FINI: «MAI COME ORA L’INTERVENTO DEL CAPO DELLO STATO È PUNTUALE E APPREZZABILE»
Napolitano: «Tregua nelle polemiche»
Appello in vista del G8, «data la delicatezza dell’evento».
Berlusconi: «Logico accogliere un invito del genere»
NAPOLI - «Sarebbe giusto, di qui al G8, data la delicatezza di questo grosso appuntamento internazionale, avere una tregua nelle polemiche». Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parlando con i giornalisti a Capri.
TELEFONATA CON BERLUSCONI - «Io capisco le ragioni dell’informazione e della politica, ma il mio augurio e il mio auspicio in questo momento sono di una tregua nelle polemiche», ha aggiunto il capo dello Stato, rivelando di aver avuto «una conversazione un po’ più ampia con il presidente Berlusconi».
«ACCOGLIERE INVITO» - Proprio dal premier è arrivato il primo commento alle parole di Napolitano: «Penso che sia logico che un Capo dello stato rivolta un invito del genere e mi sembra che sia logico che venga anche accolto» ha detto il presidente del Consiglio.
FINI: «INTERVENTO PUNTUALE» - Anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, condivide «pienamente» l’appello di Napolitano. Parlando a margine del Forum della nuova economia a Madrid, ha detto: «Mai come in questa circostanza l’intervento del capo dello Stato è puntuale e apprezzabile. Che il G8 vada bene non è solo interesse nazionale ma anche globale».
* Corriere della Sera, 29 giugno 2009(ultima modifica: 30 giugno 2009)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
DOPO IL G8 - POLEMICHE SULLA TREGUA TRA GLI SCHIERAMENTI
Appello ad un clima politico civile
Di Pietro dice no al capo dello Stato
Napolitano: dialogo sia costruttivo. Sì dal Pd. Il Pdl: monito alla sinistra. L’ex pm: «Opposizione senza sconti» *
ROMA Dopo la «tregua» del G8, il presidente della Repubblica auspica un «clima più civile, corretto e costruttivo nei rapporti fra governo e opposizione». Giorgio Napolitano affida il suo appello ad un colloquio con il Corriere della Sera e riceve oggi da parte di molti esponenti politici di Pdl e Pd un plauso e un’adesione convinta, pur con accenti diversi.
Antonio Di Pietro invece è l’unico a declinare l’invito denunciando i pericoli dell’azione del governo che sta pensando ad una ennesima «legge porcata» con il progetto di uno scudo fiscale. La proposta, che viene smentita da palazzo Chigi, riguarderebbe il rientro dei capitali dall’estero, un provvedimento che il leader di Idv definisce «riciclaggio di Stato» perchè interesserebbe capitali illeciti di evasori e criminalità organizzata. L’appello del Capo dello Stato viene accolto da maggioranza e Pd con toni diversi. Il centrodestra cerca infatti di rilanciare nel campo avverso la responsabilità di una mancata collaborazione nell’interesse del paese. Dal canto suo il Pd avverte che il «confronto costruttivo avverrà senza sconti» verso il governo che deve ora occuparsi «delle vere emergenze del paese».
«Dopo il G8 è anche possibile che l’Italia sia un Paese normale con una normale dialettica tra maggioranza ed opposizione. Per poterlo fare in modo reale, però, bisogna essere almeno in due» avverte Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl che chiede al Pd di chiarire al congresso se intende continuare con la linea degli «scontri frontali» con il governo. Dello stesso avviso anche altri esponenti del Pdl, come Gasparri, Capezzone, Bocchino che assegnano all’opposizione la responsabilità di cambiare il clima. Per Anna Finocchiaro, che pure giudica «sagge» le parole di Napolitano, invece «il dialogo dipende innanzi tutto da maggioranza e governo. Il Parlamento - spiega la capogruppo al Senato - è il cuore della democrazia ma questo ruolo non gli viene riconosciuto dalla maggioranza e dal governo, circostanza che rende difficile l’avvio della stagione del confronto. La questione vera è che il Paese ha bisogno di riforme condivise e il più possibile durature, calibrate sull’interesse generale e non di parte».
Il suo omologo a Montecitorio, Antonello Soro è ancora più diretto: «Non consentiremo a nessuno di usare le parole di Napolitano per cambiare le carte in tavola. Chiediamo al governo di occuparsi della crisi della nostra economia, del dissesto della finanza pubblica, della dilagante disoccupazione che annuncia un autunno carico di tensioni sociali». Secco il no al dialogo da Antonio Di Pietro: «Mi dispiace, sig. Presidente della Repubblica, Napolitano, ma noi dell’Italia dei Valori sentiamo il dovere di declinare il suo nuovo appello dopo la tregua per il G8» scrive l’ex pm sul suo blog. «Noi non ci troviamo nulla di "civile, corretto e costruttivo" in questi comportamenti del Governo e della sua maggioranza parlamentare - prosegue Di Pietro - e per questa ragione continueremo a fare opposizione senza sconti alcuno, dentro e fuori del Parlamento».
* La Stampa, 12/7/2009 (19:42)
Chi rompe la tregua paga
DI BARBARA SPINELLI (La Stampa, 12/7/2009)
La tregua che è stata invocata nei giorni scorsi, per proteggere da aggressioni l’immagine dell’Italia durante il G8, introduce nella politica democratica un’esigenza di immobile quiete su cui vale la pena riflettere. Presa in prestito dal vocabolario guerresco, tregua significa sospensione delle operazioni belliche, concordata di volta in volta per stanchezza, timore del pericolo, subitanee emergenze. Fino alla rivoluzione francese, scrive Clausewitz, le guerre erano fatte soprattutto di pause: l’ozio assorbiva i nove decimi del tempo trascorso in armi.
Era «come se i lottatori stessero allacciati per ore senza fare alcun movimento». Le battaglie smettono quest’usanza quando si fa più possente il pensiero dello scopo per il quale si guerreggia, giacché solo tale pensiero può vincere la «pesantezza morale» del combattente. Ma la tregua non è solo «pesantezza, irresolutezza propria all’uomo». L’etimologia dice qualcos’altro: perché ci sia tregua efficace occorre che i lottatori siano leali, che la sospensione sia un patto, che non sia unilaterale. L’etimologia, germanica, rimanda all’inglese true-vero, e al tedesco treu-leale, fiducioso.
