italiani». «Io sono esacerbato e voglio dichiarare pubblicamente la mia indignazione. Io ne sono fuori - spiega - perchè abbiamo il lodo Alfano che sposta la prescrizione e poi ho le spalle larghe, più mi picchiano più mi rinforzano ma un cittadino normale con questa situazione paga un prezzo troppo alto».
«Rispetto» per i singoli magistrati e l’intera istituzione giudiziaria. È quello che chiede l’Associazione nazionale magistrati al presidente del Consiglio, dopo le ultime esternazioni sulle toghe. «La magistratura non vuole essere trascinata su un terreno di contrapposizione che non le appartiene» dice il presidente Luca Palamara, che avverte che «il clima di scontro fa male al Paese».
Mentre tocca a Fini intervenire per difendere il ruolo del Parlamento. «Quando riesce ad operare attraverso procedure "aperte" è e viene percepito dalla società come un interlocutore ineludibile, qualificato ed impegnato», replica il presidente della Camera, aprendo a Montecitorio i lavori di un seminario proprio sul Ruolo del Parlamento nella transizione verso il federalismo fiscale: «L’iter della legge sul federalismo fiscale smentisce la tesi dell’inevitabile tramonto del ruolo del Parlamento come legislatore, della sua presunta marginalizzazione nella definizione delle leggi».
«Ormai sembra chiaro che si crede Napoleone. Il problema è che non è un signore di passaggio, ma il presidente del Consiglio, quindi sarebbe prudente non ridere». Così il segretario del Pd, Dario Franceschini, commenta l’intervento di oggi del premier Silvio Berlusconi all’assemblea di Confindustria.
* l’Unità, 21 maggio 2009