[...] E’ solo un sogno quello di Obama? Eppure, non è proprio questo ciò che sperano, magari confusamente, i musulmani delle diverse nazioni, i capti in Egitto, i maroniti del Libano, gli ebrei in Israele? E quando Obama ricorda quel testo escatologico del Corano in cui Mosè, Gesù e Maometto pregano insieme, oppure quando richiama la benedizione di Dio sui pacifici citando l`uno dopo l`altro il Corano, il Talmud e il Vangelo può darsi che ciò appaia inadeguato a esprimere la fede professata da un cristiano, ma non può non richiamare alla memoria la profezia di Isaia nella Scrittura sacra a ebrei e cristiani [...]
TRE RELIGIONI UNA PREGHIERA
di ENZO BIANCHI (la Repubblica, 6.06.2009)
VI SONO alcuni elementi del discorso di Obama al Cairo che mi paiono sollecitare una riflessione che vada oltre le pur ricche e variegate implicazioni politiche e strategiche.
Innanzitutto la capacità del presidente degli Stati Uniti di parlare a una "comunità" segnata da un`appartenenza religiosa, la umma musulmana, a nome di una "comunità" unita da un`etica condivisa.
L’APPARENTE squilibrio tra i due interlocutori - il capo di uno stato laico e l`insieme dei fedeli di una specifica religione - è superato proprio dal rilievo dato a ideali e principi che animano e unificano una specifica nazione al di là delle diverse appartenenze religiose dei suoi cittadini.
Vi può essere - e Obama spiega come negli Stati Uniti vi sia stata e vi sia, pur costantemente minacciata da contraddizioni - una convergenza su determinati valori civili a partire da opzioni di fede diverse o dall`agnosticismo. Riconoscere la possibile esistenza e la reale dinamica di un`etica laica consente anche di discernere nei testi sacri e nella tradizione religiosa di una specifica fede quali elementi possano essere condivisi e quali sono stati tradotti nel vissuto quotidiano. Così, per esempio, si riesce a dare atto all`islam "per tutto il corso della sua storia" di aver "dimostrato con le parole e le azioni la possibilità di praticare la tolleranza religiosa e l` eguaglianza tra le razze".
Quello che porta molti ad ascoltare Obama è la sua capacità di infondere fiducia, speranza nel domani della storia "Sono qui oggi per cercare di darevitaaun nuovo inizio ... all`inizio di un nuovo rapporto";
è la sua capacità di trarre anche dal sacro Corano parole di monito, evocatrici di una missione per cristiani e musulmani;
è la sua forza nel ribadire che la fede dovrebbe avvicinare cristiani e musulmani e "trasformare il dialogo in un servizio interreligioso".
Ora, due parole tornano con insistenza nell`articolato discorso di Obama da comunità statuale a comunità di fede, due parole che rinviano entrambe a un`appartenenza collettiva: "responsabilità" e "insieme".
Responsabilità - non a caso termine-chiave già nel discorso di insediamento del presidente degli Stati Uniti - significa sì discernimento del proprio coinvolgimento in errori compiuti nel passato remoto o recente ad opera del corpo comunitario cui si appartiene, ma anche e soprattutto consapevolezza di dover "respondere", rendere conto ai propri contemporanei e alle generazioni future del proprio pensare e del proprio agire, accettare il dovere morale di "scegliere il cammino giusto e non quello più facile" o più appagante in termini di interessi p erso nalio particolari. Questa responsabilità consente di fare memoria da un lato evitando "l`incessante e autodistruttiva attenzione per il passato" e di "rimanere ancorati al passato" o "intrappolati" in esso e, d`altro lato, facendo tesoro degli errori e delle ricchezze della propria storia e tradizione per "puntare tutti insieme sul futuro che vogliamo dare ai nostri figli e per rispettare la dignità di tutti gli esseri umani".