Verità, fiducia, lealtà, patto: sono gli ingredienti essenziali della tregua, specie quando dal teatro di guerra ci si sposta a quello di pace, e quando il concetto si applica alla selezione dei governanti migliori che avviene in democrazia. Un prorompente atto terrorista, una calamità naturale, possono comportare la sospensione della conflittualità propria alle democrazie.
Non per questo vengono sospese la ricerca di verità, la pubblicità data all’azione dei politici, il contrasto fra partiti, l’informazione indipendente. Altrimenti la tregua politica altro non è che continuazione della guerra con altri mezzi, e per essa vale quel che Samuel Johnson usava dire dei conflitti armati, nel 1758: «Fra le calamità della guerra andrebbe annoverata la diminuzione dell’amore della verità, ottenuta tramite le falsità che l’interesse detta e che la credulità incoraggia». Se sostituiamo la parola tregua a guerra, vediamo che i rischi sono gli stessi.
Quando ha chiesto una tregua, il 29 giugno, il presidente Napolitano non pensava certo a questo sacrificio della verità. Ma il rischio è grande che i governanti l’intendano in tal modo: usando il Colle, rompendo unilateralmente la tregua come ha subito fatto Berlusconi aggredendo oppositori e giornali. Il conflitto maggioranza-opposizione, le inchieste giornalistiche o della magistratura sul capo del governo, sono automaticamente bollate come poco patriottiche, fedifraghe, addirittura eversive. Questo in nome di uno stato di emergenza trasformato in condizione cronica anziché occasionale, necessitante la sospensione di quel che dalla Grecia antica distingue la democrazia: la parresia, il libero esprimersi, la contestazione del potere e dell’opinione dominante, il domandare dialogico.
Significativa è l’allergia del potente alle domande, non solo quelle di Repubblica ma ogni sorta di quesiti: netto è stato il rifiuto di Berlusconi di permettere domande ai giornalisti, il primo giorno del G8. Sulla scia dell’11 settembre 2001 Bush reclamò simile tregua, che non migliorò la reputazione dell’America ma la devastò. Washington si gettò in una guerra sbagliata, in Iraq, senza che opinione pubblica e giornali muovessero un dito. La recente storia Usa dimostra che la democrazia guadagna ben poco dalle tregue politiche, quando i governi possono tutto e l’equilibrio dei poteri è violato. Il vantaggio delle tregue è la coesione nazionale: falsa tuttavia, se passiva. Lo svantaggio è la libertà immolata. Tanto più grave lo svantaggio, se l’emergenza è un mero vertice internazionale.
Ripensare la tregua e le sue condizioni può servire, perché la tendenza è forte, in chi governa, a prolungare emergenze e sospensioni della parresia, rendendole permanenti. Purtroppo la tendenza finisce con l’estendersi all’opposizione, alla stampa, e anche qui vale la descrizione di Clausewitz sul cessate il fuoco: che spesso interviene non perché la tregua sia necessaria, ma perché nell’uomo che rinvia decisioni c’è pavidità. Perché dilaga «l’imperfezione delle conoscenze, delle facoltà di giudizio». Perché, soprattutto, opposizione e giornali non hanno un «chiaro pensiero dello scopo» per cui si oppongono, analizzano, interrogano. Sono le occasioni in cui la tregua non è un patto di verità ma una variante dell’illusionismo e della menzogna.
Ma c’è una condizione supplementare, affinché la tregua si fondi su verità e fiducia. La condizione è che la memoria resti viva, e non solo il ricordo del passato ma la memoria del presente, meno facile di quel che sembri perché essa presuppone un legame tra i frammenti dell’oggi e aborre la fissazione su uno solo di essi: l’ultimo della serie. È la memoria di cui parla Primo Levi, quando descrive la tregua nei campi. Nel Lager, simbolo della condizione umana, esistono remissioni, «tregue». Ma esse sono chimere se non s’accompagnano alla memoria di quel che ineluttabilmente avverrà al risveglio, quando risuonerà il «comando dell’alba»: l’urlo in polacco - wstawac - che intima di alzarsi.
Meditare attorno all’idea di tregua è fecondo perché aiuta a capire come deve organizzarsi, in Italia e altrove, la parresia greca che i latini traducevano con libertas. Parresia è letteralmente parlare con libertà: un compito che politici e stampa condividono col medico, che non deve dire tutto alla rinfusa ma andare all’essenza e fare sintesi. Galeno, medico del primo secolo dopo Cristo, scriveva che «non si può guarire senza sapere di cosa si deve guarire»: il malato ha diritto alla verità, detta «senza ostilità ma senza indulgenza». La tregua anche in Italia ha senso se non si sacrifica il vero. Se non è solo la stampa estera a indagare sulla nostra singolare apatia etica.
Il mondo dell’informazione non è estraneo a tale apatia, incomprensibile all’opinione straniera e da essa biasimata. Il difetto, il più delle volte, è lo sguardo corto: uno sguardo che non collega i fatti, che sempre si fissa sull’ultimissimo evento, che non scava con la memoria né nel passato né nel presente. L’influenza della mafia sulla politica, i cedimenti di quest’ultima, il conflitto d’interesse che consente al privato di manomettere il pubblico, l’impunità reclamata dai massimi capi politici, infine la lunga storia italiana di stragi e corruzioni su cui mai c’è stata chiarezza: c’è un nesso fra queste cose, ma l’ultimo scandalo da noi scaccia il precedente e ogni evento (buono o cattivo) cancella il resto.
Lo scandalo delle ragazze a Palazzo Grazioli cancella la corruzione di Mills, le minorenni di Berlusconi obnubilano la mafia, le dieci domande di Repubblica cancellano innumerevoli altri quesiti. Anche l’opposizione si nutre di amnesia: i successi di Prodi (aiuti allo sviluppo, clima, liberalizzazioni, infrastrutture, accordo vantaggioso per Alitalia) sprofondano nell’oblio, se ne ha vergogna. Non stupisce che perfino fatti secondari siano mal raccontati, come fossero schegge insensate: ad esempio l’assenza dal programma G8 di Carla Sarkozy, giunta all’Aquila il giorno dopo il vertice. I giornali arzigogolano su una persona che ha voluto far l’originale, differenziarsi. Nessuno rammenta l’appello di 13.000 donne italiane - presumibilmente ascoltato da Carla - perché le first ladies non venissero al G8.
