[...] In termini intuitivi, la verità dipende da qualcosa nel mondo; le affermazioni vengono rese vere (o false) dalla realtà; la verità non è frutto unico e puro di creatività, fantasia, volontà, tradimenti, bensì ottiene una base oggettiva nei fatti. Noi comuni mortali applichiamo la teoria nelle faccende quotidiane, ma non la riscontriamo in alcune sfere dell’economia, del giornalismo, della politica, altrimenti (tra le tante altre cose) il nostro paese non verrebbe classificato, in relazione alla libertà di stampa, al quarantanovesimo posto, dopo Argentina e Hong Kong, prima di Romania e Cipro Nord, da Reporters sans frontières, al settantacinquesimo posto, tra i paesi parzialmente liberi, dopo Benin e Hong Kong, prima di Bulgaria e Namibia, da Freedom House [...]
Quando la verità diventa un bene da disprezzare (o da evitare a tutti i costi)
Distinzioni. Il disprezzo che dilaga nei confronti della verità è altro dal sospendere il giudizio.
Così come cancellarla non è considerarla una meta, sebbene irraggiungibile...
Secondo Platone un’affermazione è vera se corrisponde ai fatti, cioè se possiede una base oggettiva nella realtà
Per William James il vero si valuta nel tempo e corrisponde al buono e al conveniente
di Nicla Vassallo (l’Unità, 04.11.2010)
Dilaga uno sprezzo nei confronti della verità, che poco condivide, nonostante le apparenze, con l’atteggiamento scettico, semplificato da Ponzio Pilato che si lavò le mani di fronte a Cristo. Una cosa è denigrare la verità con discorsi e comportamenti, declassando ogni sua rilevanza, fino a irriderla; altra cosa è sospendere il giudizio; una cosa è cancellare la verità, altra cosa è la consapevolezza di Karl Popper, stando a cui la verità si attesta «il nostro bersaglio irraggiungibile». A importare è che rimanga il nostro bersaglio.
Cosa è la verità? Per la teoria corrispondentista, la più antica, risalente a Platone, un’affermazione è vera se corrisponde ai fatti; nella nota formulazione wittgensteniana (Tractatus logico-philosophicus 4.01), «la proposizione è un’immagine della realtà».
In termini intuitivi, la verità dipende da qualcosa nel mondo; le affermazioni vengono rese vere (o false) dalla realtà; la verità non è frutto unico e puro di creatività, fantasia, volontà, tradimenti, bensì ottiene una base oggettiva nei fatti. Noi comuni mortali applichiamo la teoria nelle faccende quotidiane, ma non la riscontriamo in alcune sfere dell’economia, del giornalismo, della politica, altrimenti (tra le tante altre cose) il nostro paese non verrebbe classificato, in relazione alla libertà di stampa, al quarantanovesimo posto, dopo Argentina e Hong Kong, prima di Romania e Cipro Nord, da Reporters sans frontières, al settantacinquesimo posto, tra i paesi parzialmente liberi, dopo Benin e Hong Kong, prima di Bulgaria e Namibia, da Freedom House.
Ad alcune sfere dell’economia, del giornalismo, della politica pare consona la teoria della coerenza. Coerenza con che? Chi soffre di onnipotenza avrebbe la forza di pensare a una coerenza con tutte, proprio tutte, le affermazioni. In tal caso noi comuni mortali non riusciremmo a conseguire alcuna verità, a causa di una mente, la nostra, dalle capacità finite, cui non è consentito contemplare tutte le affermazioni in un tempo infinito.
Chi, invece, si prende gioco di noi, potrebbe sostenere che un’affermazione è vera se e solo se risulta coerente con qualche altra affermazione, cosicché «I Gemelli sono socievoli» sarebbe vera in quanto coerente con le affermazioni astrologiche. Ma noi comuni mortali preferiamo negare che queste ultime siano vere, e abbiamo ben chiaro che, assumendo la coerenza quale unico criterio della verità, finiamo col considerare implausibilmente vere le affermazioni contenute in una qualunque favola - è sufficiente che nella favola non compaia alcuna contraddizione e che le sue affermazioni siano reciprocamente compatibili. No, siamo stanchi delle favole spacciate per verità.