Responsabilità significa anche rinunciare alla via più facile di "accusare gli altri invece che guardarsi dentro": questo tipo di discernimento interiore contiene inevitabilmente l`appello a una ricerca e a un lavoro da compiersi "insieme". Non solo perché l`unione fa la forza, non solo perché la diversità è unaricchezza, ma perché tutti noi "condividiamo questo pianeta per un brevissimo istante di tempo". Ciascuno deve allora assumersi la responsabilità dell`altro, perché tutti gli esseri umani nascono uguali e perché per tutti vige quella regola aurea che è fondamento di ogni religione e di ogni sistema etico: "fareagli altri quello chesivorrebbechegli altri facessero a noi". Ciascuno troverà declinato questo comandamento nei testi fondanti le proprie convinzioni di fede e i propri ideali e saprà discernere quali azioni concrete, quali atteggiamenti, quali dialettiche sapranno tradurre il sogno di un mondo migliore nella realtà quotidiana di un bene comune accessibile a tutti.
E’ solo un sogno quello di Obama? Eppure, non è proprio questo ciò che sperano, magari confusamente, i musulmani delle diverse nazioni, i capti in Egitto, i maroniti del Libano, gli ebrei in Israele? E quando Obama ricorda quel testo escatologico del Corano in cui Mosè, Gesù e Maometto pregano insieme, oppure quando richiama la benedizione di Dio sui pacifici citando l`uno dopo l`altro il Corano, il Talmud e il Vangelo può darsi che ciò appaia inadeguato a esprimere la fede professata da un cristiano, ma non può non richiamare alla memoria la profezia di Isaia nella Scrittura sacra a ebrei e cristiani:
"In quel giorno ci sarà una strada dall`Egitto verso l`Assiria; l`Assiro andràin Egitto e l`Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno culto insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l`Egitto el`Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore dell`universo dicendo: «Benedetto sia l`Egiziano mio popolo, l`Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità»" (Isaia 19,23-25). Parole di un profeta del VI secolo a.C. che ci ricordano come da 2500 anni in quella regione del Medioriente si continua a sperare così: pace, giustizia, riconciliazione...
Speranza che, Obama ce lo ricorda con forza, riposa anche sulla responsabilità di ciascuno: compito esigente quello cui tutti insieme siamo chiamati, percorso faticoso e arduo, ma cammino possibile, alla portata di ogni essere umano degno di questo nome. Si, perché "convivere in pace ... è il volere di Dio, ed è il nostro dovere su questa terra": questa convivenza nella pace sarà possibile se ce ne assumeremo tutti insieme la responsabilità, se insieme sapremo rendere conto in parole e opere della nostra appartenenza all`unica comunità umana.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
"Dominus Iesus": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO".
Le parole di Cristo nel Corano
Un Gesù più ascetico nei testi islamici
di Giorgio Montefoschi (Corriere della Sera, 29.8.2009)
Per il Corano e l’Islam Gesù non è figlio di Dio e la sua crocifissione è stata «apparente» (nel senso che, secondo alcuni, al suo posto, morì un sosia, secondo altri fu un accadimento, appunto, solo apparente). È, invece, un grandissimo profeta e, privilegio che non è di Maometto, la sua nascita proviene dal grembo di una donna vergine: Maria, oggetto di culto e di venerazione, dichiarata dal libro sacro «eletta sopra le donne dei mondi». È il caso unico di una religione che adotta la figura centrale di un’altra, finendo per riconoscere questa figura come costitutiva della propria identità.
Del resto, non poche sono le vie di comunicazione tra le due religioni: il Corano mostra stretti legami con l’Antico e il Nuovo Testamento; la biografia di Maometto conferma il valore di quei legami (il suo incontro col monaco cristiano Sergio nella città siriana di Bostra, la concubina cristiana Maria la Copta dalla quale ebbe l’unico figlio maschio); i rapporti tra cristiani e musulmani nella medesima regione geografica mediorientale sono sempre stati fecondi; altrettanto fecondi vanno considerati i contatti tra i circoli del sufismo e i monaci cristiani.