L’Italia come tutti i paesi è una tela, non un’accozzaglia caotica di episodi. Se non ricordiamo questo quadro non solo le tregue saranno basate su contro-verità. Si faticherà anche a ricominciare i normali conflitti e il parlare franco, finita la tregua. Sotto gli occhi della stampa mondiale appariremo come i lottatori di Clausewitz: allacciati ininterrottamente l’uno all’altro, senza fare alcun movimento.
Voltategli le spalle
di Alberto Asor Rosa (il manifesto, 05.07.2009)
Non si può non essere d’accordo - come sempre del resto - con il Presidente Giorgio Napolitano quando invita a sospendere per un po’ le «polemiche politiche» in vista della partecipazione italiana al G8. Il resto, però, - e cioè lo sterminio «non politico», l’enorme zavorra che deborda, nonostante gli sforzi, da tutti i peggiori contenitori, - ci sovrasta, e temo non ci si possa far niente. La vergogna italiana è ormai consumata al cospetto del mondo, parlarne o non parlarne è più o meno la stessa cosa. Le incerte origini di una fortuna economica colossale, la disinvolta (!) gestione dei propri affari, gli avvocati internazionali comprati, lo stalliere mafioso, il rifiuto sistematico di sottoporsi alla giustizia del proprio paese (da cui, conseguentemente, il benemerito «lodo Alfano»), l’interesse pubblico interamente giocato a favore di quello privato, lo spropositato dominio sui media e, da ultimo, il prossenetismo di massa e un’esibizione senza precedenti di abitudini personali scandalose e di vizi privati che of course non sono riusciti a diventare pubbliche virtù, costituiscono oggi, ahimé, un patrimonio nazionale peculiarmente italiano, di cui è difficile, anzi impossibile liberarsi, anche tacendone. Da questo punto di vista, ci si può affidare solo alla fortuna, ovvero allo «stellone italiano», la categoria concettuale e pratica esattamente speculare, per superficie e approssimazione, dei guai inverosimili in cui gli italiani sono capaci da sé di cacciarsi.
Se però, nonostante fortuna e buona volontà e riservatezza e discrezione, del «resto» di dovesse continuare a parlare anche in prossimità di un evento internazionale tanto importante come il G8, e magari al suo interno e durante il suo svolgimento, si tenga presente quanto segue. Noi italiani dobbiamo rassegnarci all’idea che da soli non ce l’abbiamo mai fatta: che abbiamo avuto sempre bisogno di una mano amica per tirarci fuori dai gorghi dove eravamo precipitati. Dall’interno, beninteso, affinché il meccanismo si rimettesse in moto, c’è stato bisogno che piccoli gruppi destinati solo dopo a diventare grandi, esibissero la loro propria, personale e nazionale, volontà di riscatto e di liberazione. Ma perché questi piccoli diventassero efficaci al fine coraggiosamente prescelto, fu necessario che dall’esterno altre mani si protendessero a incontrare le nostre. Questo è stato vero anche nei momenti più esaltanti e fondativi della nostra storia: il Risorgimento (Francia e Inghilterra); l’antifascismo e la Resistenza (gli Alleati, ovviamente).
Potrebbe darsi che questo sia vero anche oggi. Sarebbe bello perciò che il G8 fosse occasione per qualche manifestazione di tal natura. Sarebbe sufficiente lanciare qualche modesto messaggio da parte degli ospiti stranieri: basterebbe voltare le spalle nel corso di una pubblica esibizione: declinare dignitosamente ma fermamente qualche invito; rifiutarsi di stringere qualche mano servilmente protesa; esibire una grave serietà quando ci si trovi di fronte ad una risata troppo ghignante ed esibita. Al resto penserebbero la stampa, i fotografi, le televisioni. Fra i Grandi del G8 qualche personalità capace di questo dovrebbe pur esserci: dal sobrio laico laburista inglese Brown al multietnico e «libero pensatore» Obama all’onesta luterana tedesca Merkel. Se no, in che cosa consisterebbe la loro conclamata superiorità di comportamenti rispetto ai nostri, insomma, la «differenza» su cui anche noi italiani siamo costretti, e ridotti, a contare?
Mi rendo conto che questo discorso potrebbe esser considerato disfattista. Sono grande abbastanza tuttavia per ricordarmi che negli anni prima e durante la seconda Guerra mondiale gli italiani che parlavano da Radio Londra o militavano nelle diverse Resistenze europee prima che la nostra avesse inizio, venivano tacciati dai fascisti di alto tradimento, lesa maestà e, appunto, di disfattismo (anche questo, del resto, fa parte del doloroso "destino italiano": gli italiani buoni, per esser buoni, sono costretti a farsi accusare dai loro connazionali d’esser traditori). Da che parte stava allora l’onore d’Italia? Dove sta ora? L’onore non sta sempre dalla parte di chi più o meno legittimamente ci rappresenta. Oggi in Italia di sicuro sta altrove.
Il capo dello Stato convoca Alfano al Quirinale: senza modifiche niente firma
Il presidente preoccupato per i rischi di incostituzionalità. Esclusa la fiducia
Legge sulle intercettazioni
arriva lo stop di Napolitano
di LIANA MILELLA *
ROMA - Irragionevole, incostituzionale, gravemente dannosa per le indagini, foriera di scontri con una stampa già pronta allo sciopero del 13 luglio. La legge sulle intercettazioni, così com’è, non va. Napolitano poteva rinviarla alle Camere e dare uno schiaffo a Berlusconi. Ma fedele al motto che "gli strappi tra le istituzioni vanno sempre evitati" (almeno fin dove è possibile), il capo dello Stato l’ha fermata prima del suo ultimo passaggio al Senato.
Con un governo pronto a mettere la fiducia come aveva fatto alla Camera. Dopo un anno di ininterrotta moral suasion, dopo aver messo in allerta Fini e Schifani, il presidente della Repubblica ha compiuto il passo definitivo, ha chiamato al Quirinale il Guardasigilli Alfano. Che arriva lesto lesto.