Rimane una teoria, quella pragmatista, che magari fa al caso di alcune sfere dell’economia, del giornalismo, della politica: un’affermazione è vera se risulta utile ai nostri fini, o se ha successo. Così, si corre però il rischio di dover ammettere - cosa che noi comuni mortali non intendiamo fare - che le proposizioni della dottrina nazista sarebbero state vere, nel caso in cui il nazismo avesse trionfato nella seconda guerra mondiale.
Tra i fautori del pragmatismo, William James suggerisce di valutare successo e utilità su un lungo arco di tempo. Quanto lungo? Fino al punto da stimare vere affermazioni quali «la terra è al centro del sistema solare», poiché si sono attestate a lungo di successo e utili? William James non si arrende e equipara l’affermazione vera all’affermazione buona, conveniente, vantaggiosa. Buona, conveniente, vantaggiosa per chi? Soltanto per colui che pronuncia una qualsiasi affermazione? Precipitiamo nell’arbitrarietà e soggettività più scontate, trite e ritrite.
However, Bertrand Russell e George Moore rimproverano al pragmatismo di confondere affermazioni vere e affermazioni congeniali. Chiariamoci. Nulla in contrario alle affermazioni congeniali tout court: se vogliamo raggiungere la sede de L’Unità, e bene sapere che si situa in via Francesco Benaglia a Roma; di conseguenza, deve essere vero che si situa lì, non di fronte al Colosseo. Un dubbio: in questo modo non stiamo però sposando la teoria della corrispondenza? Come sostiene Vita Sackville-West, «Authority has every reason to fear the skeptic, for authority can rarely survive in the face of doubt».
Noi comuni mortali vogliamo conoscere i fatti, desideriamo la verità di per se stessa, al di là dell’autorità, che non equivale, spesso e purtroppo, ad autorevolezza. La desideriamo altresì perché ci conduce verso qualcos’altro, capace di donarci felicità o infelicità. Alcune verità e alcuni fatti ci appagano, risultano utili alla felicità, altri no.
La nostra esistenza è disseminata di molte verità liete e di molte verità dolorose, che è preferibile conoscere. Ciò non ci autorizza a credere che la verità coincida esclusivamente con quanto è buono, conveniente, vantaggioso solo per me, a meno che «non mi paragoni a quegl’insensati, il cervello dei quali è talmente turbato ed offuscato dai neri vapori della bile, che asseriscono costantemente di essere dei re, mentre sono dei pezzenti; di essere vestiti d’oro e di porpora, mentre son nudi affatto; o s’immaginano di essere delle brocche, o d’avere un corpo di vetro»: lo scrive Cartesio (Meditazioni metafisiche, Opere filosofiche, vol. 2, Laterza) a proposito della possibilità di ergere uno scetticismo robusto sulla constatazione che i sensi ci ingannano, ma funziona bene anche qui, nell’inganno che ci assicura chi spaccia il buono, conveniente, vantaggioso per un singolo individuo, o per pochi, per il buono, conveniente, vantaggioso per tutti.
In conclusione, non ci rimane che la cara, vecchia teoria della corrispondenza. Risale al Platone de Il Sofista, teoria che si oppone alle altre e, a pensarci, pure a coloro di cui leggiamo nella Repubblica (Opere, vol. II, Laterza): «Se (...)vanno al potere dei pezzenti, avidi di beni personali e convinti di dover ricavare il loro bene di lì, dal governo, non è possibile una buona amministrazione: perché il governo è oggetto di contesa e una simile guerra civile e intestina rovina con loro tutto il resto dello stato».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI, ATEI E DEVOTI.