Sappiamo che una larga tradizione, costituita da vari scritti cristiani non canonici - come, ad esempio, la Lettera di Giacomo , il Vangelo di Tommaso , il Vangelo degli Ebioniti , il Vangelo degli Egiziani - attesta come le parole pronunciate da Gesù nella sua vita, non siano soltanto quelle attribuitegli dai quattro Vangeli.
I detti islamici di Gesù (edizioni Mondadori-Lorenzo Valla, a cura di Sabino Chialà, pp. 220, e 24), raccoglie i detti di Gesù che, dall’VIII al XIX secolo dopo Cristo, appaiono, oltre che nel Corano, nella moltitudine dei trattati religiosi o filosofici, talvolta di grande pregio letterario, nei quali si riferiscono detti o insegnamenti attribuiti a vari mistici o asceti e tra questi Gesù. È un libro molto interessante. I lettori vi troveranno parecchie parole simili o quasi a quelle che conoscono dai Vangeli; altre diverse, eppure riconducibili alla medesima verità; altre ancora completamente sconosciute; infine, attraverso il Gesù dell’Islam, leggeranno l’Islam.
Come il Gesù cristiano, il Gesù dell’Islam guarisce i malati e resuscita Lazzaro. Cammina sulle acque e al discepolo che gli viene incontro affondando dice: «Dammi la mano, uomo di poca fede. Se il figlio di Adamo avesse la misura di un chicco o di un atomo di fede sicura, certamente camminerebbe sull’acqua». A chi si preoccupa del proprio sostentamento dice: «Non vedete forse gli uccelli del cielo, che non seminano e non mietono, eppure Dio che è in cielo li sostenta? Mangiate pane d’orzo ed erbe selvatiche e sappiate che, se neppure per quelle cose voi rendete grazie, come potreste farlo per cose superiori a quelle?». A chi gli chiede di insegnargli in che modo un servo può essere veramente devoto verso Dio, risponde: «Devi veramente amare Dio con il tuo cuore, agire per lui con tutta la diligenza e la forza di cui sei capace ed essere misericordioso con quelli della tua razza come lo sei con te stesso», specificando che «quelli della tua razza» sono tutti i figli di Adamo. Al Getsemani, conosce la tristezza e la paura della morte; rimprovera i discepoli che non riescono a vegliare con lui; (ma è a loro che chiede di intercedere presso Dio per ritardare la sua ora: quindi, non è il Figlio, non chiama suo Padre, non si rivolge direttamente a Lui - come in Marco, Matteo e Luca - dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà»). Finalmente, ai discepoli che, una volta tornato fra loro, gli raccontano che Giuda si è ucciso impiccandosi, dice che se Giuda «mai si fosse rivolto verso Dio, Dio si sarebbe volto verso di lui» - e così spiega il perdono.
Rispetto al Gesù cristiano, il Gesù dell’Islam è più ascetico e, se vogliamo, più severo. La sua ossessione è il mondo. Anche il Gesù dei Vangeli ammonisce che la vera vita non è di questo mondo. Le parole che il Gesù dell’Islam pronuncia a condanna del mondo, sono le stesse o non molto dissimili da quelle pronunciate dal Gesù della tradizione cristiana: «La dolcezza del mondo è amarezza dell’aldilà e l’amarezza in questo mondo è dolcezza dell’aldilà... Non cercate il mondo perdendo voi stessi ma cercate voi stessi lasciando ciò che è in esso... Se siete miei commensali e compagni, disponetevi a essere nemici del mondo e a odiarlo; se non l’avrete fatto, non sarete miei compagni e fratelli». È pure vero, tuttavia, che la congiunzione divina del Padre e del Figlio nella carne, consente al cristiano «ospite del mondo» di guardare al mondo con maggiore indulgenza e una segreta riserva d’amore.