Poco meno di un’ora di colloquio, accanto i suoi esperti giuridici, un esordio che non consente spiragli di trattativa: "Sono molto preoccupato e turbato per la tensione che si sta creando nel mondo della giustizia e della stampa su questa legge. I miei consiglieri mi spiegano che se dovesse passare così al Senato i vizi di palese incostituzionalità mi costringerebbero a fare un passo che di certo non vi sarebbe gradito". Il ministro della Giustizia, che si è sempre mostrato rispettoso del Colle, non tenta neppure una difesa. Alla fin fine sa che al premier questa legge non è mai piaciuta perché lui ne avrebbe voluta una molto più dura, con gli ascolti autorizzati solo per mafia e terrorismo. Nel rinviarla, soprattutto in ore in cui, per le voci su procure in azione, non vuole scontri con toghe, polizie, servizi, non soffrirà troppo. Napolitano prosegue: "È vero che avete intenzione di mettere la fiducia?".
Alfano si allarga in uno dei suoi sorrisi da bravo ragazzo: "Assolutamente no, presidente, il governo non pensa di farlo. Tutt’altro. Il testo non è blindato, siamo pronti a far tesoro del lavoro della commissione Giustizia. Certo, dopo che è rimasto un anno alla Camera, ci auguriamo che non succeda lo stesso al Senato". Il ghiaccio è rotto, si può pure ragionare dei dettagli e mettere sul tavolo i palesi dubbi di costituzionalità. Non uno, ma numerosi.
A cominciare da quella che il Quirinale considera una pessima, irragionevole, incostituzionale, norma transitoria, forse la buccia di banana più platealmente inaccettabile su cui scivola il ddl. "Le disposizioni della presente legge non si applicano ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore". Doveva servire, è servita, per far dire all’avvocato del premier Niccolò Ghedini (e ora anche presidente della Consulta del Pdl sulla giustizia, sempre per tenere ben vivo il conflitto d’interessi) che "questa non è una legge ad personam, visto che non si applica ai processi in corso". E in effetti è così, ma con il rischio di un tal guazzabuglio tra chi godrà di norme più favorevoli e chi no, di giornalisti in galera e altri fuori, di intercettazioni pubblicate ed altre censurate, che l’incostituzionalità è manifesta. Dunque la norma va cambiata. Ma non solo. Il Colle punta il dito sugli "evidenti indizi di colpevolezza" necessari per ottenere un ascolto. Che ne sarà delle indagini contro gli ignoti (autori anche di omicidi), di quelle sui reati che poi portano a scoprire la mafia (usura, racket, rapine e tanti altri)? Giusto nelle stesse ore in cui Alfano è seduto di fronte a Napolitano, al Csm protestano i più noti procuratori antimafia.
Alle orecchie di Alfano risuonano le tante insistenze di Giulia Bongiorno, la presidente della commissione Giustizia della Camera e alter ego di Fini per la giustizia, che si è battuta nella sua maggioranza per "limitare i danni". Ma anche lei, di fronte ai falchi ghediniani e alfaniani che insistevano, ha dovuto piegare la testa sugli "evidenti indizi di colpevolezza" che adesso diventeranno "evidenti indizi di reato". E infine il capitolo sulla stampa, dal carcere (fino a un anno) per i giornalisti che pubblicano intercettazioni da distruggere e che fano protestare anche il Garante della privacy Pizzetti, alle supermulte contro gli editori, ai testi delle telefonate che non si potranno pubblicare neppure per riassunto, creando così una marchiana e irragionevole differenza tra una prova, gli ascolti, e un’altra, una lettera, un verbale d’interrogatorio che invece, quelli sì per riassunto, potranno essere pubblicati.
Non prende appunti Alfano, ma il terremoto che si abbatte sul suo ddl è intensissimo. Non di modifiche formali si tratta, ma di cambiamenti sostanziali. A Napolitano non era affatto piaciuto il grido dell’Anm, "sarà la morte della giustizia", ma i suoi rilievi sono la riprova che la legge stoppa indagini e cronaca giudiziaria. Il Guardasigilli se ne va tranquillizzando il presidente: "Non abbiamo fretta, seguiremo i lavori del Senato". Alfano sa che Berlusconi non vuole spingere l’acceleratore sulla giustizia. La decisione della Consulta sul lodo Alfano è alle viste, le procure incombono, il premier continua ad avere il dubbio che il Bari-gate sia esploso a ridosso del voto della Camera giusto sulle intercettazioni. Questo ddl e la famosa riforma costituzionale della giustizia possono aspettare. Alfano l’ha detto al presidente preoccupato di uno scontro estivo con le toghe: "I prossimi consigli dei ministri saranno dedicati all’economia. Io sono soddisfatto del mio lavoro. Domani (oggi, ndr.) entra in vigore la riforma del processo civile, in cui ho profondamente creduto ed è legge la sicurezza con le norme antimafia più forti da quando è morto Falcone. Che senso avrebbe una riforma costituzionale a metà luglio?". C’è tempo. Magari quando si saprà se la Consulta conferma o boccia il lodo Alfano.
* la Repubblica, 4 luglio 2009
Analisi
Silvio Berlusconi screditato sulla scena internazionale
di Philippe Ridet
Le Monde, Paris - 2 luglio 2009 (traduzione dal francese di José F. Padova)
Finalmente Silvio Berlusconi ha riconosciuto che gli scandali che colpiscono la sua vita privata fanno "torto all’Italia". "Guardare attraverso il buco della serratura fa male al Paese" ha rincarato Giulio Tremonti, il ministro dell’Economia, mentre Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica, faceva appello a una improbabile "tregua" fra i mezzi di comunicazione il governo nell’occasione del prossimo vertice del G8 organizzato nella città sinistrata de L’Aquila (Abruzzi), dall’8 al 10 luglio
Accusato da sua moglie - che ha chiesto il divorzio - di "frequentare minorenni", poi definito dal suo avvocato come "l’utilizzatore finale" di un circuito di call-girls, infine riconosciuto dai giudici come "il corruttore" del suo ex avvocato David Mills, il presidente del Consiglio non si gioca soltanto la sua reputazione, della quale non resta più gran cosa da salvare. Il "cavaliere" deve ormai tentare di salvare l’immagine dell’Italia, che si è danneggiata contemporaneamente alla sua. E la sua posizione sulla scena internazionale.