Un regime produce una sua "verità" che non esita a ricorrere a una brutale falsificazione dei fatti per imporsi e diventare dominio. Tutto il Novecento è percorso da episodi di questo tipo di inquinamento
di Aldo Schiavone (la Repubblica, 04.11.2010)
Da sempre, il potere intrattiene con la verità e con il suo contrario un rapporto difficile. Il potere si nasconde, e mente e falsifica per conservarsi e crescere. È anche per cercar di sciogliere questo nodo, che è nata la democrazia: con i governanti finalmente in pieno sole, visibili al centro della piazza - e non più nell’ombra dei palazzi o dei templi - sotto lo sguardo vigile del popolo riunito in assemblea, cui non si sarebbe potuto celare nulla.
Il potere è per sua natura asimmetrico: il suo esercizio sospende l’eguaglianza, e produce al suo posto uno squilibrio, un dislivello, un più e un meno. Questa dissimmetria è ineliminabile, ed è come la forza di gravità che curva lo spazio intorno a sé: distorce tutto quello che le sta intorno - rapporti sociali, discorsi, comportamenti. E proprio come la gravità, essa distorce anche la luce, che scivola e devia - assorbita, riflessa, rifratta - tramutando la sua rettilineità originaria in un ingannevole gioco di oscurità, di inganni e di misteri: l’irresistibile segretezza del potere, che ama nascondersi e dissimularsi: questo è la sua verità - gli "arcana imperii", dicevano i Romani, che ne capivano.
Le democrazie moderne hanno costruito nel tempo dispositivi efficaci per ridurre i rischi di questa ineliminabile deriva. Essi ruotano intorno a due assi fondamentali. Da un lato, la libertà della conoscenza, la diffusione dell’informazione, lo sviluppo senza limiti della capacità critica del pensiero e delle opinioni: l’impianto illuministico, insomma. Dall’altro, la sottomissione del potere alla legge e alla regola giuridica - costituzionalismo greco e diritto romano - per stringerlo in una rete dalle maglie sempre più fitte, dalle quali fosse impossibile sfuggire, e che riuscissero a contenere il suo esercizio senza mai trasformarlo nel suo abuso: senza cioè che la dissimmetria diventasse arbitrio. Si è aperta così una partita complicata, e dagli esiti tutt’altro che scontati, i cui movimenti hanno riempito il tempo della nostra modernità. Le vittorie, sono sempre provvisorie. Le sconfitte, rovinose e portatrici di sventure.
È per potersi tramutare in abuso, che il potere mente: per meglio dire, produce un suo regime di verità, che non esita a ricorrere alla più brutale falsificazione dei fatti per imporsi, e diventare dominante. La storia del Novecento è piena di grandi menzogne prodotte da poteri che si erano totalmente trasformati in abusi mostruosi: la menzogna delle razze per aprire la strada allo sterminio; la menzogna dell’Italia come potenza militare e imperiale, per costruire al fascismo un consenso di massa; la menzogna sociale sovietica, per poter sostituire l’irrealizzabilità del comunismo con un regime inetto e dispotico.
Accanto a queste menzogne che chiamerei "di sistema", esistono poi le menzogne e le falsificazioni "locali", d’occasione, ma non meno inquinanti e pericolose, che non escludono a prima vista la democrazia - come le altre - ma anzi sembrano poter convivere con essa, e presentarsi solo come suoi piccoli aggiustamenti. E sono invece tossine micidiali: a non combatterle, se ne resta paralizzati. Menzogne per coprire abusi, e che ne producono altri: in una spirale perversa e inarrestabile. Fino al corto circuito conclusivo: "non leggete i giornali" (come ha detto il nostro Premier) - tutti i giornali, da Repubblica al New York Times: la menzogna che non potendo aver ragione della realtà, distrugge almeno lo specchio, per non vedercisi dentro.