La sfida è ardua. Da due mesi la stampa internazionale e i rapporti degli ambasciatori descrivono un Paese nel quale gli scandali pubblici e privati legati alla persona del capo del governo si accumulano. Il presidente del consiglio vi appare unicamente preoccupato dei suoi piaceri, mentre riceve nella sua residenza romana giovani donne le cui prestazioni sono a tariffa, e questo la notte stessa dell’elezione di Barack Obama.
Protetto da una legge che vieta qualsiasi inchiesta giudiziaria a suo carico durante il suo mandato, oggetto dell’indulgenza e del compiacimento di una parte degli italiani, dell’indifferenza e dell’ignoranza degli altri a causa della "copertura mediatica minima " riservata a questi scandali da una televisione pubblica e privata ai suoi ordini, Berlusconi non teme molto sul piano interno. Le voci di dimissioni e di formazione di un "governo tecnico" alla fine hanno suscitato un soprassalto di solidarietà fra coloro che erano dati come i possibili successori di Berlusconi.
Al contrario lo sguardo che gli riservano i suoi pari non gli è indifferente. Berlusconi, che assicura di avere la fiducia del "62%" degli italiani, sa ormai che il suo "charme" se la passa molto peggio sulla passerella della scena internazionale. Inizialmente, l’organizzazione del G8 in una città colpita da un terremoto, che il 6 aprile è costato la vita 300 persone, era destinata a dare la prova dell’efficenza dello Stato italiano. Oggi è diventato un test dell’influenza dell’Italia sulla scena internazionale e della stima e del credito dei quali Berlusconi usufruisce ancora presso i suoi pari.
Il suo "Obama giovane e abbronzato" senza dubbio ha segnato il passaggio dal divertimento all’irritazione, perfino all’imbarazzo. Ci si ricorda ancora del presidente del Consiglio, telefonino avvitato all’orecchio, che faceva aspettare a lungo la cancelliera tedesca Angela Merkel, il 4 aprile in occasione del vertice della Nato. In quel giorno Berlusconi forse non ha misurato tutta l’importanza della piccola alzata di spalle della cancelliera, che sembrava dire: "Tanto peggio, faremo a meno di lui".
L’ultimo consiglio europeo di Bruxelles ha suonato l’allarme. Malgrado l’ampia vittoria del suo partito alle elezioni europee e un tasso di partecipazione al voto da far impallidire l’invidia molte democrazie, Berlusconi, senza appoggi, non è riuscito a piazzare il suo candidato alla presidenza del Parlamento europeo come aveva promesso ai suoi sostenitori. Per di più ha dovuto trangugiare questo commento a doppio senso di Hans Gert Pöttering: "Anche se qualcuno della nostra famiglia ha un tuo comportamento che non piace a nessuno, ciò non deve avere effetto su quelli che non hanno avuto questo comportamento". "Gli scandali di queste ultime settimane non hanno aiutato l’Italia", sottolinea l’inglese Graham Watson, capogruppo dei liberaldemocratici.
Un “problema Berlusconi”? l’interessato continua a difendere il suo stile e la sua vita privata senza apparente rimorso - "È così che gli italiani mi amano". I problemi tuttavia rimangono aperti: il tentativo andato a vuoto di Fiat per prendere il controllo della tedesca Opel avrebbe avuto miglior sorte se la reputazione di Berlusconi e dell’Italia oltre il Reno fosse stata migliore? Obama avrebbe incluso una tappa romana in occasione del suo primo soggiorno europeo se il presidente del Consiglio si fosse risparmiato una pessima battuta riguardante il nuovo eletto?
Berlusconi ostenta un’intensa attività diplomatica. Dopo un viaggio lampo a Washington, il ricevimento di Muammar Gheddafi a Roma, si è autoinvitato a Corfù per il vertice Russia-Nato. Mercoledì 1 luglio ha annullato, all’ultimo minuto, la sua presenza a Sirte (Libia) per una riunione dell’Unione africana. Egli vuole dimostrare di rimanere "l’amico di tutti", un dirigente ascoltato e frequentabile e che l’Italia pesa ancora nelle relazioni internazionali.
Non è la prima volta che Berlusconi deve affrontare uno scandalo a un vertice. Nel 1994 a Napoli la sua prima presidenza del G8 coincise con l’apertura di un’indagine giudiziaria che lo riguardava. Altre indagini, altri scandali non hanno impedito a certi dirigenti internazionali di frequentare la sua villa in Sardegna, il suo falso vulcano e forse già le sue strane hostess. Quattordici anni dopo chi, al G8, sarebbe pronto a prendersi questo rischio?
Il parlamento clandestino dichiara illegale la clandestinità (degli immigrati)
Genova 2 luglio 2009. - Oggi è giorno di lutto per l’Italia fondata sul diritto e sulla Carta Costituzionale. Dopo i giorni della presidenza del consiglio trasformata in lupanare all’aperto, ecco i giorni della demenza giuridica e della vergogna di un governo che legifera solo per soddisfare i propri istinti e ignoranza. Due settimane fa il governo doveva varare la legge sulla prostituzione, penalizzando i clienti, su proposta della Mara Carfagna, non sappiamo (o forse sì?) per quali meriti divenuta ministra della moralità e approvata dal presidente del consiglio, «utilizzatore finale» di escort o prostitute a tre zeri. Qualcuno ha avuto la decenza di rimettere il disegno di legge nel cassetto, in attesa di tempi meno travagliati dalle parti governative. Occorreva qualcosa per distrarre dal porcilaio in cui l’Italia intera è stata annegata dal capo del governo e dei suoi manutengoli. La distrazione nazionale si chiama «il reato di clandestinità» da dare in pasto alle paure indotte dagli stessi che legiferano.
E’ legge, dunque, la norma che prevede il reato di clandestinità che per forza d’inerzia farà aumentare i clandestini come funghi dopo la pioggia; i centri di identificazione da luoghi di verifica civile diventano lager consentiti, passando da 60 a 540 giorni (il 900%). Oggi muore la decenza, muore il Diritto, mentre la stampa pubblica una lettera di un giudice costituzionale, «famiglio intimo» del plurinquisito» capo del governo con cui sfida e sotterra la dignità dell’Alta Corte.
Nella legge che dichiara la clandestinità reato, c’è una norma che inasprisce il reato di mafia (il 41bis). E’ una trappola. Vedremo che tutti i governativi e la maggioranza al guinzaglio si farà scudi di questo articolo per screditarsi tutori di legalità integerrima: essi inaspriscono le pene alla mafia, ma fanno eleggere al parlamento e nelle regioni mafiosi condannati o in via di processo.
Se Cristo fosse fisicamente presente in Italia (cosa impossibile perché starebbe a 12.000 km di distanza dal vaticano!), sarebbe clandestino e verrebbe rinchiuso in un lager di «verifica» (?). Per sfuggire alla polizia di Stato, fuggì in Egitto e tornò solo dopo la morte dei suoi persecutori. Ai clandestini colpevoli di essere uomini e donne in cerca di dignità e agli Italiani e Italiane che hanno ancora il senso del diritto, diciamo due cose: noi speriamo che muoiano presto coloro che li perseguitano e da parte nostra combatteremo questa ignominia di cui proviamo vergogna e che disprezziamo come disprezziamo coloro che l’hanno votata.
Il presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, monsignor Antonio Maria Veglio, ha scritto: «I migranti hanno il diritto di bussare alle nostre porte. Basta demonizzare e criminalizzare il forestiero. L’arrivo dei migranti non è certo un pericolo. Sbagliato trincerarsi dentro le proprie mura». Gli fa eco il segretario del pontificio Consiglio, monsignor Agostino Marchetto: La nuova legge porterà «molti dolori e difficoltà agli immigrati» e noi aggiungiamo anche all’Italia perché farà aumentare in modo esponenziale la clandestinità.
Il catto-fascista Gasparri, insieme con gli altri governativi cattolici «similpelle» dichiara di «essere orgoglioso». Di fronte all’Italia che di degrado in degrado corre verso il buco nero dell’indecenza generalizzata, non riusciamo ancora ad udire un belato, un vagito, un gridolino della gerarchia cattolica che pare abbia assunto come nuovo stemma le tre scimmie storiche: non vede, non sente e non parla. La luce che doveva stare sul monte per illuminare le coscienze, è stata spenta e messa in sicurezza sotto il moggio, chiusa a chiave e la chiave buttata a mare. Il silenzio dei vescovi è un peccato contro lo Spirito che non sarà perdonato né in cielo né in terra.
* Il Dialogo, Giovedì 02 Luglio,2009 Ore: 17:36
APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA =============================================== Supplemento straordinario de "La nonviolenza e’ in cammino" del 2 luglio 2009 *
APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CONTRO IL COLPO DI STATO RAZZISTA *
Il colpo di stato razzista compiuto dal governo Berlusconi con la complicita’ di una asservita maggioranza parlamentare puo’ e deve essere respinto.
E’ nei poteri del Presidente della Repubblica rifiutare di avallare l’introduzione nel corpus legislativo di misure palesemente in contrasto con la Costituzione della Repubblica Italiana, palesemente criminali e criminogene, palesemente razziste ed incompatibili con l’ordinamento giuridico della Repubblica.
Al Presidente della Repubblica in prima istanza facciamo ora appello affinche’ non ratifichi un deliberato illegale ed eversivo che viola i fondamenti stessi dello stato di diritto e della civilta’ giuridica, che viola i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana.
* Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo - Viterbo, 2 luglio 2009
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e’ in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Palazzo Madama approva il progetto del governo. Critica l’opposizione
Il Vaticano: "Basta criminalizzare gli stranieri. Norma che porterà dolore"
Il pacchetto sicurezza diventa legge
Sì alle ronde, la clandestinità è reato *
ROMA - Si potranno organizzare le ronde; diventa reato l’immigrazione clandestina. Da oggi il ddl sicurezza è legge dello Stato. L’ok definitivo del Senato è giunto in tarda mattinata con il voto di fiducia: 157 favorevoli tra PdL, Lega Nord e MpA; 124 no; 3 astenuti. Plaude la maggioranza ("Una legge per gli italiani", ha detto Maurizio Gasparri); forti le critiche sollevate dall’opposizione e dal Vaticano: "Basta criminalizzare gli stranieri. E’ una norma che porterà dolore".
Inasprite pene per gli immigrati. Dopo un lungo braccio di ferro con l’opposizione, la nuova legge impone un giro di vite sugli immigrati irregolari che da oggi rischieranno il processo. La permanenza nei Centri di identificazione temporanea per verificare la provenienza dei migranti potrà toccare i 18 mesi (finora il limite era di 60 giorni). Una pena fino a tre anni di carcere è prevista per chi affitta case o locali ai clandestini.
Le ronde. Potranno collaborare con le forze dell’ordine le associazioni di cittadini organizzate in ronde. Le associazioni saranno iscritte in un apposito elenco a cura del prefetto. Sarà un decreto del ministro dell’Interno a disciplinare i requisiti necessari, ma fin d’ora il governo ha assicurato che le ronde non saranno armate.
Norme anti-racket. Vengono inoltre ripristinati i poteri del procuratore nazionale antimafia e inasprito il 41-bis sulla detenzione dei boss mafiosi. Rispetto ad una stesura precedente, torna l’obbligo per gli imprenditori di denunciare i tentativi di racket, pena l’esclusione dalle gare d’appalto che scatta anche quando la richiesta del pizzo emerga dalle risultanze di un rinvio a giudizio.
Ritorna il reato di oltraggio. Aggravanti per i reati commessi su anziani e disabili; introdotte norme più severe contro i graffitari e contro coloro che impiegano bambini per l’accattonaggio. Ritorna ad essere penalmente rilevante il reato di oltraggio a pubblico ufficiale.
I complimenti del centrodestra. "Una legge per gli italiani", ha detto Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl. Soddisfatto anche il ministro dell’Interno Roberto Maroni, "padre politico" del provvedimento: "E’ un passo in avanti molto importante per garantire la sicurezza ai cittadini. Non è un provvedimento razzista".
Le critiche. Ma dall’opposizione si alza dura la protesta. "E’ un pugno sbattuto sul tavolo. Così si favorisce la clandestinità", ha sostenuto Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd. E i parlamentari dell’Italia dei Valori hanno alzato in aula cartelli con scritto: "I veri clandestini siete voi. Governo: clandestino del diritto".
Critico anche il Vaticano. Il presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, monsignor Antonio Maria Veglio, ha scritto: "I migranti hanno il diritto di bussare alle nostre porte. Basta demonizzare e criminalizzare il forestiero. L’arrivo dei migranti non è certo un pericolo. Sbagliato trincerarsi dentro le proprie mura". Gli fa eco il segretario del pontificio Consiglio, monsignor Agostino Marchetto: "La nuova legge porterà "molti dolori e difficoltà agli immigrati".
E dal forum del Terzo settore, il portavoce Andrea Olivero avverte che la legge è "un’ulteriore chiusura a quel dialogo tanto auspicato tra istituzioni e società civile".
* la Repubblica, 2 luglio 2009
Ddl sicurezza
Camilleri, Tabucchi, Maraini, Fo, Rame, Ovadia, Scaparro, Amelio:
Appello contro il ritorno delle leggi razziali in Europa
Pubblichiamo il testo italiano dell’appello pubblicato il 1 luglio sul quotidiano spagnolo El Paìs. *
Alla cultura democratica europea e ai giornali che la esprimono
Le cose accadute in Italia hanno sempre avuto, nel bene e nel male, una straordinaria influenza sulla intera società europea, dal Rinascimento italiano al fascismo. Non sempre sono state però conosciute in tempo. In questo momento c’è una grande attenzione sui giornali europei per alcuni aspetti della crisi che sta investendo il nostro paese, riteniamo, però, un dovere di quanti viviamo in Italia richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica europea su altri aspetti rimasti oscuri. Si tratta di alcuni passaggi della politica e della legislazione italiana che, se non si riuscirà ad impedire, rischiano di sfigurare il volto dell’Europa e di far arretrare la causa dei diritti umani nel mondo intero.
Il governo Berlusconi, agitando il pretesto della sicurezza, ha imposto al Parlamento, di cui ha il pieno controllo, l’adozione di norme discriminatorie nei confronti degli immigrati, quali in Europa non si vedevano dai tempi delle leggi razziali. È stato sostituito il soggetto passivo della discriminazione, non più gli ebrei bensì la popolazione degli immigrati irregolari, che conta centinaia di migliaia di persone; ma non sono stati cambiati gli istituti previsti dalle leggi razziali, come il divieto dei matrimoni misti.
Con tale divieto si impedisce, in ragione della nazionalità, l’esercizio di un diritto fondamentale quale è quello di contrarre matrimonio senza vincoli di etnia o di religione; diritto fondamentale che in tal modo viene sottratto non solo agli stranieri ma agli stessi italiani.
Con una norma ancora più lesiva della dignità e della stessa qualità umana, è stato inoltre introdotto il divieto per le donne straniere, in condizioni di irregolarità amministrativa, di riconoscere i figli da loro stesse generati. Pertanto in forza di una tale decisione politica di una maggioranza transeunte, i figli generati dalle madri straniere irregolari diverranno per tutta la vita figli di nessuno, saranno sottratti alle madri e messi nelle mani dello Stato. Neanche il fascismo si era spinto fino a questo punto. Infatti le leggi razziali introdotte da quel regime nel 1938 non privavano le madri ebree dei loro figli, né le costringevano all’aborto per evitare la confisca dei loro bambini da parte dello Stato.
Non ci rivolgeremmo all’opinione pubblica europea se la gravità di queste misure non fosse tale da superare ogni confine nazionale e non richiedesse una reazione responsabile di tutte le persone che credono a una comune umanità. L’Europa non può ammettere che uno dei suoi Paesi fondatori regredisca a livelli primitivi di convivenza, contraddicendo le leggi internazionali e i principi garantisti e di civiltà giuridica su cui si basa la stessa costruzione politica europea. È interesse e onore di tutti noi europei che ciò non accada.
La cultura democratica europea deve prendere coscienza della patologia che viene dall’Italia e mobilitarsi per impedire che possa dilagare in Europa. A ciascuno la scelta delle forme opportune per manifestare e far valere la propria opposizione.
Roma, 29 giugno 2009
Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi, Dacia Maraini, Dario Fo, Franca Rame, Moni Ovadia, Maurizio Scaparro, Gianni Amelio
(2 luglio 2009)
* APPELLO: MICROMEGA CONTRO LE "LEGGI RAZZIALI"
Il Wwf striglia il G8 *
G8 all’orizzonte: dall’8 al 10 luglio i Paesi industrializzati si riuniscono a L’Aquila e il «Panda» drizza le orecchie, mettendo in agenda le priorità dell’ambiente. Il Wwf preme per portarsi a casa, prima della conferenza sul clima di Copenhagen a dicembre, più che promesse. Chiama all’impegno in prima persona i leader per mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei due gradi, puntando a un futuro povero di emissioni di carbonio e ricco di energia verde. E un’immediata disponibilità di fondi per misure urgenti, aiutando soprattutto i Paesi meno sviluppati ad allinearsi a una politica di sviluppo ambientale.
E così il Panda, in collaborazione con Allianz, ha distribuito, come ogni anno, gli "Scorecards", le pagelle sulle politiche nazionali di contrasto ai cambiamenti climatici. E l’Italia, al solito, ne esce male. Il governo italiano appare ancora «troppo pauroso, pavido», bisognoso di un atto di responsabilità. L’Italia nelle pagelle alla voce «politiche climatiche» prende solo una sufficienza, si ferma a metà della lista, al quarto posto, superata dalla Germania, prima della classe, Gran Bretagna e Francia. Fanalino di coda, un po’ a sorpresa, è il Canada. Colpa di una politica arretrata sui combustibili fossili, causa di grande inquinamento. E bocciati anche Russia e Usa, nonostante le iniziative di Obama fanno fare qualche passo avanti.
Ma si può fare di più. Nell’«Anno del clima» arriva una buona ricetta: uno studio Ecofys commissionato dal Wwf dimostra che secondo un investimento di 4 miliardi all’anno (un misero 0,2 % del Pil), l’Italia può ridurre le proprie emissioni del 29% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, raggiungendo l’obiettivo del 30 % previsto dalla Ue nel Pacchetto clima ed energia.
Partendo dai settori più critici - emissioni di gas dovute principalmente a mezzi di trasporto e alle industrie -, si può migliorare l’efficienza energetica e risparmiare fino al 44 % delle emissioni nelle industrie e il 36 % nel settore trasporti.
«Il mondo non si può permettere che vada male la conferenza di Copenhagen - dice la battagliera Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia Wwf Italia - ci vuole un accordo equo ed efficace, in linea con la comunità scientifica». E per farlo, bisogna curare bene le tappe che lo precedono. Il prossimo G8, tanto per cominciare, incontro tra i Paesi industrializzati ma anche il Mef (Major Economies Forum) voluto da Obama, sempre negli stessi giorni. «Chiediamo coraggio» rinforza l’appello Stefano Leoni, neopresidente del Wwf, il desiderio e la forza di prendere la strada di «una politica legata alla lotta contro i cambiamenti climatici».
Che il futuro possa fare della tutela ambientale anche una risorsa economica lo dimostra anche l’impegno che da anni Allianz spende accanto alle iniziative del Wwf. «Può sembrare curioso che una compagnia di assicurazioni si occupi di ambiente - spiega Pietro Marchetti -, ma in realtà i cambiamenti climatici ci riguardano direttamente. Il 40 percento dei risarcimenti è dovuto proprio agli effetti di disastri provocati dal clima mutato». Insomma, anche l’ambiente può essere un buon affare...
* l’Unità, 01 luglio 2009
L’ambasciata di Roma dirama un comunicato per chi viaggia o risiede nel nostro Paese
"Dal 4 luglio ai giorni del vertice particolare cautela, evitate alcune aree"
Usa, allarme G8 in Italia
"Americani state attenti"
Tra i momenti a rischio citate le manifestazioni del No Dal Molin contro la base di Vicenza
le manifestazioni di protesta all’Aquila e sit-in estemporanei
ROMA - Un comunicato non proprio usuale, quello che questa mattina è stato diramato ai cittadini americani in Italia dall’ambasciata Usa di Roma. Il warden message invita gli americani ad essere "particolarmente attenti e all’erta da questo momento, fino al 4 luglio e al vertice del G8". Il Dipartimento di Stato, attraverso la sede diplomatica romana, fa appello a "esercitare cautela durante viaggi a Roma e in Italia. Sono in programma un certo numero di manifestazioni nei prossimi dieci giorni e alcune possono coinvolgere interessi americani o di altri paesi del G8".
Tra i momenti particolarmente delicati, la nota indica prima di tutto la grande manifestazione in programma per il 4 luglio (festa dell’Indipendenza americana) a Vicenza, convocata dai no global No Dal Molin che si battono contro la costruzione della base militare Usa. "I cittadini americani devono evitare l’area di Vicenza tra il 3 e il 5 luglio", dice il comunicato. Altri eventi sono riconosciuti come "prevedibilmente pacifici", come la fiaccolata indetta per la notte tra il 5 e il 6 luglio all’Aquila dalle 24 alle 3,32 (ora della scossa). Con "potenziali problemi" potrebbe presentarsi l’iniziativa dei Cobas a piazza Barberini il 7 luglio per "accogliere" i leader dei Grandi, anche se le autorità italiane "non prevedono violenze" in quest’occasione. La vicinanza con la sede dell’ambasciata Usa di via Veneto rende però l’evento motivo di allarme per le autorità americane.
L’ambasciata invita quindi i cittadini Usa a controllare con regolarità il sito della sede di Roma e dell’ufficio consolare del dipartimento di Stato, fornisce linee verdi per avere informazioni e soprattutto incoraggia gli americani a registrarsi presso l’ambasciata e le sedi consolari italiane per poter ricevere aggiornamenti in tempo reale.
Non è la prima volta che il dipartimento di Stato dirama un warden in Italia per manifestazioni di carattere politico. Era successo in occasione delle manifestazioni di protesta per la visita di George W. Bush nel giugno del 2007, e ben tre volte per iniziative del No Dal Molin di Vicenza contro la base militare, nel febbraio, marzo e dicembre del 2007.
* la Repubblica, 3 luglio 2009
L’aiuto può essere soltanto disinteressato
Condividendo le responsabilità si difende la dignità umana
di CARLO MARIA CARD. MARTINI (La Stampa, 5/7/2009)
Sono stato in Africa per la prima volta nel 1980. Si trattava di una visita in Zambia, che mi fece conoscere le bellezze di quel Paese e il suo lento ma sicuro procedere per la via della stabilità economica e finanziaria. In seguito fui in molti altri Paesi. Mi impressionò favorevolmente soprattutto lo stato di benessere raggiunto da molte parti del Kenya, che visitai nel 1985. Si aveva l’impressione di una continua e solida crescita nella qualità della vita.
Poi tutto questo cammino si fermò, e ogni volta ritrovai un’Africa più povera e diseredata. Molte ragioni furono addotte per questo cambiamento in peggio. Lo scatenarsi di lotte tribali, il ripiegarsi sul proprio clan, la corruzione di non pochi funzionari pubblici, ecc. ecc. L’Africa ha certamente molte debolezze, come la molteplicità eccessiva delle lingue, la carenza cronica di acqua in certe regioni, la difficoltà dei collegamenti ecc. Ma ha anche grandi risorse, un clima che permette in particolare molte coltivazioni di frutta, dei paesaggi stupendi e soprattutto una umanità, una cordialità e una solidarietà parentale che non si dimenticano anche dopo molti anni.
L’Africa in questo momento ha grande bisogno di aiuto disinteressato, che le permetta di ricostruire le istituzioni venute meno e la provveda di uomini politici attenti al benessere del continente e del loro Paese, al di là degli interessi puramente tribali. Ci si augura che il prossimo G8 sia attento anche a queste realtà, come lo sarà per tante altre in difficoltà, in particolare per la città e la regione dell’Aquila. Un mondo che proceda in unità e corresponsabilità è un mondo che può preparare ai futuri cittadini un modo di vivere più conforme alla dignità umana, con tutte le conseguenze che seguono da tale situazione.